Western Canada: dal Pacifico alle Rockies
Siamo partiti il 2 settembre con British Airways con volo Malpensa-Vancouver con cambio vettore a Londra. Costo del volo (prenotato insieme all’auto e al volo interno presso il CTS di Como) circa 850 euro a testa (compreso tasse aeroportuali e l’immancabile aumento carburante). Purtroppo un ritardo di 30 minuti nella partenza da Milano Malpensa ci ha fatto quasi perdere il volo da Londra a Vancouver (avevamo in origine 80 minuti a Londra che si sono ridotti a 50 dovendo trasferirci dal terminal 1 al terminal 4) e ci ha fatto perdere i bagagli. Per fortuna la British è stata relativamente efficiente e le 2 valigie sono arrivate rispettivamente 24 e 48 ore dopo di noi. Una buona lezione per il futuro: lasciare sempre almeno 2 ore tra un volo e l’altro a Londra! Comunque le 9 ore di viaggio tra Londra e Vancouver sono trascorse velocemente tra l’ottimo servizio di bordo e i piccoli televisori inseriti nello schienale di ogni sedile. Partiti da Milano il 02/09 alle 15.00, ci siamo ritrovati, complici le nove ore di fuso orario, ad atterrare alle 18.35 sempre del 02/09. Lunga fila all’immigrazione per ottenere il timbro sul passaporto (per i cittadini EU non è necessario alcun visto per il Canada), ritiro bagagli con sorpresa, denuncia smarrimento bagagli al Lost Luggage e finalmente ci dirigiamo alla compagnia di autonoleggio Alamo. Ritiriamo la nostra auto di categoria media, una aggressiva Pontiac Grand Prix dalle ottime prestazioni (peraltro completamente inutili in un paese dove il rispettatissimo limite massimo di velocità in autostrada è di 100 Km/h). Il costo per l’auto è stato di 470 dollari canadesi (can dol) per settimana (all’incirca 300 euro) con Km illimitati, tutte le assicurazioni possibili ed un pieno di benzina gratuito. Non senza qualche difficoltà (era la prima volta che guidavo un’auto automatica e bisogna abituarsi a non usare mai il piede sinistro, pena pericolose inchiodate) ci dirigiamo verso Vancouver che dista circa 12 Km dall’aeroporto. Varcato il Granville bridge, la vista notturna dei grattacieli illuminati del centro città è spettacolare. Ci dirigiamo subito verso l’hotel che abbiamo prenotato dall’Italia con internet per le prime due notti. Il centro di Vancouver non è enorme ed è situato su una penisola chiusa tra il mare e l’enorme Stanley Park all’estremità settentrionale. Con l’aiuto della cartina della Lonely Planet riusciamo ad orientarci e raggiungiamo facilmente il Sylvia Hotel (www.Sylviahotel.Com) situato nel West End, vicino allo Stanley Park. L’hotel, costruito nel 1912, è molto carino con la sua facciata ricoperta di edera ed è situato in posizione panoramica sulla English Bay. Anche all’interno l’hotel è carino con camere ampie e luminose anche se alcuni corridoi dell’albergo potrebbero essere tenuti meglio . Il costo per una notte è stato di 155 can dol per la doppia (più il consueto 15% di tasse) senza colazione. Nei giorni seguenti ci siamo informati dei costi di altri alberghi e abbiamo realizzato che i prezzi degli hotel nel centro di Vancouver vanno dai 100 can dol + tasse in su. Cerchiamo un posto dove mangiare vicino all’albergo (siamo distrutti) e troviamo un’ottima scelta di ristoranti di ogni genere e nazionalità sulla Denman Street. Alla fine decidiamo per un ristorante giapponese (che contrariamente all’Italia sono tra i meno cari forse per il fatto che a Vancouver risiedono diverse decine di migliaia di asiatici) dove facciamo una scorpacciata di sushi per una ventina di dollari a testa. Da ricordare che in ogni ristorante il servizio non è mai compreso ed è praticamente obbligatorio lasciare una mancia equivalente al 15% del conto totale al cameriere. La prima notte come previsto non è stata delle migliori (difficoltà ad addormentarsi anche se stanchi morti e frequenti risvegli) dato il fuso orario di 9 ore rispetto all’Italia.
1° giorno La mattina verso le 7 ci si ritrova svegli senza più alcuna possibilità di riaddormentarsi. Colazione al vicino Starbuck dove seguendo un consiglio letto su un altro resoconto di viaggio provo il frappuccino mocha, un terribile beverone ghiacciato che di prima mattina può essere quasi letale. Molto meglio il caffè o il cappuccino e un delizioso brownie, pura delizia di cioccolato, accompagnato da un succo di frutta ipervitaminizzato. Il tempo, come spesso succede a Vancouver, è molto variabile (nella stessa giornata si passa 2 o 3 volte dalla pioggia al sole). Decidiamo comunque di noleggiare una mountain-bike (con annesso casco obbligatorio) alla fine di Denman Street e di visitare il famoso Stanley Park, una stupenda foresta di cedri della superficie di 405 ettari, delimitata da spiaggie. Ci sono piste per il jogging, per il pattinaggio e per le biciclette, nonché una strada carrozzabile ed un autostrada che attraversa il parco per sfociare su un enorme ponte che mi sembra si chiami Lion’s Bridge. Percorriamo tutta la Seawall Promenade, lunga 10.5 Km, con viste spettacolari sulla città, per poi addentrarci sulle stradine sterrate che tagliano verso l’interno del parco tra laghetti pieni di ninfee, scoiattoli, procioni, emozionanti discese e faticose salite. Abbiamo trascorso 3 meravigliose ore di vero contatto con la natura senza muoverci dalla città. Senza dubbio il ricordo più bello di Vancouver (un vero MUST). In tarda mattinata, visto il peggiorare delle condizioni atmosferiche con frequenti scrosci di acqua, a malincuore abbandoniamo il parco (e la bici), e ci dirigiamo sulla Robson Street cuore commerciale (leggi shopping, bar e ristoranti) della città. Tra i negozi uno di quelli che ci è piaciuto di più è Roots, una marca di T-shirts, felpe, borse, abbigliamento vario che ritroveremo anche in altre cittadine del Canada. Durante un momento di pioggia ci rifugiamo nel Pacific Center, un centro commerciale lungo 3 isolati e collegato da ponti pedonali al di sopra delle strade. Chiaramente al suo interno c’è ogni genere di negozio. Scopriamo con piacere che al piano interrato si può mangiare per 4 soldi in una serie di chioschi che servono piatti tipici di una decina di cucine etniche (tra cui giapponese, vietnamita, cinese, italiana). Dopo esserci persi un paio d’ore tra gli innumerevoli negozi di questo mega centro commerciale, proviamo a mettere il naso fuori e, con grande sorpresa, scopriamo che il tempo ha virato al bello. Visitiamo dall’esterno il Canada Place, costruito in occasione dell’Expo del 1986, e diventato con le sue vele bianche uno dei simboli di Vancouver (da alcuni esageratamente paragonato all’Opera House di Sidney). Attualmente ospita un cinema IMAX, un centro espositivo, un terminal per navi da crociera e quant’altro. Alle 18 torniamo in albergo sempre più distrutti e commettiamo un grave errore: cedendo alla stanchezza e al fuso orario ci addormentiamo.
Ci svegliamo alle 23 rintronati e affamati come lupi. Usciamo e scopriamo che Vancouver è una città molto vivace anche di sera (perlomeno di sabato sera) con molta gente in giro e diversi ristoranti ancora aperti. La scelta cade su un vicino ristorante di pesce all’incrocio tra Denman e Davie Street, dove tra l’altro facciamo la conoscenza con le indimenticabili ostriche di Vancouver (in seguito scopriremo un ristorante che ne offre una ventina di varietà diverse). Il pesce è stato una costante di tutte le nostre cene a Vancouver dal momento che era ottimo e non costava eccessivamente. Tra i migliori ristoranti provati (basandoci sulla Lonely Planet che sebbene scritta da anglosassoni si è rivelata utilissima anche nella scelta dei ristoranti) vanno senz’altro segnalati: 1) Rodney’Oyster House (situato nel quartiere di Yaletown, famoso per la vita notturna) con un’atmosfera giovane e frizzante, musica, 20 varietà di ostriche e un menù da leccarsi i baffi. Prezzi intorno ai 35-40 can dol per una cena completa (senza vino). Per il cibo e l’atmosfera il nostro preferito.
2) Blue Water (sempre a Yaletown) con atmosfera sofisticata e considerato uno dei migliori ristoranti di pesce a Vancouver. Cena memorabile per qualità e servizio ma prezzo intorno ai 70 can dol a testa (senza vino) 3) Ci sono 2 rinomati ristoranti di pesce a Granville Island: – The SandBar dall’atmosfera sofisticata e con una vista stupenda sui grattacieli illuminati. Una buona cena ma con un’atmosfera troppo trendy per i miei gusti. E’ il tipico ristorante alla moda dove spendi parecchio (intorno ai 50 can dol) ed esci ancora affamato.
– Bridges visto (anche questo in posizione panoramica) ma non provato. Ad occhio (e secondo la Lonely Planet) un ottimo ristorante di pesce con più o meno gli stessi prezzi del Sandbar .
2° giorno Piove. Colazione con l’ottimo cappuccino di Starbuck. Parlando con un altro avventore del maltempo ci dice: “it’s Vancouver”, lasciandoci intendere che una giornata di pioggia è tutt’altro che rara. Ci dirigiamo verso Gastown dove percorriamo la Water e l’Alexander Streets. Si tratta di 2 vie costeggiate da fabbricati di epoca vittoriana che al piano terra ospitano ristoranti, bar, negozi turistici, boutique e gallerie. Il tutto è parzialmente rovinato dalla pioggia, ma l’atmosfera è carina. Vediamo il famoso orologio a vapore (Steam Clock). Da Gastown ci dirigiamo verso Chinatown attraversando Hasting Street, l’unica via “pericolosa” di Vancouver. E’ infatti brulicante di homeless, tossici ed emarginati di ogni genere. Ha proprio l’aria di un brutto posto dove trovarsi a piedi la sera ma di giorno è attraversabile senza ostentare macchine fotografiche o altro. Una riflessione sugli homeless: mi ha colpito vedere una città all’apparenza ricca come Vancouver con uno o più homeless ad ogni semaforo e tutti dall’aspetto e accento canadese. Ero convinto che il sistema sociale in Canada fosse molto più simile all’Europa che agli Stati Uniti, ma almeno per questo aspetto non è così. Ci rechiamo a Chinatown dove ci rifugiamo dalla pioggia battente nel Dr Sun Yat-Sen Classical Chinese Garden, un grazioso anche se minuscolo giardino cinese. Rinunciamo a visitare il resto di Chinatown e da lì ci spostiamo a Granville Island, un’isola collegata alla terraferma da un ponte e da variopinti battellini (Seabus ed Aquabus) che in continuazione fanno la spola tra l’isola e l’estremità di Davie street. Infatti l’isola è separata dalla città da un braccio di mare chiamato False Creek, percorso da barche a vela, yachts e kayak. L’isola è un agglomerato di gallerie d’arte, negozi di vario genere abbastanza stravaganti (e cari), ristoranti, teatri e locali notturni. Quello per cui è meritatamente famosa è tuttavia il Granville Island Public Market, un variopinto mercato alimentare coperto dove si trova di tutto, dal pesce al salame, al formaggio, a stupendi cesti di frutti di bosco etc. E’ il posto ideale dove pranzare comprando quello che più ti aggrada e consumando il pranzo su una panchina guardando il viavai di barche sullo sfondo dei grattacieli della città. Visto che il tempo volge al bello, riattraversiamo il False Creek e ci dirigiamo verso l’Harbour Centre Tower, una torre di 174 m, che dalla cima offre vedute a 360° su Vancouver. Naturalmente la vista è notevolissima e permette di apprezzare l’estensione della città, dal momento che finora abbiamo visto solo il centro città. La salita con un ascensore in vetro (una vera emozione per chi soffre di vertigini) costa circa 10 can dol. La sera dopo tanto camminare, ci abbuffiamo di pesce al Rodney’Oyster House a Yaletown che raggiungiamo facilmente con la nostra auto.
3° giorno Di prima mattina lasciamo Vancouver dirigendoci verso l’aeroporto, per poi deviare verso Tsawwasen per prendere il traghetto BC ferries per Vancouver Island. Ci è stato spiegato che questa è la linea di traghetti da preferire se si è diretti a Victoria, dal momento che da Schwarz Bay (dove si sbarca) a Victoria ci sono solo una ventina di Km (a differenza del traghetto che parte da Horseshoe Bay che ti sbarca a Nanaimo distante 110 Km da Victoria). Una cosa interessante è che collegandosi via internet al sito www.Bcferries.Com è possibile vedere costi, orari, durata del viaggio e addirittura riservare un posto. Pur non avendo riservato non abbiamo avuto problemi a trovare un posto. Il tutto è organizzatissimo e in perfetto orario. La traversata dura all’incirca 90 minuti ed è bellissimo osservare dal ponte le numerose isole ricoperte da conifere che si incontrano. Una volta sbarcati seguiamo senza problemi le indicazioni per Victoria. Una volta arrivati ci dirigiamo subito all’ufficio del turismo (Visitor Info Center in Wharf Street sul lungomare) dove intendiamo prenotare l’albergo e rifornirci di mappe e informazioni. Dopo le spese di Vancouver proviamo a risparmiare chiedendo un albergo dal costo al di sotto dei 100 can dol. Veniamo indirizzati all’Agra House, curiosa costruzione in stile indiano alla periferia del centro di Victoria (Herald Str.) dove spendiamo 84 can dol + tasse per una camera relativamente decente ma in un contesto abbastanza misero (leggi per esempio forte odore di pollo tandori in tutto l’albergo proveniente dall’adiacente ristorante indiano). Lì capiamo che il Canada non è il posto giusto per risparmiare e da quel momento non chiederemo più camere al di sotto dei 100 can dol. Credo che forse avremmo potuto risparmiare organizzando tutta la vacanza in camper. Infatti sia a Vancouver Island, che ancor più sulle Rockies, vedremo centinaia di camper noleggiati e molti campeggi situati in zone stupende.
Tornando a Victoria, è una città molto “british” (forse anche troppo per i nostri gusti) con un bel lungomare e 2 o 3 vie turistiche in centro. Affacciati sull’Inner Harbour spiccano le sagome imponenti dell’Hotel The Empress e del parlamento. Proprio sotto il Visitor Info Center è situato l’agenzia per escursioni “Prince of Whales”, dove prenotiamo un escursione in barca (in seguito ci siamo pentiti di non aver scelto quella in gommone, sicuramente più emozionante) per l’avvistamento delle orche. Il costo è relativamente elevato (circa 75 can dol a testa) per un escursione di 3 ore che tuttavia si rivela una delle esperienze più significative ed emozionanti dell’intera vacanza. Le orche ci sono, sono tante e talvolta passano addirittura sotto la barca. Consumo almeno 2 rullini di foto (quasi indispensabile un buon teleobiettivo) e, sebbene nessuna delle almeno 10 orche avvistate abbia fatto un balzo fuoriuscendo completamente dall’acqua (il sogno di ogni fotografo), porto a casa un bel reportage su questi bestioni che sicuramente non rivedrò tanto presto. E’ comunque incredibile come a mezz’ora di navigazione da una città come Victoria ci si possa trovare in mezzo alla natura più selvaggia (nella fattispecie branchi di orche). Tale vicinanza con la natura sarà una costante in tutte le località che visiteremo nel nostro itinerario ed è la caratteristica a mio parere più affascinante del Canada. Dopo l’affascinante escursione passeggiamo sul lungomare e nel centro gustandoci fino in fondo la bella giornata di sole. Vancouver Island è infatti l’area più soleggiata e con le più miti temperature di tutto il Canada. La sera un’ottima cena a base di pesce – tanto per cambiare – al Chandler’s Seafood Restaurant dove spendiamo circa 40 can dol a testa. L’ambiente è raffinato ed il pesce è delizioso. La città è comunque piena di ristoranti, bar e pub per ogni tasca e c’è solo l’imbarazzo della scelta. Non abbiamo purtroppo il tempo di visitare i famosi Butchart Gardens, un parco botanico pare bellissimo situato a circa 20 Km da Victoria (d’altronde in un solo giorno non si può far tutto e dovendo scegliere tra un parco botanico anche stupendo e lo spettacolo delle orche nell’oceano pacifico non ho avuto il benché minimo dubbio).
4° giorno: Percorrendo la Highway 19, ci dirigiamo alla volta della prossima meta, Tofino, situata sulla costa occidentale dell’isola a circa 316 Km da Victoria (4,5-5 ore di guida senza fermarsi). Noi impieghiamo 7 ore fermandosi ogni volta che intravedevamo uno scorcio per una fotografia. Non ci siamo fermati né a Duncan (famosa per il Quw’utsun cultural & conference centre dove si possono vedere e acquistare le opere artigianali degli indiani Cowichan), né a Chemanius (famosa per i suoi murales). Un consiglio: rispettate i limiti di velocità, dal momento che abbiamo avvistato almeno 3 rilevatori di velocità lungo il percorso. Subito dopo Parksville bisogna abbandonare la Hwy 19 imboccando la Hwy 4, l’unica via di accesso a Tofino. La strada si fa molto più interessante (e impegnativa), obbligandoci a frequenti soste per ammirare gli spettacoli naturali che la strada offre sottoforma di laghi, montagne e foreste. Una sosta di un’oretta sicuramente da consigliare è quella alla foresta di Cathedral Grove, situata al termine del Cameron Lake. Si tratta di un parco nazionale in miniatura, con corti sentieri che si snodano tra gli enormi abeti di Douglas e cedri rossi. Alcuni alberi, vecchi di centinaia di anni, sono altissimi e, complice un sottobosco ricco di felci, il tutto evoca ricordi fiabeschi di magici boschi popolati da gnomi e folletti. Si raggiunge poi Port Alberni, l’ultimo avamposto della civiltà prima di Tofino. Nel pomeriggio ci fermiamo a mangiare fish and chips (da queste parti una vera istituzione) a Ucluelet, un grazioso paesino di mare, porta di ingresso per il Pacific Rim National Park. Trattasi di un parco nazionale suddiviso in 3 parti: 1) Longh Beach Unit, una serie di sentieri adiacenti alla lunghissima spiaggia omonima situata tra Ucluelet e Tofino 2) Broken group Island, una serie di isole famose tra l’altro per le escursioni guidate in kayak 3) West Coast Trail, un percorso di trekking lungo 75 Km, tra i più belli ed impegnativi del Canada.
In pratica abbiamo solo “assaggiato” la Long Beach Unit e ci sono percorsi di svariate lunghezze e difficoltà in quantità tale da impegnare un paio di giornate come minimo. Comunque per andare solo a Ucluelet e Tofino non bisogna pagare le tasse del parco (equivalenti a 10 can dol per veicolo), indispensabili se invece si vuole passeggiare lungo i sentieri all’interno di Long Beach. Le suddette tasse vanno pagate in uno dei numerosi Pacific Rim Visitor’s Centres o presso gli apparecchi automatici situati in ogni piazzola di parcheggio del parco. Per il momento attraversiamo solo il parco e ci dirigiamo a Tofino, una minuscola cittadina di mare che resterà impressa nei nostri cuori e nelle nostre menti. Il nostro primo pensiero vista l’ora è quello di trovare un alloggio. Qua non c’è il Visitor Centre, o meglio coincide con la stazione della polizia dove ti forniscono una lista degli alberghi disponibili. Decidiamo di stare fuori dal paesino in uno dei numerosi resort che si affacciano sulla spiaggia subito prima di entrare in Tofino. Dopo numerosi tentativi frustrati dai prezzi esorbitanti , troviamo un ottimo rapporto qualità/prezzo all’Ocean Village Beach Resort (155 can dol la doppia). Il resort (www.Oceanvillageresort.Com) è direttamente sulla Mackenzie Beach ed è composto da una trentina di bungalow di legno a due piani. Sebbene non troviamo posto nei bungalow direttamente a ridosso della spiaggia, la vista dal terrazzino è incantevole. Dentro è tutto molto caldo e non manca niente (c’è anche la cucina). Il resort è dotato di una enorme barbecue comunitario e soprattutto di una piscina coperta e di una hot tube (una enorme vasca jacuzzi) dall’acqua bollente, ideale per ritemprarsi dopo una faticosa giornata. Ci dedichiamo subito all’esplorazione della stupenda spiaggia dove molta gente passeggia o fa jogging (purtroppo l’acqua del mare è gelida). Veniamo a sapere che Tofino è molto popolare anche in inverno quando molti canadesi vengono ad ammirare le tempeste dalla spiaggia! Ci rechiamo poi a Tofino che è composta in totale da una decina di vie di cui la principale è Campbell St. Per vedere della belle foto di Tofino e dintorni consiglio di visitare il sito del fotografo di Tofino Jeremy Koreski (www.Jeremykoresky.Com). Pur essendo microscopico, il paesino offre agenzie turistiche (tante), ristoranti (pochi), un piccolo supermarket e qualche negozio. Ha l’aria di un posto di frontiera anche se dalla quantità di turisti e dai prezzi si capisce che è molto alla moda. Dai moli la vista sulle montagne ricoperte di conifere, sulla moltitudine di isole e isolette, sul mare bellissimo ci fanno intuire quanto devono essere belle le escursioni con partenza da Tofino. Ne prenotiamo subito un paio per il giorno dopo e torniamo al Resort giusto il tempo per gustarci dalla spiaggia il primo vero tramonto della vacanza. Siamo veramente al mare, anche se appena cala il sole capiamo che la temperatura di notte cala di molti gradi. Il tramonto ha dei colori spettacolari e molte persone si ritrovano in spiaggia per assaporare questo magico momento. Diversi gruppi sono indaffarati intorno a profumati barbecue a base di carne e pesce. Dato che inizia a fare freddo, cosa c’è di meglio di una mezz’oretta nell’hot tube bollente? Per cena torniamo a Tofino, dove proviamo il Raincoast Cafè (non degno di nota se non per il prezzo alto). Al ritorno lo spettacolo dal terrazzino del quarto di luna che si specchia nel mare ci toglie il fiato.
5° giorno: la mattina presto ci rechiamo a Tofino. Colazione con cappuccio e brioche in una ottima pasticceria italiana (proprio così) quasi in cima a First street. Poi si parte per il Rambo day. Il giorno precedente su consiglio della solita Lonely Planet, abbiamo prenotato 2 escursioni (una di seguito all’altra) nell’agenzia “ambientalista” Remote Passages (71 Wharf street), che ci sentiamo di raccomandare a chiunque (www.Remotepassages.Com). La prima escursione della durata di circa 3 ore e costata circa 70 can dol a testa è dedicata alla ricerca degli orsi in spiaggia. Infatti sebbene a Vancouver Island non esistano i famosi grizzly, l’area intorno a Tofino (e credo tutta Vancouver Island) è ricca di orsi neri, che la mattina hanno l’abitudine di farsi delle lunghe passeggiate in spiaggia alla ricerca di granchi o altre forme di cibo (veramente degli onnivori). Prima di tutto ognuno dei circa 15 avventurosi viene dotato di una stupenda tuta rossa che funge sia da giubbotto di salvataggio che da riparo per freddo e onde. Ci viene spiegato che in caso di caduta in acqua la sopravvivenza al freddo è di qualche decina di minuti e la tuta può prolungarla. Fatti i debiti scongiuri, dopo un breve briefing di gruppo si parte a bordo di 2 stupendi zodiac ognuno con doppio motore da 200 cavalli. Dal momento che zaini e zainetti vengono messi al riparo dentro appositi vani al di sotto dei sedili, decido di rischiare di tenermi Nikon e teleobiettivo in mano (ci saranno momenti in cui li riparerò nel petto sotto la megatuta rossa). I gommoni sembrano volare sull’acqua e i guidatori/guide sembrano divertirsi un mondo a compiere strette curve intorno alle innumerevoli isolette che incontriamo. Siamo già entusiasti dello spettacolo che scorre veloce davanti ai nostri occhi ancor prima di aver visto un solo orso. Ci si dirige non verso il mare aperto, ma verso le isole e insenature dell’interno con una mare piatto e senza onde. Dopo aver visto delle foche su un’isoletta, avvistiamo sulla spiaggia il primo orso. Con le zampe solleva senza fatica enormi sassoni alla ricerca di granchi. Noi siamo a circa 10 metri sul gommone; ha l’aria mansueta ma non scenderei sulla spiaggia a verificarlo. Dopo una decina di minuti di caccia al granchio, apparentemente incurante di quegli umani in tuta rossa che lo osservano e lo fotografano si dirige verso il bosco e sparisce. Altro quarto d’ora di navigazione ad alta velocità e troviamo una mamma orsa a caccia di granchi con 2 orsetti che giocano in cima ad un albero lì vicino. La scena è bellissima ed è un dispiacere andarsene dopo un quarto d’ora. Sulla strada del ritorno vediamo un altro orso in spiaggia e riusciamo ad avvicinarci (sempre sul gommone) a pochi metri. Speriamo di non fare un incontro così ravvicinato una volta sulle Rockies (dove tra l’altro bazzicano gli enormi grizzly). Più che soddisfatti (avevo qualche dubbio sulle possibilità di vedere gli orsi come da catalogo) torniamo a Tofino dove dopo esserci procurati un panino partiamo per la seconda gita in gommone della giornata. Stavolta il programma prevede Hot Spring Cove con osservazione delle balene al ritorno (costo per 6 ore di escursione circa 120 can dol a testa). Stavolta ci si dirige verso il mare aperto con conseguenti onde alte fino a 3 metri, spruzzi, salti e tanta adrenalina. Il guidatore è comunque molto abile e dopo 37 Km di navigazione finalmente approdiamo. Passeggiata di 20 minuti e si arriva ad una serie di cascatelle con sottostanti pozze d’acqua calda e sulfurea. Unico problema: trovare il posto in una delle pozze (che sono solo 4 o5 per una ventina di persone almeno). Al ritorno il mare è ancora più agitato e gli spruzzi non risparmiano nessuno. La nostra guida ci invita ad allacciare i cappucci delle tuta rossa e ad attaccarci bene. Ci sono momenti in cui ci vediamo come il classico guscio di noce che cavalca onde enormi, ma il guidatore si conferma un asso e non corriamo mai seri rischi. Vediamo dei leoni marini su uno scoglio, attorno al quale pare sia molto frequente vedere orche in caccia (ma non in quel momento). Poi ci dirigiamo verso un golfo e lì vediamo da distanza ravvicinata 3 balene (ci passano anche sotto al gommone) che pigramente tra uno sbuffo e l’altro emergono quel tanto che basta a farci immaginare la stazza. Un’altra scena emozionante di natura selvaggia. Torniamo verso le 18 distrutti ma felici di aver combinato le 2 escursioni e aver così goduto fino in fondo delle bellezze di Tofino (che ci sta entrando nel cuore). Solito spettacolo del tramonto in spiaggia con stupende fotografie (meglio avere un cavalletto). La sera cena (anche questa cara a conferma che Tofino non è decisamente un posto economico) a base di sushi al Tough City Inn & Sushi Bar.
6° giorno: Ultimo giorno a Tofino. La mattina, dopo 2 giornate di sole stupende, è molto nebbiosa. Decidiamo di percorrere alcuni sentieri del Pacific Rim National Park, sezione Long Beach (la parte più vicina a Tofino). In un parcheggio paghiamo la famosa tassa di 10 dollari con tagliando da esporre sul parabrezza, e percorriamo dapprima il Raiforest Trail, un percorso ad anello di 1 Km con tanto di piazzole e spiegazioni in una foresta quasi tropicale. Poi ci dirigiamo al Wickaninnish Centre per percorrere un altro sentiero che risulta misteriosamente chiuso. Il parco nazionale è popolato da orsi neri, lupi e giaguari (come è ben segnalato sulle mappe del parco) da ed è impossibile non pensare che il sentiero chiuso abbia a che fare con la presenza di questi animali. Con questo dubbio ci spostiamo di qualche Km per raggiungere la bellissima Florencia Bay. All’inizio del sentiero un cartello scritto a mano da un turista ci conferma i nostri dubbi: il giorno prima avevano avvistato un orso con i cuccioli sulla spiaggia. Un po’ per incoscienza, un po’ perché avevamo già deciso prima di partire di non vivere una vacanza all’insegna del terrore dell’orso (altrimenti si rischia di non scendere mai dall’auto perdendosi le cose più belle), scendiamo da una rampa di scale fino in spiaggia. Siamo completamente soli in una stupenda spiaggia nebbiosa popolata solo da legioni di gabbiani. Naturalmente la paura dell’orso è ben presente durante la lunghissima passeggiata sulla spiaggia, e viene esorcizzata portandoci dietro un lungo bastone. L’emozione di questa spiaggia deserta immersa nella nebbia, dei gabbiani che infastiditi dai 2 intrusi si levano a stormi in volo, il mare agitato con serie di onde che si infrangono rumorosamente sulla battigia, la presenza di enormi tronchi macerati in acqua rigettati sulla spiaggia durante qualche tempesta, l’impalpabile presenza nella mente di mamma orsa (resa ancora più pericolosa dalla presenza dei cuccioli), tutto questo contribuisce a rendere la passeggiata a Florencia bay un ricordo indimenticabile. Mentre torniamo la nebbia si alza lasciando spazio ad un cielo azzurro e decidiamo di tornare a Tofino per l’ultimo ricordo: un giro di 20 minuti in idrovolante sopra il Clayoquot Sound (l’area naturale tutelata dall’Unesco in mezzo alla quale si trova Tofino). Ci rivolgiamo alla Tofino Air ed il costo per il volo è di 175 can dol. La visione dall’alto del paese, del resort dove abbiamo dormito, delle innumerevoli spiaggie deserte, delle distese di verde a perdita d’occhio che sfumano nelle alte montagne sullo sfondo, dell’isolotto con i leoni di mare visto in barca il giorno prima costituiscono l’ultima grande emozione che ci regala Tofino. Purtroppo sono le 14 e ci aspettano numerose ore d’auto per raggiungere Nanaimo ed il traghetto per Vancouver. Strada facendo facciamo un ultima sosta a Long Beach per salutare Tofino e con nostra sorpresa la troviamo piena di gente che prende il sole, fa il bagno o fa surf (fino a qual momento non ci eravamo resi conto che esistessero spiagge “normali”). Senza mai fermarci riusciamo a prendere il traghetto che parte alle 19 da Departure Bay a Nanaimo (ce n’era anche uno alle 21). Anche qui nessuna coda (l’avevamo prenotato dall’Italia ma non sarebbe stato necessario), tutto ben segnalato ed improntato alla massima semplicità. Lasciamo con molti rimpianti Vancouver Island ripromettendoci di trascorrere in futuro 2 settimane dedicate solo a questa isola incantevole (che se le merita tutte). Non abbiamo visto la zona nord dell’isola (Telegraph Cove per intenderci) che pare essere la più selvaggia e dove pare che le orche si vedano da riva. Con questi pensieri sbarchiamo a Horseshoe Bay, nella zona di North Vancouver ed in mezz’ora siamo al Sylvia Hotel (dove nel frattempo abbiamo prenotato anche questa notte). Quella notte, dopo la consueta mangiata di pesce, ci dedichiamo alle foto notturne (con cavalletto) dalle scenografiche piazzole di parcheggio del parco Stanley. 7°giorno: La mattina presto ci dirigiamo all’aeroporto dove riconsegniamo la macchina e prendiamo il volo interno Vancouver-Calgary con Air Canada (costato circa 300 euro). Poco più di un ora di volo (evitando più di 1000 km di strada) e atterriamo. Ci dirigiamo ancora all’Alamo dove ci attende la nuova auto (anche qui categoria media già prenotata dall’Italia, costo 470 can dol a settimana). Lasciamo subito Calgary (dopo aver tirato avanti le lancette dell’orologio di un’ora per il diverso fuso orario) dirigendoci tramite la Trans Canada Hwy 1 verso il parco nazionale di Banff. Geograficamente ci troviamo nello stato dell’Alberta tra le Rocky Mountains canadesi (dette Rockies), la continuazione delle omonime montagna statunitensi. La parte canadese è racchiusa all’interno di 2 enormi parchi nazionali (per saperne di più www.Pc.Gc.Ca) contigui: Banff a sud e Jasper a nord. L’intera area è famosa per la bellezza spettacolare dei paesaggi, per la possibilità di trekking ed escursioni di ogni tipo in estate (da passeggiate di un ora intorno a un laghetto a trekking di settimane) e per le piste da sci in inverno. Le montagne, spesso paragonate alle Dolomiti per la loro bellezza, incorniciano stupende vallate percorse da fiumi impetuosi (un paradiso per il rafting) e laghetti dai colori quasi surreali (dal verde smeraldo al turchese). Le foreste di conifere celano inoltre una ricca fauna (spt nel parco di Jasper) composta tra gli altri da enormi cervi, alci, mufloni, orsi neri e grizzly, lupi. Il parco di Banff, fondato nel 1885, copre un area di 6641 kmq ed è il più visitato delle Rockies. Quello di Jasper è ancora più grande, meno turistico e ricco di animali.
Dopo circa 2 ore di auto da Calgary e dopo aver attraversato il “gate” del parco dove si paga l’ingresso (all’incirca 90 can dol per 6 notti all’interno del parco) arriviamo nella cittadina di Banff, una specie di Cortina locale piena di alberghi, ristoranti, negozi turistici e tanti, tanti turisti di ogni nazionalità. Dopo la tregua a Vancouver Island, il tempo è decisamente brutto con nuvole bassissime (non si vede nessuna montagna) e pioggia. Ci rechiamo subito al Banff Information Centre al 224 di Banff Avenue dove ci forniscono informazioni sugli alberghi disponibili (restringiamo il campo a quelli con prezzo inferiore ai 150 can dol per la doppia), nonché dettagliatissime mappe e informazioni sulle passeggiate nei dintorni corredate dall’opuscolo “bears and people”. Molto valido per le informazioni e le mappe anche l’opuscolo “The mountain guide” fornitoci al momento del pagamento delle tasse di ingresso al parco. Troviamo posto all’”High Country Inn” (159 can dol + tasse per la doppia con colazione), un bell’albergo all’inizio di Banff Avenue con tanto di piscina coperta e hot tube (www.Banffhighcountryinn.Com). Durante un giro esplorativo in auto appena fuori Banff le nuvole si alzano quel tanto che basta a farci intravedere le montagne: sono vicinissime e imponenti e soprattutto completamente bianche di neve!!! Un po’ demoralizzati dalla vista della neve a partire da poco sopra il centro abitato, ci rifugiamo nella bollente e rigenerante hot tube. La sera per la prima volta assaggiamo la famosa carne dell’Alberta al “Bumper’s Beef House”, uscendone più che soddisfatti. La sera, come quasi ogni sera, prepariamo il programma del giorno dopo leggendo i molti opuscoli sul parco e le sue passeggiate. Particolarmente interessante quello sugli orsi (bears and people) che spiega per filo e per segno come comportarsi in caso di incontro con un orso e come reagire ad un attacco del plantigrado a seconda che si tratti di un attacco difensivo o predatorio !?! Quanto basta a farci acquistare il giorno dopo un carissimo (40 can dol) spray repellente antiorso (che dovrebbe tirare fino a 5 metri) ed un fischietto per segnalare all’orso la nostra presenza (pare che non ci sia di peggio che cogliere un orso di sorpresa e spaventarlo). Ci vengono sconsigliati dallo stesso venditore i diffusissimi campanellini antiorso, in quanto completamente inefficaci, mentre ci viene consigliato di usare il fischietto, parlare a voce alta, cantare. In seguito verremo a sapere che ogni anno si verificano 2 o 3 casi di attacchi (per lo più mortali) all’uomo in tutto il Canada, che il peggio del peggio è passare inavvertitamente tra mamma orsa e i suoi cuccioli, che in caso di incontro non bisogna assolutamente fuggire (lui è molto più veloce di noi), etc. In pratica, dal momento che l’orso preferisce evitare l’incontro dell’uomo forse più di quanto lo desideri l’uomo, non ne vedremo neanche uno pur avendo trascorso molte ore passeggiando da soli nei boschi dove minacciosi cartelli ne segnalavano la presenza (che sia merito del repertorio canoro di mia moglie?). 8° giorno: tempo coperto ma almeno non piove. Fa freddo; indispensabile pile e giacca invernale (o giaccavento se freddolosi). Da Banff riprendiamo la Trans Canada Hwy1 direzione Lake Louise e ci dirigiamo verso il Morraine Lake, un delizioso laghetto circondato da montagne (in questo caso innevate) che si rispecchiano sulla superficie immobile del lago. Il colore dell’acqua, anche se sminuito dall’assenza del sole, è quasi indescrivibile. Percorriamo la bella passeggiata intorno al lago incontrando molti altri turisti. Nel pomeriggio ci dirigiamo verso lo Yoho National Park, un terzo parco adiacente a quello di Banff. Sulla strada ci fermiamo ad osservare le particolari gallerie della ferrovia (una sorta di 8 all’interno della montagna per ridurre la pendenza ed evitare il ribaltamento del treno). Ci dirigiamo verso le Takakkaw Falls, una suggestiva cascata di 254 m che sembra sgorgare direttamente della roccia. Visitiamo rapidamente il minuscolo paesino di Field (una quarantina di case al massimo), dove non mi meraviglierebbe che di notte gli orsi passeggino per le strade. Al ritorno ci fermiamo all’Emerald Lake, un altro laghetto dove tuttavia minacciosi cartelli sulla presenza di orsi bloccano la nostra intenzione di percorrere il suggestivo sentiero intorno al lago. Non sappiamo come interpretare i cartelli di attenzione agli orsi (che sono praticamente ovunque). Normalmente cerchiamo di non farci caso, ma stavolta un cartello posto in mezzo al sentiero con tanto di mappa evidenziava la presenza dei plantigradi proprio sulle sponde del laghetto. Sempre sulla strada del ritorno ci fermiamo al Natural Bridge, una cascata bellissima attraversata da un ponte naturale di roccia.
La sera a Banff ceniamo al Coyote, un buon ristorante Tex Mex.
La prima giornata nel parco nazionale è stata bella ma impegnativa per le molte ore trascorse al volante dal momento che ogni luogo che si va a visitare comporta una deviazione di 20-40 km (solo andata) dalla strada principale. Abbiamo perso nel parco di Yoho il Lake O’Hara, un rinomato laghetto d’alta quota che purtroppo si può raggiungere solo a piedi (13 km in salita) o con un apposito bus.
9° giorno: Finalmente un giorno di sole! Ne approfittiamo per fare una stupenda passeggiata di 5 ore con partenza dal Lake Louise, un laghetto dal colore pazzesco, parzialmente rovinato dalla presenza di un megaalbergo 5 stelle costruito ad una manciata di metri dalla riva (le speculazioni edilizie deturpanti non sono esclusive dell’Italia). Partendo proprio dalla mostruosità abbiamo proseguito salendo per il lago Mirror (un laghetto minuscolo in cui si specchia una montagna degna di un film western) e il lago Agnes (forse il più bello spettacolo delle Rockies con le montagne innevate che si specchiano sulla piatta superficie del lago). Da qui si prosegue in leggera discesa (a parte la rampa finale nel greto di un torrentello a causa delle recenti nevicate che, inaspettata, ti da il colpo di grazia) fino al Plain of 6 Glaciers, un punto panoramico da cui ammirare almeno 6 maestosi ghiacciai. Lì, tra i rumori delle masse di ghiaccio che lontane precipitano a valle, ci si sente veramente vicini all’estasi. Sia al lago Agnes che alla piana dei 6 ghiacciai ci sono dei rifugi dove è possibile rifocillarsi (notevole la torta al cioccolato). Naturalmente, visto il maltempo dei giorni scorsi, una parte della passeggiata si è svolta nella neve ma per fortuna eravamo equipaggiati con scarponi da trekking. Durante il percorso abbiamo visto delle bellissime capre di montagna con pelo bianco e lungo, nonché numerosi scoiattoli. Nel complesso una passeggiata lunga ma alla portata anche di persone non abituate a camminare (come noi) che ci ha consentito, grazie anche al sole, di assaporare a fondo la bellezza delle mitiche Rockies (non sapevamo ancora che sarebbe stata l’unica giornata di sole nelle Rockies). Nel tardo pomeriggio lunga seduta nell’hot tube dove cerchiamo invano di ritemprare le stanche membra. Cena alla mitica “Grizzly House”, situato sulla Banff Avenue in pieno centro e probabilmente il più famoso ristorante di Banff (prezzo 50 can dol a testa). Appena entrati sembra di entrare in una spelonca buia e con un forte odore di fritto/arrostito, ma poi si incominciano a intravedere decine di pentole per la fondue e/o piccole piastre di pietra per arrostire. Puoi scegliere tra molti tipi di carne (anche molto esotici come quella di serpente a sonagli) da cucinare secondo il proprio gusto accompagnate da svariate salsine. Io ho scelto un saporito mix di selvaggina comprendente cervo, bufalo (che credo corrisponda al bisonte) e non ricordo cos’altro. In definitiva un MUST per gli amanti della carne e della fondue.
10° giorno: Ci trasferiamo da Banff a Jasper percorrendo la maestosa Icefield Parkway (Hwy 93). Per percorrere i 2circa 260 Km impieghiamo un giorno intero. Si attraversano magnifiche valli percorse da fiumi impetuosi, circondati da alte montagne innevate. Innumerevoli sono le piazzole panoramiche, le soste per fotografare mufloni ed enormi cervi (nell’ultima parte del tragitto), le diramazioni per ammirare ora un laghetto verde-azzurro, ora una serie di spumeggianti cascate, infine persino un ghiacciaio con tanto di gatto delle nevi che si addentra per qualche centinaio di metri sul manto ghiacciato . Mettendo un certo ordine nei nostri ricordi abbiamo visto: 1) Peyto Lake, un laghetto dal colore incredibile che si ammira dall’alto dei 2000 metri del Bow Summit.
2) Waterflow Lake dove pare vivano moltissimi alci (peraltro non visti) 3) Athabasca Glacier, un ghiacciaio che fa parte della Columbia Icefield dove è possibile effettuare la famosa escursione con gatto delle nevi (snowcoach), che purtroppo abbiamo rimandato al viaggio di ritorno e, causa maltempo, mai effettuato.
4) Athabasca Falls, una serie di belle cascate che precipitano in una gola spettacolare.
5) Sunwapta Falls, dove uno spumeggiante torrente si riversa in uno stretto canyon.
Sicuramente immemorabili anche se senza nome resteranno i giochi di luce del sole che filtra tra le nuvole illuminando maestosi ghiacciai, le spettacolari e selvagge vallate percorse da fiumi impetuosi (quanto deve essere bello percorrere questi fiumi con il rafting), le apparizioni dapprima di mufloni e alle porte di Jasper di un branco di cervi (qui chiamati elk) grandi quasi come un cavallo. La strada costeggia spesso la ferrovia e la visione di un convoglio ferroviario lungo centinaia di metri con 2 locomotive in cima, una in mezzo e spesso una in coda è anch’essa uno spettacolo mai visto dalle nostre parti.
Nel tardo pomeriggio arriviamo a Jasper, piccolo paesino molto meno mondano e turistico di Banff, dove il bellissimo Jasper Information Center (500 Connaugh Dr) è purtroppo appena chiuso (chiude alle 18 in settembre). Ci mettiamo quindi a cercare una camera d’albergo, realizzando ben presto (l’infrastruttura alberghiera da queste parti non è molto sviluppata) che non c’è una doppia libera in tutto il paese (e dintorni). Proviamo le guest house e i bed and breakfast ma anche qui è tutto pieno. Ci pentiamo molto di non aver prenotato una camera direttamente da Banff, ma avevamo pensato di trovare anche a Jasper la profusione di alberghi caratteristica di Banff (dove penso sia quasi impossibile restare senza camera). Nel frattempo si è fatto buio e la città più vicina si trova ad un centinaio di Km (dormire in macchina con queste temperature è impensabile). Cominciamo ad innervosirci, quando il fatto di essere italiani si rivela un’imprevista fortuna. Veniamo infatti indirizzati presso una famiglia di emigranti italiani (trentini nella fattispecie), che pur avendo cessato l’attività di affittacamere, commossi dai nostri sguardi imploranti, fanno in modo di procurarci una stanza (costo 60 can dol a notte). Siamo al settimo cielo e per 3 giorni si parlerà anche italiano! Ceniamo presso la Pizza House, dove troviamo una pizza dignitosa (complice anche la fame e la felicità del momento).
11° giorno: ci rechiamo al Mount Edith Carvell, dove con una breve passeggiata si raggiunge l’Angel Glacier e il sottostante spettacolare laghetto semighiacciato pieno di iceberg in miniatura. Lo spettacolo è tale che per 2 ore, malgrado il cielo grigio e il freddo intenso, mia moglie non riesce a portarmi via. Sono affascinato da quel laghetto con le innumerevoli forme ghiacciate che creano veri capolavori di disegni e architetture di ghiaccio. Ogni tanto masse di ghiaccio frammisto a roccia si staccano con fragore dal maestoso ghiacciaio dell’angelo e da quelli circostanti. Guardando con attenzione il ghiacciaio si capisce il perchè del nome: vi si può infatti scorgere la schiena dell’angelo con le 2 ali dispiegate in un volo radente alla montagna. Una passeggiata sicuramente raccomandata a tutti quanti. Da quelle parti è possibile (con parecchia “fortuna”) vedere i caribou (credo siano simile alle renne) e i loro eterni nemici, i lupi. Nel pomeriggio percorriamo i circa 50 Km che separano Jasper dal Maligne Lake. La strada è già stupenda e famosa per i facili avvistamenti di animali (noi vediamo “solo” diversi enormi cervi e cerbiatti, ma lungo la strada sono stati più volte avvistati orsi e lupi). Restiamo particolarmente affascinati dal Medicine Lake dove scatterò alcune delle foto più belle della vacanza. Arrivati al Maligne Lake (così chiamato dai cacciatori per le sue pericolose correnti) scopriamo che ritratta di un lago largo 1 km e lungo 20 km, che non esiste un sentiero che permetta almeno in parte di costeggiarlo, e che l’unico modo di esplorarlo è quello di partecipare ad una costosa escursione in barca (o in caso di bel tempo noleggiare un kayak). Nei dintorni del lago si snodano comunque numerosissimi sentieri per passeggiate della durata di un’ora come di diversi giorni (fondamentali sono le informazioni sugli avvistamenti di orsi e la mappa “summer trails” in distribuzione gratuita presso il Jasper Information Center). Al ritorno vediamo un ingorgo in autostrada provocato da un enorme cervo maschio che accovacciato sul greto del fiume, emette potenti richiami verosimilmente diretti alle sue femmine. La commistione di autostrade e ferrovie con la natura selvaggia non è naturalmente senza conseguenze. Dai nostri padroni di casa trentini veniamo a sapere del recente schianto mortale di 8 cervi inseguiti dai lupi con un enorme autoarticolato. Il seguito è la classica ciliegina sulla torta: altri 2 cervi vennero uccisi dalla macchina della polizia che sopraggiungeva a tutta velocità dopo l’incidente. La sera mangiamo al Fiddle River Seafood Co (che passa per il migliore ristorante di Jasper) venendo pelati (circa 50 can dol a testa) per mangiare nel complesso maluccio. Jasper è il posto ideale per immergersi completamente nella natura abbandonando completamente ogni velleità mondana.
12° giorno: La mattina dopo una buona colazione al “Bear’s Paw Bakery” (4 Cedar Ave) con il solito cielo bigio e minaccioso di pioggia ripercorriamo l’affascinante strada che conduce al Maligne Lake. Vorremmo fermarci al Maligne Canyon, una gola ricca di cascate, sorgenti e pozze cristalline, ma la vista di numerosi pulman ci induce a rimandare l’escursione che in seguito non faremo mai (della serie ogni lasciata è persa). Solita sosta al Medicine Lake con i suoi scorci magici (soprattutto l’estremità con il canneto e il delta del fiume). Arrivati al Maligne Lake, abbastanza tesi dalla notizia di recenti avvistamenti di grizzly sui sentieri che dal lago si dipanano (ci spiegano che è la stagione delle bacche e che gli orsi ne fanno abbondanti scorpacciate in vista del vicino letargo), decidiamo comunque di passeggiare fino al Moose Lake (circa 1 ora). La passeggiata e il laghetto sono belli, ma durante il percorso incontriamo solo altre 4 persone e diversi sono stati i momenti di paura. Li vinciamo facendo più rumore possibile (io col fischietto, mia moglie cantando) per avvertire gli eventuali orsi del nostro arrivo, come consigliatoci al Jasper Information Center. Verso mezzogiorno partecipiamo ad un escursione in barca sul Maligne Lake dirigendoci alla famosa Spirit Island. L’escursione (costata la bellezza di 35 can dol a testa) ci delude parecchio, sia per il maltempo (non piove ma fa un freddo …), sia per il taglio da vera escursione turistica doc, sia per l’ambiente geriatrico. Al ritorno abbiamo la sorpresa di vedere 2 alci (qui chiamati moose), madre e figlia, che pascolano placidamente a 2 passi dall’immenso parcheggio del Maligne Lake. L’alce si differenzia molto dagli enormi cervi visti finora, soprattutto per il muso abbastanza simile a quello di un asino. Purtroppo non abbiamo la fortuna di vedere un esemplare maschio che, con le sue particolari corna, deve essere un vero spettacolo. Decidiamo di fare un’altra corta passeggiata ma dopo poche centinaia di metri siamo costretti a rinunciare a causa della grandine! Al ritorno ci dirigiamo a fotografare il bel tramonto (mai visto un tempo pazzo come quello canadese) al Patricia Lake, un piccolo laghetto proprio sopra il centro abitato di Jasper. Lì oltre a fare delle belle fotografie riusciamo per pochi istanti a vedere un branco di una trentina di cervi che attraversano di corsa la strada e spariscono nel bosco. Cena al Miss Italia, un “ristorante italiano” gestito da greci dove tuttavia mangiamo discretamente (comunque Jasper si conferma tanto un paradiso della natura quanto un purgatorio per eventuali buongustai).
13° giorno: Cielo ancora coperto e foriero di pioggia (che arriverà nella mattinata). Salutiamo con affetto la famiglia italiana che ci ha salvato 3 giorni fa e con cui abbiamo trascorso dei bei momenti la sera dopo cena sorseggiando un bicchiere di limoncello gelosamente custodito per le grandi occasioni. Innumerevoli sono stati i racconti sulla natura, sulla pesca nei laghetti, sulle ferrovie e i tanti utili consigli sulle escursioni in zona. Tra tutti ricordo il racconto di un branco di lupi che l’estate scorsa è riuscito a spingere un enorme cervo nella zona paludosa del Medicine Lake, dove il povero ungulato è semiaffondato nelle sabbie mobili finendo facile preda dei famelici lupi. Oppure i racconti di pesca al salmone sui fiumi a valle delle Montagne Rocciose, dove il pesce più grosso veniva pescato dalle zampe del grizzly che pescava poco più a valle dei pescatori. Ripercorriamo a ritroso la Icefield Parkway che anche con il brutto tempo regala comunque scorci fantastici. Da ricordare che, lasciata Jasper, per circa 150 Km non si incontrano più distributori di benzina. Arriviamo a Calgary dopo 8 ore e mezzo (fermandoci a mangiare a Banff e innumerevoli volte per scattare fotografie). A Calgary riconsegniamo senza problemi l’auto all’aeroporto e ci imbarchiamo sul volo per Vancouver delle 19.30 Giunti in aeroporto ci rechiamo al locale ufficio del turismo dove è possibile prenotare direttamente l’hotel. Prenotiamo per le ultime 2 notti al Rosedale on Robson (838 Hamilton St. Www.Rosedaleonrobson.Com ) al prezzo di 185 can dol a notte (+ le immancabili tasse). E’ un grattacielo in posizione centrale composto da appartamenti, ma con la struttura di un hotel. Nel nostro appartamento abbiamo la cucina, un salottino e una camera spaziosa; purtroppo essendo solo al 2° piano non abbiamo la vista che sicuramente si ha ai piani alti. Usciamo a caccia di un buon ristorante (sono ormai le 22.30) e ne troviamo uno ottimo nella zona di Yaletown. Al Blue Water (1095 Hamilton St) facciamo una memorabile mangiata di pesce (ostriche, trancio di tonno e un delizioso dessert al cioccolato) spendendo 70 can dol a testa (viene citato come uno dei migliori ristoranti di pesce di Vancouver e l’ambiente è a dir poco raffinato).
14° giorno: Visto il tempo (nuvoloso con pioggerellina) decidiamo di visitare la Vancouver Art Gallery (750 Hornby St). In quei giorni c’è una mostra temporanea dedicata allo scultore Roden che apprezziamo molto. Ci dedichiamo poi alle opere di Emily Carr, una famosa pittrice locale che ha ben rappresentato la selvaggia natura canadese. All’uscita piove ancora e ci rifugiamo in un enorme centro commerciale. Dopo un paio d’ore ci dirigiamo verso Granville Island. Mangiamo al Granville Island Public Market (che resta uno dei punti impedibili di Vancouver) e poi girovaghiamo per i numerosi negozi attorno al mercato. Sono negozi molto particolari ma con un neo comune: sono parecchio cari. Riprendiamo l’Aquabus che ci deposita alla fine di Burrard St. Passeggiamo sul lungomare lungo la Seawall Promenade e incredibilmente il tempo vira al bello concedendoci un tramonto mozzafiato. La spiaggia (Sunset beach Park) è piena di gente venuta a godersi il rosso tramonto o a fare jogging. E’ bellissimo vedere il sole che in pochi minuti sparisce come inghiottito dal mare. Monto il cavalletto e scatto un rullino di foto che risulteranno quasi surreali per il cielo rosso fuoco (sembra che abbia usato un filtro). Per cena torniamo al nostro ristorante preferito, il Rodney Oyster’s House con la sua atmosfera elettrizzante, e ci abbuffiamo di ostriche, cozze, gamberi, pasta con le cappesante (quest’ultima ottimamente cucinata).
15° giorno: La mattina ci dedichiamo a fare le valigie e a cercare qualche regalino sulla Robson St (il cuore turistico di Vancouver). Nel primo pomeriggio decidiamo di ritornare allo stupendo Stanley Park. Visitiamo l’acquario che risulta tuttavia molto deludente dopo aver ammirato un signor acquario come quello di Genova (se l’avete già visto vi consiglio di risparmiarvi i 15 can dol dell’ingresso). Unica particolarità sono le balene beluga, dalle dimensioni di un enorme delfino e dal caratteristico colore bianco. Purtroppo sono ammaestrate come animali da circo ed è penoso vederle esibirsi in esercizi tanto stupidi. Ci rifacciamo passeggiando per il parco tra innumerevoli scoiattoli, aiuole fiorite, e financo una mostra di quadri lungo uno dei molti viali. Il tempo è bello e si sta benissimo. Per tornare all’hotel per la prima volta prendiamo un autobus. Ci informiamo da alcune persone che aspettano ad una fermata e il tutto risulta più semplice del previsto (il biglietto del costo di 2.5 can dol si fa direttamente a bordo dell’autobus). Alle 17 prendiamo un taxi per l’aeroporto dal momento che alle 20.35 parte il nostro volo di ritorno. Volo tranquillo con il solito scalo di corsa a Londra e arrivo a Milano alle 17.45 del giorno dopo.
Note generali – Purtroppo l’inglese parlato dai canadesi risulta alquanto ostico per chi non ha una buona conoscenza della lingua inglese (oserei dire per chi non ha trascorso qualche mese in un paese madrelingua). Abbiamo trovato relativamente utile un dizionario elettronico della Zanichelli (grande quanto un palmare) che abbiamo acquistato in Italia per circa 100 euro. – L’onnipresente limite dei 90-100 km/h. Dopo i primi giorni in cui ho odiato questi limiti così rigidi, ora sto perlomeno capendone l’utilità: durante i circa 2000 km da noi percorsi in Canada, non ho mai visto un solo incidente (non credo sia un caso). Verosimilmente i limiti severi, uniti ad un’educazione “svizzera” nella guida e a frequenti rilevatori di velocità, contribuiscono a salvare qualche migliaio di vite umane all’anno. Chissà se un giorno in Italia … – Per quanto riguarda le telefonate a casa, i nostri cellulari (entrambi vodafone) erano inservibili e credo che la cosa si estenda a tutti i cellulari italiani. Abbiamo quindi acquistato per 20 can dol una carta prepagata (Prepaid Long Distance Card della Telus) che ti permette più di 1 ora di telefonate con l’Italia e che si può utilizzare da qualunque telefono pubblico (dal momento che abbiamo avanzato più di 30 minuti di telefonate, sarebbe stata sufficiente una card da 10 can dol).
– Per eventuali acquisti del valore di almeno 50 can dol effettuati in Canada, a condizione che il totale superi i 200 can dol, vi verrà restituita una tassa variabile dal 7 al 15% (Tax Refund). Nel nostro caso abbiamo ricevuto un refund di 200 can dol (arrivati con assegno per posta circa un mese dopo il ritorno). Il meccanismo non è dei più semplici: 1) Vale per gli acquisti e anche per i pernottamenti effettuati in Canada, mentre non vale per escursioni o ristoranti. E’indispensabile conservare le ricevute e gli scontrini che provino la vostra spesa.
2) Appena arrivati all’aeroporto o negli uffici del turismo procuratevi l’opuscolo bianco e rosso intitolato “Tax Refund for visitors to Canada”.
3) Quando state per lasciare il Canada, cercate all’aeroporto l’ufficio del Tax Refund (mettete in conto una mezz’oretta).
4) Nel suddetto ufficio vi verranno timbrate le ricevute delle vostre spese. Senza il timbro non valgono nulla. Conservate le ricevute timbrate 5) Una volta a casa, entro 60 giorni dagli acquisti, dovrete compilare un modulo allegato all’opuscolo “Tax Refund for visitors to Canada” o comunque reperibile in aeroporto, allegare le ricevute timbrate e rispedire il tutto all’indirizzo segnalato.
Un po’complicato, ma vi assicuro che funziona.
Concludendo non possiamo che consigliare il Canada a tutti gli amanti dei viaggi. Unica possibile eccezione coloro che concepiscono la vacanza unicamente come sole, palme e villaggio tutto compreso. Gli altri troveranno una natura strepitosa, delle città veramente moderne ed efficienti (non belle come le nostre ma estremamente a misura d’uomo e vivibili), della gente cordiale, una rete stradale perfetta. Con il senno di poi probabilmente sarebbe stato meglio visitare il Canada non in settembre, ma in luglio od agosto, confidando in un maggior numero di belle giornate (e forse in qualche bagno nel mare di Tofino).