Canada orientale, fino alle nebbie di Terranova

Tra Ontario, Quebec e Newfoundland, viaggio "on the road" verso l’ultimo avamposto vichingo
Scritto da: ludiaman
canada orientale, fino alle nebbie di terranova
Partenza il: 11/07/2019
Ritorno il: 02/08/2019
Viaggiatori: 4
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1. Oggi è un giorno perfetto per volare

Il sole splende su Malpensa, l’asfalto della pista surriscaldato in questo luglio milanese, il nostro Boeing 787 AirCanada pronto coi motori accesi. Finalmente, si parte…

Il pilota annuncia che questo sarà il suo ultimo volo prima della pensione; fra poco, girerà tra i passeggeri un blocco di carta su cui scrivere una firma o un messaggio di auguri. Chissà cosa si deve provare a sapere che, una volta che questo gigante avrà messo le ruote a terra, non ci sarà più occasione di portarlo al di là di un Oceano… In ogni caso, a noi pare di buon auspicio: iniziamo un’esperienza nuova, vediamo per la prima volta un nuovo mondo, portati là proprio da un capitano che sta per voltare pagina. Nel loro piccolo: una fine e un inizio…

Come canta De Gregori: oggi è un giorno perfetto per volare.

…per staccare l’ombra da questo cortile.

La signora dei passaporti

ha messo un timbro speciale.

Oggi è un giorno perfetto per volare

oggi è un giorno perfetto per non morire.

Il tempo scivola sull’orizzonte,

comincia il mare

comincia la terra,

comincia il mare

ricomincia la terra.

Oggi è un giorno perfetto per volare

oggi penso che il futuro sia un dovere.

Il ministero della speranza

ha detto che si può sperare.

Oggi è un giorno perfetto per volare

oggi è un giorno che c’è tutto da capire.

E il tempo scivola su Gibilterra

comincia la terra e ricomincia il mare.

E il tempo scivola su Gibilterra

Comincia la terra e ricomincia il mare…

Come dirlo meglio?

E intanto siamo a Toronto.

Pomeriggio per i canadesi, tarda sera per noi. Fortunatamente abbiamo scelto un albergo vicino all’aeroporto, con tanto di navetta gratuita: siamo stanchissimi! Entriamo subito in contatto con le abitudini canadesi, o meglio nordamericane: aria condizionata sparata al massimo; distributori di ghiaccio ad ogni piano; camere con due grandi letti matrimoniali (perfette per noi quattro) e un immancabile bollitore per il caffè; una cena a buffet gentilmente offerta dall’albergo, piena di piatti americanissimi e di dubbio gusto, come pasta con la maionese e piccoli wurstel in salsa dolciastra, ad orari che per noi sarebbero al massimo da aperitivo (si chiude alle 19)… ma per oggi ci va benissimo così. Un tuffo in piscina e poi a letto: domani, si esplora Toronto!

2. Fusi orari

Il fuso si fa sentire, e ne approfittiamo: sveglia presto, colazione abbondante a buffet, approfittando della macchinetta per farsi i waffle, e poi riprendiamo la navetta gratuita per l’aeroporto. Da lì, un comodo treno ci porta in città, e dalla Union Station bastano pochi passi per arrivare sotto la torre della televisione (CN Tower), il più iconico monumento della città.

Saliamo per goderci il panorama di Toronto e del lago Ontario: a quest’ora non c’è ressa e ci soffermiamo ad ogni angolo della vetrata, ammirando grattacieli, auto in coda piccole come formiche, parchi e specchi d’acqua. Poi scendiamo, e iniziamo a girovagare in direzione del St. Lawrence Market, sempre col naso all’insù. Tra la fame, il fuso orario, qualche problema col Bancomat, e le bimbe che preferirebbero la piscina dell’hotel alla camminate sui marciapiedi, non combiniamo molto e ci concediamo una pausa pranzo al mercato, per assaggiare i famosi peameal bacon… (panini con carne di maiale in salamoia).

Poi ripartiamo alla volta di quello che si potrebbe chiamare il centro (se fossimo in Europa): la piazza della City Hall. La città non è molto a misura di pedone, soprattutto se fa caldo e il pedone è stanco e subisce il fuso. Ci fermiamo a vedere qualche oggetto di arte nativa nella hall di uno dei grattacieli del centro (TD Gallery of Inuit art, niente di eccezionale ma era sul percorso); scendiamo e saliamo per alcuni corridoi della città sotterranea, così utili a quanto pare durante i freddi mesi invernali, quando passeggiare in superficie diventa difficoltoso; infine arriviamo a vedere la vecchia e la nuova City Hall.

Ci dirigiamo poi verso Chinatown, attraversando un quartiere che più americano di così non si potrebbe, tra villette con giardino e piccole chiese evangeliche con esposti gli avvisi del giorno su cartelloni luminosi. Ci perdiamo poi perderci tra decine di insegne in cinese, ristoranti, negozietti che vengono di tutto e vetrine tappezzate di immagini di agupuntura o medicina tradizionale. Saliamo e scendiamo da qualche tram (molto comoda la Presto Card, ricaricabile); facciamop pausa in un pub; arriviamo infine in una via che meriterebbe un giro all’ora di cena: Spadina Avenue, piena di gente, locali, ristoranti di ogni Paese del mondo, un grazioso parco con giochi d’acqua, murales… Si respira la multietnicità di questa città. Ma noi siamo troppo stanchi: torniamo al treno, mangiamo qualcosa al volo in un 7eleven dell’aeroporto, facciamo un tuffo in piscina, e il giro finisce qua. Il resto della città ce lo godremo al ritorno.

L’indomani infatti siamo di nuovo in aeroporto: prendiamo il nostro volo per St. John’s, Newfoundland (cioè Terranova), e cambiamo di nuovo mondo. Cambia anche il fuso orario: a certificare la stranezza del posto, ci sfasiamo di un’ora e mezza rispetto a Toronto. Arriviamo più o meno alla stessa latitudine di Zurigo, o della Borgogna, ma il paesaggio e il clima sono quelli della Scozia, forse anche dell’Islanda. A giudicare dai cartelli stradali per motoslitte, che troveremo in giro per l’isola, o dagli iceberg vaganti che abbiamo intravisto dall’aereo, d’inverno deve esserci un clima ben più rigido.

3. Prime impressioni

Bene, è ora di ritirare la nostra prima macchina: una fantastica ibrida, con cambio automatico, piena di automatismi fantascientifici. La fortuna di quando le macchine della categoria prenotata sono finite e rimangono solo quelle superiori! Poi ci dirigiamo a un albergo che rimarrà nelle memorie di famiglia: il Super8 di St. John’s.

Che cos’ha di particolare? Innanzitutto, una piscina con scivolo a due piani tipo parco acquatico, e idromassaggio a lato. Poi la macchinetta per farsi i pancake al mattino. Poi le camere grandi. E i costi modici. Infatti per il resto non c’è molto, la colazione è di qualità bassissima, e la frequentazione è tutta di famiglie che viaggiano a basso budget. Tutto molto americano!

La prima cosa che ci colpisce delle frequentazioni locali è… l’obesità media della gente. Noi non siamo dei fanatici del fitness, e poi lo sappiamo bene che in America la dieta media è diversa… Ma a Toronto non avevamo visto una frequenza tale di persone sovrappeso, e non la vedremo nemmeno in Quebec. Qua invece sono la maggioranza assoluta!

In effetti ci spieghiamo presto il motivo: a Terranova, se si escludono i ristoranti di più alto livello di St. John’s, qualsiasi ristorante è di fatto una friggitoria, o una griglieria, o a massimo un pub: cibo anche molto buono, ma mai leggero. E poi, se si escludono i rari supermercati presenti nei centri più grandi, qualsiasi minimarket dell’isola è un posto pieno di junk food e surgelati, dove lo striminzito banco delle verdure contiene solo patate, cipolle, quattro cetrioli appassiti (letteralmente!) e un mazzetto di carote mollicce.

Detto questo, per il nostro primo pomeriggio e serata sull’isola esploriamo un paio di località che ci sono subito piaciuti molto: cominciamo con una passeggiata sul vicino promontorio di Battery Park, passando sotto la Cabot Tower, e godendoci la vista sulla scogliera, il cielo sereno e il vento dell’Oceano. Il tempo oggi è splendido. Poi un giro a Quidi Vidi, grazioso e minuscolo villaggio di casette in legno e palafitte affacciate su un fiordo.

È molto vicino alla città ed è famoso anche per l’omonimo birrificio, dove si può entrare, salire nel luminoso salone vista fiordo, e ordinare una degustazione delle ottime birre prodotte sul posto. Alcune sono fatte con l’acqua di scioglimento degli iceberg. La vista, l’atmosfera, e anche le birre meritano una visita (tant’è che ci torneremo). Poi puntiamo sulla città e ceniamo con un buon piazzo di cozze e il nostro primo merluzzo di Terranova, da Mussels on the corner.

4. Tra le nebbie di Terranova

Primo giorno sull’isola: ci svegliamo con nebbia e pioggerella. Poco male, per oggi volevamo esplorare i paraggi, un po’ a caso. Scopriremo poi che questo clima è tipico della parte est di Terranova, mentre a ovest non lo ritroveremo più.

Come avevamo già notato a Toronto, fervono i preparativi per la giornata del pride, che da queste parti si tiene proprio oggi. Bandiere arcobaleno ovunque, anche sui cancelli della cattedrale e sull’ufficio dello sceriffo; persone travestite come a carnevale; aria di festa per tutti, insomma.

Non piove più, e ci rechiamo al faro di Cape Spear, non molto distante dalla città, ma non prima di esserci riforniti di panini, croissant e pasticcio di baccalà alla Rocket Bakery di St. John’s. Al faro, l’atmosfera è suggestiva, nebbia bassa e aria di mare, ma non si vede proprio nulla. Si sente solo, a cadenza regolare, la potente sirena antinebbia del faro; accompagnati da questo suono, facciamo un veloce picnic rifugiati in macchina.

Il paesaggio sulla costa orientale di Terranova è molto “irlandese”: prati verdi, vegetazione bassa, scogliere, brughiere, fiori, e tempo mutevole. Tant’è che uno degli itinireari stradali percorribili dai turisti in questa zona si chiama “Irish Loop”.

Sulla via del ritorno facciamo due passi nel simpatico CA Pippy Park, il parco cittadino, che in realtà è già fuori città e presenta una vasta superficie di sentieri, boschi e acqua. Dopo qualche spesa, si è fatta ora di cena: girovaghiamo per le vie più animate di St. John’s godendoci l’atmosfera serale, e un po’ di musica dal vivo, e ci infiliamo infine da Bridie Molloy’s, un pub dall’atmosfera celtica (per restare in tema), dove proviamo finalmente le famose guance di merluzzo fritte: una delizia.

L’indomani le nubi ci sono ancora, ma si sono alzate di qualche metro. Non un granché, ma sufficiente per dirigerci verso Witless Bay e tentare un tour in barca alla ricerca di balene. Le balene le troviamo, e anche i pulcinella di mare, insieme a tanti altri uccelli marini, intorno ad un’affascinante isoletta disabitata e avvolta dalle nebbie… ma il mal di mare colpisce quasi tutti, e ci pentiamo di non aver acquistato qualche pastiglia preventiva.

Torniamo al nostro albergo e ci prepariamo per il viaggio: domani inizieremo ad attraversare l’isola!

Nota bene: occorre fare attenzione e pianificare un po’, perché quella che sulla carta può sembrare una piccola distanza, magari perché intervallata da pochissimi centri abitati (e quanto mai saranno distanti due centri abitati?), può rivelarsi tranquillamente un percorso di 900/1.000 km… Abbiamo prenotato quindi una prima tappa un po’ a caso, per telefono. A quanto ci dicono, siamo in alta stagione: cioè, invece di 1,26 abitanti per chilometro quadrato forse ce ne saranno 1,27… Ma sta di fatto che le strutture ricettive è meglio prenotarle, anche per non doversi ritrovare all’ultimo a percorre qualche centinaio di chilometri in più.

5. Sulla Trans-Canada Highway

Il viaggio comincia tranquillo sulla Trans-Canada highway, praticamente la Route 66 canadese, che inizia qui e termina a Vancouver. La strada è ottima, comoda e con poche curve. Facciamo pausa in un distributore che sembra uscito da un film “on the road”: un grande sterrato, due pompe di benzina, un paio di pick-up parcheggiati, un piccolo shop che vende un po’ di tutto, dai copertoni ai nugget di pollo, e probabilmente è l’unico negozio di tutto il circondario. Ripartiamo.

Il paesaggio in questa parte dell’isola diventa più simile a ciò che tutti abbiamo in mente dal Canada: boschi e laghi. Nel tardo pomeriggio siamo finalmente a Springdale, dove ci attende una magnifica sorpresa. La tappa meno programmata di tutto il viaggio, quella prenotata a caso per telefono e da cui non ci aspettavamo nulla, si rivela forse la più bella di tutta la vacanza. Doreen ci accoglie con simpatia nel suo B&B Indian river brook, dove ha ritagliato uno spazio per noi aggiungendo un lettino in terra nell’unica stanza rimasta libera. La casa è in mezzo al bosco, circondata di fiori e buffe decorazioni in legno, accogliente come un B&B irlandese, visitata da coniglietti e altri animali (oltre alle immancabili zanzare, quando scende la sera…). Doreen ci suggerisce di andare per cena a King’s Point, piccolo centro che si affaccia su un fiordo dove forse – ci dice – vedremo iceberg, balene e alci. Ci prenota la cena per telefono, perché arriveremo un po’ tardi (le 19 e 30!) e rischiamo di trovare la cucina chiusa. Il tragitto è in mezzo ai boschi, su strade quasi deserte e a tratti sterrate, e la destinazione è tranquilla e silenziosa: il paesaggio idilliaco, la cena di pesce al ristorante By the sea (per lo più fritto, tanto per cambiare) è ottima, con vista sulla baia. Balene non ne vediamo, ma iceberg sì: azzurri, placidi e affascinanti.

Dopo cena passeggiamo lungo il fiordo: non c’è quasi nessuno, la quiete è perfetta, si sente solo lo sciabordio dell’acqua, finché veniamo fermati da due signori un po’ brilli su un pick-up, che accostano e cominciano ad attaccare bottone. Ci chiedono curiosi da dove veniamo: un turista italiano da queste parti è raro. Anzi, a loro dire in questo paese è raro un visitatore, a prescindere dalla provenienza: pare che la zona si stia aprendo solo adesso al turismo, tant’è che la nostra guida non menziona nemmeno questa parte dell’isola. E in ogni caso, ce lo confermeranno in molti, i turisti a Terranova sono per lo più canadesi o statunitensi che, come le due coppie di pensionati che condividono il B&B con noi (due canadesi dell’Ontario e due californiani), visitano l’isola per la loro prima volta, tendenzialmente solo dopo aver visitato tutte le altre destinazioni più famose in giro per il Nord America.

Ma tant’è, noi siamo qui e ce la godiamo.

E sulla via del ritorno, avviene l’incontro insperato: un giovane alce passeggia a bordo strada. Ci fermiamo, lo guardiamo, lo fotografiamo, finché lui attraversa e scompare nei boschi. Per essere una giornata di spostamenti, è stata davvero una giornata speciale!

6. Verso il golfo di San Lorenzo

E la giornata successiva inizia altrettanto bene: Doreen ci prepara i suoi tipici pancake, con mirtilli, panna, una salsina speciale ai frutti di bosco, e anche due fette di bacon che, a dispetto della prima impressione, si accompagnano molto bene. Prima di iniziare la colazione, assistiamo a qualcosa che avevamo visto solo nei film: uno degli ospiti prende l’iniziativa, chiede di tenerci per mano, e recita una preghiera prima di mangiare. Dopodiché, Doreen intrattiene gli ospiti con qualche racconto della sua famiglia, e con un concertino di canzoni del Newfoundland accompagnate dal ritmo del tipico Ugly stick. Il “bastone brutto” è per l’appunto un bastone, ma è tutt’altro che brutto: agghindato di campanelli, ciondoli, sonagli, nonché un cappellino in “testa” e una scarpa al “piede”, questo strano sonaglio viene suonato sfregandovi contro un altro bastoncino seghettato o battendolo ritmicamente a terra, con un effetto simpatico che fa sorridere grandi e piccini.

Dopo qualche consiglio di viaggio e gli ultimi ringraziamenti, Doreen quasi si commuove salutandoci: i suoi nipotini vivono in California, e qua di bambini ne passano pochi. Ci tocca partire: saremmo rimasti volentieri di più, ma ci attendono ancora molti chilometri.

La tappa di oggi è meno lunga, ma vorremmo pranzare alla Table Mountains, nel Gros Morn National Park. Picnic come al solito: pane a fette, salume di dubbia qualità, formaggio insipido e cetrioli.

La conformazione di queste montagne è particolare, il nome le descrive molto bene, ma non ci commuove più di tanto e ripartiamo. Sotto il sole del primo pomeriggio, senza un albero a ripararci, fa quasi caldo.

Nel tardo pomeriggio arriviamo a Rocky Harbour, dove ci attende la nostra gradevolissima nuova sistemazione: un bungalow in legno, in mezzo ad altri dai colori vivaci, con un prato tutto per noi sul davanti e vista mare. Un’aquila di mare passa sopra le nostre teste dandoci il benvenuto nel golfo di San Lorenzo.

Rocky Harbour è uno di quei tanti villaggi che viene voglia di visitare anche solo per il nome. Ma in effetti, oltre al nome c’è ben poco: case sparse, uno spaccio e poco più. Per noi europei l’idea di non riuscire nemmeno a identificare un “centro” è un po’ spaesante. Da qui in avanti, procedendo verso nord sul cosiddetto Viking trail, troveremo solo posti così: quando non si vede gente in giro, e magari il cielo si fa plumbeo, la malinconia è in agguato dietro l’angolo; ma quando splende il sole e i bambini giocano per strada, si ritrova la dimensione vivibile di questi paesi.

La tappa successiva è una bellissima passeggiata tra le brughiere del Gros Morne National Park, ma più a nord, con destinazione Western Brook Pond Trail. Camminando tra laghetti, arbusti e piccoli gigli blu, arriviamo al lago, evidentemente un ex fiordo ormai separato dal mare, che si potrebbe visitare con un’interessante ma troppo costosa visita in battello. Decidiamo di lasciar perdere il battello e pranziamo nel locale che sorge sulla riva, poi torniamo indietro con calma. Incredibilmente le bimbe, che quando ci sono stati da percorrere cento metri in città hanno fatto parecchie storie, qua nella natura reggono bene e completiamo i nostri 3 km di ritorno senza problemi. Sulla macchina troviamo un volantino, con un invito che vorremmo tanto accettare: la vicina parrocchia organizza per stasera una serata di beneficenza, con cena tipica a base di alce. Purtroppo però noi abbiamo la nostra prenotazione a St. Barbe, più a nord, e ci tocca ripartire. Nel frattempo comincia a piovere.

7. Sulla via dei Vichinghi

St. Barbe è una sistemazione comoda, e dormiremo qui tre notti (Dockside Motel & Cabins): da questo piccolo porto partono i traghetti che attraversano lo stretto di Belle Isle e portano in Labrador, mentre proseguendo via terra si può raggiungere in poco tempo anche il sito di L’Anse aux Meadows, la nostra meta più settentrionale.

Nei dintorni sorgono alcuni piccoli villaggi lungo la costa, tra i quali ci colpisce Anchor Point, non per il paese in sé ma per le balene che soffiano al largo e i piccoli iceberg bianchi che navigano nel mare azzurro brillante (col sole), o grigio ferro (con le nuvole).

E così, finalmente, domani incontreremo di nuovo i Vichinghi.

Dopo l’Islanda e le isole Faroe, arriviamo in uno dei punti più lontani delle loro esplorazioni. Siamo più a sud, siamo più lontani, ma i paesaggi sono questi: lande desolate, verdi e piovose, battute dal vento atlantico e frequentate dagli uccelli di mare… Chissà come doveva essere approdare qui otto secoli fa, trascorrervi gli inverni in case di torba dalle pareti spesse, riscaldati solo dal grande fuoco centrale… Prima di Caboto, prima di Colombo…

I resti archeologici a L’Anse aux Meadows sono pochi, ma il museo è ben organizzato, la riproduzione delle antiche abitazioni ben fatta, e l’atmosfera è suggestiva. È valsa la pena di attraversare tutta l’isola per arrivare fin qui!

Per concludere in bellezza, uno dei nostri migliori pranzi (o forse è meglio dire cena, visto che erano circa le quattro del pomeriggio?). Qualche chilometro più indietro rispetto al sito archeologico sorge il Northern delight: astice col burro, servito con un grande grembiule di plastica per non sporcarsi; guance di merluzzo; Fish’n’brewis (pasticcio di pane, cipolle e merluzzo, condito con ciccioli di maiale…); dolci a base di bakeapple (frutti di bosco che sembrano lamponi arancioni, tipici di questi ambienti). Personale gentilissimo, costi modici, cucina ottima.

Tornati a St. Barbe decidiamo che l’indomani ci concederemo un picnic riposante, in riva a uno dei tanti laghi dell’interno, senza passare troppo tempo in macchina per una volta. Certo, ci piacerebbe attraversare il golfo e fare una scappata in Labrador. Arriva sempre, in ogni viaggio, il momento in cui devi decidere: potresti andare oltre, vorresti andare oltre, spingerti fino al limite in cui la strada finisce e il ritorno è obbligato. Ma non puoi, devi scegliere, devi goderti quel che stai visitando… e così, anche questa volta, il punto è raggiunto. Occorre tornare indietro, ma tante nuove destinazioni ci aspettano ancora, e non c’è nulla da rimpiangere.

8. Il respiro delle balene

Riattraversiamo l’isola per tornare a St. John’s, ma qualche tappa e deviazione lungo il percorso per i prossimi giorni la prevediamo.

La prima giornata di rientro, da St. Barbe a Glenwood, 650 km circa, scorre sulla monotonia della highway, facilitata dai modernissimi automatismi della nostra auto. Qualche tappa (Arches Provincial Park, Rocky Harbour, un supermercato “vero” nei dintorni di Deer Lake)… giusto in tempo per farci assalire da alcuni insetti che, non notati sul momento, ci hanno lasciato sul viso e sul collo una serie di punti rossi sanguinanti. Scopriremo in seguito, grazie un guardiaparco, che si tratta delle black flies, moschini più o meno innocui che però lasciano dei ricordi ben visibili.

A Glenwood dormiamo in un posto un po’ squallido ma, tanto per cambiare, tipicamente americano: un paesino privo di qualsiasi attività commerciale, probabilmente meta turistica per pescatori ma privo di qualsiasi altra attrazione, a poca distanza dalla Trans Canada Highway. Siamo in un bungalow spazioso ma grigio, fuori piove, e la signora alla reception si scusa perché arriva in macchina apposta per noi e deve ripartire subito: ha lasciato il bambino in macchina e ha due lavori, in due posti diversi. Non dev’essere una vita facile. L’acqua, come in molte altre zone del Newfoundland, esce giallognola dai rubinetti, ma mentre altrove ci garantivano che fosse comunque potabile, qua pare di no.

Il posto comunque si rivela molto comodo per l’indomani, quando con poca strada raggiungiamo il Terra Nova National Park, dove facciamo una bella passeggiata nel bosco e lungo alcune passerelle a bordo lago. Vediamo una grande tana di castori, ma purtroppo dei proprietari non scorgiamo altra traccia.

Dopo pranzo ripartiamo alla volta di una meta che si rivelerà particolarmente affascinante: la penisola di Bonavista. Pare che Caboto sia sbarcato qua, la prima volta, esclamando appunto “bona vista!”… Noi dormiamo in un bungalow meraviglioso, con vista mare (Oceanview Cabins).

La baia è tranquilla, e all’improvviso vediamo sei o sette balene che soffiano nell’acqua. Sembra di nuotare accanto a loro: sono così vicine alla riva che possiamo sentire il rumore dei loro respiri, osservarle bene col binocolo e fotografarle a piacimento, per parecchio tempo, prima che si allontanino oltre un promontorio nella luce del tramonto. Dopo cena, dato che il ristorante adiacente era “alcol free”, ci beviamo una birra sul terrazzo, godendoci questo angolo di quiete. Si vedono ancora alcuni spruzzi in lontananza.

Ma la fauna atlantica avvistabile qua non si limita ai cetacei: verso il promontorio è possibile anche visitare una colonia di pulcinella di mare, che vive indisturbata su uno scoglio non raggiungibile dalla terra ferma, ma molto vicino al sentiero da cui i (pochi) turisti li possono ammirare con calma, a patto di sfidare il vento. Siamo venuti fin qua apposta: non possiamo visitare in un’isola dove vivono i simpatici e colorati pulcinella di mare, senza non passare a trovarli almeno una volta.

Molto interessante infine la visita al faro: una guida ci accompagna illustrando le varie stanze e la vita del guardiano, salendo fino al locale dove c’è la luce (non più attiva perché sostituita da un sistema più moderno e molto meno affascinante, nell’edifico accanto). Usciti di nuovo, ammiriamo ancora una volta scogli, uccelli di mare, vento e balene in lontananza.

9. Volpi e sule

Nell’abbandonare la penisola di Bonavista facciamo tappa a Trinity, graziose casette colorate che splendono nel sole e un simpatico ristorante al porto, poi via verso la penisola di St. Mary’s, dove abbiamo prenotato un altro bungalow vista mare.

A St. Mary’s vogliamo visitare la riserva che ospita una grande colonia di sule, magnifici uccelli marini dalla testa gialla, che veleggiano solenni come uccelli preistorici. Il tempo purtroppo peggiora: la pioggia ci accompagnerà tutto il pomeriggio, lungo le strade di questa penisola peraltro tortuose e molto mal tenute, piene di buche, fino alla nostra destinazione (Birds Island Resort, a St. Bride’s). La sirena da nebbia del faro, col suo periodico suono di corno, ci accompagnerà tutta la notte, a segnalarci chiaramente che – pioggia o non pioggia – la visibilità resta quasi nulla. Al caldo nella nostra casetta mettiamo insieme una cena di compleanno, ammiriamo le evoluzioni di centinaia di uccelli marini fuori dalla finestra, e andiamo a dormire speranzosi per il giorno dopo.

L’indomani ci alziamo ed il clima purtroppo è invariato: accompagnati ancora dal suono della sirena antinebbia raggiungiamo comunque il centro visitatori del Capo, e seguendo per non perderci gli appositi paletti gialli che si susseguono sui prati umidi e pieni di fiori, raggiungiamo comunque la colonia di sule. La vista è surreale: dalla nebbia emergono questi uccelli, coi loro gridi, i grossi pulcini in lontananza e le loro planate a poca distanza da noi. Il mare, sotto, si sente mugghiare ma non si riesce a vedere. Col sole sarebbe stato meraviglioso, ma anche così ha un suo fascino. Mangiamo al riparo nel comodo e accogliente centro visitatori, salutiamo le volpi semi addomesticate che gironzolano nei paraggi, e ripartiamo alla volta di St. John’s.

Ancora strade malmesse e tempo incerto, ma arriviamo tranquilli e prendiamo possesso del nostro affezionato Super8. Ci aspetta una mezza giornata conclusiva di acquisti, nuova visita alla birreria di Quidi Vidi (di cui ormai ci siamo innamorati), e l’indomani valige e aeroporto: si decolla alla volta di Montreal.

10. Un altro mondo

Usciamo dall’aeroporto di Montreal e ci ritroviamo proiettati in un altro mondo, a cui non eravamo più abituati. Fuso orario differente; fila infinita per ritirare l’auto a noleggio; lingua francese; caldo (troppo per noi, almeno per come siamo vestiti); traffico e cantieri che ci fanno smarrire la strada più volte… finché decidiamo di rinunciare alla cena in centro città: abbiamo fatto tardi e siamo stanchi, forse è meglio attaccare la rete dati e vedere su Google dove siamo finiti. Per non spendere troppo avevamo prenotato un motel in periferia: non è bello ma, di nuovo, sembra di essere in un film e ci godiamo anche quello. La receptionist è gentilissima e ci aiuta a ordinare una cena a domicilio. Saliamo sul tipico ballatoio al primo piano, entriamo nella tipica stanza coi tipici due letti matrimoniali, accendiamo il tipico condizionatore rumoroso, sentiamo i tipici suoni provenienti dalle stanze accanto, apriamo la porta della stanza a un tipico fattorino e – sfatti, affamati e non di ottimo umore – mangiamo i tipici spaghetti (le bimbe), un tipico hamburger, e la tipica poutine: patatine fritte ricoperte di formaggio fuso con salsina pesante e condimenti vari. L’indomani, tipico caffè filtrato fatto in camera, e poi via a fare una visita in centro.

Riposati e di umore migliore troviamo un posto per mangiare una crepe e iniziamo a percepire l’influenza francese ed europea, anche nell’aspetto delle case. Le vie del centro vecchio, tanto decantate dalla guida, a noi non dicono molto, ma intanto un giro ce lo facciamo, e poi siamo pronti per dirigerci verso Trois Rivieres. Ci arriviamo in autostrada, e dormiremo due notti in un bellissimo bed and breakfast (Chez papa beau), in una vecchia casa storica, scricchiolante ed affascinante, che è sopravvissuta anche a uno storico incendio poiché era situata all’esterno della città vecchia. I proprietari quasi non parlano inglese, noi non parliamo francese, ma in qualche modo ci arrangiamo. Hanno un bel giardino, frequentato da picchi e scoiattoli, e si fanno accompagnare dalle bimbe a raccogliere le uova che poi mangeremo a colazione (ottima colazione, peraltro, a base di crepes e uova fritte). Ceniamo tranquilli nel giardino, finendo gli avanzi della spropositata cena che ci eravamo fatti consegnare a domicilio la sera prima. Poi facciamo un salto in città, ammiriamo il fiume San Lorenzo al tramonto, assistiamo a uno spettacolo di artisti di strada, e andiamo a berci una birra tra le strade animate del centro. Poi a dormire, perché l’indomani ci aspetta la visita del Parc de la Mauricie.

La visita ci impegnerà tutta la giornata, tra bagni nel lago e passeggiate in cerca di alci e castori. Per quanto riguarda i bagni, la folla che nel weekend si accalcava vicino a riva non era il massimo per i nostri gusti in cerca di natura, ma faceva caldo ed è stato uno svago apprezzato. Per quanto riguarda castori e alci, niente da fare purtroppo, ma la passeggiata è stata piacevole e anche il silenzio del bosco, i piccoli animali (scoiatoli e ranocchi) e i laghi al tramonto hanno catturato la nostra attenzione. Sarebbe bello tornare qui in autunno: dev’essere molto più tranquillo, e i colori devono essere meravigliosi. Per noi adesso l’impressione è quella di un bel parco boscoso, ma niente di eccezionale rispetto alla natura di Terranova.

Impeccabile però, come sempre, l’organizzazione dei parchi canadesi: percorsi segnati, centri informazioni, aree picnic, mappe, libretti per i bambini con tante informazioni e osservazioni guidate (al termine, chi riporta il libretto con le sue annotazioni riceve un premio dai guardiaparco). Come in Newfoundland, solitamente si paga una quota, che può essere richiesta come pedaggio (qua a la Mauricie) o come permesso di sosta da acquistare nel centro visitatori (per esempio al Gros Morne).

9. Dai balcani alla Francia (a tavola)

Alla fine del nostro giro al parco siamo stanchi e affamati, è un po’ tardi per gli orari canadesi, ma fortunatamente troviamo una locanda dall’aspetto caratteristico a St. Jean des pres. Si chiama Aux traditions, e scopriamo entrando che le “traditions” non sono quelle canadesi, bensì quelle greche e bulgare dei proprietari. Le cameriere, le due figlie della coppia che gestisce l’albergo e il ristorante, si mostrano gentilissime e ci illustrano le specialità in menù. Appena capiscono che siamo italiani chiamano con entusiasmo la mamma, in cucina, che non vede l’ora di parlare un po’ la nostra lingua. Dice che essendo di madrelingua bulgara, dopo aver imparato il francese, tanto valeva studiare anche l’italiano: era facile e le faceva piacere impararlo, pur non essendole particolarmente utile. E così eccoci qui a chiacchierare, in un’atmosfera balcanica ed europea che ci fa sentire a casa nostra. Peccato non poterci fermare anche a dormire, si stava bene qui…

L’indomani si parte alla volta di Quebec city: la distanza non è molta e così decidiamo di superare la città, per inoltrarci di qualche chilometro lungo la sponda sud della baia di San Lorenzo. Il paesaggio però non è niente di che e torniamo indietro presto.

Arriviamo al nostro albergo, un Motel vicino all’autostrada molto comodo, relativamente economico e dotato di tutti i comfort (Hotel Le Dauphin). Sarà stato un colpo di fortuna, ma la camera era enorme e il bagno dotato persino di idromassaggio. C’è anche una grande piscina con alcuni giochi d’acqua a bordo vasca, attrattiva essenziale per invogliare i più piccoli a resistere ai lunghi viaggi in macchina.

Per la serata ci dirigiamo in città, costeggiandone prima le mura vicino al palazzo del parlamento, poi giù verso il maestoso Château Frontenac, fino ad ammirare il panorama della città e del fiume dall’adiacente Terrasse Dufferin, alla luce del tramonto. Attenzione perché a Quebec si sale e si scende tanto!

Poi gironzoliamo per le vie del quartiere latino in cerca di ristorantini e di gastronomia vera, dopo le troppe friggitorie del Newfoundland. Qua la varietà della cucina aumenta, ad esempio nei supermercati si vedono verdure, formaggi, vini e paté… e per cena possiamo provare anche qualcosa di diverso dal solito, come i piatti (non economicissimi) di Chez Boulay, che spaziano dalla selvaggina ai funghi, dalle alghe alla foca, passando per alcuni classici della cucina francese ed europea…

Il giorno successivo ci aspetta un po’ di strada, e purtroppo è proprio la tipica e piatta autostrada a cui siamo abituati anche qua in Italia. Dopo un viaggio piuttosto noioso arriviamo in Ontario, a Gananoque, porta d’accesso per le Tousand Islands, e ci rilassiamo in un altro simpatico hotel/motel con piscina e pub ristorante (Country Squire Resort).

Ci viene in mente quella signora canadese che, in coda davanti a noi in un supermercatino da qualche parte a Terranova, si lamentava dell’isola: prezzi alti, zanzare e tempo pessimo. Ma a dire il vero, anche qua le zanzare non mancano, i prezzi sono più o meno uguali, e il tempo è sempre variabile. L’unica differenza è che fa caldo. A noi comunque piace così, fa parte dell’esperienza… Altrimenti, tanto valeva andare ai Caraibi!

10. In Ontario

Gananoque è una delle porte di accesso al parco delle Tousand Islands, che purtroppo però non riusciamo a visitare: il parco dev’essere molto bello, ma per goderselo sarebbe meglio organizzare una gita in barca. Il tempo è grigio e a tratti pioviggina, mentre noi dobbiamo puntare a sud. Costeggiamo semplicemente per qualche chilometro il San Lorenzo, sbirciando alcune delle mille (appunto) isolette, alcune con la loro piccola casetta sulla riva. Poi facciamo inversione di marcia e ci dirigiamo verso la Prince Edward County, amena penisola sul lago Ontario, dove gironzoliamo tra campi e tipiche fattorie americane (quelle con i granai in legno, alti, rossi e col tetto a punta), prima di entrare nel verde e piacevolissimo Sandbanks Provincial Park: qui troviamo una bella spiaggia per fare il bagno nel lago, dietro una duna boscosa. Ovviamente il lago sembrerebbe un mare, visto da qui con le sue onde, se non fosse per l’acqua dolce. Il cielo è tornato sereno e una bellissima luce si riflette nell’acqua, che da grigia è diventata azzurrissima sulla sabbia chiara.

Poi risaliamo attraverso una campagna molto dolce, alla luce aranciata del tardo pomeriggio, e arriviamo a Warkworth, paesino senza particolari caratteristiche ma tranquillo e gradevole, dove avevamo individuato, tramite il sito dei B&B canadesi, una camera libera presso The roost. Il posto è simpatico e pullula di galletti: sui cuscini, sulle tende, come soprammobili, come centrotavola, sui piatti… Il proprietario, che si diletta in giochi di prestigio, è gentilissimo, e si rivela anche un bravo cuoco, dato che l’indomani ci farà trovare pronto per colazione uno sformato salato davvero eccezionale, con salsiccia, patate, ed erba cipollina… Nel frattempo si prodiga anche in mille consigli, dall’autostrada migliore per avvicinarsi a Toronto (che costa tantissimo ma è senza traffico), al ristorante dove recarci a cena: quest’ultimo, situato presso un’azienda agricola vicina, si chiama Villa Conti e, come avremmo potuto immaginare dal nome, scopriamo una volta arrivati che è italiano. La cosa non ci entusiasma, non è la cucina che cerchiamo quando siamo in giro, ma ne approfittiamo per fare due chiacchiere coi proprietari. O meglio, è il proprietario che ne approfitta per fare due chiacchiere con noi, potendosi finalmente sfogare un po’ con qualche connazionale non emigrato. E veniamo così a scoprire tante cose: come sia facile qui aprire un’attività; come sia duro e nevoso l’inverno (ecco perché tutti questi grossi pick-up!); come sia semplice trovare lavoro e quanti italiani proprio per questo vivano in Ontario; come in questa campagna apparentemente priva di attrazioni si riversi un discreto turismo da Toronto, complice un aspetto da “campagna toscana” che attira proprio i numerosi cittadini benestanti (che a quanto pare, quando vanno in vacanza in Italia, vanno proprio in Toscana, e solo lì: è la moda del momento)… Insomma, chiacchierata interessante.

Il mattino dopo, terminato il famoso sformato e i più classici pancake, riprendiamo l’autostrada e ci dirigiamo a Brantford, veloce tappa oltre Toronto che ci avvicina alle cascate del Niagara. Questo paese ci aveva incuriosito perché è sito in una riserva indiana. Meriterebbe un soggiorno, perché a quanto pare le iniziative culturali legate alle Six Nations sono molte e interessanti, mentre passando da fuori non si coglie molto se non i negozi di souvenir (peraltro molto belli) e la benzina a prezzo ridotto, per via della tassazione privilegiata. Riprendiamo la marcia e puntiamo su St. Catharines.

11. Concludere in bellezza

Ora dobbiamo confessarlo: noi alle cascate del Niagara non volevamo andarci! Dopo tutta quell’immersione nella natura che ci aveva regalato Terranova, entrare in una specie di luna park a tema cascate ci sembrava inutile e faticoso. Ma alla fine ci siamo lasciati convincere, e dobbiamo ammettere che abbiamo fatto bene.

Prendiamo posto nel nostro hotel a St. Catharines, ceniamo con un bel piatto di costine nei paraggi, e poi ci spostiamo subito a vedere le cascate illuminate di notte: uno spettacolo affascinante, con le nuvole di vapore illuminate di colori sempre diversi, e il rombo dell’acqua che si sente emergere dal buio della notte. Ed è altrettanto affascinante, a suo modo, quella specie di enorme parco giochi, fiera del kitsch e delle lucine colorate, che è tutto l’abitato di Niagara on the falls, che si sviluppa subito dietro. Si può passare di fianco a un vulcano in eruzione, tra dinosauri che ruggiscono, e poi accanto a clown, ruote panoramiche, bowling, distributori di pop corn, slot machines, neon… Non manca nulla… a parte, al limite, parcheggi liberi a prezzi decenti!

Comunque torniamo alle cascate anche l’indomani, per vederle col sole, dopo una strana colazione a base di cucina indiana nel ristorante annesso al nostro albergo. Questa volta ci aspetta l’immancabile giro in battello sotto le cascate, ciascuno col suo bell’impermeabile rosso (per distinguerci da chi fa le gite dal versante statunitense, che veste in blu). Quella plastichina leggera non ci ripara molto, ma visto il caldo ci fa piacere rinfrescarci così. Poi, a piedi, andiamo a vedere la massa d’acqua anche dall’altro, seguendo il marciapiede che ci porta a Table Rock, proprio sopra le Horseshoe Falls: nonostante la folla e i casinò, la forza della natura fa comunque la sua impressione.

Ripartiamo poi alla volta di Toronto, senza farci mancare un passaggio (una volta nella vita!) attraverso un drive through di Starbucks, dove ordiniamo un pranzo veloce e riusciamo a fare la nostra immancabile figuraccia: il ragazzo riceve l’ordinazione e chiude lo sportello; noi dunque ci allontaniamo, ma ci rendiamo conto conto solo dopo che avremmo dovuto aspettare lì; lui riapre lo sportello e non trova nessuno… rifacciamo il giro e ritiriamo il nostro panino con bibita. Così finalmente usiamo anche il portabibite della macchina: mica serve solo agli agenti di pattuglia nei film polizieschi!

Arriviamo infine a Toronto, restituiamo la macchina in aeroporto, prendiamo la navetta per il centro e ci concediamo, per l’ultima notte, un hotel comodo e lussuoso, con prima colazione super e grande piscina (Novotel).

Abbiamo ancora una giornata libera, e la trascorriamo tra cartoline, l’interessantissimo Royal Ontario Museum (storia naturale e archeologia), e un aperitivo al One Eighty, al cinquantunesimo piano del Manulife Center. Un’ultima vista sullo skyline di Toronto, città che saluteremo dall’aereo in tarda serata, sognando (chissà quando, chissà se…) un nuovo viaggio in Canada. Per esplorare tutto, o almeno qualcosa in più, di quel che ci resta ancora da vedere, in questo enorme e accogliente Paese che da solo è quasi un continente.

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Iceberg sullo stretto di belle Isle

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Volpe a St.Mary's

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