Val Maira e dintorni: una perla nascosta

Partendo dalla Val Grana, facendo base in Val Maira, con visita in Val Varaita e Gesso.
Scritto da: mariaedino
val maira e dintorni: una perla nascosta
Partenza il: 21/08/2020
Ritorno il: 24/08/2020
Viaggiatori: 2
Spesa: 500 €
Il pensiero che più ci rimane al ritorno da questa breve vacanza in val Maira e nelle valli limitrofe è: i tesori spesso sono sotto la mattonella di casa e non a miglia da qui.

Pensavamo di andare in Francia a visitare Lione e l’Alta Savoia, ma le ultime notizie Covid ci hanno fatto cambiare idea, insieme alla decisione di aiutare il turismo italiano. Però all’ultimo momento una tale inversione a U non era facile: così abbiamo buttato uno sguardo proprio vicino a casa nostra -Torino- e mai scelta fu più azzeccata. Le valli da noi visitate sono state: Val Grana -Maira-Varaita- Gesso, con particolare attenzione alla Maira, dove alloggiavamo.

Venerdì 21 agosto: partiamo con calma, via Fossano, traffico normale, e imbocchiamo la val Grana: la meta è il santuario di San Magno, al fondo della valle. La pulizia e l’ordine nei paesi sono un bel benvenuto: ci fermiamo a Pradleves, non per comprare il famoso formaggio, ma per acquistare alcuni viveri per il pranzo e poi si sale, decisi, e quasi improvvisamente ci si trova in un paesaggio di alta montagna, bellissimo, con scorci notevoli, meritevoli ognuno di una foto. Superiamo Castelmagno, resistendo alla tentazione degli inviti dei vari casari, e saliamo parecchio, fin quando compare il santuario: maestoso, imponente, ci si chiede, come sempre in questi casi, come hanno fatto a costruire una tale struttura, lassù, quando quasi si stenta a raggiungerla in auto. La temperatura è ideale, fresca, e il cielo è di un azzurro totale, nelle prime ore. Diversi turisti vagano sul piazzale, alcuni come noi si percorrono una breve salita per cogliere meglio il panorama, molti motociclisti parcheggiano – ci sono diversi livelli di parking gratuito -, ciclisti distrutti dalla fatica gettano la bici ai bordi della strada e si sdraiano sull’erba. La chiesa è già chiusa, riaprirà alle 14, ma si può percorrere il perimetro della struttura, sotto i portici e, nell’atrio dell’ingresso, poter immaginare come sono gli interni, chiusi al pubblico per il non poter regolamentare l’affluenza. Pazienza, penso, questo richiede un ritorno. Non mi dilungo sulla storia e le vicende particolari di questo santuario, poiché una buona guida online può essere migliore. Mangiamo sotto i pini, di fronte alla chiesa e beviamo un caffè nell’unico bar presente, che è gestito dal santuario stesso: ricava da questo proventi per la manutenzione, compresi quelli provenienti dall’ottimo miele, in mostra su uno scaffale. Il gestore è un signore simpatico, che parla volentieri, da molto tempo lavora al banco, per cui gli chiediamo chiarimenti sulla strada che vorremmo percorrere, che svalica in val Maira tramite il Passo Esischie, a 2370 metri. Ce la sconsiglia vivamente, per la strada accidentata e stretta, pur ammettendo che molti la percorrono. Decidiamo comunque di affrontarla, partendo subito, verso la val Maira. Indubbiamente è una via di montagna, bisogna essere pronti ad affrontare strettoie e fermarsi per far passare l’auto del senso opposto, magari indietreggiando in retro per favorire il transito, occorre avere una ferma attenzione, ma è fattibile, lentamente, e non si può far altrimenti, considerando il panorama favoloso che si apre davanti agli occhi, per cui ne vale davvero la pena. Ci fermiamo in cima al colle dove un bivio fa scegliere tra questo percorso e il Fauniera, il vento scompiglia i capelli, ovunque è natura selvaggia, molti turisti in silenzio si guardano attorno, marmotte fischiano in lontananza, ci allontaniamo a fatica e scendiamo. A fondo valle, notiamo la deviazione per Marmora, paese noto per la presenza passata di Padre Sergio e la sua biblioteca più alta d’Europa, vicenda raccontata nel film “La terra buona”, ma proseguiamo, la meta è ancora lontana. Nel percorso in val Maira, superiamo tutti i paesi che si avvicendano per fermarci solo a Stroppo, indicata come sede di una cappella -San Peyre- con notevoli dipinti, ma è chiusa, quindi veloci a Dronero, alla ricerca del b&b.

Apro una parentesi per questo b&b, solitamente non pubblicizziamo le strutture in cui abitiamo, ma Il picco ci ha dato proprio la possibilità di gustare il posto, con ambienti suggestivi, un’ottima colazione km zero, una disponibilità sincera e accurata e la possibilità di rilassarsi, dopo le escursioni, e godere della natura. Ci vengono consigliati due ristoranti a Dronero. Il primo da noi provato è Ottocento, il secondo è Al cavallo bianco: entrambi di buona qualità, non cari. Il riposo al b&b è assicurato, nel silenzio assoluto rotto solo dal fruscio degli alberi.

Sabato 22- Val Varaita. Dopo una gradita colazione, chiacchierando con Carla si decide di scendere in val Varaita per il colle che svalica oltre Elva, Colle Sampeyre, 2284m. La strada è simile a quella percorsa ieri, forse un po’ migliore, ma lo spettacolo che si presenta in cima è di uguale intensità, alta montagna raggiunta in auto, con la disapprovazione di molti ciclisti , una cornice di rocce e punte davvero notevole, marmotte in lontananza e basta. Scendiamo poiché alcuni amici ci aspettano in valle, il traffico, se possiamo chiamarlo così, si fa sentire, per cui arriviamo con notevole ritardo (2 ore di percorrenza). Nella piazza principale ci obbligano giustamente ad indossare mascherine, ma decidiamo di spostarci a Chianale, paese segnalato tra i migliori borghi d’Italia. In effetti, nonostante avessimo scelto il giorno sbagliato, sabato, per cui c’era parecchia gente, il nucleo di case ben tenute racchiuso nel verde colpisce. Riusciamo a prenotare al “Laghi blu”: un prezzo adeguatissimo al menu proposto. Al pomeriggio, ci godiamo il cielo totalmente azzurro sopra di noi, allontanandoci dal paese e godendo un sano relax. Il ritorno sarà effettuato sulla strada provinciale normale. Piacevole sosta al b&b, dove un capriolo si incuriosisce di noi, cena e via.

Domenica 23 – Alberto è talmente entusiasta del luogo in cui vive che ci convince a restare in valle e visitare Elva: chiediamo a riguardo della strada del vallone che porta lo stesso nome, considerati i panorami visti nelle giornate precedenti su questi valichi, ma Alberto e Carla ci danno indicazioni precise, è proibita, con blocchi di cemento imposti dall’amministrazione comunale. Alcune persone li spostano, ma la pericolosità è notevole. Quindi torniamo a Stroppo, dove la chiesa è proprio chiusa -veniamo a sapere dopo che, chiedendo la chiave in paese, si può visitare. Tuttavia la struttura è notevole anche all’esterno. Proseguiamo, seguendo i consigli dati, verso Fremo Cuncunà, la pietra nel vuoto, che si trova dopo S.Martino, prima di un rifugio/bar, indicato da un piccolo cartello su un albero. La passeggiata in discesa è molto bella, scorci nel verde, mucche al pascolo curate, fino alla fantomatica pietra, davvero nel vuoto. Il ritorno ci fa incontrare famiglie e gruppi di amici, ci si saluta, e si va ad Elva. La prima domanda che nasce spontanea è: come si fa a vivere in un paese così isolato, tutto sommato difficile da raggiungere. La cappella dipinta vale davvero la sua fama, i centri caseari sono chiusi, ma ci consoliamo con un’ottima fetta di torta fatta in casa e due caffè. Sempre attratti dal vallone di Elva, chiediamo al ragazzo del banco del bar delucidazioni: anche lui sottolinea la pericolosità e poi aggiunge una frase che conclude tutto: multa assicurata, giustamente. Non ci resta che ripercorrere tutto il tratto con curve e tornanti, per raggiungere Chiappera, dove acquistiamo pane e formaggio fresco. Parcheggiamo tranquillamente lungo il fiume e saliamo un poco per distanziarci dalla gente -è domenica- e sederci all’ombra dei pini, proprio di fronte a Rocca Provenzale e Torre Castello, le nostre mete di oggi. Sono davvero imponenti. Alle 15, sotto un sole deciso, decidiamo di fare una camminata fino al parcheggio, il cosiddetto “anello”. Dopo 40 minuti di salita decisa, a passo lento, con un bel caldo, raggiungiamo il punto, dove ci accoglie una bella cascata e vista sulla valle. Torniamo scegliendo la strada percorribile in auto, più lunga ma asfaltata, non ciottolosa. Soddisfatti, la Rocca ci appare sempre più alta, e rafforzata dalle leggende e imprese che la riguardano. Torniamo volentieri al Picco, e all’ombra del noce parliamo volentieri con Alberto di alpinismo, arrampicata libera, i vari 8+ di cui non si sapeva molto. Mangiamo nuovamente in Dronero, e torniamo a trascorrere la serata “a casa”, ormai la chiamiamo così, consapevoli che è l’ultimo momento di quiete: ad accompagnare questa sensazione, di notte, arriva il vento, il bel rumore di fronde agitate, e il freddo.

Lunedì 24 – Ebbene si, un altro bel posto da lasciare. Salutiamo affettuosamente, guardando il bosco ben mantenuto di betulle, i piccoli oggetti decorativi, l’essenzialità del tutto, con la promessa di ritornarci, magari con qualche amico. Lasciamo anche Dronero, sfidando il tempo negativo previsto e facciamo ancora tappa ad Entracque, per visitare centrale e dighe. Scopriamo che al lunedì è tutto chiuso, ma, considerato il caldo persistente, visitiamo lo stesso questo paese di montagna, che mantiene ancora una sua dignità di tradizione ed essenza montanara. Dopo aver comprato viveri, tra cui ottime patate, raggiungiamo il lago Rovine, da cui si vede la diga superiore. Al bordo di queste acque verdi, osserviamo i numerosi pescatori, poi raggiungiamo un bar, passeggiando sul lato destro. L’area in questione è gestita molto bene, con il costo di due euro, 1 per i bambini, si può usufruire dei tavoli e bbq. Salutiamo i monti e questa breve ma intensa vacanza, con un ultimo caffè, e le nuvòle nere giunte ci spingono a farlo, inizierà a piovere appena entrati in auto.

Che dire di più? Valli curate e attente, forse un po’ riservate, ma incuriosite anche da aspetti nuovi, non propriamente commercialmente turistici, magari sport estremi, magari benessere vero, il tutto accompagnato da servizi presenti ed efficienti, da cibi locali ottimi, a km zero, e da esempi di arte popolare da museo. Da rifare e approfondire.



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