Una notte di agosto, a Bussana Vecchia

Sant'Egidio e le stelle di agosto
Scritto da: NinaJKors
una notte di agosto, a bussana vecchia
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A dirla tutta, Bussana Vecchia non è mai stata giovane. Nacque adulta sulle punte aguzze di un colle ligure con la possibilità di avere la vista limpida e diretta sul mare, alta sulle colline intorno, se mai si può parlare di colline per la Liguria, e non piuttosto di spuntoni di terra arida, salite scoscese e sassi tenuti fermi dalle radici contorte degli ulivi. Gli antichi romani fondarono lì un piccolo avamposto su muri già esistenti, e nel Medioevo ben 250 persone salivano con i muli sin dal mare e lì restavano.

Era così solitaria Bussana Vecchia, che la chiesa la dedicarono a Sant’Egidio, il folle che viveva solitario in perpetuo eremitaggio in mezzo ai boschi, a cui un Dio benevolo mandò una cerva da cui bere il latte. Bussana Vecchia nacque come a volte nascono alcune donne, già adulte sin da piccine, con lo sguardo severo e indagatore di chi già conosce il proprio destino, gettate nel mondo maschile e perciò ostile alle donne.

Nella sua crescita lenta e costante, Bussana Vecchia trovò una stabilità e una certa ricchezza, gradì l’abbondanza discreta che il tempo le aveva recato e pensò che sarebbe cresciuta così per sempre, placida e forte, torreggiante sulla valle, austera ma solida. Succede sempre così a chi si dimentica che la vita non è solo crescita felice. All’alba di un mercoledì delle ceneri, nel 1887, dopo che già aveva vissuto molto ed era esperta delle cose del mondo, Bussana fu scossa da un terremoto mandato da Dio, a ricordare che l’uomo è fragile proprio quando si sente forte.

La terrà tremò e i sassi scricchiolarono uno contro l’altro rabbiosi, e i muri oscillarono tanto che la volta della chiesa di Sant’Egidio crollò sui fedeli in penitenza, e li seppellì vivi. Morirono in molti, e i pochi che sopravvissero rimasero senza ricovero poiché di tutte le case, costruite con la fatica che solo chi porta sulle spalle i massi per edificarle sa, rimasero i muri e le alte torri di pietre, le scale di lavagna grigia, le volte dei carruggi.

Ma si era alla fine del secolo XIX, quando la tecnologia dei macchinari prometteva meno fatica e maggiore guadagno, e fu così che agli abitanti che volevano tornare a ricostruire le proprie case venne impedito di farlo, per legge, e squadre di operai vennero mandate da sconosciuti  possessori di terreni a costruire case nuove, più belle, più moderne, più giù rispetto a Bussana Vecchia che venne dichiarata scomoda da raggiungere, pericolosa da vivere e irrimediabilmente Vecchia, e venne così costruita Bussana Nuova, avamposto nel Nord di un’Italia nuova nuova, dove l’economia della crescita fatta di speculazione si mescolava con i poteri istituzionali della legge.

Bussana Vecchia venne abbandonata al suo destino di ferita perenne e irrimediabile, monumento all’ira di Dio e alla fragilità dell’uomo, con i suoi cumuli di sassi e le anime dei morti lasciate a vagare per le strade deserte, intralciate da polvere e detriti.

Si racconta che, nei favolosi anni Sessanta, un giovane tedesco nato poco prima della guerra, fosse fuggito dai cieli plumbei della Germania e dal peso delle azioni dei suoi genitori, e avesse cercato ristoro in Italia. E specialmente si narra che arrivò a piedi sotto i cieli limpidi della Liguria, in mezzo alla gente aspra come la sua terra, e venisse inspiegabilmente attratto da un lieve canto maschile che lo portò a camminare a piedi oltre Bussana Nuova fino in su, dove trovò le rovine di Bussana Vecchia. Decise di passare lì la notte, sotto la copertura a volta di una casa abbandonata e finalmente, dopo anni di affannoso cercare l’oblio e ristorare l’anima con i fumi della cannabis, si assopì sul pavimento fresco a piastrelle bianche e nere di duecento anni prima.

Si svegliò al suono sottile del vento ma lui riconobbe in qualche modo la voce di Sant’Egidio che vide nell’Eremita biondo sé stesso giovane e per questo lo accolse con il sonno dei giusti. Il ragazzo dormì per giorni e per notti, si nutrì di more di rovo selvatiche e fichi e tutto quel silenzio riempito dal canto del vento lo portò a riconoscere se stesso e la sua vera pena, e fu così che accolse l’energia pulita che lo circondava. Decise di fermarsi a vivere lì. Si narra poi che dopo poco tempo, anche una giovane donna francese arrivò arrancando a Bussana Vecchia, dove trovò un giovane artista tedesco che viveva in solitudine. E anche lei si fermò.

C’è da dire che Sant’Egidio riconobbe di nuovo il ciclo della storia, poiché anche lui era stato costretto a rinunciare all’eremitaggio pur di far crescere la congregazione dei fedeli che gli si affidava. E così soffiò un vento sottile e molti altri artisti arrivarono a Bussana Vecchia, e benché mancasse l’acqua, la corrente elettrica, il sistema di fognature e tutto il lusso delle città, si stabilirono lì, lasciando per le strade i cumuli di detriti e riempiendo le case con opere artistiche.

Bussana Vecchia si risollevò, e risuonò di concerti cantati nella chiesa senza tetto e di curiosi richiamati dalla bizzarria di artisti che vivevano senza la tecnologia proprio quando il boom economico riempiva la vita e i desideri di tutti. Era nato il turismo.

Un’estate a Bussana Vecchia

L’estate 2020 è un dono per noi tutti, ma ancora di più per me è un’estate sorprendente per la quantità di sorprese felici che costellano le settimane. Ho messo il capo fuori dalla tana del mio splendido isolamento e la mia egoistica volontà di frequentare solo persone che mi piacciono veramente ha vinto sul piacere di stare a casa la sera, a leggere e ancor più a scrivere in segreto.

Così, in una caldissima sera siamo andati a Bussana Vecchia, nome fascinoso e della cui storia non sapevo nulla. A me importava solo della compagnia, della profondità degli sguardi e delle parole che mettono a nudo le verità più fragili e dell’eroico e costante tentativo di alcuni di noi di rimettersi sempre in piedi.

Noi cinque arriviamo dunque a Bussana Vecchia di sera, superiamo il ristorante che ci aspetta per il secondo turno, quello delle nove e trenta, e ci incamminiamo in un paese privo di illuminazione artificiale armati della luce bianca di un cellulare. Ogni porta a vetri nasconde un negozio chiuso, che però è più un laboratorio polveroso, e le nostre voci risuonano in un “guarda lì!” per cui tutti voltiamo la testa ora qui, ora lì. I negozi sono chiusi, turisti che camminano non ce ne sono, ci siamo solo noi cinque, con i nostri abiti stirati, le camicie pulite, la camminata ripida al buio di curve improvvise e in men che non si dica arriviamo in cima, dove un unico negozio ricavato da ciò che sembra una grotta, illumina lo spiazzo e i calcinacci rimasti lì dal terremoto.

Fuori dalla porta c’è un tavolo che sorregge un vassoio su cui sono posate alcune bottiglie di vetro con un’etichetta scritta a mano: “la magia di Bussana vecchia”. Ah com’è trista la felicità, quella parte di vita che si mostra piena di abbondanza e oscura lo sguardo su tutto il resto, per cui io, esperta di magia e di mercanti, elevata da me stessa a giudice supremo, convinta che nel negozio non ci sia nessuno, consapevole che i ninnoli esposti sono artigianato banale e povero, chiedo con voce squillante e supponente: “E quale sarà mai la magia di Bussana Vecchia?”

La donna dentro il negozio, che altro non è che una stanza con i soffitti a volte e nulla più, mi riconosce per il tono e la supponenza, e mentre riordina qualcosa, senza nemmeno affacciarsi alla porta risponde: “la magia di Bussana Vecchia è la sua capacità di rinascere da un terremoto devastante, da un abbandono senza speranza e risorgere grazie all’arte” e io allora guardo con attenzione la luce calda color oro che viene dal locale, e vedo la donna bionda dagli enormi seni stretti dal reggiseno e vengo inondata dalle sue parole e forse più ancora dal suo tono e dalla voce di un paese che è stato sterminato, e dalla pandemia che ci ha colpito tutti, dalla fugacità della nostra vita e dall’incertezza acuta per il futuro a cui dobbiamo assolutamente porre rimedio. E immagino la fatica di quell’unico negozio ancora aperto, in un paesino difficile da raggiungere, in un periodo in cui ci si sposta a fatica, sospettosi, mascherine indossate a coprire il sorriso e la comunicazione e i contatti. E vedo che lei è lì, che resiste, che difende la propria fatica.

Lei è come noi. “Ha ragione, allora dobbiamo comprarne una”. Ed è lì che avviene la prima magia, una nemesi invisibile, perché la più giovane di noi, colei che fa fatica a scegliere il proprio futuro in un momento di grande incertezza, lei si incarica di scegliere la bottiglia. E perché il più Artista tra noi decide di pagare e di continuare a investire nel futuro e perché io decido di gettare nella bottiglia la conchiglia, passo necessario perché si possa compiere la magia, io che tendo a vuotare e far spazio piuttosto che riempire. Il locale si riempie di energia mentre posiamo per la foto, con la bottiglia in mano e una gran voglia di vivere il nostro futuro.

E poi usciamo, scendiamo al ristorante dove ci aspetta un tavolo di legno grezzo, e due panche lunghe, le tovaglie di carta e la carne speciale, come speciale è il vino che viene scelto, e speciali sono le parole, le risate e l’ironia, e viviamo il presente come fossimo guru esperti dell’impermanenza e ci viene a sostegno la nostra storia passata, ci ricordiamo da dove siamo partiti, dei nostri genitori e dei nostri nonni, finché arriva il momento di esprimere il desiderio davanti alla bottiglia: “il desiderio va fatto prima di abbandonare il paese”, e se pensate che desiderare sia facile, sappiate che non lo è per nulla, è un viaggio verso le stelle, è una trasformazione in potenza, e la magia non esiste.

Decidiamo di esprimere i nostri tre desideri a voce alta, chiara, senza titubanza e senza vergogna, e tenendo la bottiglia tra di noi le parole arrivano facili, come onde leggere dal grande potere, e il primo desiderio è di essere sé stessi e non tradirsi, il secondo è di continuare ad alimentare il fuoco sacro che ci anima, il terzo è di poter condividere con il mondo il proprio talento, di essere riconosciuti come artisti per poter cambiare il mondo.

Tre desideri ambiziosi, che ognuno di noi ha detto pensando a se stesso, ma che insieme fanno ciò che un artista è, una notte di agosto, a Bussana Vecchia.

Lasciando il paese a piedi, felici del nostro desiderio, portando con noi la bottiglia che, ci siamo promessi, ci passeremo di mano in mano ad ogni prossimo incontro, Bussana Vecchia fa un ultimo grande regalo; e dona, ai due amici che sono con noi, che ci hanno fotografato con la bottiglia in mano, che hanno ascoltato i nostri desideri, che hanno capito chi siamo, dicevo, Bussana Vecchia dona a ciascuno di loro una stella cadente nel cielo scuro, cosicché anche loro potessero esprimere un desiderio prima di lasciare il paese.

È vero, la magia esiste.

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