Un weekend a Carrara e dintorni

Scritto da: cappellaccio
un weekend a carrara e dintorni
Partenza il: 10/07/2007
Ritorno il: 11/07/2007
Viaggiatori: 2
Spesa: 500 €
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Alpi Apuane (Cave di Marmo), Castello di Fosdinovo, Castello di Massa

Montagne decapitate o sventrate per estrarre l’”oro bianco” di Carrara, il marmo prediletto da Michelangelo. Io e mio figlio diventiamo “minatori” per caso e andiamo ad esplorare una cava in galleria.

Per sfuggire ai muratori che assediano già da qualche settimana la nostra casa siamo “fuggiti” in treno in quel di Massa. Dopo qualche peripezia -tipo correre all’impazzata verso un binario per prendere al volo la coincidenza per La Spezia- ormai tranquilli, abbiamo viaggiato fino a Massa, dove a un certo punto, sul treno, un tizio mi si avvicina e mi dice: – Tu sei Cappellaccio, vero?

(Mi domando come faccio a essere così conosciuta. Non ho mai partecipato a un programma televisivo. Oppure mi trovo di fronte a un mago?)

Si trattava della guida che avevo contattato, Nicola, che invece di aspettarci alla fermata di Carrara-Avenza viaggiava sul nostro stesso treno. Assieme abbiamo raggiunto la sua auto stipata anche nel baule degli oggetti più disparati. Ci siamo subito diretti verso le Alpi Apuane, le montagne di marmo sorte dal mare in “tempi infuocati”, venti milioni di anni fa. Nicola comincia a raccontare una storia lunga e curiosa: fino al 1960 i bacini di escavazione erano collegati dalla rivoluzionaria infrastruttura della ferrovia Marmifera, della quale ci ha mostrato ponti e gallerie, ora riutilizzati per il passaggio dei camion. Quindi ci ha segnalato le vie di “lizza” -tracciati che con stretti tornanti e pendenze mozzafiato risalgono le scoscese pendici, sulle quali ancora oggi si arrampicano acrobaticamente i camion- e i “ravaneti” –distese di candidi detriti marmorei simili a soffici nevi perenni-. La prima tappa è stata Fantiscritti, dove abbiamo visitato il museo all’aperto di Walter Danesi –un vecchio cavatore che ha ricostruito la storia dell’escavazione, dai tempi dei Romani fino ad oggi-. Nicola si è fermato davanti alla riproduzione della parete di marmo scolpita in età romana che dà il nome al luogo.

“Fanti, in dialetto carrarino significa, infatti, bambini (e sulla parete erano rappresentate tre piccole figure simili a “infanti”, che però erano in realtà degli dèi –Ercole, Bacco, etc.) e di fianco alle figure c’erano delle iscrizioni, le “firme” di illustri visitatori delle cave (tra cui il celebre Antonio Canova)”.

Dopo questa delucidazione sull’etimologia del posto ci ha mostrato l’evoluzione delle varie tecniche estrattive, da quella dei Romani –che inserivano nel marmo tronchi di fico bagnati che, gonfiandosi, permettevano il distacco dei blocchi-, al filo elicoidale corredato dalla sabbia silicea –utilizzato dalla fine del sec. XIX e azionato da motori elettrici-, al filo diamantato –introdotto nel 1978 e che ha rappresentato una rivoluzione nel lavoro delle cave, in quanto adesso gli operai si servono di questo strumento che è in grado di penetrare nel marmo con grande facilità. Nei tempi antichi, una volta che i blocchi erano stati strappati alla montagna, venivano fatti scivolare fino al piazzale di carico con la slitta e poi trainati su carri tirati da buoi fino al porto, dove venivano caricati sulle navi. Gli incidenti sul lavoro erano all’ordine del giorno. Oggi c’è sempre pronta l’ambulanza o nei casi più gravi un elicottero può atterrare in uno spiazzo nei paraggi della cava.

Eravamo scappati da casa per evitare i muratori ma alle cave ci siamo ritrovati fra “nuvole” di polvere bianca, il via-vai dei camion e i rumori prodotti dal rovesciamento dei carichi di pietre… Un bell’ambientino, tanto per cambiare.

Oltre ai giacimenti a cielo aperto abbiamo esplorato una cava in galleria. Le guide facevano indossare un elmetto giallo protettivo e poi caricavano i turisti sui pulmini. Quindi, dopo aver percorso un tratto di galleria che un tempo faceva parte del sistema di tunnel ferroviari, facevano smontare il loro carico di persone sul piazzale bagnato che dava accesso alla cava sotterranea: gigantesche pareti riquadrate in blocchi delimitavano l’antro, dove giacevano abbandonati anche parallelepipedi molto grandi di marmo. A parte parlarci delle procedure estrattive (i cuscini di ferro gonfiati d’acqua, le seghe lunghe tre metri, etc.) e dei ritmi di lavoro (gli operai lavorano dalle sette del mattino alle tre del pomeriggio), ci hanno fatto vedere una sorta di cappella ricavata su una parete della cava creata nel dicembre del 1995, nonché un piccolo stagno prodotto dallo stillicidio che scende dal “soffitto” sul quale galleggia un sorridente squalo gonfiabile e hanno invitato Fede a prendere qualche pezzo di marmo da portare a casa come souvenir.

Appena usciti dal cuore della montagna siamo rimasti abbagliati dalle “ferite” bianche delle cave e abbiamo calpestato nuovamente la polvere di marmo simile a farina o a borotalco che ricopriva il piazzale esterno. Fede stava per partire con l’elmetto giallo in testa. Si era dimenticato di averlo sul cranio… Dopo la restituzione ci siamo diretti alla Cava del Polvaccio, quella dove andava a scegliere il marmo Michelangelo. Lì era tutto un sovrapporsi di blocchi bianchi squadrati: le budella ordinatamente sezionate della montagna.

Infine, a Torano, abbiamo visitato il laboratorio S.G.F, che custodisce una Cadillac di dimensioni reali scolpita nel marmo. Nell’atelier ci hanno anche mostrato una statua di marmo nero, una copia che stavano realizzando con santa pazienza, ormai in fase di lucidatura.

A questo punto Nicola ci ha accompagnato a Fosdinovo dove, chiedendo a qualche passante, siamo riusciti a scovare il B&B Casa Virgilio, che si trovava a circa tre km dal borgo medievale dominato dall’imponente castello Malaspina. La proprietaria era indaffarata a evitare che il cane, Remigio, uscisse di casa e spaventasse un’ospite giapponese. Ci ha mostrato la nostra stanza, denominata la “stanza verde” per via delle tende di quel colore, che però rappresentavano l’unico mezzo per filtrare la luce del sole al mattino. Il panorama dal B&B era sublime, anche se la stanza era un po’ calda e puzzolente. Per fortuna l’”abbondante” proprietaria ci ha accompagnato con la sua Twingo cosparsa di peli di cane a Fosdinovo. Abbiamo scarpinato su e giù per le viuzze del paesino, fotografato il castello e visto tutto quello che c’era da vedere, compreso un barbone dalla zazzera rossa disteso su una panchina sotto alle mura del castello, però non c’era l’ombra di un luogo adatto per fermarsi a mangiare. Già la proprietaria del B&B ci aveva suggerito di sfarmarci a La sosta, il ristorante che si trova a 500 m da Casa Virgilio. Prima, però, era necessario passare per un sentiero in mezzo al bosco debitamente segnalato, che era una scorciatoia per scendere verso casa. Ecco, lo sapevo, ci eravamo andati a impelagare in una giungla! Stavamo attraversando la “foresta” di sbieco quando un fagiano è volato via da un cespuglio facendo un verso intermittente e l’abbiamo visto planare in mezzo agli alberi. Poi, una volta usciti dal groviglio del bosco, fortunatamente, abbiamo ritrovato la provinciale, ma quando eravamo a 200 m da La sosta ci è venuto il dubbio di non essere sulla strada giusta. Abbiamo chiamato la signora di Casa Virgilio:

Vi vengo subito a prendere!

Ma dopo qualche minuto ci ha richiamato per avvisarci che eravamo vicinissimi al nostro obiettivo.

Ok. Allora ci sediamo al ristorante, giusto?

Anche il ristorante garantiva una vista incantevole sulla valle del Magra e sulla costa e soprattutto offriva pasta al pesto e sgabei (una specie di gnocco fritto con salumi e formaggio che Fede si è sbafato in men che non si dica). Siamo stati salutati dagli altri ospiti di Casa Virgilio, la coppia giapponese-olandese che avevamo già intravisto. Anche loro cenavano a La sosta.

Per quanto riguarda la nottata, invece, è stata da dimenticare (il materasso era troppo molle e alle sei meno dieci mi sono svegliata con la camera illuminata a pieno giorno). Alle 10 meno cinque la signora ci ha accompagnato in auto al Castello Malaspina di Fosdinovo, dove siamo entrati alle 10 e 10. Ma la visita guidata non c’era (mi sembra di aver capito che solo alle 11 se si raggiungeva un numero di 6 persone l’avrebbero fatta). Però la custode ottuagenaria si è impadronita della chiavi e ci ha lasciato entrare senza pagare il biglietto -abbiamo solo acquistato una piccola guida da 4 euro- e ci ha mostrato ogni angolo accessibile (cioè la parte non abitata) del complesso murato: dagli stemmi dei soffitti al salone dei ricevimenti, decorato con affreschi in stile quattrocentesco dal pittore Giuseppe Bianchi nel 1882; dai caminetti, ai pochi mobili e alla cameretta dove la tradizione vuole abbia soggiornato Dante Alighieri, senza dimenticare di alludere agli immancabili passaggi segreti, ai trabocchetti e al fatto che il castello custodisce l’immancabile leggenda sull’esistenza di un fantasma. Lo spettro -di cui si sentirebbe il cuore che perde i colpi appoggiando l’orecchio ai pomoli di legno a forma di melagrana spaccata di un antico letto- potrebbe essere quello di Bianca Malaspina, una fanciulla nobile innamorata di uno stalliere, che sarebbe morta di fame e di sete come castigo per la sua ribellione alle convenzioni sociali (il plebeo era stato allontanato, ma lei non si piegava comunque alla volontà dei genitori).

Siccome il Marchese ovvero il proprietario non era in casa la signora Almina ci ha lasciato scattare qualche foto, ci ha raccontato di essersi rotta un femore due anni avanti mentre accompagnava un gruppo di turisti lungo il cammino di ronda; ha aggiunto che da poco un quadro era stato rubato dal castello -probabilmente “trafugato” all’interno di un borsone sportivo da un finto turista, che era riuscito a girovagare da solo per le stanze restando indietro rispetto al gruppo-. Dopo aver attraversato un giardinetto siamo entrati nella sala dei tormenti: una cosa assai modesta, con una manciata di strumenti di tortura. Alle undici abbiamo preso congedo dalla custode e dal suo gatto, che ci aveva seguito nel giardino e subito sotto alla rampa di accesso al castello ci attendeva un’amica della proprietaria del B&B con una Uno nera targata Napoli per portarci a tutta birra al castello di Massa. Per scendere, anche utilizzando vie traverse ed evitando i semafori ci abbiamo impiegato 50 minuti e alla fine l’ho ricompensata per l’improvvisato servizio taxi una quindicina di euro. Al Castello Malaspina di Massa la visita era libera… Comunque ce l’abbiamo fatta a visitare anche questa fortezza-residenza, che era più grande di quella di Fosdinovo e non meno suggestiva per ambienti e posizione, sebbene non fosse più abitata da tanto tempo (era stata addirittura adibita a carcere fino al 1946). L’armonioso cortile rinascimentale recava ancora tracce di affreschi, come anche qualche sala. Dall’alto dei camminamenti si scorgeva oltre alla città di Massa tutta la costa con il lido di Marina di Massa. La giornata era rischiarata da una luce pura, un chiarore splendente e il paesaggio era incredibilmente bello, soprattutto perché lo si poteva ammirare da grandi terrazze, finestroni, balconi o eleganti logge, impreziosite da colonne e capitelli marmorei. Dalla parte opposta rispetto al mare scenografici cumuli di nuvole sostavano fino a metà montagna. Mentre camminavamo su e giù per quei vecchi muri il coltello che avevo nello zaino e che mi era servito per tagliare il pane mi si conficcava costantemente nella schiena. Io aprivo il sacchetto, lo spostavo, ma finiva sempre per ripuntarmi contro un rene…

All’una ci siamo avviati verso la Piazza degli Aranci e dopo aver attraversato anche Piazza delle Corriere ci siamo ritrovati in Piazza della Liberazione, detta anche dei Culi (perché al centro c’è una fontana con putti nudi che mostrano il deretano), dove abbiamo preso un autobus per la stazione dei treni.

Sono stata costretta a reprimere un singhiozzo di commozione perché la minivacanza ormai si era irrimediabilmente conclusa.

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Vista panoramica dal Castello Malaspina di Massa

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Scorcio panoramico dal Castello Malaspina di Massa

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Cave di marmo delle Alpi Apuane. Cava in galleria. Piccolo stagno prodotto dallo...

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Alpi Apuane, Torano, laboratorio S.G.F, muso della Cadillac di marmo

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Cave di marmo delle Alpi Apuane. Infrastrutture delle ferrovia marmifera ora riutilizzate...

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Affresco all’interno del Castello Malaspina di Fosdinovo

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Vista panoramica dal Castello Malaspina di Fosdinovo

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Panorama della val di Magra dal B&B Casa Virgilio

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Castello Malaspina di Fosdinovo

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Cortile porticato del Castello Malaspina di Massa

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Vista dal Castello Malaspina di Massa



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