Un viaggio nell’incanto di Seconda parte
Dalla finestra della mia camera entra l’aria fresca proveniente dalla montagna, guardando fuori vedo il cielo sereno e sulla cime delle montagne qualche nuvoletta bianca, si preannuncia una bella giornata. Scendo al pian terreno per la colazione che avviene nella sala da pranzo; pane arabo, miele, marmellata, the.
Terminata la colazione ci prepariamo per la partenza e, uscito all’esterno noto che sui fili della luce e sui pali sono appollaiati degli uccelli, sembrano dei rapaci, Omar ci dice che sono falchi d’Egitto, un rapace trasferitosi sull’isola per l’enorme quantità di pesce. Saliamo sui fuoristrada e ci dirigiamo in paese con meta il mercato del pesce ed il suq; facciamo poche centinaia di metri sulla strada asfaltata, poi giriamo a sinistra, imbrocchiamo una strada sterrata e in un gran polverone, andiamo verso delle abitazioni dove le auto si fermano e noi scendiamo; l’accompagnatore ci dice che ora stanno realizzando la strada litoranea verso est, poi fra due anni, una volta terminata, inizieranno i lavori di asfaltatura delle strade cittadine. Riunito il gruppo c’incamminiamo e percorriamo una via che da un lato ha abitazioni e sull’altro, venditori di pesce; siamo giunti al mercato del pesce dove il pescato è scaricato dalle barche, posto su carriole e con quelle trasportato al locale mercato dove è adagiato su delle stuoie in terra. Vediamo alcuni pesci appoggiati alle pareti delle abitazioni, sistemati verticalmente con la bocca rivolta verso il basso, ma solitamente il pesce è posto su delle assi di legno e con coltelli è tagliato prima per la lunghezza e successivamente sono fatti degli ulteriori pezzi; qui il pesce è cotto esclusivamente alla griglia.
Lasciamo il mercato del pescato e girando fra le case ci dirigiamo verso il suq. Osservo che le case sono ad un piano realizzate con sassi, , i muri ricoperti di fango presentano semplici finestre, a volte, adiacenti vi sono dei recinti dove sono allevati animali. Arriviamo al suq, vi sono una serie di negozietti dove si può trovare di tutto e la merce arriva dal continente; qualcuno del gruppo sta cercando una farmacia per acquistare prodotti locali a base di aloe, ma la ricerca si rivela infruttuosa. Chiediamo ad Omar se è possibile trovare dei francobolli per spedire le cartoline acquistate nei giorni precedenti e ci dirigiamo verso l’ufficio postale che è un edificio grande, con un imponente traliccio per le comunicazioni; ma i francobolli sono terminati. Quindi proseguiamo il giro per la cittadina ed infine riprendiamo le auto e ripartiamo. Percorso qualche chilometro arriviamo su un promontorio e ci fermiamo a fotografare una baia, l’acqua va dal blu al bianco, la spiaggia è bianca, nel mare vi sono decine di barche di pescatori che sulla spiaggia scaricano il pesce pescato e lo caricano su camioncini, mentre a poche centinaia di metri sorge un villaggio circondato da palme.
Ripartiamo proseguendo verso ovest, lasciamo la strada asfaltata e ci dirigiamo verso le montagne, arriviamo al Wadi Ayhaft, un parco naturalistico che sorge in mezzo ad una valle cosparsa di sassi modellati dall’acqua dove possiamo osservare numerosi alberi endemici, che costituiscono la foresta di Socotra. Alcune piante sono veramente imponenti e secolari, con un grande tronco si allungano verso il cielo e come dimensione ricordano le nostre querce, ma queste sono particolari, infatti, in primavera quando le altre piante fioriscono, esse perdono tutte le foglie.
Il programma prevede che dovremmo proseguire verso l’interno della valle fino ad una cisterna che raccoglie l’acqua proveniente delle montagne circostanti, ma la strada è interrotta da una frana di conseguenza è impossibile proseguire, quindi ritorniamo sul nostro cammino.
Oggi il clima è ventilato ed il sole forte rende la temperatura calda; meno male che siamo nella stagione fresca, chissà in piena estate che calura c’è.
Ritorniamo sulla litoranea e proseguiamo ancora verso ovest. Pochi chilometri dopo prendendo una deviazione sulla sinistra c’immettiamo in una strada che ripidamente sale sulla montagna. Il paesaggio cambia in continuazione; zone desertiche si alternano a zone alberate e sporadicamente si vedono alcune abitazioni, poi altre zone desertiche dove compaiono delle piante strane; le auto si fermano, Omar scende e si avvicina ad una pianta cresciuta vicino al ciglio della strada, è una pianta alta circa cinque metri, ha il tronco liscio e foglie piccole: è un albero dell’incenso. Qui sull’isola sono presenti nove specie endemiche di albero dell’incenso, di cui tre sono solo nella parte est dell’isola. L’incenso è una resina naturale che fuoriesce dai noduli della pianta ed è raccolto con un coltello senza incidere o rovinare la pianta. La raccolta avviene solamente in estate, quando la pianta produce resina in quantità; riusciamo a prendere un po’ di resina e l’annusiamo: profuma di limone essiccato.
Proseguiamo lungo la strada asfaltata che si snoda sui pendii della montagna e man mano che saliamo il paesaggio muta, il verde prende il posto del marrone della zona desertica, la terra è sempre sassosa, ma sono presenti innumerevoli piante ed arbusti, in questa parte dell’isola vi sono poche capre, forse è per quello che vi è tanto verde? Continuando nel viaggio arriviamo verso la cima della montagna, quando il cielo azzurro si riempie di nuvole bianche e grigie, sembra minacciare pioggia e a tratti le nuvole, in prossimità dei maggiori rilievi, sono veramente scure e minacciose.
Fra il verde degli arbusti ed il marrone/nero del terreno svetta una pianta strana, ha il tronco grigio, i rami sono rivolti verso il cielo come fossero un calice e sopra ha un cappello di foglie verdi che par un ombrello aperto che ricopre il tutto; è l’albero sangue di drago, chiamato così per la resina rossa che emette e questa caratteristica pianta compare anche nelle monete dello Yemen. Scendiamo dalle auto per fare le prime fotografie a questa straordinaria pianta mentre vento e temperatura sono freschi, si sta proprio bene.
L’accompagnatore ci racconta le due leggende sull’origine dell’albero del drago: • due fratelli Caino ed Abele litigano, combattono e si feriscono, il sangue che sgorgava dalle ferite cade sulla terra e finisce in un piccolo buco e lì si trasforma in un piccolo seme dando origine all’albero; • un elefante ed un drago combattevano un feroce scontro il drago azzannò l’elefante e questo, ferito a morte, cadde sul drago uccidendolo, entrambi morirono e dal loro sangue nacque l’albero.
Guardando il paesaggio siamo colpiti da un fenomeno strano, non si vedono piante piccole, ma solo grandi, chiediamo ad Omar una spiegazione e la risposta non si fa attendere: le piante piccole non sono presenti in quanto sono divorate dalle capre e per questo, sull’isola, sono state realizzate delle aree protette dove sono coltivate tutte le specie endemiche, per la coltivazione e conservazione delle specie.
Riprendiamo il percorso, arriviamo in prossimità di una deviazione e giriamo a sinistra, prendiamo una strada sterrata che percorre un altopiano lavico con la roccia nera e marrone, superiamo un villaggio, proseguiamo sull’altopiano e ci fermiamo ai bordi di un canyon. Scendendo dall’auto noto che fra le crepe della nera roccia sono cresciute sporadiche piante e mentre camminiamo fra i cespugli Omar ci avverte di non avvicinarci ad un arbusto verde dai piccoli fiori gialli e rossi; è una pianta molto urticante e chi ha la sfortuna di toccarla sentirà i suoi effetti per circa venti giorni. Ne stiamo debitamente a distanza ed in effetti, osservando bene la piantina, noto che è interamente ricoperta di spine, gli steli dei fiori e le foglie presentano un alone bianco formato da spine.
L’altopiano è leggermente inclinato essendo tutto desertico le piante sono sporadiche, e mentre ci avviciniamo al canyon, un enorme baratro si apre sotto i nostri piedi; siamo sulla verticalità pura. Parecchie centinaia di metri sotto di noi, vi sono delle vallate, mentre le pareti del canyon sono depositi eruttivi e sedimentari che si alternano creando nelle rocce dei giochi di luce, dove i colori vanno dal nero al grigio, al marrone. Si passa dalla roccia lavica compatta alla roccia sedimentaria o basaltica marrone e guardo i tanti meravigliosi colori e conformazioni rocciose il cui colore muta continuamente per l’esposizione del sole e l’azione delle nuvole, chiaro e scuro si alternano in continuazione creando uno spettacolo affascinante ed impareggiabile.
Mentre il gruppo osserva il canyon giro fra le spaccature della lava per fotografare i fiori presenti, sono fiori rossi di alcune piante grasse, fiori bianchi e viola, fiori gialli di alcune piante verdi.
Su uno sperone roccioso vedo un falco d’Egitto e mentre lo osservo si alza in volo, è uno spettacolo vederlo librarsi leggero nell’aria, riesco a scattare qualche foto.
E’ l’ora di ripartire, Omar c’invita a risalire in auto e dice che abbiamo ancora tanta strada da percorrere prima della sosta per il pranzo, partiamo ed attraversando l’altopiano lavico arriviamo al villaggio, ma in prossimità di un dosso sentiamo un rumore strano, come uno scoppio: abbiamo bucato la gomma posteriore destra.
Ci fermiamo, scendiamo, Sandro ed io diamo una mano all’autista a cambiare la gomma che, finita su uno spuntone, è letteralmente squarciata, mentre allentiamo i bulloni, l’autista inserisce il cric e sollevata l’auto pone sotto di essa dei sassi per stabilizzarla. Facciamo fatica a togliere la gomma bucata, ma dopo qualche tentativo ci riusciamo, mettiamo quella nuova e l’autista sistema gli attrezzi. Mentre stiamo cambiando la gomma, diventiamo a nostra volta un’attrazione per gli abitanti del villaggio, siamo circondati da bambini e da qualche donna incuriositi da ciò che stiamo facendo, tutti sorridono e vista l’atmosfera allegra Sandro ed io estraiamo dalle custodie rispettivamente cinepresa e macchina fotografica. Le donne del villaggio ci vedono e s’inchinano, sarà un segno di rispetto? Paura? Timore? Affatto! Raccolgono dei sassi e senza dire nulla ce li tirano! Vista la reazione, ci spostiamo e velocemente riponiamo il tutto chiedendo scusa; ci allontaniamo dall’auto e con molta prudenza e calma, fotografiamo particolari del villaggio e qualche vitellino che tranquillamente riposa facendo ben attenzione a non inquadrare nessuna donna.
L’autista ha terminato di riporre gli attrezzi che sono serviti per il cambio della ruota, risaliamo sul fuoristrada e ripartiamo, ha fretta di raggiungere le altre cinque auto, guida velocemente, almeno dove è possibile, la strada è sempre sterrata e piena di rocce appuntite, deve stare attento a non bucare ancora; dopo qualche chilometro arriviamo ad un villaggio dove è esposto un cartello indicante che siamo nell’area protetta dove sono coltivate le specie endemiche. Raggiungiamo gli altri che nel frattempo, non vedendoci si fermarono ed un’auto stava venendo a vedere cosa era successo; le auto sono ferme alla periferia del villaggio ed intorno ad esse si è formato un nugolo di bambini, ci fermiamo per raccontare che l’accaduto, visto il panorama scatto qualche foto, qualche bimbo appena vede la macchina fotografica tenta di fuggire, ma riesco a “cogliere” l’immagine.
Tutti insieme riprendiamo il viaggio, siamo su una ripida strada sterrata che corre lungo il fianco della montagna, scendiamo verso valle, la strada è a tratti ripidissima ed i freni sono messi a dura prova. Ci fermiamo lungo la discesa, Omar ci fa vedere una piantina verde con dei bellissimi fiori rossi; è una delle tante specie minacciata d’estinzione per l’azione vorace e distruttiva delle capre. Riprendiamo la discesa, tutt’intorno vi è terreno brullo arricchito ed abbellito dagli alberi sangue di drago. Altra sosta, il paesaggio si è modificato e sono comparsi gli “alberi bottiglia”, Omar ne ha visto qualcuno in fiore e si è fermato per mostrarcelo; vediamo che in cima ai rami dell’albero si aprono dei bellissimi fiori rosa a cinque petali che hanno la forma di una stella, sono veramente incantevoli, infatti, questi fiori per la loro bellezza e delicatezza sono chiamati “rosa del deserto”. Gli alberi bottiglia crescono sui ripidi pendii della montagna e fotografare i fiori è un’impresa; devo stare in bilico su dei massi.
Ripartiamo diretti verso il fondo valle, le pareti della montagna sono nere per l’origine lavica che crea un forte contrasto con il nocciola della sabbia ed il bianco dei tronchi degli alberi bottiglia.
Giungiamo al fondovalle e troviamo un piccolo spiazzo posto fra enormi massi che permette un posteggio, siamo arrivati al letto di un torrente che scorre scendendo dall’alto del canyon ed è qui che ci fermeremo per la pausa pranzo. Vicino al parcheggio vi è una capanna, scorgo un dromedario che sdraiato lo stanno caricando di sacchi. Questi animali su un terreno ripido ed accidentato sono ancora un ottimo ed insostituibile mezzo di trasporto e sull’isola, nei giorni successivi ne incontreremo altri. Il proprietario è orgoglioso che noi lo fotografiamo, ci permette d’avvicinarci e con orgoglio c’invita a veder qualcosa: sono due vitellini appena nati.
Nel fondovalle tra pareti nere, tratti di parete marrone, enormi sassi, grandi pozze scavate dell’acqua nella roccia lavica, scorre un torrente di acqua freschissima; tutt’intorno palme e abitazioni, non sono capanne ma case in sasso ben costruite, gli abitanti stanno pranzando in riva al fiume, ci vedono arrivare e c’invitano a vedere degli scorci bellissimi nel fondovalle.
Faccio un giro sul letto del torrente per qualche foto, quando ad un tratto dei falchi d’Egitto si posano su una parete, prendo la macchina fotografica, m’arrampico un poco e riesco ad effettuare qualche scatto con il primo piano dei rapaci, sono soddisfatto delle foto. Mi ricongiungo al gruppo che nel frattempo su stuoie in terra sta cominciando a pranzare; pomodori, carote, zucchine, cipolle, tonno, pane, formaggini, crackers, mele, arance e biscotti: cosa si desidera di più in una sosta sul fondo di un canyon? Parte della comitiva è seduto sulle stuoie, parte sui sassi, qualcuno mangia in piedi e, tutti sono appagati.
Terminato di mangiare, seduti sui sassi, chiacchieriamo con Omar della vita nello Yemen e dell’incidenza nella vita quotidiana della religione mussulmana con i suoi riti, le usanze e le tradizioni.
Dopo la sosta, gli autisti raccolgono le stuoie, lavano i contenitori, caricano tutto sulle auto e poi si riparte; ritorniamo per la strada da dove siamo arrivati, la salita si dimostra ripida ed impervia, le auto salgono a bassa velocità, sui pendii della montagna gli alberi bottiglia, con il loro tronco bianco e le foglie verdi collocati vicino agli alberi sangue di drago, creano una visione suggestiva e magnifica, è un panorama veramente mozzafiato. I colori della montagna e delle piante si alternano, nero, marrone, grigio, verde, il cielo è sempre più nuvoloso e durante la salita cade qualche goccia di pioggia.
Il nostro autista usa molto la frizione ed in qualche occasione quando sulla salita deve ripartire, si percepisce il classico odore della frizione surriscaldata.
Durante la salita troviamo persone che scendono a piedi, poco dopo incrociamo le loro auto, gli autisti devono fare molta attenzione e alcune manovre per poter passare sulla ripida e sterrata strada ma finalmente arriviamo sull’altopiano, ne percorriamo un lungo tratto e riprendiamo la strada asfaltata. Il nostro autista guida velocemente e nelle curve non dimostra d’avere il pieno controllo del mezzo, attua delle brusche frenate oppure effettua repentine sterzate; pensare che volevamo appisolarci un poco, ma con questa guida, risulta impossibile. Un pensiero espresso a voce alta accomuna tutti noi: speriamo d’arrivare alla litoranea. Finalmente arriviamo al mare, sembra un altro mondo, le curve ed i tornanti sono terminati e la guida diventa più tranquilla, prendiamo la direzione nord est e puntiamo verso una spiaggia bianca costeggiata da una lunga striscia di conchiglie e sassi. Qualcuno di noi si getta in acqua e si gode un meritato bagno. Poco distante a noi dei villaggi, i bambini sono sulla spiaggia e si stanno divertendo giocando e facendo il bagno.
Il tramonto sta arrivando ed il sole si appresta a sparire dietro una montagna, è l’ora di rientrare in albergo; il rientro dalla spiaggia con le auto, avviene in un’ordinata fila indiana, ogni tanto le prime auto accendono le quattro frecce gialle per indicare pericolo, infatti, questo tratto di strada è “occupato” da capre che tranquillamente lo percorrono.
Salendo un promontorio ci fermiamo in coda, ed anche in quest’occasione il nostro autista ha delle difficoltà a far ripartire l’auto; l’odore della frizione surriscaldata è sempre più forte.
Arriviamo in albergo che gli ultimi raggi di sole tingono di rosso le montagne e prima di salire in camera, Omar c’invita a bere del the, i camerieri ci portano anche del caldo pane arabo appena cotto, mi soffermo a parlare con l’accompagnatore e con Omar.
Salgo in camera, doccia e poi esco con Francesca per acquistare incenso e relativi bruciatori, arriviamo in paese, ma il negozio è chiuso; visto che qui l’oscurità è già calata non ci resta che rientrare in albergo nell’attesa della cena. Sono le 19.30, il cielo è completamente stellato, nelle case qualcuno sta cenando, il meccanico, come ieri sera, sta lavorando, qualche altro negozio è aperto; dal minareto giunge la voce del muezzin che richiama i fedeli alla preghiera.
Arriva anche per noi l’ora di cena, siamo all’aperto, i tavoli come ieri sera sono posti sulla ghiaia, ma stasera appare una sorpresa, i tavoli sono ricoperti da una tovaglia di plastica; un salto di qualità da apprezzare! Arriva la cena; pane appena cotto, riso, pesce (dentice e king fisch), patate in umido, patatine fritte, the.
Dopo cena guardiamo il cielo nero completamente stellato, non vi è una nuvola, poi qualche chiacchiera, l’immancabile partita a carte ed infine si va a nanna; domani si parte per le spiagge.
17 ottobre Sveglia alle 7.00, per colazione pane arabo caldo, the, marmellata, miele, dolci, frutta. Ci stiamo preparando alla partenza, quando arrivano dei pescatori che portano all’albergo il loro pescato, hanno anche delle stupende aragoste ed è impossibile non fotografare simili bellezze. Fatte le foto, saliamo sulle auto e percorriamo la litoranea verso est, il sole è alto nel cielo azzurro, non vi è una nuvola, la pietra del terreno di colore rosastro infonde all’ambiente un’aria molto calda; noto che le case dei villaggi sono realizzate con pietra e sono decorate di bianco, mentre tutt’intorno vi sono palmeti.
Dopo qualche chilometro imbocchiamo una deviazione sulla destra e puntiamo verso un borgo, lo oltrepassiamo e in una radura troviamo una sorpresa; una piscina naturale con l’acqua di colore azzurro intenso ed è piena di bimbi che si divertono. Omar ci dice che questo è l’unico villaggio dove tutti gli abitanti sanno nuotare, infatti, possiamo ben osservare che tutti i bimbi sono impegnati in tuffi e nuotate; ci vedono arrivare e noi diventiamo l’attrazione, escono dall’acqua e ci vengono incontro chiedendoci delle caramelle. Qualcuno vuole farsi fotografare, mentre altri rifiutano, alcuni ragazzini si esibiscono in tuffi. Restiamo un pò giocare con loro e poi ci spostiamo a piedi verso il mare, appare una baia; l’acqua è chiara, trasparente, vi è una striscia di sabbia che divide la baia dal mare dove appare l’azzurro intenso del mar arabico, è veramente suggestivo. I ragazzi del villaggio continuano a giocare con qualcuno del gruppo, sono momenti spensierati e piacevoli ma Omar c’invita a salire sulle auto, dobbiamo ripartire. Lasciamo il villaggio, attraversiamo la litoranea e pochi metri dopo ci fermiamo e di fronte a noi, nel piatto terreno, si apre una voragine, un enorme buco, è un cratere rotondo dal diametro di circa 100 metri e dalla profondità di circa 20, sul fondo sono state costruite delle vasche rotonde che degradano dall’esterno verso l’interno ed è presente dell’acqua; è una salina naturale. L’acqua del mare, durante l’alta marea riesce a filtrare tramite la roccia fino a qui, si deposita sul fondo e poi, durante le giornate di sole, evapora lasciando sul fondale il sale. Qui la roccia ha tutte le tonalità del marrone ed è un piacere osservare l’effetto specchio dell’acqua sul fondo, mentre nelle vasche laterali, le più alte che sono parzialmente invase dall’acqua, la presenza del sale è visibile.
Lasciamo la salina e riprendiamo il viaggio verso est, proseguendo sempre sulla litoranea imbocchiamo una strada sulla sinistra che punta verso le montagne, cominciamo a salire in quota e poco dopo transitiamo per un valico giungendo su un altopiano brullo dove sono presenti delle piante: lo scenario è particolare. La zona è battuta costantemente dal vento, le piante crescono inclinate nella direzione del vento; sono presenti alberi sangue di drago ed alberi bottiglia, ma sono tutti di dimensioni contenute, il vento rallenta e frena la loro crescita, tutt’intorno vi sono molti arbusti verdi e fra di essi le onnipresenti capre, ma gli animali sono pochi e forse questa limitata presenza permette alla vegetazione di sopravvivere. Ci fermiamo per veder questo spettacolo e mentre siamo fermi, Omar ci mostra delle piante d’incenso, sono diverse da quelle viste ieri; il profumo della resina è proprio quello caratteristico dell’incenso che conosciamo noi, un profumo completamente differente dall’altra resina che come abbiamo visto odorava di limone.
Proseguiamo il percorso attraversando l’altopiano, scendiamo e ne troviamo un altro, stiamo viaggiando su una serie di altopiani paralleli; il terreno è brullo, dal colore rosso terra di Siena; la vegetazione cambia, come varia la struttura delle case dei villaggi. A volte le case sono realizzate con sassi e sono rettangolari o quadrate, in alcuni casi rotonde, il tetto è fatto con travi di legno e ricoperto di fango; l’occhio non si stanca mai d’osservare.
Tutti i villaggi che vediamo sono dotati di acqua potabile: essa è captata sulle montagne e tramite tubazioni di ferro o in polietilene è convogliata nelle case; le tubazioni sono appoggiate sul terreno quindi percorrendo strade, attraversando pianure e pendii delle montagne, camminando nei villaggi è “naturale” imbattersi nelle condotte principali o nelle derivazioni che vanno nelle abitazioni.
La strada scende verso il mare, arriviamo in una zona piana dove sorgono dei villaggi circondati da palme, attraversando l’ultimo villaggio ci troviamo sulla costa fatta da montagne rocciose e dune di sabbia. Su alcuni promontori sono presenti dei carri armati con i cannoni puntati verso il mare, li avevamo già notati in altri punti dell’isola, chissà a che serviranno? Come sistema di difesa non mi sembrano un gran che; ma siccome non sono qui per indagini militari, riprendo ad osservare le bellezze naturali dell’isola.
Appena usciti dal villaggio ci fermiamo, alla nostra sinistra una montagna sassosa ed alla nostra destra una collina rocciosa coperta da sabbia, mentre alle nostre spalle vi è il villaggio circondato da palme, di fronte a noi una bellissima spiaggia bianca, fatta da sabbia finissima ed il mare azzurro intenso dove sono ormeggiate le barche dei pescatori. Omar ci dice che fra poco riprenderemo le auto e mentre saliamo la collina dobbiamo tenere gli occhi chiusi ed aprirli solo quando lo dirà lui. Risaliamo sulle auto e cominciamo a salire la collina rocciosa ricoperta da sabbia, le auto avanzano sul fondo sabbioso, salgono lentamente, e come ci ha detto Omar, teniamo gli occhi chiusi. Sento la Toyota che fa fatica a salire, poi si ferma, l’autista dice “ok”, apro gli occhi e mi appare uno spettacolo magnifico, stupendo, affascinante; oltre la collina una baia dove la spiaggia forma un semicerchio verso sinistra creando una punta, la sabbia è bianchissima, l’acqua del mare va dal trasparente all’azzurro, passando per il verde e per mille altre tonalità, in lontananza il blu intenso del mare; è una visione seducente e indimenticabile per la sua incantevole bellezza: è la spiaggia di Qalansia.
Scendiamo dalla collina dirigendoci verso la spiaggia e dalla riva del mare la visuale è ancora più attraente: la spiaggia ha alla sinistra due piccole montagne dalla forma piramidale di roccia rossa, dietro di noi delle alture rocciose marroni e nere in parte ricoperte di bianca sabbia marina, mentre alla destra, la spiaggia si allunga dolcemente chiudendosi a semicerchio. Al centro della visione il mare dove l’acqua trasparente permette di veder il bianco fondale, poi diventa verdastra ed infine azzurra, un azzurro tenue che degrada man mano verso l’intenso dove si vedono i pesci nuotare otre che qualche barca di pescatori. E’ impossibile resistere ad un bagno, l’acqua è calda, è un piacere nuotare; il cielo è azzurro terso, non vi è una nuvola, il colore del cielo si confonde con quello dell’acqua e mentre nuotiamo vediamo dei pesci che saltano fuori dell’acqua, è spettacolare osservare l’argento delle squame librarsi nell’aria e poi ricadere velocemente nell’azzurro del mare.
Decidiamo di uscire dall’acqua e di far due passi sulla spiaggia camminando su questa bianca e finissima sabbia, la battigia è piena di tane di granchio identificabili dai buchi e dalle loro inimitabili piramidi conoidali; i gialli granchi al nostro avvicinarsi si nascondono e a fatica riesco a fotografarne uno nei pressi della sua tana.
Mentre passeggiamo sul bagnasciuga, qualcuno del gruppo munito di pinne e di maschera compie immersioni per ammirare i pesci colorati che nuotano vicino al fondale roccioso dei due promontori.
Approfitto di questi momenti per fare qualche fotografia alla stupenda ed incantevole baia; si avvicina l’ora del pranzo e dobbiamo lasciare questo fantastico luogo e mentre aspetto che il gruppo si riunisca, salgo su una delle montagne arrampicandomi sulla roccia e dall’alto lo spettacolo è ancora più bello ed incantevole. Vi sono degli scorci creati dalle rocce che formano spettacolari giochi d’ombra con lo sfondo del mare mentre all’orizzonte, l’azzurro del mare e del cielo si uniscono. Ma purtroppo è l’ora di ripartire, scendo dalle rocce facendo attenzione a non scivolare, vorrei evitare di farmi male proprio qui.
Con le auto partiamo per la sosta pranzo, attraversiamo il villaggio e giunti nel palmeto, ai bordi di un torrente in secca ci fermiamo; per terra gli autisti hanno steso delle stuoie per sederci; vicino a noi pascolano delle capre e si aggirano falchi d’Egitto. Si pranza; verdure tagliate in insalata, tonno in scatola, sottilette, formaggini, mele, arance, uova sode, pane ed un dolce locale fatto con sesamo e pistacchi.
Durante la pausa faccio un giretto per osservare com’è fatto il villaggio, le abitazioni sono edificate con sassi, ben squadrati, di colore rosso, mentre le pietre angolari sono mattoni di cemento di colore grigio ed hanno una doppia funzione quella di dare stabilità e quella decorativa.
Dopo la sosta ripartiamo diretti alla spiaggia delle tartarughe, ripercorriamo la strada di stamattina.
Arriviamo ad un valico, iniziamo la discesa che ci porterà alla litoranea, ci avviciniamo ad una spiaggia delimitata da un tratto di costa con sassi e conchiglie, siamo sulla spiaggia delle tartarughe, una lunga e bianchissima spiaggia, dalla sabbia finissima dove in primavera questi simpatici animali vengono a deporre le uova.
Facciamo un bagno e poi ci concediamo un po’ di relax sulla spiaggia, ma il tramonto si avvicina, qualche foto e poi ripartiamo, dobbiamo percorrere oltre 40 chilometri per raggiungere l’albergo. Durante il viaggio superiamo dei villaggi dove, illuminati dal sole del tramonto, sono esaltati i colori della pietra; il rosso ed il bianco creano particolari ed affascinanti giochi di luce. Sulla strada incontriamo dei dromedari al pascolo e le immancabili, onnipresenti capre, mentre i bimbi giocano vicino alla carreggiata ed al nostro passaggio ci salutano; col loro sorriso rallegrano e ravvivano l’ambiente già incantevole per i colori del tramonto.
Il nostro autista, forse per la carenza di qat, manifesta qualche problema ed incertezza nella guida, dobbiamo parlare ad alta voce e con toni decisi per tenerlo sveglio e possibilmente attento; arriviamo vicini alla città ed accende la radio, sembra dare dei segni di vita e lo sguardo appare un po’ meno stanco, o almeno così sembra. Con la radio a volume alto cerca di canticchiare qualche ritornello e così evita di distrarsi. Scopriamo che ha 42 anni, ma ne dimostra molti, molti di più.
Arriviamo in albergo, qualche chiacchiera e prima di salire in camera un bicchiere di the caldo fa proprio bene; visto le aragoste di stamattina chiedo se è possibile per domani sera averne per cena, l’albergatore conferma e concordiamo per mezza aragosta a testa, ma solo su prenotazione ed a pagamento.
Mi reco in camera, doccia e l’acqua pare essere un bel mix tra calda e fredda, ma forse è solo l’effetto del sole preso in giornata, ho le spalle rosse e dopo la doccia spalmo crema lenitiva a volontà. Durante il riposo, nell’attesa di ricongiungermi agli altri del gruppo, guardo le foto della giornata; alcune sono proprio belle.
Alle 18.50 abbiamo concordato un appuntamento fuori dell’albergo, la sorella di un autista gestisce un negozio di una cooperativa per lo sviluppo dell’isola dove raccolgono l’incenso e lo vendono. In gruppo ci rechiamo presso il negozio e troviamo incenso, mirra, bruciatori per le resine, tessuti, manufatti in cotone e paglia, vasellame in terracotta; siamo nel regno dell’incenso e per aiutare anche la cooperativa locale decido di acquistare qui i prodotti piuttosto che da altre parti. Una confezione m’incuriosisce molto è “Sangue di drago”, una resina granulare, di colore rosso, estratta della pianta che abbiamo visto nei giorni precedenti; le scritte riportano che è un ottimo cicatrizzante ed è indicato anche per combattere la stanchezza se usato come pediluvio; ne acquisto delle confezioni oltre all’imperdibile incenso.
Rientriamo in albergo per la cena; pane caldo, riso, agnello e pollo al cartoccio, pesce (King fish), patatine fritte, the. Mentre facciamo l’elenco per le aragoste di domani sera, la situazione è sempre rallegrata dalle caprette che, insistentemente, chiedono cibo, ma ormai abbiamo imparato a dar loro da mangiare a cena terminata, onde evitare di avere degli inattesi e voraci commensali a tavola.
Terminata la cena, sparecchiati i tavoli, l’immancabile partita a carte e qualche espediente per allontanare le capre che vogliono appropriarsi anche delle carte.
Domani la sveglia sarà alle 6.30, ci aspettano oltre 100 chilometri di strada, Omar afferma che vedremo i delfini, conoscendolo gli credo, finora quello che ha detto si è sempre avverato.
18 ottobre La sveglia suona … Ovvero è Omar che girando per l’albergo canta “Il capitan della Compagnia”, la domanda che mi sorge è; ma come fa un yemenita che ha imparato l’italiano a Torre del Greco, a conoscere una canzone degli alpini? Tra l’altro è intonatissimo e non sbaglia una nota od una frase; è veramente un personaggio eclettico ed incredibile.
Colazione; pane caldo, marmellata, miele, mele, the e per chi vuole caffè spruzzato di latte. Terminata la colazione, Fernanda mi chiede se posso aiutarla per una medicazione, due ragazzi che ieri sera hanno cucinato alla griglia si sono ustionati gli occhi, con farmaci appropriati effettuiamo le medicazioni agli increduli pazienti; nessuno si sarebbe aspettato un intervento immediato e competente.
Saliamo sulle auto e partiamo in direzione nord-est, lungo la litoranea superiamo il porto marittimo dell’isola che praticamente è un molo dotato di una gru, dove attraccano le navi; sono presenti dei camion che posteggiati in fila indiana aspettano il loro turno, poco distante una nave sta compiendo le manovre per attraccare e scaricare il suo carico.
Mentre viaggiamo superiamo dei villaggi realizzati con sassi rosati e vediamo nell’azzurro mare possiamo osservare dei gruppi di delfini che nuotano liberamente. Dopo qualche chilometro abbandoniamo la litoranea e percorrendo una strada sterrata e sabbiosa che corre parallela al mare arriviamo ad un promontorio roccioso, siamo nell’area protetta di The Ert, una spiaggia bianca che termina in una penisola con due spuntoni rocciosi di colore rosso ed una baia sassosa, siamo sulla spiaggia di Dihamri. Un piatto terreno sassoso dà accesso alla baia che, osservandola da ovest, ha da un lato la montagna che precipita nel mare e dall’altro lato la penisola con le due colline rocciose. La spiaggia cambia continuamente, a tratti è sassosa, a tratti scogliosa, a tratti sabbiosa; il nome della spiaggia sembra esser d’origine portoghese. Un segmento di spiaggia è attrezzato con ripari per chi vuole cambiarsi o pernottare ed, in effetti, sotto una tettoia vediamo delle tende montate dove qualcuno dorme ancora profondamente.
Dietro suggerimento di Omar qualcuno del gruppo si tuffa in acqua per veder i pesci ed i coralli presenti sui fondali rocciosi; mentre io ne approfitto per fare un giro lungo la riva e scattare delle fotografie.
Guardando in lontananza vedo la spiaggia di Delisha, la spiaggia che abbiamo visto il primo giorno di permanenza sull’isola; è riconoscibile dall’imponente duna di sabbia appoggiata alla montagna.
Scrutando il profilo della montagna nella parte che volge verso est vedo che il fianco termina con delle colline sassose, il cui colore va dal nero al marrone e le colline degradano dolcemente sia verso il mare sia verso l’interno dove è presente una zona desertica. In questa fascia di costa vi è della roccia rossa che degrada nel mare ed a tratti affiora dal bianco fondo sabbioso. Camminando sulla riva noto gabbiani e pesci morti per lo spiaggiamento mentre nell’acqua chiara e trasparente vedo dei pesciolini che riesco a fotografare insieme a dei gasteropodi ed alcuni granchi.
Mentre parte del gruppo prosegue nel bagno mi dirigo verso la parte est della baia dove vi sono i due spuntoni rocciosi ed osservo che sulla riva in alcuni anfratti l’acqua che si deposita per l’alta marea durante il giorno evapora lasciando del sale. Camminando posso ammirare come la costa offre delle spiaggette sabbiose, molto nascoste agli occhi dei più come se la stessa baia volesse proteggere queste piccole e stupende insenature dove l’acqua appare trasparente; mi avvicino così ad uno spuntone roccioso ed arrampicandomi tra sassi ed arbusti riesco a raggiungere la cima, da qui la vista è meravigliosa e noto che oltre questa baia alla mia destra appare una spiaggia bianchissima a perdita d’occhio, popolata solo da gabbiani, dove il mare è di un azzurro trasparente; è un incanto restare qui ad osservare tanta bellezza. Scendo dallo spuntone e ritornando verso il gruppo noto il terreno sassoso che presenta i luoghi dove le capre vengono a sostare per la notte.
Raggiungo il gruppo e poco dopo lasciamo quest’area protetta costeggiando la bianca spiaggia vista precedentemente dalla collina. Ritornando sulla litoranea attraversiamo dei villaggi di pescatori e viaggiando possiamo avvistare dei branchi di delfini che nuotano indisturbati in un mare che è sempre, costantemente, azzurro turchese costeggiato dalle spiagge bianche che creano luoghi di una bellezza strabiliante.
Lungo il percorso ci fermiamo più volte per ammirare e fotografare degli scorci dell’isola dove il paesaggio presenta dei tratti desertici, dei villaggi circondati da palmeti e mentre ci avviciniamo alle montagne compaiono gli alberi bottiglia. Visto che sono così vicini, ci fermiamo per fotografarli; sono proprio alberi curiosi, il tronco parte largo alla base e velocemente si stringe a cono, dando l’impressione proprio di una bottiglia; le foglie sono presenti solo alla sommità dei rami e sono ovali, carnose e raggruppate in piccoli ciuffetti, mentre il colore del tronco è nocciola chiaro, tendente al lucido, che da lontano appare argentato.
Nei villaggi osservo la struttura delle case dove i muri sono innalzati con sassi ben lavorati e squadrati ad arte, mentre i tetti sono terrazze realizzate con travi poi ricoperte di fango. Mi accorgo che adiacenti ad alcune case vi sono orti dove sono coltivati ortaggi e verdure, cintati, per proteggere il raccolto dalle capre. Nei dintorni dei villaggi e sui fianchi della montagna, come già osservato in precedenza, ogni tanto si vedono dei tubi che trasportano l’acqua alle abitazioni.
Proseguendo nel viaggio in lontananza noto delle ruspe e mentre ci avviciniamo, improvvisamente la strada asfaltata termina, iniziamo a percorrere una carreggiata sterrata che in principio è molto larga, ma ben presto si restringe e poco dopo arriviamo in un cantiere dove vi sono mezzi ed operai che stanno costruendo la massicciata della carrozzabile per poi asfaltarla; ed è proprio come ci aveva detto l’accompagnatore l’altra mattina ad Hadibu: stanno costruendo la litoranea verso est.
Continuando nel tragitto, incontriamo altri villaggi ed uno di questi attira la mia attenzione: le barche dei pescatori sono in rada in un mare verde trasparente circondato da una spiaggia bianchissima. Costituiscono un’ottima inquadratura fotografica ed è impossibile non fare foto con questi colori che vanno dal bianco della sabbia all’azzurro del cielo passando per mille tonalità di azzurro e verde dell’acqua.
Riprendiamo il percorso e ci dirigiamo verso una montagna lavica che degrada imponente nel mare, sui suoi fianchi sono appoggiate dune di sabbia bianchissima che scendono dolcemente verso il mare ed ai loro piedi una spiaggia di sabbia bianca, costeggiata da un tratto di rocce rosse dove le auto si fermano: siamo giunti a Irisseyl. Scendiamo dalle vetture e superate le rocce, ci troviamo su una lunga spiaggia bianca dalla sabbia finissima, lambita dalle limpide acque di un mare incantevole dove è impossibile resistere alla voglia di tuffarsi; l’acqua è calda ed è un immenso piacere restare immersi, mentre nel limpido fondale sono visibili pesci che liberamente nuotano indisturbati. Nuotando e chiacchierando l’ora di pranzo arriva velocemente, lasciamo gli ombrelloni e le salviette sulla spiaggia, prendiamo le auto e ci dirigiamo verso la parete della montagna, dove si apre un’enorme grotta naturale entro cui gli autisti hanno steso le stuoie e seduti su esse o sui sassi possiamo pranzare; riso, verdure, tonno in scatola, formaggini, biscotti, mele, arance, the con cardemonio, cannella e chiodi di garofano (molto buono e gustoso).
A fianco della grotta giunge un’altra Toyota, trasporta tre turisti, sentono la parlata italiana e si fermano a scambiare qualche parola, sono di Verona.
Terminato il pranzo dobbiamo ritornare velocemente alla spiaggia dove ci aspettano delle barche che Omar ha prenotato e il programma è navigare lungo la costa per vedere i delfini. Ritornati sulla spiaggia, solo una parte del gruppo s’imbarcherà, mentre gli altri decidono di rimanere in spiaggia a godersi il mare, l’azzurro del cielo ed il caldo sole.
Saliamo su due barche di pescatori, lunghe e sottili e velocemente lasciamo la spiaggia e ci dirigiamo verso il mare aperto e poi verso la punta est dell’isola, dove dicono vi siamo i delfini. Dopo qualche minuto di navigazione vediamo una pinna che emerge dall’acqua, ma è lontana, i pescatori sono dubbiosi che si tratti di un delfino ed infatti poco dopo vediamo un soffio d’acqua dirigersi verso il cielo; è una balenottera che sta nuotando vicino alla riva. La navigazione riprende verso la punta est dell’isola dove giungiamo quasi dopo un’ora. Qui per la presenza di qualche nuvola il mare appare scuro, siamo al termine del mar arabico all’inizio dell’oceano indiano e dei delfini neppure l’ombra. Proseguiamo nella navigazione ed i pescatori che appaiono delusi per la mancanza dei mammiferi decidono di fare un giro vicino alla punta dell’isola, ma non sono molto convinti, quando ad un tratto il fondale marino sembra muoversi, sembra avvicinarsi a noi qualcosa di nero che si sta muovendo sott’acqua: è un’enorme manta che dolcemente si libra nell’acqua. Dei delfini proprio nessuna traccia, ormai sconsolati decidiamo di rientrare verso la spiaggia, quando all’improvviso dal mare esce una pinna, un’altra ed un’altra ancora; è un branco di delfini che sembrano sbucati dal nulla. Noi ci muoviamo con le barche e loro ci seguono, ad un tratto l’incredibile Omar comincia chiamare “Gaspare” ed un delfino sembra ascoltarlo, appare in continuazione vicino alle nostre barche. E’ un continuo di emersioni e di tuffi da parte di questi stupendi animali, Sandro riprende con la videocamera, io cerco di fare qualche scatto, ma fotografare in queste condizioni è veramente difficile, seguiamo a lungo i delfini; sono momenti veramente incantevoli ed indimenticabili.
Il mare è trasparente, si vede il fondale sabbioso posto 10 metri sotto di noi e mentre qualche pescatore si tuffa nella stupenda e trasparente acqua, dall’altra barca, dove prima arrivavano degli schiamazzi ora giunge un silenzio assoluto, che è successo? Lo saprò solo a terra: in seguito ad un brusco movimento, la barca si era paurosamente inclinata e stava per capovolgersi, solo la prontezza di riflesso dei pescatori che spostandosi, è riuscita a raddrizzarla, ma lo spavento è stato da parte di tutti elevato. A dire il vero durante la navigazione, qualche timore di cascare in acqua lo ha avuto pure io, ero preoccupato non tanto per me ma per la macchina fotografica ed il mio prezioso Moleskine®, che sarebbero irrimediabilmente affondati.
Si sta facendo tardi e l’ora del rientro si avvicina, ritorniamo alle auto e durante il rientro alla spiaggia in lontananza rivediamo la balenottera che si sta dirigendo verso il largo: è veramente una giornata indimenticabile! Mentre rientriamo con la barca, passiamo vicino ad un tratto di costa ed i pescatori ci fanno notare un tubo che esce dalla montagna e riversa acqua in mare, qui la chiamano “doccia”: è una sorgente di acqua dolce che viene riversata in mare. In una terra tanto arida questo è un vero spreco, osservo che la gettata è cospicua, vedendo il diametro del tubo e l’acqua che fuoriesce, stimo siano almeno dieci litri al minuto, ovvero seicento litri all’ora, quindi 14.400 litri al giorno di acqua dolce che è gettata in mare. Uno spreco immenso! Utilizzarla per l’agricoltura, con un clima così caldo, darebbe la possibilità d’avere frutta, verdura ed ortaggi freschi per quasi tutto l’anno e così integrare sensibilmente l’alimentazione della popolazione, oltre che diminuire la dipendenza dal continente; speriamo che col giungere della strada asfaltata qualche utilizzo razionale lo trovino.
Sbarchiamo sulla spiaggia che il sole si sta approssimando al tramonto, paghiamo i barcaioli e ci ricongiungiamo al resto del gruppo e troviamo una sorpresa; hanno trascinato fuori dall’acqua un pescespada di circa due metri. Parlando con i pescatori che lo stanno osservando e esaminando le ferite sulla pancia e sulle branchie, ci dicono che il pesce è stato ferito al largo, probabilmente da qualche rete ed una volta morto è stato trascinato a riva dalle onde del mare; sarà un buon pasto per granchi ed uccelli.
Siamo in prossimità del tramonto e prima di partire scatto qualche foto al mare, alle barche avendo come sfondo le montagne, quindi saliti sulle auto partiamo diretti all’albergo e ripercorriamo la strada sterrata avendo all’orizzonte il colore rosa del tramonto, le nuvole ed il mare tinti d’azzurro cupo; i colori assumono tonalità pastello, tutto è incredibilmente affascinante. Pare d’essere e di viaggiare in un dipinto dai colori delicati, il marrone delle montagne cambia d’intensità come il rosa delle case e dei sassi. Raggiungiamo e superiamo il cantiere stradale, tra le baracche vedo una persona camminare con una capra sulle spalle, la testa ciondolante dell’animale è coperta da un fazzoletto, probabilmente la capra è stata uccisa secondo la tradizione mussulmana; sgozzata con la testa rivolta verso la Mecca.
Poco dopo riprendiamo la strada asfaltata è già buio e le luci delle lampadine illuminano le case dei villaggi evidenziando il colore rosso e giallo della pietra, la strada non è illuminata e sono accesi i fari abbaglianti; la velocità di marcia varia secondo il tratto stradale a 80 km/h l’auto è stabile, a 90 già la si percepisce leggera, ma vi sono tratti in cui l’autista spinge l’auto fino a 120 km/h e qui non siamo per nulla tranquilli anche perché, in prossimità delle curve, compie brusche frenate; meno male che siamo in colonna e non può superare le auto dinnanzi a noi.
Arriviamo in albergo che la vita serale è già iniziata, qui il sole sorge alle 5.30 e tramonta alle 17.30 ed alle 18 la gente comincia a cenare; ci sediamo ai tavoli e mentre sorseggiamo dell’ottimo the caldo, guardiamo le foto scattate durante la giornata, soprattutto quelle dei delfini e mentre osserviamo le foto, Omar e ci comunica che le aragoste non sono arrivate, quindi stasera per cena si avrà solo pesce, promette che sarà molto buono e pregiato; peccato che non possiamo degustare i crostacei.
Salgo in camera e non c’è energia elettrica, scendo alla receptions e nel mio inglese stentato riesco a farmi capire, ma chi fra me ed il ragazzo della receptions conosce meglio l’inglese è una bella scommessa; comunque dopo qualche tentativo effettuato sul quadro elettrico generale, l’energia arriva.
Doccia e poi un bello strato di crema sulla schiena e sulle spalle per l’arrossamento dovuto al sole. Sdraiato sul letto sto pensando alla giornata odierna, alle bellezze viste, alle meravigliose spiagge bianche dalla sabbia finissima, all’acqua trasparente, ai delfini ed ai colori del tramonto; un idillio vero e proprio. L’incredibile Omar aveva ragione, quando affermava che, secondo lui, l’ultima spiaggia che avremmo visto sarebbe stata la più bella di tutte, ed ora posso solo confermare e condividere questa sua affermazione; Omar aveva ragione anche quando ci ha suggerito di noleggiare delle barche per avvicinarci alla punta est per osservare i delfini, proprio un grande ed insuperabile personaggio.
Mentre lascio la camera mi ricordo che al mattino ho dato ad Omar delle magliette che non volevo riportare a casa e che Omar le ha regalate a dei ragazzi, quando arrivo al ristorante trovo una sorpresa; due camerieri indossano le mie magliette, a dire il vero sono un po’ “abbondanti” per loro, ma sono felicissimi di portarle.
Arriva l’ora di cena e a noi resta la voglia di aragosta; ci è servita una zuppa saporita e pepata, patate fritte, pesce a volontà (dentice e cernia). E’ una serata nuvolosa e ventosa, dopocena si chiacchiera e si gioca a carte, nel cielo di Socotra le nuvole lasciano un po’ di spazio alla volta celeste e questo ci permette d’osservare le stelle, verso le 22 andiamo a dormire, dobbiamo preparare le valigie perché domani si ritorna sul continente.
19 ottobre La sveglia è puntata alle 6.00, ma sono sveglio da un pò in quanto devo mettere della crema sulla schiena arrossata, il sole di ieri ha fatto effetto sulla mia non abbronzata pelle. Guardo fuori dalla finestra ed è tutto nuvolo, guardo meglio … piove e piove copiosamente, dalla valigia estraggo il ky-way ed indosso dei pantaloni da trekking, li cambierò, quando arriverò a San’à.
Colazione; pane arabo caldo, marmellata, miele, dolce locale al pistacchio, the. E mentre si avvicina l’ora della partenza, salgo in camera per prendere la valigia e guardando fuori dalla finestra, sotto una pioggia leggera ma incessante vedo un ragazzo che chinato è intento in “bisogni personali”, quando ha terminato che fa per pulirsi? Cerca accuratamente dei sassi, li sceglie rotondi, si pulisce e poi li getta sul terreno. Diciamo; paese che vai, usanze che trovi! Annoto il particolare sul Moleskine® e ridendo abbandono la camera, poi ci ritroviamo tutti fuori dall’albergo e carichiamo le valige sulle auto, mentre sta riprendendo a piovere intensamente. Dopo aver salutato e ringraziato i camerieri, ci avviamo verso l’aeroporto; sulla strada bagnata incontriamo moltissime pozzanghere, alcune veramente grandi e notiamo che in alcuni tratti la montagna è franata ed i sassi sono sulla carreggiata quindi la velocità di marcia non è elevata anche perché l’autista lesina nell’uso dei tergicristalli. Ogni tanto azzarda qualche sorpasso da brivido, tipo prima di un dosso oppure su un rettilineo mentre in direzione opposta sopraggiunge un pulmino (che per nostra fortuna gira in una strada laterale); comunque arriviamo in aeroporto sani e salvi, ma continua a piovere e la temperatura è calda ed umida.
Entriamo nell’aeroporto dove ci accoglie un ambiente caldo, afoso e senza circolazione d’aria. Facciamo il chek-in ed Omar deve imbarcare dei sacchi; sono parte dell’attrezzatura di Yemen Old Splendor che erano sull’isola: sono tende e relativa paletteria. Superati i controlli i nostri bagagli sono caricati su dei carrelli collocati all’esterno dell’edificio, ma continua a piovere ed i carrelli sono senza copertura; affannosamente degli addetti stanno cercando qualcosa ed infatti, poco dopo arrivano dei teloni per coprire i bagagli.
Per accedere alla sala d’aspetto dobbiamo superare anche qui minuziosi controlli, gli uomini sono ispezionati all’ingresso, mentre le donne sono invitate ad entrare in un locale dove sono perquisite.
Durante l’attesa dell’imbarco approfitto per annotare delle veloci considerazioni: l’isola che stiamo per lasciare è un vero ed unico paradiso botanico, le piante ed i fiori endemici sono veramente spettacolari, peccato che l’introduzione delle capre stia mettendo a serio rischio questo incantevole luogo. L’isola nel suo complesso è in piena evoluzione, un turismo, limitato, educato e consapevole è sicuramente un indispensabile aiuto per lo sviluppo complessivo.
L’aereo che arriva è un Boeing 737 ed atterrando sulla pista bagnata solleva una gran nuvola d’acqua, poi si ferma, scendono dei passeggeri e sono scaricati i loro bagnagli ed infine il carrello con le nostre valigie è spinto a mano fino all’aereo, mentre nella sala d’attesa il personale dell’aeroporto cerca di aprire la porta d’uscita per permettere il nostro transito verso l’imbarco, ma la serratura non si apre e solo dopo vari tentativi, la porta aprendosi ci permette d’uscire e di dirigerci, a piedi, verso l’aereo. C’imbarchiamo e decolliamo con 10 minuti di anticipo, un ultimo sguardo alle montagne coperte dalle nuvole e poi, alzandosi in volo, l’aereo vira verso sinistra e dal finestrino vedo solo il mare, mentre dal lato opposto intravedo qualche spiaggia, ma la salita è veloce e raggiungiamo subito le nuvole dove tutto diventa prima grigio, poi bianco e dopo pochi minuti compare l’azzurro del cielo; chissà che tempo troveremo a San’à? Durante il volo aggiorno il diario scrivendo gli ultimi dettagli, dopo mezz’ora di volo appare la costa desertica del continente, faremo uno scalo a Al-Mukalla, l’aereo inizia la discesa sopra un mare azzurro disseminato di bianche nuvole e lontano il marrone del deserto; dal finestrino si vede la costa con la sua spiaggia affiancata da una sottile striscia di pianura e poi le verticali pareti che forma l’altopiano. Poco dopo atterriamo e qualcuno scende poi altri salgono, l’aereo si riempie e decollando siamo in volo diretti a San’à. Sorvoliamo l’altopiano che si distende a perdita d’occhio è interrotto solo dai Wadi che scavati dell’acqua nei millenni mostrano queste immense valli che solo dall’alto si possono osservare in tutto il loro splendore. I sinuosi percorsi dei Wadi si presentano come enormi spaccature nella piatta terra dell’altopiano con ai lati pareti verticali e rocciose che precipitano fino al fondale piatto dove sorgono villaggi circondati da palmeti, dove il verde emerge tra il nocciola della sabbia ed il grigio delle rocce dell’altopiano e sul fondo si nota il bianco/nocciola dei percorsi dei fiumi attualmente in secca.
Dopo l’altopiano, la “quarta dimensione”: il deserto. Un unico colore a perdita d’occhio, vedendolo dall’alto si comprende perfettamente la differenza fra la zona desertica ed il deserto vero e proprio. Nella sua superficie sabbiosa vi sono, come incisi, i segni delle piste tracciate dai fuoristrada che lo attraversano; ma lo sguardo si perde nel vuoto, tutto è colore sabbia e solo ogni tanto dei piccoli affioramenti rocciosi. Sono chilometri e chilometri di sabbia uniforme con qualche duna ed ai margini del deserto oasi di ogni dimensione e fra esse il collegamento con una strada asfaltata.
Terminato il deserto, inizia la zona desertica e poi un pò di verde con qualche villaggio, successivamente la catena montuosa dove le montagne talvolta sono imponenti, rocciose e di colore grigio.
Infine si notano case, città, terreni coltivati, zone industriali quindi potremmo essere vicini alla capitale, ed infatti, poco dopo atterriamo. Lasciamo l’aereo, entriamo nella struttura aeroportuale, la sala d’ingresso per i voli internazionali e nazionali è la stessa, ma la differenza è che ora mancano i controlli doganali. Ritiriamo le valigie, usciamo nel posteggio e troviamo i nostri mezzi; le Toyota? Ritroviamo i pulmini del primo giorno e come già fatto precedentemente, su uno carichiamo le valigie e sull’altro saliamo noi. Partiamo per la città, il ramadam è davvero terminato e c’è molta gente per le strade, stiamo percorrendo un viale, quando in un incrocio vediamo un incidente appena accaduto, un fuoristrada contro un’auto, il fuoristrada è capovolto ed i feriti sono estratti in modo fortuito dai passanti. Poco dopo giungiamo nei pressi di un parco giochi che è molto affollato, proseguiamo ad arriviamo a San’à dove salendo sulla collina giungiamo in hotel. I soliti, immancabili controlli all’entrata e poi veniamo accolti con un cocktail di benvenuto. Ci assegnano le camere, io ho la 304 e questa volta dalla finestra non vedo San’à ma la montagna che, imponente domina la città ed in cima è visibile la fortezza.
Mi cambio, abbandonando i vestiti usati sull’isola ne indosso di puliti, scendo per il pranzo: è a buffet e dopo quattro giorni trascorsi sull’isola, sembra incredibile tanta scelta; antipasti, pasta, carne, pesce, verdure, dolci.
Dopo il pasto, un attimo di relax, chi va in piscina, chi disfa le valigie; alle 15.30 è previsto il ritrovo nella hall dell’albergo e la partenza per il suq della città; una ghiotta occasione per dedicarsi a compere. Partiamo e percorrendo la periferia della città velocemente arriviamo a destinazione, siamo nella parte delle gioiellerie ed Omar ci spiega che per tradizione, l’acquisto dei gioielli è riservato solo alle donne, anche se un uomo vuole fare un regalo, devono essere loro stesse a recarsi in gioielleria e quando è acquistato e regalato dall’uomo, spesso si recano nel negozio per cambiarlo.
Giriamo per il suq osservando un pò di negozi, da quelli di pentolame, dove le pentole d’ottone e di alluminio esposte brillano colpite dai raggi del sole, a quelli degli chador neri con decorazioni sulle maniche, ed è quasi impressionante vedere un negozio mono tono in mezzo a tanti altri variopinti. Proseguiamo il giro tra case di mattoni di fango dove l’atmosfera è fiabesca. Vediamo negozi di fiori di plastica, negozi di tessuti variopinti, botteghe dove vendono il nargileh. Una curiosa bottega colpisce la mia attenzione; sembrano cesti, ma non lo sono, hanno una forma strana, si presentano con una parte semisferica fatta di tessuto, sopra un piatto fatto con canapa intrecciata e posto al centro del piatto un pomello. Incuriosito chiedo ad Omar cosa sono e mi spiega che è lo strumento utilizzato in cucina per porre il pane da cuocere nel forno; in effetti, questo utensile mi era noto, l’avevo visto utilizzare più volte, qui il pane è cotto in forni di terracotta che sono simili ad enormi vasi dalle pareti rotonde e bombate che degradano verso l’alto. Il fuoco è posto al centro del forno e la pasta del pane una volta tirata e bagnata, posta su questi strumenti è appoggiata alle pareti del forno dove cuoce.
Oggi è un vero piacere girare per le vie del suq, le strade sono pulite, c’è poca gente ed è veramente divertente passeggiare e osservare; fotografo alcuni negozi di jambiye dove i venditori sono intenti a masticare qat ed hanno la classica protuberanza nella guancia.
Proseguiamo fra le spettacolari case di San’à diretti verso la parte centrale del suq, dove ci sono venditori di tabacco intenti a tagliare le foglie, negozi con disegni di hennè che sono utilizzati dalle donne per decorare le mani, i copricapo arabi in decine di colori. A questo punto sono del tutto scontati gli acquisti: stoffe, miniature di case delle Yemen che bene si adattano ai nostri presepi, gioielli in argento, jambiye e shuma (il particolare pugnale utilizzato da nobili e dalle personalità).
Il tramonto giunge dando l’annuncio dell’approssimarsi dell’oscurità e si avvicina l’ora del rientro, quindi riprendendo i pulmini ritorniamo in albergo dove il poter fare una bella doccia calda da una sensazione paradisiaca. Cena a buffet e la sera siamo tutti un poco disorientati, stamattina eravamo a far colazione in tutt’altra dimensione, ora siamo qui in un albergo di lusso con tutte le comodità possibili; il contrasto fra i due mondi è molto forte. Pensando a quanto visto e vissuto a Socotra, quello che prima poteva sembrare sporco, ora sembra quasi pulito. Posso veramente dire dalle capre alle stelle, mentre a fine pasto quello che manca è un pò di the servito nei bicchieri di vetro ed il pane appena cotto sulla piastra.
Dopo cena l’immancabile partita a carte, qualche chiacchiera e poi ci si ritira nelle camere, dormire sotto un piumone è una sensazione magnifica, serve proprio un bel sonno ristoratore e devo combattere pure il raffreddore che ho preso nei giorni scorsi per lo sbalzo termico tra l’esterno e l’aria condizionata degli alberghi.
20 ottobre La sveglia doveva suonare alle 7.00, ma il telefono dell’albergo è restato muto, per fortuna e per maggior sicurezza ho puntato la mia sveglia. Facciamo colazione e poi ci prepariamo per un’escursione nella parte montuosa dello Yemen, infatti, il programma prevede spostamenti per oltre 270 km e sarà una lunga giornata; armato di guida, Moleskine®, macchina fotografica e cappello parto. Sul piazzale dell’albergo ritroviamo Hamed e tutti gli altri autisti che avevamo a Sayun, noi 4 siamo contenti di aver ritrovato Hamed e non aver più l’autista di Socotra. Lasciamo San’à diretti verso i monti Haraz (GE 167) (LP 232) a oltre 90 chilometri ad ovest della capitale.
Attraversiamo la città nel traffico sostenuto dove suonano sempre e mentre ci muoviamo dalle vie laterali compaiono dei venditori che si stanno recando al suq trasportano su carriole pannocchie e fichi d’india ed in mezzo al traffico occorre stare attenti a queste persone che si muovono repentinamente. Le carriole sono pure una caratteristica del suq, infatti, girando per le strette vie occorre fare attenzione a questi mezzi di trasporto, onde evitare d’essere colpiti nelle ginocchia.
Uscendo dalla città arriviamo su una collina, da dove si domina gran parte di San’à e qui facciamo una sosta al cimitero cinese; l’aera presenta un monumento, delle tombe con fiori e siepi ben curate e sul prato, al posto dell’erba, sono coltivate piante grasse. In questo luogo riposano le spoglie di lavoratori cinesi, inviati da Mao Tse-Tung per la costruzione della strada che da San’à porta ad Aden: la strada che congiunge la capitale al mare. Ai tempi, lo Yemen, era parte del blocco comunista e l’aiuto per lo sviluppo ricevuto dalla Cina era composto sia da una parte economica e sia da una parte di maestranze necessarie per la progettazione e la realizzazione della strada che porta il nome di Mao Tse-Tung ed in questo cimitero ogni anno è commemorata l’opera delle maestranze cinesi. Omar ci racconta che molti operai cinesi non sono morti per il lavoro, ma a causa del morso di un serpente velenoso presente sulle montagne che, somigliante ad una specie innocua presente in Cina, era sottovalutato.
Poco sotto la collina sorge il tempio egiziano; è il ricordo della guerra civile yemenita, tra monarchi e repubblicani, guerra che causò oltre tre milioni di morti e che oggi è ritenuta inutile.
Lasciamo questi luoghi e riprendiamo il viaggio verso le montagne dell’Haraz. Appena lasciata la periferia di San’à la strada sale verso alcune colline fatte di roccia basaltica marrone e dove è presente del terreno vi sono terrazze coltivate a mais e sorgo. Nei punti strategici ed in cima alle colline sorgono i villaggi fortificati le cui abitazioni sono realizzate con pietra e presentano decorazioni bianche. Questi villaggi visti da lontano assomigliano a dei piccoli presepi e l’occhio si perde nell’altipiano coltivato e costellato da questi borghi.
Proseguendo arriviamo ad un valico e superatolo troviamo un altro altopiano, la strada si snoda lungo pendii terrazzati, qui siamo a quasi 3.000 metri s.L.M. Ed il paesaggio è completamente brullo. Le montagne sono interamente terrazzate con muri a secco ed il colore dominante è il marrone della terra, mentre il verde è presente solo in qualche campo coltivato e nei presi di alcune case.
Sugli altopiani la presenza di villaggi fortificati è costante, ve ne sono ovunque, sempre arroccati sulle cime delle montagne o delle colline ed il loro colore si mimetizza benissimo con l’ambiente brullo ed a volte è difficile individuarli.
Arriviamo in un borgo: sulla strada si aprono negozi e gli autisti si fermano per acquistare il qat giornaliero, noi approfittiamo della sosta per fare due passi, ma veniamo letteralmente assaltati dalla gente che ci chiede soldi; distribuiamo penne e caramelle. Noto che in questo villaggio, sulla strada sono depositati sacchetti di plastica, carta e altra sporcizia in quantità notevole; è strano trovare tanto lerciume, gli altri villaggi erano decisamente più puliti.
Ripartiamo e lungo l’itinerario incrociando moltissimi camion stracarichi di mercanzia che viaggiano in senso contrario al nostro; è la merce proveniente dal mare diretta alla capitale. I mezzi viaggiano lentamente sia in salita, ma soprattutto in discesa dove i freni sono sottoposti ad un gran lavoro. Fermo ai bordi della strada vediamo un camion il cui carico di sacchi si è spostato sul cassone ed ora pende pericolosamente verso l’esterno, infatti, in un tornante alcuni sacchi sono caduti e gli autisti stanno discutendo sul da farsi.
Arriviamo ad un valico e sotto di noi appare una profonda valle completamente terrazzata, una sosta per delle fotografie è obbligatoria e poi l’occhio si prede nelle terrazze e nel verde delle coltivazioni. Sotto di noi vi è oltre un migliaio di metri di dislivello ed è tutto completamente terrazzato, mentre sulle cime delle montagne e su spuntoni rocciosi sorgono i villaggi fortificati; è uno spettacolo mozzafiato.
Ripartiamo subito perché la strada da fare è veramente molta, ogni tanto troviamo dei pick-up che trasportano merci o persone e a volte sono stracarichi, vi è gente seduta sul cassone, sulle sponde, in piedi sul paraurti: qui ogni mezzo di trasporto va bene.
Proseguiamo il nostro viaggio verso Manakhah, quando su un tratto in discesa vediamo una mandria di dromedari e di capre ferme per abbeverarsi, da un pozzo circolare i mandriani sollevano a mano secchi d’acqua che poi sono riversati nell’abbeveratoio sottostante, tutt’intorno piante verdi alla cui ombra vi sono uomini che riposano. Scatto qualche foto e poi riprendiamo la strada sempre fra terrazze coltivati. Ad un certo punto il paesaggio cambia, diventa roccioso e le coltivazioni terminano. Ora siamo in presenza di roccia basaltica nera e il contrasto tra il nero della roccia, il marrone della terra, il verde delle piante e l’azzurro del cielo è veramente forte.
Questo tratto di strada è ricco di fichi d’india, di cactus, di piante d’acacia, di arbusti verdi e gialli e anche qui i villaggi fortificati si mimetizzano perfettamente con l’ambiente. Presto arriviamo ad un valico e di fronte a noi, come appoggiato su un cocuzzolo della montagna, vi è un villaggio la cui verticalità è unica: ci fermiamo per alcune foto.
Riprendiamo il viaggio e costeggiando terrazze coltivate a caffè, sorgo e qat, arriviamo a Manakhah (GE 167) (LP 233); all’entrata della cittadina arroccata sulla montagna vi è il “Tourist Hotel” dove ci fermiamo per una sosta, un bicchiere di the è sempre ben gradito. Fuori dall’albergo vi sono delle bancarelle di oggetti in argento, delle jambiye e siamo presi d’assalto dai venditori e, sorpresa, qualcuno di loro parla italiano; scatto delle foto al paesaggio e poi, preso dall’animo commerciale, mi diverto a contrattare i prezzi acquistando braccialetti e collane.
La sosta termina e risalendo sulle auto ci dirigiamo ad un villaggio distante 5 chilometri, dobbiamo attraversare il suq, ma restiamo letteralmente imbottigliati nel traffico, a fatica riusciamo a passare e mentre usciamo da Manakhah un ragazzo sale sul paraurti posteriore dell’auto, ma Hamed che lo vede nelle specchietto retrovisore gli intima di scendere, vi è un pò di tensione e la voce si alza, ma alla fine il ragazzo abbandona la sua postazione; infatti, la strada che stiamo percorrendo è costeggiata da un fosso laterale ed è senza parapetto, in caso di caduta del ragazzo o nostra uscita di strada non oso immaginare cosa possa accadere. Proseguendo in breve arriviamo al villaggio fortificato di Al Hajjarah (GE 169) (LP 234), dove veniamo accolti da un nugolo di bambini che parlano italiano, le case di questo villaggio sono veramente particolari; sono torri massicce ed alte, dai muri imponenti e sono realizzate con sassi di basalto perfettamente lavorato, le finestre e le facciate sono decorate con gesso bianco. La verticalità qui è il comune denominatore; tra ripide pareti della montagna s’innalzano senza soluzione di continuità stagliandosi verso il cielo queste bellissime case.
Girando all’esterno del villaggio, scatto delle foto, ma l’insistenza dei ragazzi che ci assediano invitandoci a comprare qualcosa o ad andare a veder qualche bancarella è davvero troppa e supera ogni limite di sopportazione; neppure Omar riesce ad allontanarli. Perciò dopo aver fatto un giro ed aver ammirato l’imponenza delle case, decidiamo di lasciare il villaggio.
Mentre usciamo incontriamo dei bambini che con la cartella in spalla tornano da scuola e ai bordi della strada noto degli asinelli carichi di materiale cavalcati da bambini, un quadro veramente utile per comprendere che la scuola è facoltativa.
Ritorniamo a Manakhah, entriamo in paese e girando a destra, scolliniamo accedendo ad un’altra vallata dove scendiamo e poi risaliamo, intorno a noi sempre terrazze coltivate. Dopo qualche chilometro arriviamo a Hoteip (GE 167) (LP 233), un villaggio che sorge su una collina, dove sono presenti una tomba e moschea bianca: questo è un luogo sacro per gli islaimiti, una branca della religione mussulmana, presente qui ed in Pakistan. In questa zona il verde dei campi è dato dalla coltivazione del solo caffè, poiché gli islaimiti non fanno uso di qat.
Mentre siamo fermi, Hamed mi invita ad andare verso uno strapiombo per fare delle foto, mi avvicino e sotto di me, nella verticalità assoluta, si apre la valle, tutta terrazzata, costellata di case che per dimensione ed imponenza assomigliano a delle fortezze vere e proprie; lo spettacolo è affascinante e l’occhio si prede tra terrazzamenti e case, mentre sull’altro lato la montagna presenta una vegetazione molto fitta che ricorda, per conformazione, forme e colori le montagne della catena peruviana. E’ davvero singolare come da una parte la montagna è brulla e dall’altra è verde lussureggiante.
Dopo aver visitato il borgo e l’esterno della moschea bianca, rientriamo a Manakhah per il pranzo e lungo la strada fotografo il villaggio di Kalib che sorge su uno sperone roccioso e le sue case svettano verso il cielo creando una bella visione con il nero delle abitazioni, il marrone della terra e l’azzurro del cielo.
Ritorniamo al Tourist Hotel di Manakhah, saliamo al primo piano dove ci fanno accedere ad una stanza il cui pavimento è completamente ricoperto da tappeti e per entrare dobbiamo togliere le scarpe. Ai lati, adagiati per terra e contro le pareti sono presenti dei cuscini dove sedersi; i cuscini sono bassi e le gambe sono allungate verso il centro della stanza dove è stesa una stuoia verde e rossa con piatti, tovaglioli e come singola posata un cucchiaio.
Mentre prendiamo ognuno il suo piatto e ci sediamo sui cuscini posti per terra, arriva il cameriere con i piatti di portata, li trasporta in un enorme vassoio di alluminio, dal diametro ai almeno 70 centimetri, posto sulla testa. Sopra questo vassoio, sono disposti a piramide, i piatti di cibo. Il cameriere velocemente fa più viaggi e sulla stuoia sono posati i piatti contenenti riso, cornetti in umido, patate stufate, zucchine ripiene, carne di manzo con verdure, zuppa yemenita, mentre il dolce è una torta rotonda fatta con una pasta tipo sfoglia con sopra del miele (molto buono), infine the e banane.
La stanza presenta pareti tinteggiate di giallo fino ad altezza d’uomo e sopra bianche, il soffitto anch’esso bianco è decorato con stucco. Alle pareti alcune finestre rettangolari e sopra altre finestre ad arco con decorazioni in muratura e vetri policromi; agli angoli delle pareti angeli portalampade interamente decorati a stucco.
Mangiamo seduti sui cuscini o sdraiati, come vuole la tradizione yemenita e terminato il pranzo la stanza è sparecchiata ed arriva un gruppo musicale con danzatori che si esibiscono in musiche e balli tradizionali con la jambiye. Durante lo spettacolo qualche componente del gruppo è invitato a ballare e tutto sommato se la cava bene.
Ripartiamo da Manakhah, ma dopo poche centinaia di metri la prima auto si ferma poi fa inversione e l’autista dice a tutti di seguirlo, nessuno capisce che sta succedendo, ritorniamo sui nostri passi e ci dirigiamo verso il centro della cittadina dove ci fermiamo, Omar ci fa inoltrare a piedi per le strette e tortuose strade della parte antica di Manakhah e poco dopo sbuchiamo in una piazza. Qui le case sono tutte di sasso, a due piani e sembrano tutte uguali: al piano terreno compaiono le ante delle botteghe e sopra, nelle facciate si aprono finestre tutte simili; siamo nella piazza dell’antico mercato del caffè. Qui, nel 1600, era il più importante mercato mondiale del caffè. Ogni porta, che era fatta di legno, aveva scolpito il simbolo di chi rappresentava, poteva essere acquirente o venditore ed è qui la genesi delle moderne borse economiche, anche se qui si trattava solamente caffè, coltivazione originaria di questa terra. Tra le antiche porte ancora presenti, un simbolo attrae l’attenzione di Omar, è il simbolo del leone di San Marco, ovvero il simbolo della Serenissima, che qui aveva dei suoi rappresentanti. Girando per gli stretti vicoli, lasciamo la cittadina, quindi ripartiamo in direzione di San’à; il viaggio è lungo e dobbiamo ripercorrere tutta la strada di stamattina fatta di tornanti, curve, valichi, valli ed altopiani.
Avvicinandoci a San’à, su un altopiano mi fermo per fotografare i terrazzamenti che col sole a favore assumono colori forti ed intensi, vi sono bellissimi scorci sulle terrazze fra i campi coltivati ed i muri realizzati a secco creano dei giochi di luce, forse mai come in questi momenti il contrasto fra il marrone della roccia, il verde delle piante, il giallo del mais e del sorgo creano una tavolozza di colori affascinante. Osservo alcuni campi di paglia che, illuminata dal sole che sta tramontando, appare come dorata.
Superando valichi, percorrendo altopiani, arriviamo vicino a San’à, sulle colline limitrofe alla città decine di auto sono ferme con persone a bordo che aspettano il tramonto e vogliono godersi lo spettacolo del sole che sparirà dietro le montagne lasciando che gli ultimi raggi colpiscano la case marroni e bianche di questa stupenda città.
Mentre ci avviciniamo alla città su una piazza vediamo delle auto tutte uguali, sono decine; è la stazione dei taxi di San’à diretti a Aden, sulla costa.
Arriviamo in albergo e ci è offerto il cocktail di benvenuto, poi visto che ho tempo mi concedo sauna e piscina; ci vuole proprio per rilassarsi bene. Doccia e poi cena a buffet dove troviamo un ottimo spezzatino di carne e la pasta preparata al momento, i cuochi sono veramente bravi.
La serata, sfruttando l’intrattenimento musicale dell’albergo, trascorre tra danze, partita a carte e chiacchiere, poi vado in camera, devo sistemare gli appunti, leggere l’itinerario di domani, controllare le foto fatte e metter in carica la batteria della macchina fotografica.
21 ottobre Mi sveglio alle 4.00, mentre nella notte risuona la voce del meuzzin che richiama alla preghiera e la sua voce amplificata dagli altoparlanti giunge a me nitida; poco dopo vedo il sorgere del sole, la sveglia è prevista per le 7.00, santifichiamo la domenica, colazione ed alle 8.30 si parte, il programma prevede un’altra giornata in cui si percorreranno molti chilometri, partiamo e ci dirigiamo verso la periferia della città, verso le montagne poste a nord della capitale. Le strade sono trafficate a causa di lavori in corso e qualche deviazione è d’obbligo. Lasciamo la città salendo su un altopiano che ha come basamento della roccia nera ed anche qui sulle cime delle montagne e sugli speroni rocciosi sono stati edificati villaggi con pietra nera, solo alcune abitazioni presentano delle semplici decorazioni bianche.
Fatti pochi chilometri ci fermiamo ad un posto di controllo dove verificano i documenti del gruppo e ci chiedono di posteggiare a lato della strada, non si capisce bene cosa succede, ma sembra che qualche permesso non sia arrivato. Omar si mette al telefono e ci dice che è un normale controllo di polizia e stanno controllando le referenze ed infatti, dopo qualche minuto di attesa arriva il permesso di transito e quindi ripartiamo percorrendo un altopiano con un paesaggio fatto di terreni coltivati a sorgo e qualche rada pianta di acacia che movimenta un pò lo scenario. I campi sono tutti cintati con muri realizzati a secco utilizzando roccia nera.
Anche oggi la strada è trafficata e si rimpiangono le giornate del ramadam, quando non circolava nessuno e, tra l’altro, stiamo viaggiando su una strada che a tratti non è asfaltata, ma è presente l’illuminazione stradale.
Durante il tragitto vediamo un mezzo in panne e possiamo osservare come qui i triangoli non esistono: per segnalare il mezzo in difficoltà sono posti dei sassi in mezzo alla carreggiata. Sul percorso troviamo molti camion carichi di merce e a causa del traffico a volte è difficile sorpassarli, tra l’altro il viaggio è rallentato dai numerosi posti di controllo posti lungo la direttrice verso il mare. Arriviamo nei pressi di un villaggio, dobbiamo rallentare per la gente che recandosi al suq invade la strada utilizzandola anche come posteggio: le auto sono ferme in seconda o terza fila: mentre rallentiamo vediamo dei bambini che stanno andando a scuola, indossano una divisa verde oliva e la cartella è un sacchetto posto sulle spalle e gli spallacci sono delle semplici corde.
Lungo la strada auto, camion, furgoni diesel a volte emettono del fumo nero che in alcuni momenti rende l’aria irrespirabile; ma incontriamo anche mezzi a benzina che bruciano olio emettendo un intenso fumo bianco; veramente su queste strade si trova di tutto, ma l’importante è potersi muovere.
Arriviamo ad Amran (GE 170) (LP 235) la cui periferia è costituita da case moderne, gli autisti si fermano in un negozio per l’acquisto della razione quotidiana di qat; approfitto della sosta per controllare quante foto ho ancora a disposizione nella sim, poche, ed allora inserisco una sim una vuota, in questi giorni ho fatto oltre 700 scatti: che grande comodità la tecnologia digitale.
Riprendiamo il viaggio e poco dopo, avendo deviato dalla strada principale, arriviamo nella parte vecchia della cittadina. E’ tutta cintata e per accederci bisogna transitare dal portale in sasso imponente e massiccio. Anche le mura di cinta sono possenti ed è bello osservare come i massi delle mura e del portale d’ingresso siano ordinati con maestosa sapienza e l’occhio è appagato dalla bellezza e dalla geometria dei manufatti.
Entrando nella città murata vediamo che le case si sviluppano in altezza fino a 6 piani ed hanno la base realizzata in sassi rossi ben squadrati, mentre i piani superiori sono edificati con mattoni di fango e di paglia. Girando per la cittadina su strade interamente lastricate, notiamo il particolare: in tutti gli altri villaggi le strade erano in terra battuta. Passeggiando osserviamo la raccolta dei rifiuti, ed anche in questo caso è la prima volta che vediamo un mezzo della nettezza urbana, ma malgrado ciò, girare per Amran, significa camminare tra odori vari, a volte anche spiacevoli. Noto che i vasi da notte sono svuotati dalle finestre direttamente sulla strada e quest’usanza che avevo già notata in altri villaggi qui crea un olezzo sgradito.
Nel villaggio veniamo accolti da un nugolo di bambini che chiedono penne e caramelle, ma guardando bene i bambini si nota che sono sporchi. Effettivamente non ho mai visto tanta gente sporca e disordinata così in tutto lo Yemen; qui la pulizia personale sembra proprio un optional. Ma malgrado olezzi e sporcizia varia, girare per Amran antica da una sensazione unica, le case si stagliano alte verso il cielo, il colore rosato dei sassi, il marrone dei mattoni di fango, qualche finestra è decorata di bianco o di altri colori e hanno forme differenti; rettangolari, quadrate, rotonde ad arco che movimentano l’architettura delle abitazioni. Ed anche le decorazioni creano movimento, infatti, a volte sono solo intorno alle finestre, a volte disegni geometrici sono posti sulla facciata delle case; qui si cammina fra una miriade di scorci, uno più bello dell’altro e l’occhio si perde in tanti suggestivi particolari.
Lasciando la parte antica di Amran arriviamo in un altra dimensione per odori e pulizia, infatti, dopo poche decine di metri troviamo il suq con gente ordinata e pulita; quello della sporcizia era proprio un fenomeno localizzato fra poche case.
Nel suq qualcuno del gruppo vedendo una farmacia si mette alla ricerca di prodotti a base di aloe e mentre aspettiamo le nostre auto noto un negozio di antichità ed entro per dare un’occhiata. Trovo un vasto assortimento di gioielli d’argento, armi ad avancarica, pistole, revolver e fucili vari. Adiacente a questo negozio vi è una ferramenta dove tutto è ammassato e l’impressione è d’essere giunto in uno di quei posti dove se cerchi qualcosa di particolare sicuramente lo trovi.
Riprendiamo il viaggio lasciando la periferia moderna di Amran e poco dopo arriviamo in un villaggio dove nei pressi del suq siamo fermi, tutto il traffico è bloccato in entrambe le direzioni e solo dopo qualche minuto pian piano ci muoviamo; al centro della strada un venditore di bevande ha posizionato il suo carretto e tranquillamente vende i suoi prodotti. Anche qui le auto sono parcheggiate in seconda e terza fila: in questi posti la fretta proprio non esiste. Superato il villaggio proseguiamo su un immenso altopiano coltivato: nei campi alcune persone stanno lavorando, i villaggi fortificati si mimetizzano perfettamente con l’ambiente; l’unico colore che crea un forte contrasto è il verde delle piante.
Giungiamo all’ennesimo posto di controllo, siamo ancora fermi per queste verifiche che si susseguono ciclicamente, poi ripartiamo percorrendo una strada tortuosa e tra tornanti e curve arriviamo ad un valico e facciamo una sosta; di fronte a noi si aprono delle immense vallate dove tutto è colore nocciola sia la terra, sia la roccia. Le montagne sono completamente terrazzate, solo qualche affioramento di roccia rompe l’armonia delle terrazze e su qualche spuntone roccioso o sulle cime delle montagne sorgono i villaggi che in alcuni casi sono delle vere e proprie, inespugnabili fortezze.
All’improvviso arrivano dei ragazzi che vogliono vendere dei gioielli in argento e dei fossili, regalo ad un ragazzo una penna e, come ringraziamento, mi dona un bivalve fossile; arricchirà la mia collezione. I ragazzi hanno dei bei fossili, dai bivalvi perfettamente conservati a delle stelle marine levigate; visto il prezzo e la bellezza dei fossili, suggerisco a qualcuno del gruppo di acquistarlo come ricordo.
Riprendiamo il viaggio ed iniziamo una discesa che si snoda fra vallate coltivate oppure brulle poi trovando un posteggio ci fermiamo a fotografare l’imponente fortezza di Kohlan, una costruzione che sorge in cima ad una montagna, tutt’intorno si vedono solo montagne brulle di origine sedimentarie dove sono visibili gli strati e le frane caratteristiche di questa conformazione geologica. Sotto di noi si apre in tutta la sua immensa profondità una valle stretta e ripida di una bellezza selvaggia finora mai vista, dove appaiono i brulli, ripidi e desertici fianchi della montagna e, come già visto, sugli aspri affioramenti rocciosi si ergono i villaggi.
Risaliamo in auto e proseguendo nel viaggio ci avviciniamo a Kohlan (GE 170) (LP 235) dove sempre più imponente, maestosa e massiccia appare la nera fortezza che i turchi usarono strategicamente per il controllo sulle intere vallate circostanti; i conquistatori con un solo cannone controllavano tutto il territorio. Oggi osservando la cima della montagna, oltre all’imponente e storica fortezza, appare alla sua sinistra una moschea che col suo colore bianco spicca tra il marrone ed il nero della roccia.
Percorrendo una tortuosa strada ci avviciniamo ed entriamo a Kohlan, posteggiate le auto c’inoltriamo a piedi fra le case ed osservo che anche qui la verticalità è regina incontrastata nell’architettura. I fianchi della montagna sono veramente ripidi e dove è stato possibile, rubando centimetri alla roccia, la montagna è stata terrazzata ed a ridosso dei campi sono state edificate case che si stagliano tra la montagna ed il cielo. Mentre tutt’intorno sulla roccia viva sono cresciute centinaia di piante di fichi d’india che rendono caratteristico tutto l’insieme, la vista prosegue senza soluzione di continuità passando al verde delle piante di qat coltivate sulle terrazze.
Dalle case poste sotto la roccia, la fortezza appare in tutta la sua imponenza, alta, massiccia, quadrata, domina incontrastata la valle. Girando fra le case e percorrendo stradine scavate nella roccia, ritorniamo alle auto e proseguendo il viaggio scendiamo nell’immensa vallata su una strada tortuosa dove il susseguirsi di curve e tornanti rende il viaggio interessante per gli scorci che offre ed anche qui è un continuo susseguirsi di scenari e di paesaggi diversi.
Durante la discesa ci fermiamo, siamo in colonna, le auto nella nostra direzione sorpassano altri mezzi: vi è un tamponamento, ma nulla di grave, anche se ci rallenta parecchio.
Proseguiamo e verso il fondo valle il paesaggio cambia radicalmente: qui compare il verde delle piante e delle coltivazioni, è veramente impressionante come la presenza costante dell’acqua renda verdeggiante una terra che solo pochi chilometri prima era completamente brulla.
Ora riprendiamo a salire e lasciando il lussureggiante fondo valle ritorniamo verso la montagna, appare una collina dominata anch’essa da una fortezza: siamo arrivati a Hajjah (GE 171) (LP 236).
Giungiamo al centro della cittadina e ci dirigiamo verso il ristorante per il pranzo, sono le 14, l’albergo è collocato in una posizione panoramica da dove si domina la città, la sottostante valle e le montagne che circondano la città come un anfiteatro.
Finalmente pranziamo; zuppa di ceci, patate in umido, pollo al forno (ma non tutto è ben cotto e dobbiamo chiedere di rimetterlo un attimo in forno), riso con cannella e chiodi di garofano, arance e banane.
Terminato il pranzo esco su una terrazza per ammirare il panorama: sopra la città, nel punto più alto della collina c’è la rocca che con le sue alte mura, le torri rotonde ed il palazzo centrale si erge imponente dominando tutto; sulle pendici della collina si vedono le case antiche realizzate con roccia marrone e grigia, mentre le case nuove sono realizzate con mattoni di cemento e tutte sono decorate con calce bianca. Tutt’intorno immense vallate ed imponenti montagne completamente brulle, senza verde se non qualche sporadica pianta di acacia e solo guardando le terrazze coltivate vedo del verde: sono le onnipresenti piantagioni di qat. Lo sguardo si perde nell’infinito nel colore marrone/grigio della roccia e dei villaggi che si mimetizzano nell’ambiente.
Il tempo trascorre velocemente, siamo in ritardo e dobbiamo terminare il giro di Hajjah per poi rientrare a San’à ripercorrendo la stessa tortuosa e trafficata strada.
Ripartiamo e ci dirigiamo verso il suq, ma visto il traffico caotico e la moltissima gente presente abbandoniamo l’idea; mentre siamo in coda possiamo notare che il suq è suddiviso per settori merceologici. Lungo la strada in una serie di negozi di barbieri guardiamo divertiti l’arredamento: in alcuni vi sono delle sedie di plastica, in altri delle poltrone da barbiere ottenute con delle assi di legno e della gommapiuma, in altri delle vere e datate poltrone da barbiere.
Decidiamo di salire sulla rocca per ammirare il panorama, ci avviciniamo e per accedervi dobbiamo percorrere un tratto di sentiero che si inerpica sulla collina dove il selciato è reso liscio dal passaggio di uomini ed animali nel tempo: l’accesso alla fortezza è difficoltoso oggi come allora. Arriviamo e l’enorme portone è chiuso, Omar bussa ed appare un guardiano che ci chiede 200 rial (1,25 €) per entrare, paghiamo ed accediamo a questa imponente fortezza. All’interno sono presenti degli edifici abbastanza trascurati, come trascurata è l’erba del prato ma più che erba potrei dire sterpaglie. Al centro della piazza d’arme si erge il palazzo del comando che è accessibile e visitabile; entriamo e per una ripida scala saliamo fino alla terrazza da dove si può ammirare l’intera vallata sotto di noi: si vedono le case marroni/grigie della cittadina, sulle rocce qualche pianta di fichi d’india, poi lo sguardo si perde nelle immense vallate, tutt’intorno le brulle ed imponenti montagne di colore grigiastro dai pendii rocciosi ed impervi che col sole creano dei giochi d’ombra, mentre nel cielo azzurro, in direzione del mare, compaiono delle nuvole bianche che a tratti diventano grigie.
Scendendo dalla collina lasciamo la rocca, riprendiamo le auto e ripartiamo lasciando la cittadina in direzione di San’à ripercorrendo la strada di stamattina mentre il sole che tramonta colora tutto in modo suggestivo facendo risaltare il giallo delle piante di sorgo tagliate, il marrone/rosso dei muri a secco sul marrone della terra. La visuale cambia in continuazione e si nota anche l’opera dell’uomo che con la sua opera costante e meticolosa cerca di carpire ancora più spazio alla roccia utilizzando proprio tutte le possibilità a sua disposizione.
Proseguiamo in un susseguirsi di altopiani dalle rocce a volte marroni a volte nere dove vi sono infinite piantagioni di qat ed ogni terreno è delimitato da una torre che ha una funzione di controllo. Questa regione è proprio affascinante per le bellezze che presenta. La velocità di marcia è limitata, siamo in coda per i camion che trasportano mercanzie dal mare alla capitale, e come stamattina, sorpassare è difficile.
Il sole tramonta definitivamente e la sera cala, siamo tutti stanchi, soprattutto gli autisti che stanno guidando su queste lunghe, interminabili strade dove neppure il masticare qat porta loro beneficio. Arriviamo a San’a che è buio, il traffico è sostenuto, guidare qui è veramente un terno al lotto in quanto, come sempre, non si capisce chi ha la precedenza, tutti suonano, tutti passano. Finalmente giungiamo in albergo, veloce doccia ristoratrice ed alle 19.30 è prevista la partenza per il ristorante in città. Risaliamo sulle auto e dopo qualche minuto arriviamo al ristorante “De Luxe” dove, per cena ci servono una salsa fatta con aglio e prezzemolo, delle verdure (cetriolo, pomodoro, cipolla), pane arabo, dentice al forno, zuppa di ceci, pasticcio di fagioli, banane, the. Qualcuno del gruppo chiede pesce non speziato che arriva solo dopo la frutta. Durante la cena i camerieri portano un sorbetto al limone, ma la quantità basta solo per la metà del gruppo. Il servizio non è dei migliori ed anche Omar resta scontento del trattamento ricevuto. Durante la serata Abdul viene a trovarci; s’informa su com’è andata la gita e constata che siamo tutti soddisfatti, infatti, tutto è andato bene grazie anche alla minuziosa pianificazione fornita da Yemen Old Splendor. Ci porta anche un omaggio, un pacchetto contenente incenso, caffè, una statuetta delle case torri caratteristiche dello Yemen, ma nel pacco vi è anche il visto da compilare per l’uscita dal paese; veramente una grande e minuziosa organizzazione.
Rientriamo in albergo e siamo tutti stanchi, in particolar modo gli autisti e domani si riparte per l’ultima gita in questo meraviglioso, stupendo ed incantevole paese.
22 ottobre Siamo giunti all’ultimo giorno di questo tour, la sveglia è prevista alle 7.00 ma come nei giorni precedenti, il telefono in camera resta muto. Guardando fuori dalla finestra vedo il cielo azzurro che preannuncia una giornata incantevole sia per il tempo, sia per il programma.
Partiamo e percorrendo la periferia di San’à troviamo come sempre traffico intenso, oltre agli automezzi sulle strade incontriamo i soliti carretti carichi di prodotti agricoli diretti al suq. Lasciata la città iniziano i campi coltivati a qat e percorsi pochi chilometri ci fermiamo su un’altura dove sotto di noi, circondate da pareti verticali, si apre lo spettacolare Wadi Dhahr (GE 161) (LP 229), una verde e lussureggiante piana dove fan bella vista campi coltivati e ben ordinati, le verdi piante ed i villaggi dal colore marrone della roccia. Osservando bene nella piana, appare uno spuntone di roccia sul quale è stato edificato un palazzo: è la casa dell’Iman. Edificata nel 1930 è una delle immagini più note dello Yemen; l’edificio emerge dalle altre case che si mescolano col verde delle acacie, delle palme e della piante di qat.
Risaliamo sull’auto e troviamo seduti sui sedili posteriori Giorgio e Rossella, che fanno qui? La loro auto ha bucato e mentre l’autista cambia la gomma approfittano per un passaggio; ottima scelta così la compagnia sulla Toyota aumenta. Ripartiamo e dopo un breve tragitto di strada asfaltata entriamo nello sterrato Wadi Dhahr, poche centinaia di metri e siamo a Dar al-Hajar (GE 161) (LP 229), la casa dell’Iman. Collocata su una roccia alta 50 metri, si erge quest’imponente costruzione di 5 piani che frontalmente appare quadrata e massiccia. La facciata, realizzata con sassi neri, si staglia sul marrone della roccia e presenta decorazioni bianche alle finestre, una bellissima greca centrale ed la terrazza con archi. I fianchi della casa sono costruiti su più livelli realizzati con massi marroni e tutte le pareti sono finemente decorate di bianco: un posto così merita d’essere fotografato.
Parte del gruppo decide di entrare e visitare l’interno mentre alcuni restano all’esterno per la difficoltà ad affrontare i gradini dell’edificio; entrando dalla porta principale che è posta dietro la facciata e salendo per una scala a volte ripida noto gli ambienti destinati all’Iman e quelli destinati alla servitù, che sono posti ai lati. All’interno vi sono due scale separate, quella principale, la padronale molto ben curata, mentre la scala di servizio è stata scavata grossolanamente nella roccia ed i suoi gradini sono irregolari. Nel palazzo sono stati ricostruiti alcuni ambienti utilizzando arredamenti d’epoca e questo fa intuire la ricchezza, la sontuosità e la bellezza originali di quest’abitazione. Nelle pareti si possono ammirare le finestre ad arco decorate con vetri policromi che danno all’ambiente una luce magica, mentre salendo sulla terrazza si può osservare un paesaggio incantevole dove da ogni finestrella presente sulla merlatura perimetrale la vista cambia in continuazione ed è come essere in una pinacoteca ed osservare dei dipinti in sequenza con il cielo azzurro che crea una cornice insuperabile e come sfondo la roccia, il marrone dei campi e il verde delle piante.
Usciamo dall’edificio e guardando verso l’alto vedo le imponenti pareti che si stagliano verso l’azzurro del cielo e come i massi dei muri, creano un effetto policromo abbellito dalle bianche decorazioni.
Poco distante un giardino racchiude una fontana, anch’essa oggetto di numerose fotografie presenti su varie pubblicazioni; la fontana con le forme rotondeggianti ed i tre spruzzi, mostra la sua bellezza; adiacente ad essa un colonnato immette in alcuni locali, oggi contenenti ambienti ricostruiti. Tutt’intorno, oltre le mura del giardino, si ergono le pareti delle montagne ed essendo in un posto tanto bello, mi soffermo a fotografare i particolari.
Veniamo richiamati dal gruppo che aspetta all’esterno del palazzo, è ora di ripartire, la giornata prevede altre visite e la strada da percorrere anche oggi è lunga.
Lasciamo il Wadi Dhahr e c’inoltriamo per un primo altopiano, il terreno anche qui è completamente coltivato a qat e vi è tanto verde, superiamo un valico e ci troviamo su un altopiano dalla roccia rossa, completamente terrazzato e coltivato, lo percorriamo completamente, altro valico ed incredibilmente appare un terzo altopiano, fatto di rocce nere. Qui il lavoro certosino e preciso dell’uomo si nota maggiormente che negli altopiani precedenti, la conformazione del terreno con grandi affioramenti rocciosi ha fatto sì che nei secoli gli uomini con terrazzamenti ben studiati sfruttassero ogni lembo di terra possibile e nei campi ben tenuti vediamo sorgo, mais, mentre sui crinali delle montagne e sui roccioni sorgono i villaggi. In fondo all’altopiano, appare imponente uno sperone roccioso dalla forma rettangolare, in cima al quale si notano delle fortificazioni, ci avviciniamo a questo massiccio sperone a cui piedi sorge Thula (GE 164) (LP 230); una cittadina circondata da imponenti mura e realizzata con case di sasso. Accediamo alla parte antica attraversando la porta principale e all’interno appare una piazza dove un muro racchiude la cisterna dell’acqua che serve l’intera città. Qui per attingere l’acqua ad uso comune sono state sistemate all’esterno della cisterna delle pompe manuali che creano un bellissimo arredamento urbano.
Il borgo è dominato dal torrione che imponente controlla l’altopiano; secoli fa i conquistatori turchi assediarono il villaggio, ma l’Iman che si era asserragliato nella fortezza posta in cima allo sperone resistette: dopo mesi d’assedio, vista l’inespugnabilità del luogo, fu raggiunto un accordo e l’Iman restò, mentre i turchi si ritirarono dalla zona.
Tutte la case di Thula costruite con sassi, si presentano come piccole fortificazioni, alte, massicce, potenti dove il marrone dei sassi si mimetizza con la roccia della montagna. Le abitazioni presentano finestre rettangolari sovrastate da finestre circolari a volte decorate di bianco.
Appena giunti sulla piazza, siamo assediati da ragazzi che ci vogliono accompagnare nei negozi di qualche loro parente, è stupefacente sentire che qualcuno di loro parla un italiano fluente, resto meravigliato da questa conoscenza linguistica. Giro per Thula praticamente scortato da questi ragazzi che sono incuriositi dal mio osservare in continuazione gli scorci della cittadina e dal fatto che non sono attratto dai negozi, ma sono intento a scrutare gli angoli più nascosti per fotografare i particolari delle case: visto ciò mi accompagnano a veder la casa più grande della città, un’enorme, massiccia ed imponente struttura, con finestre aperte e traforate, stimo sia alta almeno 8 piani. Mi dicono che qui abitano più di 100 persone, tutte appartenenti o discendenti dalla stessa famiglia. Le case hanno una struttura particolare, in basso a piano della strada vi sono le stalle, sopra i locali delle abitazioni, mentre l’ultimo piano è riservato agli uomini ed è qui che si ritrovano trascorrere il pomeriggio per masticare qat e chiacchierare. Proseguendo il giro per il borgo i ragazzi mi fanno vedere l’abitazione dell’Iman, anch’essa massiccia e presenta all’ultimo piano una bella finestra decorata.
Mentre cammino, sento che Omar dice che a Thula vi sono ben 25 moschee e ne intravediamo qualcuna molto piccola con la sua struttura bianca tra il marrone delle case.
Lungo una via una serie di negozi, ecco dove i ragazzi volevano portarci, ognuno ha il proprio negozio di riferimento, anche i negozianti conoscono l’italiano e c’invitano cortesemente ad entrare.
Un dato caratteristico di tutto lo Yemen, o almeno nella parte storica del paese: i negozi presentano all’esterno delle porte di ferro di colore azzurro o verde, mentre l’interno, sembra uno standard, ogni locale misura circa 4 metri per tre, qualche negozio occupa due o tre spazi limitrofi.
Nei negozi si trovano jambiye, gioielli d’argento, tessuti e parte del gruppo si ferma per acquisti, ma il tempo è trascorso ed è ora di ripartire. Saliti sulle auto ci accorgiamo che manca Marina. Mentre Omar va a cercarla colgo l’occasione per effettuare qualche scatto alle case della città ed alla circostante campagna coltivata a cereali.
Mentre fotografo, un particolare delle abitazioni attira la mia attenzione; qui non esistono camini, anche se all’interno di ogni casa vi è un fuoco a legna acceso ed il fumo esce da alcuni buchi rotondi presenti nel muro: questi sono facilmente riconoscibili per le pareti annerite dalla fuliggine. Poi il gruppo si ricompone in quanto è stata ritrovata la “dispersa”: era in un negozio a far compere. Lasciamo Thula e ripercorriamo parte dell’altopiano, giriamo verso destra e dopo pochi chilometri arriviamo a Hahabah (GE 165) (LP 231), una città fortificata circondata da mura di sasso, ma mentre arriviamo al villaggio dei bambini escono da scuola e quale occasione migliore se non i turisti per chiedere penne, caramelle e soldi? Praticamente siamo accerchiati da un nugolo di bambini che non ci abbandoneranno più fino alla nostra partenza dal villaggio. I bambini indossano delle divise; i più piccoli colore verde oliva, mentre quelli più grandicelli hanno una divisa colore beige, forse la divisa corrisponde al ciclo scolastico? Anche questo villaggio oltre al muro di cinta presenta delle case realizzate con sassi ed hanno un’architettura particolare finora mai vista, infatti, le abitazioni seppur sviluppate in altezza presentano decorazioni geometriche realizzate con sassi. Sulle facciate sono presenti delle finestre rettangolari, delle finestre rotonde, ed all’ultimo piano, dove si riuniscono gli uomini, ampie finestre sormontate da una tettoia a poi dalle mezzelune decorate.
Entriamo nel villaggio non tanto per osservare le case, ma per vedere la cisterna d’acqua più grande dello Yemen, circondata da un muro di contenimento appare l’acqua azzurra, in essa si rispecchiano le alte case che sorgono intorno formando un bellissimo teatro; scatto alcune foto, ma, sempre assediati dai bambini, uscendo dal villaggio vediamo tutt’intorno sacchetti di plastica e pezzi di carta abbandonati per terra. Per essere un posto dove si effettua una delle foto più belle del paese è proprio trascurato, comunque una cosa abbiamo imparato: mai visitare qualche luogo nel momento della chiusura delle scuole.
Lasciamo il villaggio e costeggiando una montagna dalle pareti verticali sulla cui sommità vediamo il villaggio di Kawkaban che appare come un nido d’aquila che domina tutta la vallata. Sulle colline alla base delle imponenti pareti sorge Shibam (GE 163) (LP 229), località nota per le grotte preislamiche.
Giungendo nella cittadina ci fermiamo per il pranzo. Il ristorante all’esterno appare un pò spartano, ma dopo aver attraversato un cortile giungiamo in un edificio tradizionale realizzato con mattoni rossi, entriamo e ci fanno accomodare al secondo piano in una stanza dove il pavimento è ricoperto di tappeti, mentre al centro vi è un tavolo basso e vicino alle pareti cuscini dove sedersi. Anche qui, come tradizione vuole, si accede alla stanza scalzi.
Arriva il pranzo; riso bianco e giallo, patate, uova con pomodoro e cipolla, melanzane con zucca, carne di manzo, zuppa yemenita (carne, patate, con una salsa verde leggermente piccante), la focaccia yemenita (sempre molto gradita), banane e uva. Il pranzo è gustoso e gradito; decisamente meglio di ieri sera sia per pulizia, qualità e quantità.
La stanza dove pranziamo presenta una parete senza finestre e su altre due si aprono delle finestre luminose sormontate da altre ad arco con vetri policromi, mentre sulle pareti vi sono decorazioni colorate e delle fotografie. Vedendo una signora ritratta in tante foto chiediamo ad Omar delucidazioni e ci dice che l’albergo è di proprietà della ragazza di 24 anni che abbiamo incontrato all’entrata e che ci ha dato il benvenuto, la donna anziana presente sulle foto è la sua mamma, ovvero l’artefice di questo ristorante. La mamma in origine aveva un albergo dove alloggiavano anche i turisti e la sera, seguendo una delle tradizioni locali, colorava con henné le mani delle donne yemenite e delle turiste che lo richiedevano. Anni fa fu minacciata per questa sua gentilezza e trattamento fatto agli stranieri e a sua difesa intervennero anche degli integralisti dicendo che se gli stranieri sceglievano di soggiornare lì era perché si trovano bene per l’ospitalità ricevuta e questo portava beneficio anche alla comunità: da allora il posto è diventato un punto di riferimento per chi transita nella zona.
In effetti, la qualità e la quantità del cibo è veramente ottima ed anche qui i camerieri arrivano con enormi vassoi in alluminio posati sulla testa, dove sono collocati diversi piatti posti a piramide.
Terminato il pranzo, faccio un giro per il locale, in una stanza adiacente alla nostra vi sono altri turisti, mentre in un’altra vi sono solo degli uomini yemeniti ed in un’altra donne e bambini che pranzano.
E’ l’ora di ripartire, salutiamo la proprietaria, ringraziandola dell’ospitalità e risaliamo sulle auto diretti a Kawkahan, posto in cima alla parete verticale che domina Shibam; la strada che percorriamo è estremamente ripida ed i fuoristrada fanno fatica a salire, facciamo una sosta; ai nostri piedi si apre un Wadi verdeggiante e per tre lati è circondato da pareti verticali erose dall’acqua, davanti a noi si apre uno spettacolo incantevole, in lontananza appaiono delle montagne che assomigliano alle montagne rocciose americane, il contrasto tra il verde Wadi e le montagne brulle è veramente forte, i colori della roccia vanno dal marrone al grigio, al nero, in lontananza la zona desertica, il tutto è sormontato da un cielo azzurro che all’orizzonte diventa biancastro.
Durante la sosta osserviamo anche Kawkaban (GE 163) (LP 229) che in cima alla parete appare come un luogo inaccessibile ed inespugnabile, in effetti, la strada ripida si snoda in una stretta gola.
Salendo nella gola posso ammirare una conformazione basaltica nera cristallina in forme pentagonali ed esagonali, il cui sviluppo la fa assomigliare a canne d’organo. Parlando con Omar mi dice che una simile conformazione minerale è presente solo qui ed in Islanda; un vero angolo di paradiso per gli appassionati di mineralogia e geologia.
Arriviamo a 2900 metri s.L.M. Ed accediamo ad un brullo e desertico altopiano dove in breve arriviamo alle mura del villaggio, entriamo transitando per la porta principale e percorrendo stradine sterrate arriviamo in prossimità di una cisterna d’acqua, ci fermiamo e scendiamo dalle auto. Il villaggio ha case costruite con sassi dove la terra è rossa e polverosa, e l’azione del vento la trasporta sulle facciate delle case colorandole. Noto che qualche edificio è abitato, altri sono abbandonati, qualcuno è in ristrutturazione o in costruzione.
Poco distante dalla cisterna si apre un precipizio, siamo in cima alla parete che abbiamo visto sotto, qui il vuoto fa sentire il suo effetto ed occorre stare attenti a non sporgersi troppo a causa del terreno sassoso e friabile. Mentre faccio delle foto mi sento incredibilmente attratto verso il vuoto, ed, in effetti, da questa parete, anche in tempi recenti qualcuno è caduto: un volo di qualche centinaio di metri.
Sotto di noi, proprio ai piedi della parete vediamo Shibam, su una collina si vedono le grotte preislamiche; oltre alla cittadina si estende l’immenso altopiano segnato dai campi coltivati dove le varie tonalità di marrone si mescolano, si alternano. I campi arati di recente presentano un marrone più intenso che degrada man mano, mentre è nocciola quello dei campi coltivati; sparpagliate creano un bell’effetto le verdi piantagioni di verdura, ed infine a coronare il tutto, in lontananza appaiono le montagne.
Mentre osserviamo e fotografiamo, sulla piana compaiono, come spuntati dal nulla, dei ragazzi che su carriole trasportano delle casse contenenti gioielli in argento e minerali, è incredibile la loro capacità di materializzarsi appena arrivano dei turisti.
Ripartiamo e per il rientro ripercorriamo la stessa strada fatta la mattina. Giunti a San’à mentre ci dirigiamo verso il suq, incontriamo il solito caotico traffico. Accediamo al suq dall’antica e unica porta rimasta mentre il sole è a favore ed illumina gli edifici creando tonalità color pastello che esaltano le decorazioni bianche; sembra che anche il sole ci voglia salutare, ne approfitto per scattare delle foto con queste meravigliose tonalità di nocciola, bianco con lo sfondo del cielo azzurro turchese.
Girare per il suq con poca gente è veramente piacevole, ormai mi so quasi orientare fra le strette vie avendo individuato dei punti di riferimento, quindi mi soffermo in tutta tranquillità a fotografare negozi e persone e colgo l’occasione per effettuare gli ultimi acquisti. Al giungere della sera si accendono le luci colorando ulteriormente il suq, ma è il momento di rientrare in albergo; doccia ed arriva l’ora della preparazione definitiva della valigia e dell’abbigliamento pesante da indossare per il rientro in Italia.
Cena a buffet, poi Omar arriva a prenderci puntuale alle 19.30, carichiamo le valigie sulle auto e ci dirigiamo verso San’à antica dove ci fermiamo in prossimità della porta principale e iniziamo l’ultimo giro tra le case marroni illuminate da una luce gialla che ne esalta i colori. Ho preparato il cavalletto e lo uso per delle foto notturne, i bimbi che mi vedono vogliono che li fotografi; ho un bel da fare per fare le fotografie; sistemare il cavalletto, inquadrare, regolare e scattare.
Nelle facciate delle case si vedono le luci delle finestre illuminate e sopra di esse appaiono come in una fiaba le finestre ad arco con le decorazioni ed i vetri colorati, è veramente affascinante, incantevole girare per questa città dai mille scorci, dai mille colori e dai mille profumi.
E’ un momento intenso quando, alla fine della passeggiata, in una piazzetta illuminata e posta fra le case della città salutiamo Omar e gli autisti, tanti giorni trascorsi insieme hanno permesso una discreta conoscenza, Omar è più che una semplice guida, diciamo un “vecchio” amico, inutile negare che un pò di commozione era visibile nel gruppo.
Risaliamo sulle auto e partiamo in direzione dell’aeroporto dove recuperiamo le valigie ed all’interno della struttura salutiamo definitivamente Omar, mentre ci avviamo verso il check-in, dove l’agenzia ha una persona di sua fiducia che ci dà una mano.
L’aereo per Roma dovrebbe partire alle 23.00, ma sui tabelloni compare 00.50, chiediamo spiegazioni e la conferma arriva solo dopo un pò di tempo, ci dicono che la partenza è prevista in orario. Arriviamo ai controlli doganali e nella fila dove sono io non funziona il lettore ottico per i passaporti e ci vuole del tempo prima di poter acceder alla sala d’aspetto dove l’enigma dell’orario di partenza permane.
Sono le 19.15 e chiamano l’imbarco per Roma, dobbiamo passare un ulteriore controllo, molto scrupoloso, aspettiamo ancora a finalmente andiamo ad imbarcarci, ma arriviamo che l’aereo non è pronto ed aspettiamo sulla scala, finalmente saliamo e prendiamo posto. L’aereo non è pieno e questo permette qualche piccolo spostamento per poter viaggiare in compagnia di persone conosciute; alla fine di tutto decolliamo con 40 minuti di ritardo. In volo si vedono le luci delle città e dei paesi, il comandante ci dice che durante il volo sorvoleremo Medina, Sharm El Sheick, Il Cairo, la Grecia, Napoli per poi atterrare a Roma. Osservando da finestrino si vede solo buio, le luci delle città e della costa, ma non ho riferimenti per comprendere dove sono. Incontriamo una perturbazione, sono seduto in coda, il sedile ha lo schienale che non sta fermo e durante la perturbazione pare d’essere in un frullatore, è quasi impossibile riposare. Alla partenza hanno distribuito le cuffie, le ritiro, cerco l’attacco posizionato nel bracciolo del sedile, ma trovo solo un buco, quindi niente musica.
Atterriamo a Roma, ulteriori controlli nel transito passeggeri e in Europa i controlli sono più severi che nei paesi arabi, sequestrano e gettano nei rifiuti bottigliette di acqua ed altri contenitori sono passati ai controlli di San’à. E’ mattina presto, alle 6.00 aprono i bar dell’aeroporto ed appena è possibile andiamo a degustare un ottimo caffè espresso; è bello ritornare ai nostri sapori che ci mancano da qualche giorno.
Salutiamo il gruppo di piemontesi e lombardi che, partiti con noi, sono rientrati con il nostro stesso volo, mentre si stanno, un’ora prima di noi, imbarcando su un aereo diretto a Milano Linate.
Check-in per Milano e si parte per casa, appena decolliamo si vede il mare, i fiumi, il verde delle campagne romane; che contrasto a confronto con il terreno brullo dello Yemen: l’Italia è proprio una bella ed incantevole terra, ritornando a casa si comprende perché i turisti vengono da noi e restano sempre meravigliati.
Mentre siamo in volo vediamo il sole dal finestrino e leggendo un giornale, guardo previsioni meteo; a Milano fa freddo: Min +1, Max + 16. Decisamente un bel salto di temperatura rispetto al piacevole caldo dello Yemen, in borsa ho due maglioni e sto pensando che fino a ieri sera giravo praticamente in maglietta e dovevo stare attento all’esposizione del sole per non ustionarmi; e penso che a casa dovrò accendere il caminetto.
Continuiamo a sorvolare il mare, ma dopo pochi minuti entriamo nelle nuvole che ogni tanto fanno intravedere degli squarci di terra verde e la costa del mare che col verde della vegetazione assume un altro fascino, sarà solo suggestione o il mare dello Yemen con le stupende ed incantate spiagge di Bir Ali e di Socotra è davvero diverso? Atterriamo, andiamo al ritiro delle valigie e troviamo il gruppo piemontese/lombardo che è ancora in aeroporto; le loro valigie non sono arrivate. Forse arriveranno con le nostre ed, in effetti, arrivano tutte insieme; le ritiriamo ed uscendo dall’aeroporto ad accoglierci troviamo una temperatura davvero fresca, lo sbalzo termico si avverte molto.
Sul piazzale dovrebbe esserci il pullman per portarci a Rovello, ma usciti non lo vediamo … Qualche ricerca ed un pò di telefonate, finalmente dopo oltre 30 minuti trascorsi al freddo del piazzale, ecco comparire un autista affermando che il pullman è lì posteggiato in fila indiana con altri pullman, in effetti, è un giorno di fiera ed il caos a Linate è notevole; nessuno aveva notato il cartello apposto sul vetro del pullman.
Comunque meno male che lo abbiamo identificato, carichiamo le valigie e partiamo per Rovello, il traffico è sostenuto, ma qui nessuno suona in continuazione e pare d’essere, anzi siamo in un’altra dimensione.
Arriviamo al paese dove qualche familiare o amico ci attende, scarichiamo le valigie, saluti veloci e si parte per casa dove arrivo e aprendo la valigia tolgo gli indumenti, vista la temperatura accendo il camino, accendo il pc e scarico le foto dalle sim e comincio a sistemare gli appunti per la stesura del diario, il lavoro sarà lungo e minuzioso, il mio prezioso Moleskine® anche stavolta ha dimostrato tutta la sua validità.
Parte del mio cuore e della mia mente è stata rapita dallo Yemen; questo meraviglioso, multietnico e multiculturale paese. E mentre sto scrivendo questo diario, già sto pensando alla prossima meta, al prossimo paese da visitare, alle culture, etnie, tradizioni nuove che incontrerò; d’altronde in questo meraviglioso pianeta le cose da vedere e da ammirare sono veramente infinite, ed il tempo a disposizione va utilizzato con continuità e con grande spirito di avventura e di apprendimento.
Tre motivi per andare in Yemen • Andare oggi in Yemen significa anche viaggiare a ritroso di qualche decennio rispetto all’Italia, ma questo non deve essere un deterrente ma uno stimolo a visitare questo meraviglioso paese dove la gente è educata, ospitale e rispettosa di chi si avvicina a loro con semplicità e rispetto.
• Poter girare in un paese dove colori, profumi, sapori sono caratteristiche della vita quotidiana; dove storia, arte, cultura e natura si mescolano in un tutt’uno creando un’affascinante realtà di irripetibile bellezza.
• Viaggiare in questa nazione, dove gli italiani sono ben accetti, significa usufruire di un turismo culturale e naturalistico già ben organizzato nella parte continentale, ed in piena fase evolutiva nell’incantevole isola di Socotra.
Ringraziamenti Alla fine di questo lavoro, sento di esprimere il mio personale ringraziamento a tutti coloro che hanno permesso la realizzazione di questo viaggio si bello ed affascinate; ricco di luoghi, storici, culturali e naturalistici ma anche impregnato dell’umanità, della dignità del popolo e delle persone che ho avuto modo d’incontrare. Riconoscenza anche a chi mi ha esortato e a chi mi ha assistito alla realizzazione di questo diario.
Un particolare grazie a: • Don Maurizio Corbetta, Parroco di Rovello Porro (CO), ideatore del viaggio.
• L’agenzia di viaggio di Pavia ed al tour operator di Torino per il programma ben articolato e per notizie utili fornite.
• Omar, la guida Yemenita, per l’alta professionalità dimostrata; per averci fatto avvicinare con competenza, preparazione ed assoluto rispetto alla cultura e alla tradizione yemenita.
• Samer Abdul Ghani dell’agenzia corrispondente in Yemen, per l’ottima competenza dimostrata nell’organizzare i soggiorni e tutti gli spostamenti terresti ed aerei. • La società Micro-e di Saronno per il materiale tecnologico, informatico e per l’assistenza fornitami alla realizzazione del diario nella versione multimediale • Balestrini Luca di Rovello Porro per la consulenza e l’attrezzatura fotografia fornitomi.
• A chi (Marco, Laura, Simona e Pietro) in varia natura hanno contribuito alla progettazione, alla presentazione, alla correzione del diario e, nella versione multimediale, all’ideazione degli ipertesti.
L’autore Personaggio eclettico, sempre alla scoperta delle novità per un costante miglioramento professionale e personale, da oltre 20 anni è attivo nella formazione, inizialmente solo per le associazioni di volontariato appartenenti al “terzo settore”.
Nel suo percorso professionale ha potuto ampliare e sviluppare la propria passione verso la formazione, progettando, gestendo vari corsi e percorsi formativi. Ha ottenuto risultati ed apprezzamenti dalle aziende e dal mondo associativo dove ha collaborato per la ricerca, la selezione, la formazione e la motivazione del personale.
Attualmente è impegnato in molteplici attività, sia per aziende sia per associazioni, per le quali consolida percorsi esistenti e ne sviluppa dei nuovi, riscuotendo sempre un ampio consenso e alta considerazione da parte di tutti.
Da anni ha scoperto il piacere di scrivere e pubblicare i suoi diari di viaggio e, nella versione multimediale, arricchirli di fotografie di cui da sempre è appassionato così da renderli coinvolgenti per chi li legge.
Pietro Fondrini Docente e formatore Ha stilato i seguenti testi: • La selezione del personale: un percorso da saper gestire • Prontuario per il soccorso sanitario • Manuale per corsi di formazione