In viaggio nell’Arabia Felix

Tre settimane nello Yemen
Scritto da: Scottie
in viaggio nell'arabia felix
Partenza il: 29/07/2009
Ritorno il: 21/08/2009
Viaggiatori: in gruppo
Ascolta i podcast
 
Lo Yemen, come l’ho vissuto io non presenta nessun rischio vero. Molti, quando dicevo che ero in partenza per l’Arabia Felix dei romani, mi davano del pazzo, che rischiavo di farmi rapire o di precipitare con un aereo. Abbiamo evitato la zona dei rapimenti, tra Sana’a e Seyun, facendola in aereo, mentre altre zone sono totalmente chiuse al turismo. Nel nord, al confine con l’Arabia Saudita, è in corso da anni una guerriglia tra il governo centrale, forte solo nei dintorni della capitale. Durante il nostro soggiorno la città di Sada’a ha subito un bombardamento aereo!! Il punto più a nord toccato è stata Amran, sotto scorta militare. A Shahara non abbiamo proprio andarci, chiuso a tutti gli stranieri. Abbiamo avuto a lungo una scorta militare, ma l’impressione è che sia stata più una misura precauzionale che un’esigenza. In quanto agli aerei interni, la Felix Airlines, saudita, è sempre stata buona e puntuale. Il viaggio è durato 23 giorni in tutto, mai fermandoci per più di due notti di seguito nello stesso posto, toccando le zone montagnose dell’interno, le afose coste dell’Oceano Indiano e del Mar Rosso. Siamo stati anche nella selvaggia Socotra e, sulla via del ritorno, visita veloce a Istanbul, in Turchia.

I giorno 29/07/2009 Partenza da Milano per Istanbul. In Turchia abbiamo un lunghissimo transfer, da fare in aeroporto. Questa città è proprio il cancello dei tre mondi: agli occidentali come noi si mescolavano nordici e russi e mediorientali coi loro abiti e costumi per noi “strani”. Mi colpisce un gruppo di uomini in sandali, vestiti solo con una specie di lenzuolo; penso facciano parte di qualche setta religiosa, poi vedo che si imbarcano su un volo per Medina. Sono pellegrini, quindi, diretti verso i luoghi sacri dell’Islam. Mangiato un panino da Burger King che mi procurerà un bel mal di pancia e bevuta una birretta da 9 (!!) euro, si parte per Sana’a. Il volo dura solo 4 ore e mezza e verso la 1 di notte siamo già nello Yemen. I tempi sono lunghissimi perché manca una valigia e alla frontiera sequestrano la telecamera a uno del gruppo perché giudicata “troppo professionale”. Ricorderò quell’attesa come un incubo a causa del mal di pancia di cui sopra.

II giorno 30/07/2009 La partenza dall’hotel Mercure è prevista in tarda mattinata, per farci recuperare un po’ dal viaggio. La prima visita è il museo cittadino di Sana’a. Il museo, in un palazzo antico con bel cortile interno, è su diversi piani. In inglese ci sono le spiegazioni di come si viveva nell’Arabia Felix prima e dopo l’avvento dell’Islam: monete, armi e oggetti di uso quotidiano. Questa regione era divisa in sei regni, tra cui il mitico Saba, citato dalla Bibbia. Ci muoviamo con un bus unico e la guida parla solo inglese. Le jeep e Taha, la guida ufficiale che parla italiano, sono in viaggio per Seyun e ci aspetteranno là. A pranzo facciamo conoscenza con il pane arabo, piatto, buonissimo, che non mancherà mai. Il pomeriggio è dedicato quasi interamente alla visita della città vecchia e del suo suq. Ci immergiamo nella vita di questa gente e molte cose saltano all’occhio: Tutti gli uomini girano con un pugnale legato in vita: è la tradizionale Jambyya che non ha funzione di arma ma solo sociale.

Gli uomini si mettono in bocca un’erba e la masticano in continuazione, “archiviandola” nella guancia: è il qat, allucinogeno consentito legalmente solo nello Yemen. Lo masticano tutti i giorni nel pomeriggio.

Poche donne in giro e quelle che ci sono, sono coperte completamente da un vestito nero. Alcune coprono persino gli occhi e le mani. Non hanno piacere a farsi fotografare; solo una ragazzina si mette in posa per me.

Il suq è immenso e caotico, stradine strette e affollate in cui passano anche le macchine. Ho promesso a tutti i miei amici che mi sarei vestito da arabo e mantengo. Per 25-30 euro compro abito lungo bianco, kefiah da legare in testa e Jambyya, il pugnale. Con la barba un po’ incolta e gli occhiali da sole mi sento uno di loro. Che caldo però!! Nelle moschee noi “infedeli” non possiamo entrare; visitiamo una casa-torre adibita a museo. Piano terra per gli animali, piano per le donne, piano per gli uomini e terrazza da cui si ha una spettacolare vista sui tetti della città. C’è una ragazza nel piano delle donne e faccio una foto con lei. Non sembra araba…Ma non ho ancora visto un’araba in faccia! Poi sento che parla in inglese; “Where are you from?” “Colorado” mi risponde con un fortissimo accento yankee. Alla faccia dell’araba!! Prima di rientrare in albergo visitiamo la grande moschea: bellissima, immensa. Sei minareti, segno di grande importanza, pavimenti in marmo e zona interna per le abluzioni. Ci togliamo le scarpe e, scalzi, abbiamo un po’ da camminare per raggiungere la zona di preghiera, coperta da tappeti. L’interno è bellissimo, molto illuminato e spazioso con le pareti ricoperte di scaffali in cui ci sono varie versioni del Corano. Ancora vestito da arabo, ne sfoglio qualcuna, da destra a sinistra nel senso della scrittura araba. La moschea, all’interno, ricorda vagamente la Mezquita-Catedràl di Cordoba, in Spagna. Uscendo mi devo allontanare parecchio per riuscire a fotografare tutto il complesso nell’insieme. Alla sera cena in albergo e “a nanna” presto.

III giorno 31/07/2009 Secondo il programma iniziale dovevamo avere il volo per Seyun in mattinata: è invece spostato nel pomeriggio quindi abbiamo un’altra mezza giornata a Sana’a. Visitiamo dunque il Wadi Dahr con il suo palazzo, residenza estiva degli Imam, i signori dello Yemen fino a qualche decennio fa. E’ la nostra prima vista del paesaggio non cittadino di questo Paese: montagne e altipiani brulli, rocciosi, aspri. Il palazzo si trova in un paese che è una specie di discarica a cielo aperto. E’ costruito su uno sperone roccioso e, visto da un lato, viene davvero da chiedersi come lo hanno fatto. Dall’altra parte una salita graduale consente un accesso agevole per chiunque. E’ un vero labirinto di corridoi e stanze e sbuca alla fine su un terrazzo da cui si ha un’ottima vista sui dintorni. Ci sono molti turisti perché è venerdì, la loro domenica. L’edificio risale a inizio secolo scorso ed è provvisto anche di una piccola fontana in un padiglione laterale. All’ingresso un gruppo di yemeniti balla danze tradizionali agitando la Jambyya. Il volo è agevole e puntuale. A Seyun, una delle città più importanti del vecchio Yemen del Sud e capitale della regione Hadramawt, ci aspetta una scorta armata militare, tutti muniti di AK47 (Kalashnikov). Facciamo appena in tempo a fare un giro nel centro deserto prima andare in albergo, perché alle 18 ci impongono di non uscire più. Nell’hotel, appena fuori città, c’è una piscina e prima di mangiare ci laviamo via il sudore dovuto all’afa di questa regione. L’albergo, di nuova costruzione, è fatto di pietra locale e ha le pareti che trasudano letteralmente calore, mentre nelle camere, per fortuna, abbiamo tutti l’aria condizionata.

IV giorno 01/08/2009 Dopo una pausa oggi sono di nuovo un arabo! La prima visita della giornata è il palazzo del Sal-Ad-Din, che non è il nome proprio del conquistatore di Gerusalemme, ma un nome comune di una carica politica o militare. E’ un museo, ma le foto non sono molto interessanti, è bello il terrazzo panoramico e i corridoi interni. Dirigendoci a Tarim, facciamo un paio di stop: uno a vedere da fuori il mausoleo di un santo islamico, l’altro a una “fabbrica” di mattoni. Prendono la terra, la bagnano e la fanno essiccare al sole. Quando si forma un buco in una casa ci mettono una pezza così!!! A Tarim arriviamo a mezzogiorno, più che mai di fuoco. Il paese è bello, con un paio di palazzi e molte moschee da vedere, ma lo godiamo poco a quest’ora! Temevo seriamente di prendermi un’insolazione. Prima di pranzo ci fermiamo a un cimitero; pieno di donne vestite completamente di nero, che, quando ci vedono, si voltano per non farsi fotografare, approfittando del fatto che noi “infedeli” non possiamo varcare la soglia. Lo spettacolo di Shibam è fenomenale: la Manhattan del deserto, è stata chiamata. Formata da palazzi di 8-9 piani comunicanti tra loro e alti quasi uguali, sembra un immenso parallelepipedo in una pianura. Le vie sono piccole e strette, qualche “condominio” è in rovina e ci sono bambini dappertutto. Gli yemeniti sono molto prolifici, ma hanno un’aspettativa di vita veramente bassa, intorno ai 40 anni! Per noi sembra incredibile. Saliamo su una collina per vedere Shibam al tramonto: è magnifica. Rimaniamo su un bel po’ a fare foto, a chiacchierare con un gruppo di turisti greci e a socializzare con i militari nostra scorta. Alla sera nuovo tuffo in piscina e cena in albergo da cui non potevamo uscire.

V giorno 02/08/2009 La prima sveglia è sempre alle 3, con il muezzin che chiama i fedeli alla prima preghiera del giorno! La seconda e definitiva alle 7. Oggi si va a Mukalla, sull’Oceano Indiano, passando attraverso la regione del Wadi Do’an. E’ una zona brulla, rocciosa, di paesini mimetizzati nella roccia di cui sono fatti. Per raggiungere il primo attraversiamo il letto dello wadi, totalmente secco. E’ arroccato sulla collina e con una salita fatta di sassi irregolari. Si chiama Al-Hajjarain. Ci perdiamo nelle affascinanti viuzze, circondati dai bambini con maglie da calcio del Milan e dell’Inter! E’ un paese famoso in tutta l’Arabia per l’abilità dei suoi mercanti: il primo vice-presidente dello Yemen era di qui. A Mezzogiorno (ovviamente) arriviamo ad un altro paesino, Al-Qureiba da cui si ha una visione dall’alto di tutta la regione. Io mi fermo più in basso in una zona d’ombra in compagnia di un gruppo di bambini che mi chiedono di fare loro “sura” (foto) e di dargli “kalam” (biro). A pranzo nel miglior ristorante della zona, che da noi non passerebbe i test igienici. Il menu è quello solito, pollo e riso come alternativa al riso e pollo. La nostra scorta, intanto, prepara il lavoro pomeridiano. Sono circondati dal qat e tolgono le parti non buone. Mi ricordano vagamente i panda visti in Cina due anni fa. A turno facciamo una foto in mezzo a loro, con kalashnikov in mano e circondati dal qat, come dei veri yemeniti! Nel pomeriggio vediamo un villaggio in cui si nota il palazzo del governatore o sindaco della zona, colorato come un arlecchino, molto diverso dal monotono colore circostante. Lì vicino c’è la casa natale di nientepopodimeno che Osama Bin Laden, che pochi sanno non essere saudita (neanche io, a dire il vero!). Si sale su un altopiano: una cosa incredibile, è pianura, tutto liscio e piatto solo che…Di colpo si “precipita” nel canyon sottostante. Dalla terrazza di un albergo in costruzione si vede tutto il bacino idrografico (secco) del Do’an, uno spettacolo unico con un villaggio posto dove due rami di fiume si uniscono in uno unico e un altro, ormai disabitato, su una terrazza naturale sopra il wadi, totalmente isolati dal mondo. Ci chiediamo di cosa vivessero in una zona così secca, arida e isolata! In un tratto brutto di strada (raro perché in tutto lo Yemen le strade sono splendide) la mia jeep buca una gomma. L’autista, il grande Yahya, pazzo scatenato in senso buono, scende e in poco tempo mette la ruota di scorta. All’imbrunire siamo a Mukalla, città calda, afosa, caotica, in una parola “brutta”. Mangiamo in centro, in un ristorante dove ci servono pesce. Taha non sa dirci che pesce sia in italiano, ma suppongo sia squalo. Al ritorno in albergo vediamo un certo movimento di gente: è in corso una festa di matrimonio. Lo sposo è saudita, la sposa yemenita. Gli uomini tutti da una parte, le donne dall’altra!!! Noi uomini siamo ospiti d’onore dello sposo che ci offre da bere (aranciata, gli alcolici non sono permessi dal Corano). C’è un’orchestra e un gruppo di ballo. Lo sposo, che non deve essere povero, è invitato a ballare e si scatena nonostante una corporatura non magra, diciamo così. Ci sono tutti i fratelli, uguali a lui, anche nel peso. Dopo un po’ arrivano anche le donne del nostro gruppo. Ci raccontano che dall’altra parte è tutto più spartano e le yemenite sono tutte velate, anche tra di loro, mentre le saudite hanno meno problemi. Incredibile, anche per il matrimonio uomini e donne sono separati! VI giorno 03/08/2009 Dopo una breve visita al mercato del pesce di Mukalla, niente di particolare, sinceramente, abbiamo un paio di ore di viaggio verso il paesino di Bir Ali. Seguiamo la strada costiera e il paesaggio è indimenticabile. Spiagge sulla sinistra, deserto e dune sulla destra. Arriviamo finalmente alla meta: la spiaggia di Bir Ali, dove ci accamperemo per la notte. E’ uno dei giorni più tranquilli e rilassanti del viaggio. Sulla spiaggia ci sono baracche chiuse su tre lati e aperte verso il mare e sdraio di vimini intrecciati della larghezza di letti matrimoniali. Nessun insediamento attorno, solo una casa dove andremo a cenare. Le attività del giorno sono lo snorkeling nella piccola barriera corallina cercando di avvistare qualche squaletto, camminate sulla spiaggia e fare foto alla montagna color marrone con una spruzzata in basso di sabbia bianca. Sotto sera facciamo una breve arrampicata sulla “macchia bianca”. La cena, al tramonto, è nella casa vicina, seduti per terra con un tappeto come tavolo, nessun bicchiere e posate quasi inesistenti. Dopo aver scacciato i granchi che si erano infilati in una delle baracche, attirati dalla luce delle lanterne, si fanno giochi di società proposti da Taha, la guida, e dal mio autista, Yahya, che si dimostra un intrattenitore nato. Gli autisti partecipano tutti e noi veniamo coinvolti a turno. Si finisce con un bagno notturno al chiaro della luna, che sembrava un faro, tanto era luminosa. Dormo poco e male, noto una barca che gira al largo della spiaggia. Saprò il giorno dopo che facevano parte della nostra scorta, insieme a quelli a terra su una motoretta con fucile montato.

VII giorno 04/08/2009 Sveglia alle luci dell’alba a Bir Ali e dopo colazione saliamo sulla montagna, che si rivela un vulcano spento. Nel cratere si è formato un lago di acqua piovana, molto profondo e di colore verde; dall’altra parte la pianura desertica della vallata sottostante. La giornata, a parte questo, è libera. Hanno chiuso la strada costiera per Aden e dobbiamo farla in aereo. Le jeep, invece, vanno via terra. Ci lasciano a Mukalla, dove abbiamo a disposizione una camera d’albergo per cambiarci. Facciamo un giro in città, ma c’è caldo e poco da vedere: un canale che si immette nell’Oceano odora di fogna a cielo aperto e il mercato offre poco. Compriamo un burka per tutte le donne del gruppo. In serata il volo per Aden: il Mercure hotel è il più bello di tutti quelli passati. Ci passeremo solo poche ore perché arriviamo alle 22 e ripartiamo alle 8 il giorno dopo.

VIII giorno 05/08/2009 Aden, nonostante la sua importanza storica, occupato dagli inglesi a lungo, non offre molto. Visitiamo in mattinata delle cisterne d’acqua piovana scoperte nel secolo scorso la cui origine non è nota e saliamo su una collina per avere una vista del porto dall’alto. Unica altra cosa da ricordare, l’assalto a un gelataio ambulante per rinfrescarci la bocca dal caldo afoso che faceva. Si parte con le nostre jeep, per Taiz, la terza città del paese, situata più in alto rispetto al mare. Vista dalla montagna che la sovrasta, è un’immensa distesa di case e minareti. La montagna e il luogo preferito nel pomeriggio dai locali che fermano la macchina a bordo strada e si mettono a masticare qat sulle sporgenze! C’è quasi freddo qua in alto in mezzo alle nuvole. L’hotel è in pieno centro e le jeep ci lasciano all’ingresso del suk. Si notano le differenze con quello di Sana’a: è meno turistico, la gente è di colore più scuro e parecchie donne hanno il viso scoperto. C’è una zona delle spezie e alcuni fanno spese. Di sera mangiamo in un bel ristorante fuori dal centro. Mi capita in mano il menu in inglese e noto che fanno i gamberetti. Stufo marcio di pollo, riso e kebab li provo, unico nel gruppo; non me ne sono decisamente pentito! In compenso la birra è la solita: analcolica ai gusti mela e fragola. Il bello è che le importano dalla Svizzera!!!!!!! IX giorno 06/08/2009 Abbiamo un’altra notte a Taiz, ma in giornata ci spostiamo verso nord, i paesi di Jibla e Ibb. In mattinata visitiamo una antica moschea in disuso, in città. Sono in corso lavori di restrutturazione, ma le pareti interne sono molto ben decorate, con disegni geometrici, ovviamente, essendo vietata ogni rappresentazione umana o animale. Lasciata Taiz, passiamo per un paese chiamato Al-Qaidah, nome molto “attuale”, direi, in cui al ritorno comprerò un pareo. Per raggiungere Jibla c’è una strada sterrata, che percorriamo per un buon tratto a piedi per vedere il paesaggio e il paese da lontano, costruito seguendo il pendio naturale del terreno e pieno di minareti che spuntano continuamente come sculture “falliche”! Visitiamo una moschea dove non possiamo accedere, come al solito, alla zona di culto e qui si presenta a noi una ragazza, 20 anni, che parla discretamente italiano. Conosce 6 lingue senza avere mai studiato e il suo sogno è fare l’Università. La cosa incredibile è che è a viso scoperto e ci dice che la sua è una famiglia moderna e non si cura di quello che le dicono le coetanee. Forse considerano prostitute quelle che fanno vedere il viso??? Beviamo il tè a casa sua e le lasciamo una lauta mancia. Lasciata Jibla ci rechiamo a Ibb: siamo in una delle vie del suk, quando inizia a piovere, una pioggia torrenziale che trasformerà in pochi minuti le vie sterrate del centro in discesa in un fiume. Facciamo in tempo a prendere tutta l’acqua! Di Ibb, oltre all’unica pioggia del viaggio, ricordo le case con la stella ebraica sulla porta, lasciate dopo l’emigrazione degli ebrei nel 1948, quando si formò lo Stato di Israele e quasi tutti lasciarono lo Yemen, portandosi dietro i segreti della lavorazione dell’oro di cui erano maestri. Decido di evitare il giro serale al suk e di riposarmi in camera qualche ora.

X giorno 07/08/2009 Lasciamo Taiz per la costa del Mar Rosso. Non andiamo a Al-Mokha, la patria del caffè, che attualmente non offre nulla e ci fermiamo a Kawkah. La popolazione è totalmente diversa: sono africani! Mi ricordo un ragazzo altissimo e magrissimo di carnagione molto scura tipica dell’Etiopia, che non è distante. La donne sono velate, ma il viso è quasi sempre scoperto e indossano abiti di colori vivaci, non il classico nero. Ci fermiamo in un villaggio di capanne di paglia intrecciata e fango, circondato da una palizzata: tutto veramente africano. E’ prevista un escursione in barca sul Mar Rosso. Il punto di partenza è un albergo ristorante sulla costa. La spiaggia è disseminata di relitti di navi e barche e la nostra barca deve superare una laguna di acqua bassissima per uscire in mare aperto. I barcaioli hanno l’aria di essere pescatori, ma di non disdegnare eventualmente la pirateria, ma forse è solo un’impressione. Dobbiamo scendere a spingere diverse volte per superare le secche. Una parte del gruppo si è accomodata, invece, su una barca più grande e veloce che li lascia sulla spiaggia interna alla laguna e li riprende sul lato esterno. C’è una piccola barriera corallina, ma niente paragonabile a Sharm. Il sole picchia, è mezzogiorno e rientriamo per pranzo. Nell’albergo alloggiano una coppia di baschi e un dominicano, che non so come sia finito qui. E’ presente anche un militare di alto grado con figli e mogli. Nel pomeriggio la magica Zabid, sito scelto da Pasolini per il film “Il fiore delle mille e una notte”. Non conoscevo il film (né Pasolini, a dire il vero), ma questa città coi suoi palazzi di sabbia ha qualcosa di speciale. I muri sono intarsiati di disegni geometrici e le vie polverose. Entriamo nel palazzo usato per il film: a me ricorda scene di un film visto e ambientato in Arabia, “Hidalgo, Oceano di Fuoco”, molto più recente! Fantastico un bambino vestito da Spiderman! La notte l’abbiamo a Hodeida, sempre sul Mar Rosso, nell’unico albergo della città. Per cena prendo una fantastica pizza al kebab, pesantina ma non male! XI giorno 08/08/2009 In un clima afoso e caldo come me ne ricordo poco siamo già alle 8 di mattina al mercato del pesce di Hodeida. E’ sul mare, con approdo per i pescherecci che sono in numero impressionante ormeggiati al molo. I primi pesci sono “banali” ma da una barca stanno tirando su uno squalo di notevoli dimensioni. Ne hanno pescati tre, tutti, a occhio, di almeno 100Kg. Li portano in una sezione dedicata solo agli squali. Ne vedo uno, Tigre, che non è meno di 200-300 Kg, un mostro impressionante con dei denti che possono segare in due un uomo come ridere. E’ la macchina di morte perfetta, con sei file di denti che fuoriescono sono all’aprire la bocca e, se uno di una fila anteriore si rompe, quello della fila successiva scala a rimpiazzarlo. Che miracoli fa la natura! Ci sono anche pesci martello e razze che sono altri tipi di squalo. Le pinne vengono tagliate e mandate in Cina e Thailandia, dove sono usate come viagra! Scappo fuori dal mercato perché il caldo, la puzza, lo sporco e l’affollamento mi danno parecchio fastidio. Lasciata Hodeida cominciamo a salire verso le montagne dell’interno. Facciamo uno stop prima in un wadi chiamato Surduk, che è la zona più fertile di tutto lo Yemen. L’acqua scende dalle montagne e si convoglia qui, rendendola adatta a molti tipi di coltivazione, tra cui le banane. Saliamo sempre più in strade bellissime, da far invidia a molte nel nostro Paese, raggiungendo il villaggio di Manakah, a più di 2000m sul livello del mare. Non ci sono hotel, solo locande loro, chiamate funduq, ma il nostro è veramente bello! Dalla nostra camera si ha una vista sulla vallata spettacolare. Nel pomeriggio saliamo ancora verso Al-Hajjara, borgo arroccato su una montagna con palazzi in pietra decorata di bianco. Sotto ci sono i terrazzamenti su cui coltivano il qat, che ha sostituito i cereali, meno redditizi (!!!!). Siamo assaliti dai bambini, spigliatissimi, che ci fanno da guida promettendo di visitare i loro negozi. Visitare non costa niente, ma non ho più Ryal e non so come comprare, anche volendo. Mi spiace per Mohammed, ma non so cosa farci. Di sera, dopo una lauta cena per terra sui tappeti, i gestori del funduq ci mostrano le danze tipiche e ci lasciamo coinvolgere. In tre siamo vestiti da arabi e impariamo il ballo della Jambyya. Credo si siano divertiti molto con noi anche loro, per il nostro spirito di coinvolgimento. Notte quasi in bianco, sarà per l’altitudine o per altro, ma riesco a dormire ben poco.

XII giorno 09/08/2009 In mattinata è previsto un lungo trekking sulle montagne intorno a Manakah. Mi informo che non ci siano tratti ripidi perché soffro di vertigini e decido di andare. Sono l’unico del gruppo non munito di scarpe adatte, avendo solo trainers classiche che non fanno molta presa sul terreno. Partiamo da un luogo di ritrovo di una comunità musulmana dell’India: bellissimo un palazzo bianco sormontato da cupola che sembra un mausoleo. Il primo tratto in salita è molto facile. La strada consente anche il passaggio ad alcuni veicoli a motore. Ci inoltriamo poi tra i terrazzamenti e in una valletta una signora ci offre un tè caldo mentre ci riposiamo. Un somarello raglia attorno a noi. Una stradina porta a un villaggio costruito su un promontorio; la salita è abbastanza agevole, nonostante i gradini siano in gran parte consumati e distrutti dal tempo e dall’usura. In cima al paese il promontorio precipita con un salto di un centinaio di metri nella valle sottostante. Le case sono molto colorate, alcune di bianco con disegnate delle colonnine, altre in bianco e rosso. Lasciato il villaggio ci ri-inoltriamo tra le terrazze. La marcia comincia a farsi dura e lunga e alcune salite ci rallentano. Io, con le mie scarpe, ho problemi a scendere non a salire. Passiamo per un altro villaggio, formato da 4-5 case torre e basta. Nello Yemen non esiste il concetto di casa bassa e orizzontale. Ogni tanto incontriamo un pastore con il gregge di vacche o con un somarello carico di roba. Comincia a diventare lunga, dovevano essere 3 ore, ma è un bel po’ che camminiamo. “Manca mezz’ora” dice Taha, ma ci mostra l’arrivo, che è Hajjara, la città del giorno prima, arroccata su un’altra montagna: dovevamo finire di salire quella su cui eravamo, scendere e risalire un pezzo dell’altra! Ovviamente ci abbiamo messo il triplo e la discesa per me è un vero incubo. Riposo nel primo pomeriggio e poi visita a un altro villaggio. La strada è brutta e sterrata e un locale si aggrappa alla jeep per farsi dare un passaggio. E’ ad oltre 3000m di altitudine, molto isolato, con le donne che lavano il bucato coi piedi. Uomini pochi, ma un infinità di bambini, uno dei quali si diverte a fare il modello per le foto. La cosa caratteristica del paese è la presenza di case appartenute ad ebrei, con finestre colorate di bianco e stella a cinque punte.

XIII giorno 10/08/2009 Lasciamo Manakah e i nostri amici del funduq con una foto collettiva. Il nostro viaggio ha raggiunto il suo scopo: finalmente vediamo i nidi della passera scopaiola con i suoi inquilini!!!! Non avremmo potuto tornare in Italia soddisfatti senza questa esperienza indimenticabile!!! Il pezzo di strada nel Wadi Sar’ar è pesante per le nostre schiene: sono tutti massi e sassi irregolari e le jeep ci danno una bella shakerata. Shibam (un’altra omonima di quella dell’Hadramawt) è lontana e ci fermiamo più volte ad ammirare i paesaggi montani di questa zona. Villaggi costruiti nella roccia e terrazze artificiali. Ci fermiamo brevemente a Mawitt a vedere il panorama e proseguiamo per Tawilah. Siamo in alto, fa freddo e ci troviamo in mezzo a una nuvola che rende il paese nebbioso. La pietra di cui sono fatte le case qui è più chiara. Un ragazzina ci invita a casa sua, ma, mentre le donne sono invitate dalla madre e sorelle a prendere il tè, noi uomini possiamo stare solo sul terrazzo. Alla sera alloggiamo in un altro funduq a Shibam, meno caratteristico e senza “animazione” serale. Le donne provano il burka comprato a Mukalla con gli autisti scatenati e divertitissimi a scattare foto coi cellulari. XIV giorno 11/08/2009 Saliamo sulla montagna Bukur dove è stata costruita una fortezza, ora disabitata su una rupe rocciosa. Impossibile pensare come sia stato possibile farla in tempi antichi. Più in alto c’è un punto panoramico. Yahya si siede su una roccia con le gambe a penzoloni su un burrone di 300m!!! Questo ragazzo è pazzo duro! Facciamo un sacco di foto e scendiamo ad Hababa, paese che è costruito attorno ad un enome cisterna di acqua piovana in cui i locali, quasi tutti bambini e ragazzini fanno il bagno. Ci mostrano anche alcune pietre usate per costruire la città, riciclate da insediamenti antichi che hanno iscrizioni in lingua sabatea. Thula è il paese di Taha e ci invita a prendere il tè coi pasticcini a casa sua. La madre e la sorella sono buone cuoche e i pasticcini sono squisiti. Conosciamo il fratello minore e tutti i suoi amici che ci saltano addosso per proporci cose da comprare: sono i più insistenti e fastidiosi di tutti il viaggio. Saliamo sul tetto di un hotel, dove torneremo domani a pranzo, per vedere il panorama di questa città, con strade in mattoni regolari fatti costruire dall’Unesco. Anche qui il colore è quello delle montagne circostanti. “Ci tocca” mangiare nonostante non abbiamo fame perché il ristorante era già prenotato. Nel pomeriggio dovevamo salire a Kawkaban e poi scendere a piedi, ma l’aria di pioggia ce lo sconsiglia. Visitiamo comunque Kawkaban, passando per una strada con un rischio frane altissimo a mio parere, viste le condizione delle pareti rocciose. Ci fermiamo a un campo adibito a cimitero e poi arriviamo alle porte della città. Qui seguono alla lettera le disposizioni del Corano: “Se Maometto non andrà alla montagna, la montagna andrà da Maometto”, infatti arrivano i soliti venditori con delle carriole su cui hanno la merce: così evitano di doverci portare ai negozi. Fantastico un vecchio che vende campanelle che tiene la merce nel bossolo di un proiettile da carro armato! Anche qui ci sono delle cisterne d’acqua. Non è ancora sera e prima di ritirarci facciamo un giro a Shibam. Qui si teneva fino a due anni fa il mercato di Kalashnikov più grande dell’Arabia, ma è stato abilito. Niente da segnalare se non il minareto più fallico che abbia mai visto!!!! XV giorno 12/08/2009 Lasciamo Shibam per la giornata che ci riporterà a Sana’a, la capitale, dopo aver fatto tutto il giro del Paese. Oggi si va ad Amran, il punto più a nord consentito a chi non è Arabo. Abbiamo infatti di nuovo la scorta militare, per la prima volta dopo Aden. Sono addirittura in 8 e ci seguono su una motoretta. Amran ha la pavimentazione stradale fatta dall’Unesco e case ricoperte di fango liscio che non lascia vedere i mattoni. Sono quasi prive di spigoli e angoli; ricordano tantissimo a mio parere lo stile di Gaudì a Barcellona. Alcuni edifici hanno le finestre circondate di azzurro. Saliamo su una casa museo, sempre circondati dai militari, per vedere il panorama. Lasciata Amran ci dirigiamo verso un villaggio arroccato sulla parete di una montagna: è costruito in pendenza e sopra di esso volano stormi di uccelli, corvi penso. Non vale la pena entrare in paese che offre poco e andiamo verso Thula, dove abbiamo il pranzo nell’hotel visto il giorno prima. Sulla strada ci offrono fossili di conchiglie: si vede che qualche milione di anni fa qui c’era il mare. Arriviamo a Sana’a sotto la pioggia. Devo dire che con il tempo siamo stati molto fortunati, avendo preso la pioggia solo a Ibb, mentre le altre volte eravamo al chiuso o in macchina. Al pomeriggio parte del gruppo fa un giro al suk, ma mi dissocio, non dovendo comprare nulla. Alla sera salutiamo i nostri autisti offrendogli la cena. Lasciamo lettere di ringraziamento con mancia a Yahya, Fuhad, Adel, Ahmud e Shamsan. Taha verrà con noi a Socotra. Yahya regala ai suoi trasportati un pacco di caffè yemenita, dato come il più buono al mondo. Il problema è che viene tutto esportato e in venti giorni non siamo riusciti a berne uno decente, visto che tengono solo gli scarti. Io non sono un amante, quindi non me ne sono fatto un problema. Alloggiamo di nuovo al Mercure.

XVI giorno 13/08/2009 Giornata piena a Sana’a. Alla mattina facciamo un giro in quello che era il quartiere ebraico che ora è abitato da locali. Nel primo pomeriggio è previsto l’Hamman, bagno tradizionale. Abbiamo prenotato un bagno apposta per noi e andremo dentro in due turni: prima uomini, poi donne. Noi ci divertiamo: i locali ci fanno stretching e ci lavano con una spugna. Alla fine cantiamo e balliamo. Il posto è leggermente sotterraneo, buio e umico; l’acqua è appena tiepida. Le donne all’uscita sono scandalizzate per la poca igiene e per le richieste delle donne che vogliono a tutti i costi la mancia. Il resto della giornata è dedicata allo shopping. Per me è il momento più stressante del viaggio, dovendo aspettare i tempi biblici di compra e contrattazione altrui! Per il tramonto prendiamo da bere sulla terrazza dell’hotel più esclusivo della capitale, in piena città vecchia. Poi a letto presto perché l’aereo per Socotra è all’alba.

XVII giorno 14/08/2009 Il volo mattutino per Socotra sembra un bus turistico con il pilota che annuncia che sorvoleremo l’isola e che ci troveremo sulla destra la laguna di Qalansya a cui potremo fare “great pictures, really”!!! Si fa scalo a Mukalla e abbiamo imbarcato le tende dove dormiremo nelle due notti che avremo all’addiaccio! Ci accoglie un vento fortissimo, tanto che abbiamo paura di perdere Taha che è piccolino! Una capretta gironzola tranquilla per il terminal. Le jeep non sono all’altezza di quelle del continente e Mohammed, il mio nuovo autista, non parla una parola di inglese o spagnolo. Ci portano all’albergo nella capitale che non è altro che un paesino di poche vie. La stanza non è il massimo, ma ha l’aria condizionata. Pranziamo nel migliore ristorante dell’isola, lì a fianco. E’ venerdì e finita la preghiera del mezzogiorno arrivano i locali a mangiare: tutti insieme al tavolo, usando solo le mani, senza tovaglia, igiene meno di zero! Partiamo quindi per l’interno dell’isola. Mi aspettavo una vegetazione rigogliosa, mentre qui è tutto secco e brullo. Le strade secondarie sono pessime e costeggiamo il letto di un fiume secco. Oltre agli strani alberi senza una foglia avvistiamo un avvoltoio che sta su una roccia in posa per le foto. Chiudiamo la giornata al mare, alla spiaggia di Deliseh, vicino ad Hadibo. Il mare non è il massimo e ci sono parecchie rocce sottacqua, ma la duna di sabbia bianca sul lato della montagna è splendida. Il gioco di colori della sabbia bianca con la roccia nera è bellissimo Sotto la duna delle rocce modellate dal vento creato piccole grotte. La doccia serale è a secchiate perché non funziona il rubinetto della doccia.

XVIII giorno 15/08/2009 Abbiamo il minareto di fronte all’hotel, quindi si salta tutti dal letto alle 3 con questo muezzin dalle aspirazioni artistiche nel campo del canto! Di prima mattina carichiamo i bagagli in macchina perché le prossime due notti saranno in tenda su una spiaggia. Compriamo una capretta per 20 euro e l’affidiamo l cuoco che ci seguirà nei prossimi giorni. Saliamo sull’altopiano Diksam. Il vento è fortissimo e fa abbastanza freddo. Vediamo per la prima volta gli alberi sangue di drago, caratteristici dell’isola. Hanno le foglie solo sulla parte alta, mentre i rami che le sostengono da sotto sono spogli; come forma somigliano molto a..Degli ombrelloni! Spuntano continuamente dal terreno arido dell’altopiano. Saliamo ancora e incontriamo il cuoco che sta cucinando la povera capretta del mattino. Tutto intorno volano avvoltoi della dimensione di galline che aspettano la razione di capra. Non mangiamo subito, ma scendiamo più in basso. Ci aspetta una lunghissima discesa verso una vera e propria oasi, dove una pozza d’acqua stagnante ha formato un giardino verdissimo di palme. Ci arriviamo saltando sui sassi del letto del fiume quando è in piena circondati da pareti rocciose macchiate di guano e sulla cui cima spuntano gli alberi sangue di drago. Le pietre in acqua sono di tutte le dimensioni e colori: nere, rosse, bianche, marroni. Un dromedario mangia le foglie da un arbusto sulle pendici della montagna, circondato da secchi alberi bottiglia. Faticosissima e infinita la salita. Torniamo sull’altopiano per il pranzo ed è la zona più ventosa e fredda dell’isola. La cottura fatta in condizioni simili è pessima e la carne di capra non piace a nessuno. Molti la danno agli avvoltoi che sono ovunque, altri a un gruppo di bambini infreddoliti e magri vestiti di stracci che ci osservano con curiosità. Si mangia per terra su un tappeto steso per l’occasione, tutti avvolti in giacche e asciugamani per proteggersi dal freddo. Solo pochi metri più in basso si stava benissimo, con la montagna a riparare dal vento. E’ ancora nuvolo quando giungiamo alla spiaggia di Amak, dove faremo il campo notte. E’ una spiaggia fatta di sabbia e dune abbastanza larga vicino a un villaggio di pastori. Gli autisti ci montano le tende e a me e al mio amico tocca la più grande essendo entrambi alti (lui di più..). Si cena italiano finalmente: spaghetti al tonno comprati per l’occasione. Dopo cena è già scuro e accendiamo un falò per illuminare il cuoco e gli autisti che ci mostrano i balli tipici dell’isola. Dopo una caccia ai granchi con le pile è ora di andare a letto, il Sabato di Ferragosto alle ore 21:30! XIX giorno 16/08/2009 Dopo aver comprato la capra, partiamo per le grotte Dogub. Avevamo letto delle grotte quasi in esplorate di Socotra, bellissime, solo che..Non sono queste! Dogub è solo una caverna nella montagna, la parte interna è inaccessibile perché troppo stretta e piena di pipistrelli. Quelle che pensavamo noi sono dall’altra parte dell’isola! Facciamo un lungo pezzo a piedi verso la spiaggia, attraversando un paio di villaggi locali, vedendo un ospedale ormai abbandonato e un campo di essicazione dei datteri. Torniamo ad Amak e il mare molto mosso è divertentissimo, con le onde che sbattono a destra e a sinistra e una corrente in direzione opposta che fa perdere l’equilibrio. Stiamo comunque dove si tocca perché altrimenti può essere pericoloso. Nel pomeriggio, dopo il riposino, altra spiaggia Hayf. Di per sé non è bellissima, piena di sassi e conchiglie e con onde forti che non permettono fare il bagno. Ma tutto attorno ci sono dune di sabbia corallina bianchissima che non si scalda al sole. Sabbia liscia o leggermente levigata dal vento in dune abbastanza alte dove si sprofonda coi piedi, che risalta nel cielo azzurro senza una nuvola. Nessuna foto può rendere veramente! Per cena lo chef propone..Spaghetti al pomodoro! Con una stellata così, non abbiamo voglia di danze yemenite o socotrine. Il capogruppo ci indica le principali costellazioni visibili tra cui lo scorpione, il sagittario, orione (che fa rima…?) e la Via Lattea, oltre a una lezione di astronomia. XX giorno 17/08/2009 Ci svegliamo all’alba con un vento fortissimo che muove le tende. In serata è previsto il rientro nella capitale dell’isola, Hadibo, di giorno facciamo la costa occidentale, rivolta verso la Somalia. Poco a ovest di Amak ci fermiamo ad una spiaggia dove un gruppo di ragazzini prova a catturare qualche pesce con delle nasse. Il risultato è scarso, solo qualche pesciolino. La sabbia è bianca, corallina, spolverata di nero in alcuni punti e i buchi scavati dai grandi sono i più grandi che abbia mai visto. Attraversiamo l’interno e ci fermiamo a fotografare l’albero di incenso e della gomma; non si riesce quasi a camminare dalla forza del vento. Raggiunta la costa nord-ovest, la capretta giornaliera non è ancora pronta e abbiamo un’oretta a disposizione. Non mangeremo sulla spiaggia con il sole a picco, ma sotto degli alberi: molto meglio così. Abbiamo il tempo quindi di vedere la laguna di Qalansya. Uno spettacolo unico: una grandissima laguna di acqua bassissima con colori diversissimi dal verde al blu. Sui due lati due montagne, una rocciosa e una ricoperta di sabbia chiara. Guadiamo fino all’Oceano: è un kilometro con acqua che non arriva mai oltre al ginocchio. Appena fuori dalla laguna il mare è mosso, agitato, con corrente fortissima. Dobbiamo tornare nel palmeto per il pranzo. Siamo circondati dai soliti avvoltoi e dalle capre. Le capre, se non stiamo attenti, ci rubano il pane dalle mani e si buttano sul tappeto per andare a mangiare il riso dalla pentola. Gli avvoltoi sono più discreti. Torniamo alla laguna da un’altra strada. Su una roccia ci sono dei carro armati risalenti alle guerra per il possesso dell’isola con gli inglesi. Vediamo la laguna dall’alto della montagna sabbiosa e poi scendiamo, raggiungendo coi piedi nell’acqua il punto in cui ci avevano lasciato alla mattina. I colori sono completamente diversi al tramonto, non sembra lo stesso luogo. Gli autisti vogliono rientrare prima del tramonto e guidano come dei pazzi sulla strada del ritorno. In albergo scopro che la doccia è ancora rotta e il bisogno di lavarmi dopo due notti in spiaggia senza servizi è assoluta. Mi tocca fare la doccia a..Secchiate! Alla sera mangiamo al ristorante a fianco e a fine pasto le onnipresenti capre saltano sui tavoli a mangiare i resti rimasti.

XXI giorno 18/08/2009 Ultimo giorno a Socotra. Ci manca il lato est dell’isola. La cosa più interessante da vedere è l’altopiano di Homhill, ricco di alberi di incenso e bottiglia. Il primo tratto è agevole, il panorama è notevole, con questi alberi che spuntano come funghi, senza una foglia, dalla distesa pietrosa rossa. L’altro lato della montagna è ventosissimo; si fa fatica a tenere l’equilibrio. Passiamo nel letto di un fiume roccioso con delle ferite nelle roccia provocate dal forte vento. Scendiamo sul versante opposto arrampicandoci sui massi di una frana che ha spaccato in due la cima della montagna. La discesa è faticosa e molto lunga. Alla fine tre del gruppo decidono di andare alle grotte non viste l’altro giorno, mentre tutti noi puntiamo al mare. Mangiamo sulla spiaggia di Dihimari e subito dopo ci tuffiamo a vedere la barriera corallina. E’ piccola, ma ci sono molti pesci tipici di barriera, più grandi del solito. XXII giorno 19/08/2009 Lasciamo Socotra in mattinata con il volo per Sana’a. L’aereo per Istanbul è alle 2 di notte, ma, gentilmente in albergo ci lasciano la camera. Decido di non andare per l’ennesima volta al suk e di rimanere in hotel a riposarmi. Il volo è puntuale è arriviamo alle 6 di mattina nella metropoli turca.

XXIII giorno 20/08/2009 A Istanbul dobbiamo incontrarci con alcuni che hanno fatto parte del gruppo in altri anni, ma che,per ragioni diverse non sono venuti in Yemen. Hanno “ripiegato” allora su un tour della Cappadocia per poi incontrarci per visitare Costantinopoli insieme. Senza passare per l’albergo cominciamo subito la visita con il Topkapi, il palazzo del sultano che adesso è un museo. Sono raccolte collezioni di gioielli di epoca ottomana tra cui uno dei diamanti più grandi e puri al mondo e armature e spade incastonate di smeraldi e altre pietre preziose. Altra ala dedicata alle reliquie sacre. Non è permesso fare foto all’interno. C’è molta gente, soprattutto musulmani che domani inizieranno il mese di digiuno del Ramadan. Sinceramente non credo nella veridicità di oggetti come i peli della barba del Profeta, anche se la guida mi garantisce essere stati portati dall’Egitto all’epoca della conquista turca. Pranziamo dentro il Topkapi e poi ci rechiamo a visitare l’harem del sultano. Erano gli appartamenti privati del sovrano in cui era l’unico uomo che potesse accedere. Vi vivevano le sue 4 mogli di turno, le innumerevoli concubine e la regina madre. Eunuchi presi tra le popolazioni africane soprattutto per il loro vigore fisico erano addette alla sicurezza e sorveglianza. Era un mondo di intrighi e doppiogiochismi tra le donne che volevano che il proprio figlio fosse il prossimo sovrano. In quasi tutte le stanze si è fatto abbondate uso del blu. Dal cortile interno si vede il Corno d’Oro, il canale che divide in due la parte europea della città, mentre il Bosforo divide l’Europa dall’Asia. Usciti dal Topkapi e con la stanchezza del viaggio che inizia a farsi sentire prepotentemente, attraversiamo la strada per entrare nella basilica di Santa Sofia. Edificata da Teodosio il Grande, sembra per espiare il senso di colpa per il massacro di 10.000 uomini nell’Ippodromo, è stata per secoli una delle basiliche cristiane più importanti al mondo. “Sophia” non è una santa, ma la Sapienza in greco. Il primo atto della conquista ottomana nel 1453 fu celebrare il rito islamico in questo edificio, come a significare la non completa rottura con il passato. L’interno ha pianta circolare e, purtroppo, una parte è in restauro. Gli enormi dischi con scritte in arabo sono stati collocati molto dopo. Nelle gallerie superiori si possono ancora vedere gli stupendi mosaici bizantini che i nuovi padroni non ebbero il coraggio di distruggere: per la legge coranica non si possono rappresentare figure umane o animali. Si limitarono a coprirli. Dalla caduta dell’impero e l’instaurazione della Repubblica turca Santa Sofia è diventata museo, per evitare dispute tra le due correnti religiose. Ultima tappa le cisterne sotterranee. Un immenso spazio sottostante la città dove veniva convogliata l’acqua piovana e degli acquedotti per evitare problemi in caso di assedio. E’ tenuto in piedi da colonne riciclate da templi pagani e un complesso di archi. E’ ancora presente l’acqua piena di monetine benauguranti e carpe. Si cammina per un breve tratto fino a colonne scolpite con la testa della Medusa al contrario. Finalmente si va in albergo a riposare. E’ nel centro storico, di fronte a un Bazar, in una viuzza in cui sono tutti alberghi in stile, sembra, nordeuropeo. Di sera si fa un giro a vedere la Moschea Blu illuminata con una scritta che annuncia l’inizio del Ramadan.

XXIV giorno 21/08/2009 Siamo giunti alla fine dell’avventura! Finiamo la visita di Istanbul e poi si ritorna in Italia, alla vita di tutti i giorni. Di prima mattina entriamo nella Moschea Blu o di Solimano. C’è molta meno gente di quanta ce ne fosse 13 anni fa, l’ultima volta che l’ho vista. Quando fu costruita, con 6 minareti, la Moschea della Mecca dovette innalzarne un altro per mantenere la posizione di preminenza sul mondo islamico. Sorge proprio davanti a Santa Sofia, mentre di lato vi è quel che resta del famoso Ippodromo, sede della vita pubblica e sociale di epoca bizantina. Ora è un giardino che segue la forma della “spina” centrale attorno al quale giravano le bighe. Sono ancora presenti la Colonna Serpentina, proveniente dal santuario di Apollo a Delfi e l’obelisco di Thutmosis III, fatto portare da Teodosio dall’Egitto e risalente al XVI secolo a.C. Poco distante si trova la Fontana di Guglielmo II donata al sultano dai tedeschi a fine XIX secolo. Passiamo il ponte sul Corno d’Oro per raggiungere il palazzo del Dombache. Costruito nell’Ottocento per sostituire il Topkapi è stato utilizzato per pochi anni. Lo vediamo solo da fuori perché c’è molta gente e abbiamo poco tempo. “Ripieghiamo” allora su Santo Salvatore in Chora, appena fuori dalle vecchie mura della città. E’ una basilica a pianta croce greca che ricorda moltissimo Ravenna; ricchissima di mosaici che ritraggono i miracoli di Gesù, in condizioni di conservazione più che buone. Non è rotta abituale per i turisti, ma appena fuori si tiene un mercatino con libri sulla chiesa e sulla città più cartoline e altri souvenir. Prima di pranzo abbiamo ancora il tempo per la crociera sul battello. Si parte dall’interno del Corno d’Oro e usciamo, passando sotto un basso ponte, nello stretto del Bosforo. Qua hanno possibilità di passare le navi senza chiedere permesso, secondo gli accordi internazionali e questo ha creato diversi problemi durante l’ultimo conflitto mondiale e la Guerra Fredda per il passaggio di navi militare verso i porti ex-sovietici del Mar Nero. La parte europea e quella asiatica di Istanbul sono collegate attraverso due ponti lunghissimi, grandi opere di ingegneria. All’andata costeggiamo la zona europea, al ritorno quella asiatica. Dal mare si ha un’ottima vista della zona dove alloggiavamo con Santa Sophia, la Moschea Blu e il Topkapi, della Moschea di Solimano il Magnifico e, dall’altro lato, la Torre del Galata. Facciamo un po’ tardi a pranzo, dobbiamo saltare il mercato delle spezie e visitare velocemente il Gran Bazar. Non mi dispiace non avere troppo tempo in modo da non lasciare scatenare i “mostri da shopping” del gruppo. Il Gran Bazar è in un complesso annesso a una moschea ed è immenso. Un numero impressionante di negozi in un dedalo di viuzze che vendono di tutto, dagli oggetti più turistici, ai tappeti, alle antichità locali. Si parte per l’aeroporto. Ci cambiano il gate di imbarco per il ritardo del volo e andiamo a finire in una zona congestionata di gente in partenza per le zone russe. Prima fanno passare i passeggeri per Milano, poi li bloccano, poi ne lasciano passare alcuni e poi li fermano: un casino impressionante!!! Con un bel po’ di ritardo decolliamo per l’Italia dove arriviamo in tarda notte, lasciandoci alle spalle tre settimane in un paese strano, bellissimo, affascinante.



    Commenti

    Lascia un commento

    Leggi anche