Un altro mondo, un altro tempo
Alle 11,20, in perfetto orario, l’aereo dell’Yemenia, la compagnia Yemenita, prende il volo. Ci voglio-no tre ore per arrivare al Cairo, dove facciamo scalo. Fin qui è stato tutto perfetto: buon volo, buon at-terraggio. Io che ho preso due capsule di un calmante alle erbe, ho dormicchiato e sono stata veramente tranquilla. Al Cairo stiamo un’ora, senza scendere, e salgono un sacco di persone tutte arabe. Si riparte e ci vogliono altre tre ore per arrivare a Sana’a. Intanto in aereo abbiamo mangiato due volte! Di nuovo buon atterraggio a Sana’a e un po’ di attesa per riprenderci senza problemi tutte le valigie. Primo incon-tro con i bagni nello Yemen: all’aeroporto il bagno delle donne odora di criolina, non si respira; non è sporco, ma l’odore è pungente. Accanto al gabinetto alla turca c’è un rubinetto con una bacinella e un bricco di plastica, penso che sia da usare al posto dello sciacquone: in realtà poi leggo sulla guida che gli yemeniti, come tutti gli islamici, non usano la carta igienica per pulirsi, ma l’acqua e allora capisco l’uso; avevo visto questi oggetti nei bagni anche in altri viaggi, in Marocco, Tunisia, Siria e Giordania, tutti paesi arabi.
Incontriamo la nostra guida dello Yemen, è un uomo di carnagione piuttosto scura, magro, parla benissimo italiano e sembra molto efficiente.
Usciamo dall’aeroporto, con dei pulmini abbastanza scalcinati partiamo alla volta dello Sheraton! E’ il più bell’albergo di Sana’a e, da quello che constateremo, il più bello dello Yemen. Le camere sono or-dinate, pulite e anche il bagno è più che decente, con tanto di bidet! Posate le valigie si va di nuovo a cena: un bel buffet ci aspetta, il cibo è molto buono e abbondante. Poi tutti a nanna. 2° giorno – 15 novembre mercoledì Sveglia alle 7. Colazione alle 7,30. Partenza alle 8. Andiamo a fare colazione: ci sono brioscine e panini di tutti i tipi! Poi caffè. Non mi azzardo a prendere il latte…Me lo scorderò fino al ritorno in Italia. Comunque colazione ottima. Si parte con i pulmini per andare a visitare Sana’a. La nostra guida parla molto; da buon mussulmano ci racconta tante cose sul modo di vivere, pensare e agire degli Yemeniti: tutto è regolato dal Corano. La religione e il codice civile si fondono, non c’è distinzione: ci si comporta bene se si segue quanto è scritto nel Corano. Si sente che lui è molto fiero di essere islamico! Durante il trasferimento notiamo i palazzi della città e, anche se avevamo visto documentari alla televi-sione, rimaniamo a bocca aperta per l’ammirazione. L’architettura delle case è meravigliosa: i palazzi alti, le finestre a cuspide, gli stucchi, le vetrate multicolori…È tutto bellissimo! Andiamo a visitare il Museo Nazionale, dove vediamo resti di templi, statue e ricostruzioni dei costumi e della vita degli ye-meniti. Poi si visita la città vecchia, dentro le mura, partendo dalla Porta orientale che si chiama Bab Al-Yaman (mercato del sale) che risale al 1870. Qui tutto è in fermento, c’è gente da tutte le parti, dal-la piazza dopo la porta comincia il “suq”, animatissimo, ricco di mercanzie di ogni tipo. Andiamo a ve-dere la casa e il cortile dove Pasolini ha girato alcune scene del film “Il fiore delle mille e una notte”. La guida ci dice di non comprare oggi, oggi guardiamo e basta, poi torneremo a fare acquisti! Riprendiamo i pulmini per andare a mangiare in un ristorante “caratteristico”; per noi occidentali l’igiene lascia un po’ a desiderare: i bagni sono così così, con il sapone in polvere per lavarsi le mani, la tavola apparecchiata con piatti di plastica dura lavabili, il pane arabo, senza lievito, che viene buttato qua e là sulla tovaglia di plastica…Be’ ci dobbiamo abituare a tutto questo! La guida ci invita ad andare a vedere in cucina come viene fatto il pane: ci sono dei cuochi che lavorano la pasta come i nostri piz-zaioli e la fanno volare, poi l’attaccano ai forni di terracotta dove cuoce e diventa fragrante e croccante, il pane è molto buono! Quando abbiamo finito, all’uscita del ristorante c’è un ragazzo che vende cas-sette di musica araba, qualcuno si mette a ballare sul marciapiede al ritmo della musica e ci invita a fare altrettanto, subito festa. Ci rendiamo conto che gli Yemeniti non sono scontrosi, anzi cercano di fare amicizia. Dopo, sempre con il pulmino, andiamo verso la città vecchia occidentale e, a piedi attraverso il suq, ri-torniamo alla porta Bab Al-Yaman dove ci aspettano i pulmini per riportarci allo Sheraton. La guida ci saluta e ci dà appuntamento a domani, sono solo le quattro e ci dispiace non soffermarci di più nel cuo-re della città e perderci l’ora del tramonto…Ci consoliamo facendoci, noi del gruppo Oltrelacttà, un buon caffè con la moka che ho portato da Firenze. La cena va sempre molto bene, dopo cena l’accompagnatrice ci riunisce per dirci che la guida ha chiesto 50 € a testa per le mance. Qualcuno si risente perché alla riunione fatta ad agosto all’agenzia di Firenze era stata detta una cifra inferiore. La situazione va in stallo, nessuno prende una decisione. Veniamo, comunque, a sapere che queste mance non sono solo per gli autisti, ma anche per chi ci fa vedere le case, per chi ci fa entrare da qualsiasi par-te, per chi si fa fotografare ecc. Ecc. Nello Yemen si campa anche di questo! Dopo cena, con un gruppetto della compagnia, decidiamo di prendere dei tassì e farci riportare alla Bab Al-Yaman. Da qui entriamo di nuovo nella città vecchia e ammiriamo le case di notte, bellissime con le vetrate illuminate dall’interno. Alziamo gli occhi al cielo e osserviamo l’ultimo quarto di luna: è girato all’in su come l’emblema che ritroviamo sulla cima dei minareti. Da noi non si è mai visto così! Oltre ad ammirare ci sbizzarriamo a comprare le cose che non abbiamo potuto comprare di giorno: casine di gesso simili a quelle vere che ci circondano, orecchini, catenine, ecc. Torniamo all’hotel tutti molto soddisfatti. Notte.
3° giorno – 16 novembre giovedì Sveglia alle 6 – Colazione 6,30 – Partenza 7.00.
Si parte con le jeep, le Land Cruiser della Toyota, le 4×4 che ci porteranno dovunque! A noi ne tocca una nera che sembra bella e funzionale, ma che si rivelerà vecchia e mal ridotta! Siamo in compagnia di due amici, Franca e Giuliano. Il nostro autista è un uomo piuttosto giovane, un po’ tarchiato, non molto alto, con una faccia aperta, sorridente e i baffetti. Non parla quasi niente di inglese e ci capiamo poco e quel poco a gesti. Però è gentile e alla prima fermata offre a ciascuno di noi un pacchetto di chewingum. E’ vestito con la tradizionale sottana degli uomini yemeniti, ma non ha la jambiya. Ci dob-biamo comunque abituare a questo tradizionale coltello ricurvo che quasi tutti gli uomini portano infila-to nella cintura. Ormai non è considerata un’ arma, ma un accessorio come per gli occidentali la cravat-ta! Si parte da Sana’a e ci dirigiamo verso est, verso le regioni desertiche; dobbiamo arrivare a Marib, do-ve pernotteremo. I dintorni di Marib sono terre delle tribù beduine. Il territorio è molto arido, le piogge rare (meno di 300 mm all’anno), solo pochi villaggi costeggiano i wadi che alimentano il loro corso con le piogge delle montagne. L’aspetto di questa terra è povero eppure fu qui che un tempo fiorì Saba, il regno più poten-te dell’Arabia antica.
Ci fermiamo a vedere Baraqish. Le mura di cinta, alte 14 metri sono tuttora in gran parte intatte con torri di avvistamento. Il sito si vede dalla strada, da lontano, è circondato da un brutto filo spinato. Le mura di questo antico paese erano mura difensive, ma anche segno della ricchezza di cui godeva questa città. La nostra guida che ci fa notare iscrizioni minee su alcune pietre delle mura. All’interno ci sono resti di case diroccate e al centro dell’abitato sono visibili le rovine di una moschea. Tutto è fatto con fango essiccato, è tutto dello stesso colore! Il luogo in se stesso non è meraviglioso, ma la luce, i colori, il contrasto tra il color fango delle costruzioni e l’azzurro del cielo creano un effetto sensazionale.
In diversi avevamo detto alla guida che avevamo bisogno del bagno e lui ci aveva risposto che poteva-mo fare i nostri bisogni una volta arrivati a Baraqish…Pensavamo che ci fossero i bagni! Invece molto naturalmente ci ha detto che dovunque, nel sito, potevamo trovare un posticino nascosto agli occhi de-gli altri! Siamo nello Yemen, ricordiamocelo! Dopo la visita ci dirigiamo all’Hotel Bilqis Mareb che si trova a Marib nuova. L’Hotel non sembra male, ha un grande atrio con una scenografica fontana circolare al centro. Andiamo a mangiare in una grande sala con lunghi tavoli e un buon buffet…Ma la tovaglia, ahimé, non è proprio candida! Comun-que mangiamo bene e poi ripartiamo subito per visitare la “vecchia diga”. Il più grande Wadi nei dintorni di Marib è il Wadi Dhana, essendo un grande bacino di raccolta dell’acqua delle piogge, nell’VIII secolo a.C. Tra due montagne fu realizzato uno sbarramento lungo 680 metri per 16 metri di altezza, fatto di sabbia, fango, pietrisco e bianco d’uovo. L’opera era impo-nente soprattutto pensando a quei tempi e a quei materiali! Il wadi venne chiamato per questo Wadi as-Sudd, cioè “wadi della diga”. Furono costruite chiuse per deviare l’acqua verso i campi (oasi del nord e del sud) e anche verso i terrazzamenti. Durante il Regno di Saba c’erano vaste piantagioni di palme che lungo la “via dell’incenso” procuravano ombra ai viaggiatori. La fama di questa diga si sparse per tutto il mondo antico, le carovane pagavano le tasse per attraversare questi luoghi e questo contribuiva alla prosperità del paese. Ma l’acqua piovana che scendeva dalle montagne portava con sé tanti detriti che continuamente alzavano il livello dell’acqua e così dovevano essere alzate anche le mura della diga. C’era quindi continuo bisogno di manutenzione, tutto funzionò bene per mille anni; veniva coltivato miglio, orzo, avena, cumino, uva, sorgo, lino, sesamo: la valle era fertilissima. Poi, il regno di Saba si indebolì a causa di molte guerre di potere e senza un’autorità forte centrale la diga subì mancanza di manutenzione e ne seguirono tanti disastri. Nel 570 d.C. La diga si ruppe definitivamente, solo poche famiglie rimasero a Marib e nei villaggi vicini. Dove arriviamo si vedono le rovine delle chiuse e dei punti di partenza della diga. Poi ripartiamo e andiamo a vedere la nuova diga che è più piccola, solo 220 m di lunghezza, ammiria-mo il lago artificiale sottostante, è un’opera recente, del 1986.
La strada dove passiamo è stata costruita negli anni ‘80 quando furono scoperti giacimenti di petrolio, gli impianti non si possono visitare, sono top secret appartengono quasi sicuramente a società america-ne. Da queste parti sperano che la nuova diga e il petrolio possano portare una buona economia per il futuro.
Ripartiamo e andiamo a visitare i Templi sabei. Il primo è Mahram Bilqis, Bilqis è il nome Yemenita della regina di Saba, quindi vuol dire Tempio di Bilqis o, secondo altre leggende, del Sole. Gli scavi cominciarono negli anni 50, ma le tribù del luogo erano ostili e i permessi furono ritirati di conseguen-za è di nuovo sotto la sabbia. Quando arriviamo ci sono delle squadre di archeologi, o presunti tali, a lavorare e ci dicono subito che non si può oltrepassare la rete metallica. Il tempio ha forma ovale cir-condato da un muro alto 9 metri e spesso 4. Ci sono addirittura guardie con tanto di Kalasnhikov , ma non fanno paura, anzi scherzano e danno volentieri i loro fucili ai turisti che si fanno le foto! Si vedono bene solo otto grandi pilastri a base quadrata.
Poi a poca distanza visitiamo ‘Arsh Bilqis, cioè Trono di Bilqis. La popolazione chiama così questo tempio anche se gli archeologi pensano che fosse un tempio dedicato al dio Almaqah, dio della Luna. Il tempio ha 5 pilastri, anche questi a base quadrata, che ricordano i cinque fondamenti dell’Islam e un sesto spezzato a metà, forse a indicare il 6° fondamento dibattuto della fede islamica. Qui ci sono tanti bellissimi bambini che ci gironzolano intorno, ci seguono ovunque chiedendo penne o caramelle; uno, piccolino vede il mio ciondolino con Winny Pooh attaccato alla borsa e non lo perde di vista…Come fa-re a non darglielo! Un ricordo che mi porterò per sempre dello Yemen saranno proprio i bambini. Ti vengono sempre in-torno, chiedono che tu gli faccia una foto, chiedono penne e caramelle. Non hanno niente, sono quasi sempre cenciosi, spettinati e sporchi, qui l’igiene quasi non esiste. Hanno tutti occhi grandi e belli, sguardi che ti colpiscono l’anima, come richieste di aiuto da un nemico sconosciuto e incombente come il loro stesso futuro.
Siamo quasi al tramonto e la guida ci invita a partire di corsa per andare a visitare la vecchia Marib per ammirare da lì il calar del sole. L’antica capitale del Regno dalla Regina di Saba è situata su una colli-netta, e già da lontano ci sembra un luogo straordinario con grattacieli di fango e fondamenta di pietra. Sulle pietre si vedono iscrizioni sabee e ornamenti come teste di stambecchi. Il paese è abbandonato, la mancanza di manutenzione che gli edifici di fango richiedono e i bombardamenti della guerra civile negli anni ‘60 lo hanno semidistrutto; però quello che resta è affascinante.
La guida ci conduce verso uno di questi grattacieli su cui si può ancora salire. Le scale sono strettissi-me e buie, saliamo velocemente per non perderci il momento del tramonto: sulla terrazza del tetto c’è una ragazza, di cui si vedono solo gli occhi, ma non è tutta vestita di nero. Accondiscende a fare le foto con i turisti. Anche questa è una persona che vive delle nostre mance! Il luogo è incantevole così primi-tivo e abbandonato! Si torna all’albergo, doccia, cena e poi si chiacchiera un po’ intorno alla fontana della hall. Domani si parte prestissimo, alle 4, perché dobbiamo attraversare il deserto. Notte. 4 giorno° – 17 novembre venerdì Ed eccoci svegli alle 3 (sigh!) e partenza alle 4,30 perché abbiamo dovuto mettere tutte le valigie, che portiamo con noi perché stasera dormiamo a Seyun, in sacchi di nylon e chiuderle bene. E’ un buon ac-corgimento verso di noi da parte della guida, ci dice che la sabbia del deserto entra da tutte le parti an-che all’interno delle macchine e noi così preserveremo le nostre valigie e il loro contenuto. Devo dire che stasera gli dovremo dare proprio ragione! È ancora buio, mentre ci muoviamo verso il deserto co-minciano ad apparire le prime luci dell’alba. È emozionante il colore che il sole che sorge dà alla sab-bia. La strada asfaltata finisce vicino ai pozzi di petrolio di cui si vede il bagliore, appartengono ad una società americana il cui maggior azionista ci dicono sia Bush padre. Lasciamo la strada e ci inoltriamo nel deserto di sabbia. Questo deserto si chiama Ramlat as-sab’atayn, che vuol dire “deserto di due set-timane”, che erano i giorni che ci mettevano le carovane con i dromedari ad attraversarlo. Gli autisti si dilettano a sorpassarsi ed è divertente vedere le Land Cruiser che fanno le gare o corrono insieme paral-lele! Abbiamo la scorta di un beduino con un pick-up che conosce il deserto come le sue tasche e indica la strada giusta da percorrere perché qui non ci sono né segnali né piste. All’inizio attraversiamo sabbia e dune, tante, ma non altissime…Poi sempre più grandi! La guida fa fermare le macchine per le im-mancabili foto: il deserto è bellissimo, queste montagne di sabbia! E poi ci fermiamo sul bordo di una duna altissima, sembra impossibile che si possa scendere di lì…Brividi brividi…Ma ce l’abbiamo fatta tutti! A più riprese qualche macchina si insabbia, oppure si ferma per un guasto…Meno male che inter-viene sempre il capo degli autisti che assomiglia a Jack Palance, che in qualche modo rimette in moto la nostra “carovana”. Ad un certo punto la nostra macchina si blocca e non ne vuol più sapere di salire su una duna piuttosto alta e ci fermiamo a mezzo sotto il sole cocente! L’autista sembra riparare il gua-sto e si riparte…Ma, ahimè, torniamo indietro…Non ci si fa ad andare su! Ecco arrivare Jack che con la sua grinta fa una manovra e la macchina, finalmente, ce la fa a salire, così possiamo raggiungere gli al-tri! Che emozione! Durante le nostre escursioni ci rendiamo conto che nello Yemen ancora non si sono posti il problema dei “rifiuti”. I nostri autisti, qui nel deserto, bevono acqua dalle bottiglie di plastica e le gettano tran-quillamente dal finestrino… Per le strade abbiamo notato non solo mucchi di spazzatura, ma addirittura buste di plastica, contenitori, tetrapak di succhi di frutta o di latte che diventano quasi tappeti tanto so-no sparsi e penetrati nel terreno! Ne parliamo con la guida che ci dice che fino a pochi anni fa nello Yemen c’erano solo rifiuti biodegradabili e quindi le persone non sono abituate ad accantonare la spaz-zatura, tutti i rifiuti o si disfacevano o venivano divorati dagli animali; ci vorranno molti anni prima che la gente capisca che continuando a comportarsi così distruggerà per sempre la natura. Che dire, del re-sto anche da noi non tutti l’hanno ancora capito! Ci fermiamo per visitare la città di Shabwa, antica capitale dell’ Hadhramawt. Non c’è molto da vedere è quasi del tutto distrutta, ci sono resti di case e delle mura, ma parecchio è ancora sotto la sabbia e il sale. Qui nei pressi infatti ci sono le cave di salgemma che andiamo a visitare. Il sale era una ricchezza e le carovane passavano da questa città per unire, al loro carico di incenso, proprio il sale. La città di Shabwa era allora, nel IV secolo a.C., importantissima, peccato che di questa ricchezza rimanga poco, solo una bella posizione tra le rocce! È stata una mattinata lunghissima…Arriviamo a Seyun alle 14 e andiamo velocemente in un fonduk a mangiare. Ma non c’è un buon menù! Dopo mangiato ci portano all’albergo che è bellissimo: Al Howta Palace Hotel. È una ex dimora di un sultano trasformata in hotel. Un posto da favola, il tutto consiste in tre edifici, in stile javanese (ci sono influenze di questo tipo in Yemen, per i commerci), fra palme, verdi giardini e una bella piscina. Un po’ in lontananza delle montagne rocciose fanno da corona. Noi abbiamo una bella camera con due letti, tre finestrine con i vetri colorati, un divano e un basso ta-volino, arredata con gusto e molto colorata. Chiamiamo tutti i nostri amici e ci facciamo il caffè con l’Alicia.
Seyun si trova nel mezzo del Wadi Hadhramawt. È il wadi di maggiori dimensioni di tutta l’Arabia. Una valle che si estende per 160 Km da ovest a est. Ha tanti affluenti e quindi è fertilissimo e consente alla popolazione di 200 mila persone di vivere di agricoltura e allevamento di capre. Formatosi da ero-sione del letto di arenaria nel corso di milioni di anni, il wadi è profondo 300 m e largo mediamente 2 km. L’acqua c’è tutto l’anno in quanto la stagione delle piogge ne porta a sufficienza per riempirlo cre-ando così una zona verde.
Il wadi è situato sull’antica “Via dell’incenso”, che andava da Qana (sul mare) e Ma’rib; a metà strada c’era Shabwa da cui le carovane prendevano il sale. Oltre che sulla costa meridionale, anche qui si col-tivava l’incenso. Negli anni dal 1918 al 34 l’Hadhramawt era sotto il potere del governatorato inglese con trattati con le tribù locali. Dal 1967 con la rivoluzione, fuggiti i sultani in Arabia Saudita, sotto il governo repubblicano democratico, il Wadi Hadhramawt potè svilupparsi in pace: si vedevano poche Jambiya e anche il qat era raro, con l’unificazione nord-sud invece, le abitudini degli Hadramiti sono tornate indietro! Il qat è una piaga sociale non tanto perché costituisca una droga, ma quanto perché costa tanti soldi (1600 ryal a dose, quanto cioè serve a mantenere una famiglia per tre-quattro giorni) e perché la colti-vazione del qat, per uso solo locale, ha sostituito la coltivazione del caffè che poteva essere fonte di guadagno in quanto merce da esportare.
La sera, meravigliosa sera con notte stellata, ceniamo all’aperto sotto un enorme gazebo di paglia in-trecciata. Dopo cena saliamo sulla terrazza dell’hotel per conversare piacevolmente con la nostra guida. Notte.
5° giorno – 18 novembre sabato Dopo colazione, partenza per Tarim. Guido ha un bel raffreddore che cerca di tenere a bada con la ta-chipirina seguendo il consiglio di Marco.
Durante il viaggio ci fermiamo a Seyun a vedere la fabbrica di mattoni di fango. In realtà non è una fabbrica perché tutto si svolge all’aperto. Non possiamo credere che ancora degli uomini lavorino in queste condizioni: sempre nel fango, sempre scalzi, sempre piegati…Ma come sarà la loro condizione di vita tra dieci anni? Arriveranno alla vecchiaia? E in che condizioni? Noi adesso li vediamo stare fino a mezza gamba nel fango per impastarlo con la paglia, poi portarlo con una carriola ad altri uomini chi-nati che lo distendono per terra e lo tagliano in rettangoli. Questi mattoni di paglia e fango vengono poi seccati al sole, messi dritti in modo che si asciughino bene da tutte le parti. Con questi vengono ancora oggi costruite le case, qui non piove molto e possono resistere! Continuiamo il viaggio, nei campi verdi vediamo le donne al lavoro: sono tutte vestite di nero, coperte anche in volto e, per proteggersi dal sole, hanno larghi cappelli di paglia: le chiamano le “streghe”, ne vediamo alcune con cappelli più arrotondati, altre con cappelli appuntiti proprio tipo quelli dalla “stre-ga Nocciola”! Quando qualcuno si avvicina per fotografarle non ci pensano due volte a tirare i sassi! Povere donne, hanno ragione, non solo sono in quella condizione…Sopportare anche noi che le fotogra-fiamo! Arriviamo a Tarim, 35 Km da Seyun, cuore della diffusione dell’Islam, questo paese è stato a lungo un importante centro della scuola shafaita che fa parte della setta sunnita. Anche Tarim era toccata dalla Via dell’Incenso attraverso la quale c’è stato l’avvento in Arabia dell’islamismo: un discendente di Maometto giunse nella città di Tarim, che ancora oggi è considerata città santa. Vennero costruite mo-schee e scavati pozzi lungo la Via che portava alla Mecca per favorire le carovane in pellegrinaggio. In questa città c’erano tantissime moschee e ancor oggi se ne contano 365, una per ogni giorno dell’anno.
Vediamo, solo dall’esterno, il Palazzo del sultano, che è completamente vuoto. Vicino c’è il Palazzo al-Kaf, o palazzo ’Ishsha. Qui entriamo, le stanze sono quasi tutte vuote, con bel-lissime finestre dai vetri colorati secondo lo stile barocco-giavanese. C’è questa influenza asiatica per-ché molti nobili hadramiti emigrarono in estremo oriente dove fecero fortuna e investirono le loro ric-chezze al loro ritorno. L’afflusso di denaro e di prodotti di importazione non giovò all’economia locale e inoltre, durante la seconda guerra mondiale, quando il Giappone bloccò l’approvvigionamento, si eb-be la carestia. Con la rivoluzione del ‘67 i sultani scapparono in Arabia Saudita per poi rientrare da pri-vati cittadini con l’unificazione del 1994, ma la riconsegna delle proprietà nazionalizzate è ancora ar-gomento delicato! All’interno del palazzo c’è anche un negozietto che vende souvenir e oggetti di antiquariato locale. Si va a piedi in giro per Tarim e passiamo accanto alla Moschea di al-Muhdar, simbolo della città, con il minareto più alto dell’Arabia meridionale (50 m.).
Per la strada ci vengono incontro bambini che vogliono le foto, tra loro c’è un bambino graziosissimo, con un sorriso dolcissimo! Andiamo nel suq dove tutti compriamo sciarpe in quantità! Guido compra anche dei brucia-incensi di terracotta nera, ci sono anche i cappelli delle streghe! Si riparte e torniamo a Seyun dove ci fermiamo nel centro, proprio davanti al Palazzo del Sultano, adi-bito a muse: è enorme, bianchissimo, con le finestre decorate di blu scuro, domina la piazza. Si entra nel cortile, ma non andiamo a visitarlo. Dal centro riprendiamo le macchine per andare al ristorante dove siamo stati ieri. Osservo il panorama, Seyun non è bella, ma è circondata da un bellissimo palmeto, viene detta “la città di un milione di palme”, il contrasto di questo verde con le montagne rocciose circostanti crea un effet-to stupendo. Ancor più affascinante diventa alla luce del mattino presto o all’ora del tramonto quando le montagne si tingono di rosa. Molte case di Seyun sono costruite proprio a ridosso alle pareti della montagna, sotto enormi rocce e massi in bilico sulle pendici di arenaria che sembrano sfaldarsi da un momento all’altro. Giuliano commenta che non ci starebbe proprio lì sotto! Chiede alla guida il motivo per cui scelgono quel posto per costruire le case. La risposta è che il wadi Hadhramawt durante la sta-gione delle piogge facilmente si riempie di acqua e quindi costruire una casa nel mezzo sarebbe ancora più pericoloso, meglio a ridosso della montagna, sulla sponda, perché è più lontana dal flusso delle ac-que. Forse dei due mali…Scelgono il minore cioè l’evento più eccezionale! Dopo mangiato, nell’ora più calda, ci è concesso un riposino nel giardino del ristorante. Mentre ci stravacchiamo sull’erba, vicino a noi degli yemeniti mangiano, rigorosamente con le mani, prendendo il cibo servito direttamente sulla tovaglia, che altri non è che un telo di plastica blu. Alla faccia dell’igiene! E noi che stiamo qui a disinfettare tutto con l’amuchina! Alle tre si riparte per Shibam. La città vecchia di Shibam è la più celebre città araba islamica del Sud, costruita in stile tradizionale yemenita, cioè con mattoni di fango e circondata da un muro di terra. Vi sono degli edifici alti da cinque a sette piani, pigiati uno accanto all’altro che le regalano il nome di “Manhattan del deserto”. Le case hanno più o meno piani a seconda della altitudine di dove sono co-struite in modo tale che tutti i tetti siano quasi sullo stesso livello. A differenza di Seyun, è costruita nella parte centrale del wadi, ma su una collinetta un po’ elevata, ma ugualmente ha subito delle violen-te inondazioni. Negli anni ’80 è stata dichiarata dall’Unesco “patrimonio dell’umanità” e vengono elar-giti fondi per riparare i danni subiti dalle case e dalle dighe perché i proprietari non riescono a sostenere le spese degli interventi. Andiamo all’interno della città e passeggiamo per le strette viuzze. La guida ci dice che non esiste una rete fognaria e i gabinetti delle case hanno dei tubi che scaricano direttamente nelle strade, quindi biso-gna stare attenti quando passiamo che non…Venga giù nulla! Per le strade ci sono tanti bambini che chiedono penne (kalam) o fotografie (sura), inoltre ci sono tante capre. Le capre sono molto utili, in questo caso, perché mangiano tutti i rifiuti. Le case dall’esterno so-no molto belle con le finestre dalle grate riccamente lavorate e le tende colorate; ogni tanto vediamo alcune specie di terrazzini, ma non sono terrazzini, sono frigoriferi, cioè dei piani esterni che gli abitan-ti usano come frigoriferi, come facevamo noi negli anni del dopo-guerra! Le porte di legno sono fine-mente intagliate, anche le serrature e i lucchetti sono di legno, qui ci sono dei bravissimi maestri arti-giani! Da notare che in ogni porta ci sono due battenti: uno di legno e uno di metallo. Quello di legno è per gli uomini, e al suo battere andrà ad aprire un uomo; quello di metallo per le donne, e quindi ad a-prire andrà una donna! La guida ci parla, dopo nostra richiesta, della condizione delle donne in questo paese. Quando parla, prende le distanze perché lui dice di essere emancipato: la sua donna, che è la terza moglie, non porta il velo e lavora. Le donne soprattutto quelle che vivono fuori dalle grandi città, oltre ad essere coperte in tutto il corpo, quando hanno marito e figli non escono mai di casa. Addirittura sembra che gli oggetti vengano fatti recapitare da una madre alla figlia sposata tramite un passa-mani da una casa all’altra! Dice che la sua prima moglie gli è stata imposta dal padre. Nello Yemen esistono ancora i matrimoni combinati. Poi lui l’ha ripudiata; la seconda l’ha scelta lui, ma ancora il matrimonio non è andato bene; anche la terza l’ha scelta e, da come ne parla, si capisce che ne è innamorato, ha avuto da lei quattro fi-gli: due maschi e due femmine. Ci dice anche che quando una donna viene ripudiata, poi non ha vita facile, perché più nessun uomo la vuole, ma non sarà mai sola perché qualcuno della famiglia del padre “deve” prendersene cura.
Andiamo a visitare una casa di Shibam e saliamo tante scale fino all’ultimo piano: ad ogni piano ci so-no stanze, ma sono quasi tutte semivuote, gli yemeniti non usano tanti mobili, non hanno sedie perché si siedono per terra, non hanno letti perché hanno solo pagliericci, non hanno armadi ma solo cassapan-che, poche perché non hanno molto da metterci! E poi le stanze sono intercambiabili: le stanze del pia-no terra che d’inverno sono adibite a sala di ricevimento, d’estate possono diventare camere perché sono più fresche! In alto di solito c’è la cucina per il rischio di incendi, come era da noi nel Medio Evo! I servizi igienici, presenti ad ogni piano, lasciano molto a desiderare e hanno un caratteristico…Odore! Continuiamo a passeggiare per la città e vediamo i negozietti di artigiani tessili che tessono con i loro telai la stoffa per le caratteristiche sottane che qui portano gli uomini nel loro costume abituale. Si tratta di teli per lo più bianchi e neri o bianchi e marroni o sul verde, che gli uomini di solito indossano trat-tenuti dai cinturoni nei quali infilano anche la jambya; li portano abitualmente, evidentemente stanno più freschi che con i pantaloni! Ritorniamo nella piazza principale, chiamata Sahat al-Husn, vicino alla porta delle mura della città e vediamo, oltre ai banchetti dei venditori di oggetti di artigianato locale (compriamo uno spioncino di legno tutto intagliato!), una folla, tutta di uomini che, seduta per terra, occupa il tempo nei giochi che noi chiameremo “da tavolo”. Sono tanti, rigorosamente maschi!, e chi non è impegnato direttamente nel gioco è interessatissimo a guardare e a commentare…Come alla Casa del Popolo quando giocano a carte! Usciamo dalla porta della città e la guida ci porta ad ammirare da lontano, dalle alture al di sopra della città nuova, il panorama di Shibam vecchia: è una vista indescrivibile, un pigia pigia di grattacieli di fango e di calce bianchissima racchiusi in un cerchio strettissimo di mura di fango! Ed è incredibile come man mano che il sole tramonta diventano sempre più rosa, fino ad arrivare quasi al rosso fuoco! Bellissimo! E tutt’intorno, in lontananza le montagne rocciose con le loro cime piatte e i fianchi che sembrano sbriciolarsi. È una visione che lascia quasi senza fiato dall’emozione. Aspettiamo seduti, quasi in silenzio che il sole tramonti e poi scendiamo dalla collina in tempo per fotografare il sole che fa capolino ancora tra le palme! Il capo degli autisti, molto più abituato di noi a questo spettacolo, ci aspetta, con gli altri, alle macchine da cui proviene una musica molto ritmica ed ecco che l’emozione si scioglie liberamente in danze a cui non si sottrae la nostra esuberante Carlina! Si torna in albergo, ma è troppo tardi per andare in piscina come mi ero ripromessa perché…Il sole non c’è più! Allora doccia e poi cena, ancora sotto il gazebo. Questa sera abbiamo uno spettacolo di musica e danze, ma non è molto attraente. Notte.
6° giorno – 19 novembre domenica Stamani la guida ci dice che ci sono problemi per il volo da Al Mukalla a Sana’a. Qui è così gli orari possono variare e non ci possiamo fare niente. Invece di partire per Sana’a alle tre del pomeriggio sem-bra che l’aereo parta alle 23! Una bella differenza! Ci dice che deve prima controllare e, se è così, pen-sare un po’a come passare il pomeriggio ad Al Mukkalla. Intanto lasciamo Seyun e questo albergo dalle “mille e una notte” per andare verso il Wady Daw’an, estremità occidentale dell’ Hadhramawt . Ci fermiamo a vedere come viene preparata la calce bianca: un uomo lavora, con stivali tipo chantilly e buste di plastica a coprire il resto delle gambe (ha la gonna!) nel mezzo alla polvere bianca che “spe-gne” con l’acqua che esce da una canna. Non mi sembra un lavoro molto gradevole, anche perché, a quanto mi dicono, la calce brucia ed è pericolosa.
Vediamo ancora le “streghe” (anche loro non sono da invidiare) a lavorare nei campi sotto il sole vesti-te dalla testa ai piedi di nero! Queste hanno i cappelli più alti di quelle che avevamo viste nei giorni scorsi, ma non sono ancora quelli a punta.
Dal finestrino passano sotto i nostri occhi numerosi villaggi costruiti tutti con mattoni di fango. E ogni tanto anche grandi palazzi o moschee che i ricchi emigranti, tornati in patria hanno fatto costruire. Ma non servono a nulla, non sono abitati, sono solo “cattedrali nel deserto” simbolo della loro ricchezza! Non servono né al paese né a questi abitanti poverissimi. La “carovana” si ferma e si mangia in un locale che si trova sulla strada ad Al-Hajjarayn, mangiamo solo frutta e qualcosa che ci siamo portati dalla colazione, non ci sono neanche le sedie per tutti! Poi ci danno il tè. Vendono il miele che qui è considerato il migliore dello Yemen ed è ritenuto un potente a-frodisiaco. Il villaggio è situato sulla cima di un pendio roccioso in sintonia con il paesaggio circostan-te. Una caratteristica del Wadi Daw’an è l’usanza di dipingere le case di mattoni di fango con colori pastello e decorarle con colonne e finestre. I proprietari delle case più belle però risiedono in Arabia Saudita dove lavorano e con i loro guadagni possono permettersi qui di abbellire le proprie case. Ci fermiamo anche a Koban, paese d’origine del padre di Bin Laden, per vedere il suo palazzo, disabi-tato, inutile. Qui sulla strada ci sono dei sassi taglienti, il nostro autista scivola con le ciabatte e si taglia un piede, il sangue esce copioso e meno male la Franca ha dei cerotti belli grandi con i quali Marco e-segue un perfetto bendaggio…Che vuol dire avere un paramedico tra noi! Si sale per una strada che con pochi tornanti, molto ripidi, ci porta sul “tetto” del Wadi, così in alto che sembra di essere in aereo. Attraversiamo il Jawl, l’alto massiccio roccioso che si trova tra il Wadi Ha-dhramawt e la costa. Ci fermiamo nel punto più alto, il “passo”, godiamo di un panorama stupendo: siamo sul tetto del mondo, vediamo a trecentosessanta gradi montagne intorno a noi! Queste montagne sono tutte dello stesso colore del fango, la parte alta è ancora compatta, ma piatta, invece nella parte più in basso l’arenaria, più friabile, fa intravedere tutte le sedimentazioni e sembra sul punto di franare. Vado sull’orlo del precipizio facendo rabbrividire quelli accanto a me che soffrono di vertigini! Voglio vedere cosa c’è sotto: i dirupi e le strade che con le loro curve sembrano nastri mossi da un ginnasta. È troppo bello, a perdita d’occhio ci sono solo montagne. Giuliano, forse ispirato dal luogo, si mette a fa-re ginnastica “tai”… Ripartiamo e scendiamo verso la costa dell’Oceano Indiano. Attraversiamo villaggi con venditori che hanno i baracchini di qat proprio sulla strada, ci fermiamo perché gli autisti lo comprano sempre dopo mangiato, qui oltre al qat, ci sono anche i venditori di cocco. Ci sono i cocchi freschi che quegli uomini rompono con un colpo di martello. Lo compriamo tutti per assaggiarlo (mi ricorda l’”Isola dei famo-si”!), ma non mi piace, il latte dentro è acquoso, la polpa è insipida, forse non è maturo abbastanza. Mah! Continuiamo il viaggio e arriviamo ad Al- Mukalla. È una città importante sia come porto di mare che come centro della pesca, è compressa tra il mare e la montagna di origine vulcanica chiamata Jabal Qa-ra. Ci sono ancora le torri di avvistamento sulle colline di fronte al mare che illuminate servivano da fa-ri per le navi in arrivo, sono molto suggestive . Per chi si avvicinava dal mare le case bianche, alcuni anni fa, sembravano sorgere dalle acque, poi fu costruito il molo che rovinò il paesaggio. Fortunata-mente negli anni ‘90, furono apportate modifiche e fu creata un’area sul lungomare adatta a una piace-vole passeggiata con sale da tè all’aperto. La guida fa fermare le macchine lungo il molo, vuol farci vedere il Mercato delle donne.
Siccome molti hanno detto che le donne non si vedono mai in giro, e in realtà ce ne sono pochissime, questa volta vuol farci vedere che ci sono! In effetti in questo mercato vediamo molte donne a fare compere, ma naturalmente sono tutte coperte di nero dalla testa ai piedi. Chiedo ad una signora se pos-so fotografare la sua bimba e lei ne è molto contenta e dopo aver visto la foto sul display della macchi-na mi ringrazia anche! In questo mercato c’è una gran varietà di merci: profumi, incensi, trucchi per gli occhi, vestiti, borse e valigie. La Carlina ha individuato una valigia di tela rosa che sembra resistente e molto capiente: ha ben tre cerniere che danno la possibilità di farne aumentare il volume. Prezzo ben 6 €! Torniamo indie-tro, Carla, Guido, Marco ed io a fare questo acquisto! Ne compriamo tre! Adesso possiamo fare tutti gli acquisti che vogliamo perché abbiamo la pink bag per contenerli! Ci portano all’albergo: bellissimo sul mare! È l’Holiday Inn! La guida nel salone, dopo la cena, ci illu-stra il programma di domani, dato che è cambiato l’orario del volo per Sana’a, ci porta al mare! An-dremo sull’Oceano Indiano! Mangeremo con il barbecue sulla spiaggia, staremo al sole e a fare il ba-gno, e ci daranno loro gli asciugamani di cui avremo bisogno…Meglio di così! Visto che l’hotel è lontano dal centro e non usciamo, ci attardiamo a parlare con la nostra guida. Siamo interessati sui loro usi e costumi, le domande sono quasi sempre sulla religione e sulle donne. Ma spes-so lui glissa, dà l’impressione di dire quello che vuol dire e invece di lasciar correre su altro. Su una co-sa non transige: il Corano, quella è la legge. A noi cristiani ci accusa, velatamente, ma non troppo, di disubbidire alle leggi della nostra religione, per esempio di non accudire i nostri genitori anziani, men-tre loro lo fanno per dovere perché questo dice il Corano. Ci dice anche che siamo troppo tolleranti, se-condo lui i mussulmani che vengono nei paesi non arabi dovrebbero adeguarsi alle nostre leggi o, al-trimenti, rimanere nei loro paesi. E, in fondo, dice anche che quasi sempre un mussulmano che va in occidente perde parte del suo essere islamico, così diventa impuro! Notte.
7° giorno – 20 novembre lunedì Lasciamo l’Holiday Inn, ma non portiamo via le valigie. Torneremo qui prima di partire per Sana’a. Andiamo prima di tutto a vedere il Mercato del pesce di Al- Mukalla. Il pesce è davvero molto fresco e non si sente nessun cattivo odore! Il pesce è dappertutto, soprattutto per terra! Ci sono anche dei ban-coni ricoperti di mattonelline di ceramica e lì sopra oltre al pesce ci sono, in piedi anche i venditori. I pescivendoli si danno un gran da fare nel tagliare, pulire il pescato. Si vedono anche banchi che vendo-no pesce essiccato. Accanto a questo mercato ce n’è anche uno di frutta e verdura, molto colorato.
Vedo due bellissime bambine che si lasciano fotografare, hanno tratti molto diversi, si vedono le carat-teristiche delle loro razze, una africana e l’altra asiatica.
Partiamo per Bir’Ali. Siamo molto contenti di aver avuto la possibilità di visitare questo luogo che era fuori dalla nostra rotta, avremmo perso veramente un posto fantastico! Bir’Alì è un villaggio di pescatori sulla costa del Golfo di Aden. Le caratteristiche geologiche sono molto interessanti: nere rocce vulcaniche si stendono all’orizzonte con un forte contrasto con le sabbie bianche, spettacolo straordinario! La sabbia è accecante da quanto è bianca, non si riesce a stare senza occhiali da sole! Sulla spiaggia ci sono delle baracche di paglia, delle tettoie per parare il sole, dei letti-ni e poltrone sempre in paglia. Facciamo il bagno in quel mare bellissimo, azzurro, trasparen-te…Qualcuna si improvvisa il costume con slip e reggiseno, qualcun’altra fa la civetta usando la tra-sparenza della camicetta…Be’, insomma tutti ci tuffiamo! E’ meraviglioso! Passeggiamo sulla riva dell’Oceano Indiano e ogni tanto ci rituffiamo…La Carlina comincia ad urlare: “Rapiteci! Vogliamo rimanere qui! Vi paghiamo noi! Rapiteci!” La cosa strana anche, è che la sabbia, nonostante che siamo nelle ore più calde, non scotta i piedi, sem-bra che sia perché è composta per lo più da corallo. Gli autisti hanno preparato il riso e il barbecue e mangiamo in spiaggia: riso e pesce arrosto! È un’esperienza esaltante! Ma poi…Purtroppo, dobbiamo ripartire! Torniamo all’albergo, ci facciamo la doccia, un riposino e via all’aeroporto, alle 20, per prendere l’aereo per Sana’a. Dopo aver salutato gli autisti, che si faranno circa 900 km di notte per venirci a prendere domani mattina a Sana’a, andiamo nella sala d’aspetto dove ci rimaniamo abbastanza, meno male che c’è, anche qui, un negozio dove passiamo un po’ di tempo! Arrivati a Sana’a, mentre aspettiamo le valigie, la nostra accompagnatrice, si accorge di aver lasciato il “Granchio”, un quadretto con attaccato un vero granchio gigante che le aveva regalato la guida, sull’aereo! Succede un piccolo dramma, ma vedremo che poi tutto finirà bene! Arriviamo con due pulmini allo Sheraton, che ci viene di chiamare “Ca sa – ca sa” come E.T., perché è l’albergo dove ci siamo trovati meglio e dove torneremo per tre volte durante il viaggio! Ceniamo su-bito perché è già tardi. Notte.
8° giorno – 21 novembre martedì Dopo una buona colazione allo Sheraton si parte da Sana’a per Taizz. La guida ci avverte che la mac-china sulla quale io, Guido, la Franca e Giuliano, avevamo viaggiato finora ha avuto un grave guasto, perciò dobbiamo cambiare auto e autista. Ci dispiace molto! Avevamo fatto amicizia, se così si può di-re, con l’altro autista, ormai ci eravamo abituati a lui come lui a noi! Quello nuovo ci sembra più serio, riservato; si vede che tiene molto a conservare la sua macchina nel modo migliore; l’interno è tutto fa-sciato con la pellicola: volante, cambio, sedili, poggiatesta… Pensiamo che con tutta questa plastica ri-marremo appiccicati con il caldo! Il resto dell’interno dell’auto, secondo l’usanza di qui, è coperto di…Pelo! Il paesaggio che ci circonda durante il viaggio è molto bello: i fianchi delle montagne sono ricoperti di campi terrazzati dalla base fino alla cima. Siamo a oltre 1550 m di altezza e vediamo dall’alto quella che chiamano la terra verde di Arabia. Qui le piogge tra maggio e settembre sono abbondanti (1500 mm) e ci sono coltivazioni di datteri, qat, cereali. Nella zona i villaggi hanno case a torre di pietra gri-gia e rosa e spesso anche di roccia lavica arancione. Ci fermiamo ad Ibb (1850 m) per mangiare. Ci portano in un ristorante in alto, in cima alla collina Ja-bal Rabi (montagna di Dio). Entriamo in un grande stanzone dove c’è un’altra tavolata di persone (tutti uomini!) che stanno già mangiando. Il servito sulla tavola non è d’argento!…I nostri piatti sono un po’di plastica a fiori, un po’ di vetro; i bicchieri sono tutti a calice coloratissimi con colori pastello: ro-sa, verde, azzurro. Sembra apparecchiato per un compleanno di bambini! Qualcuno, più schizzinoso si adombra…Si fa cambiare il piatto…Non capisce che anche questo è lo Yemen! Vediamo da lontano la fortezza adibita ad usi governativi e non visitabile.
Andiamo a Jibla, città importante situata in splendida posizione tra due wadi. È una delle capitali degli altipiani Yemeniti, fondata da un seguace del fatimismo, setta islamica sciita. Dopo diverse situazioni prese il potere la moglie del figlio di costui, la regina Arwa, sotto la quale la città conobbe una prospe-rità senza precedenti. E’ una città dal grande passato e per essere una delle città importanti dello Yemen rimaniamo perplessi: sono belli alcuni palazzi, l’architettura di pietra…, ma il resto della città vecchia è in misere condizioni: le stradelle che ci portano alla Moschea della regina Arwa sono irte di scalini, sconnesse, sudice, piene di tubi (la tubazione dell’acquedotto nelle vecchie città dello Yemen è situata in mezzo alle stradine!). Alla Moschea incontriamo il vecchio Imam, che per farsi fotografare vuole i soldi, e dei bambini che ci vogliono vendere dei mazzolini di fiori.
Proseguiamo e arriviamo a Taizz. Pioviggina! Ci sistemiamo al Sofitel, il più bell’albergo dello Ye-men! E’ imponente, in cima alla città, con un atrio immenso con poltrone, divani e piante e in alto una cupola tutta di vetrate colorate. Tutt’intorno c’è un corridoio dove si aprono negozietti che vendono souvenir o profumi e dal quale si accede in altre stanze o salottini. In un angolo c’è l’ascensore tutto a vetri dal quale mentre si sale o si scende si ha una bella panoramica della sala. La prima impressione su questi grandi alberghi è ottima, tutto molto elegante, quasi eccessivo. E’ un po’ tutta scena perché alcu-ne cose sono carenti, del resto siamo nello Yemen e va bene così! Stiamo bene comunque… Andiamo a cena in un salone a forma di L, il nostro gruppo è sistemato in un unico tavolo grande, c’è un bel buffet piuttosto ben fornito. Prendiamo i posti per il nostro gruppo e anche per la guida che que-sta volta mangia (poco come al solito) con noi. Siamo diventati un po’ i suoi preferiti, e qualcuno sem-bra ingelosirsi di questa sua predilezione. A me, invece, fa molto piacere parlare con lui, non capita tut-ti i giorni di scambiare opinioni con un mussulmano e ne approfitto per cercare di capire il loro pensie-ro. Stavolta ci dice che nello Yemen del Nord la percentuale dei furti è molto bassa perché qui vige an-cora la sharia, cioè la legge secondo il Corano: se tu rubi, ti tagliano la mano. Da quando c’è stata l’unificazione Nord-Sud, la legge è cambiata, si è avuto uno “sconto”di pena. La mano viene tagliata solo dopo la terza volta che rubi o se il furto è di un valore superiore al milione! Andiamo a vedere i negozi che ci sono nell’atrio, uno in particolare ha tanti bei gioielli: orecchini, col-lane, anelli…C’è anche un commesso che somiglia, in copia “più scura”, a Carlo delle Piane e tutti a scherzare con la Maria e a dirle che se lei volesse rimanere nello Yemen potrebbe contare su di lui co-me fidanzato! Stefano gli ha fatto addirittura la fotografia con il telefonino e ogni tanto glielo fa rivede-re! Notte.
9° giorno – 22 novembre mercoledì Partiti dal Sofitel hotel e fermati più in basso, ma sempre qui a Taizz per vedere da lontano la fortezza Qal’at al-Qahira, fortezza inespugnabile, situata a strapiombo di un dirupo che domina la città, è adibita ad usi militari ed è impossibile entrarci. Taizz è una antica capitale dello Yemen, ma la città è relativamente giovane, ha un aspetto moderno, quasi europeo. Il traffico delle auto, la maggior parte delle quali sembrano tenute insieme con lo scotch, è incasinato, tutti suonano, tutti hanno la precedenza! Ci dirigiamo verso l’alta montagna a sud, Jabal Sabir, e si arriva a circa 3000 m. Le pendici sono colti-vate intensamente a terrazzamenti soprattutto con piante di qat. La guida ci fa vedere la pianta del caffè che un tempo era la principale coltivazione del luogo. Purtroppo questa coltivazione che poteva essere fonte di reddito per l’esportazione del prodotto, è stata abbandonata per far posto a quella del qat, che, essendo esclusivamente ad uso e consumo degli abitanti (maschi), rende solo per la vendita locale ed è una spesa ingente che grava sull’economia familiare! La strada scende e attraversiamo il Wadi Bani Khawlan, per arrivare a Yifrus, un villaggio famoso per la sua bianca moschea che risale a 500 anni fa. Anche dalla strada sono visibili la cupola e il minareto bianchissimi. All’interno del cortile della moschea ci sono delle vasche di acqua dove dei ragazzini si divertono a nuotare, ne vediamo uno, più disgraziato degli altri con gravi malformazioni, che fa i tuffi per farsi notare e avere così dei soldini. C’è anche una donna, a volto scoperto, molto carina che vende sciarpe e pantaloni: ci sa fare e ci mette a tutte, nel loro modo, la sciarpa in testa per farcela provare, si fa fotografare sorridendo e vende… La moschea non si può visitare, solo si può attraversare il cortile e ammirare le porte molto colorate.
Si riparte per ritornare a Taizz. Qui succede un disguido, dobbiamo andare a mangiare al ristorante, ma il nostro autista perde il contatto con gli altri e ci troviamo…Persi! L’autista gira un po’ a vuoto alla ri-cerca, forse, degli altri e poi ci porta al Sofitel. Quando arriviamo ci accorgiamo che gli altri non ci so-no. Noi siamo già in pensiero, dove sono? Cosa ci perdiamo? Mando un messaggio a Marco che ci dice che sono al ristorante, sì…Ma dove? Guido entra al Sofitel con l’autista per chiedere notizie. Sembra che tutto sia risolto, ripartiamo, ma di nuovo l’autista non trova il posto dove ci deve portare e ritor-niamo al Sofitel. Qui ancora lui chiede spiegazioni, ripartiamo, noi nella macchina stiamo perdendo le speranze…Invece, ecco che, dopo vari giri, si arriva al ristorante di un albergo del centro…E ritroviamo gli altri! Evviva! Siamo di nuovo in uno stanzone grande, all’ultimo piano con una terrazza che ci la-scia vedere il panorama di Taizz.
Dopo mangiato andiamo a piedi a vedere una bella moschea, qui possiamo entrare, è in restauro. Ha delle belle decorazioni, in una parte laterale c’è un tomba e anche qui c’è anche una donna, questa vol-ta anziana e silenziosa, che vende sciarpe! Sono molto belle e ne compro un’altra! Da qui andiamo al suq di Taizz: è un vero e proprio mercato, ci sono anche dei negozi piuttosto grandi e ben forniti, soprattutto di argenteria nuova e vecchia. Entriamo in un negozio che ci indica Aidaros, il proprietario è lo stesso di quello che c’è nell’albergo. Finalmente compro la Jambiya che volevo come ricordo dello Yemen (e cosa se no?!), poi due braccialetti per regalare.
Torniamo al Sofitel e facciamo il caffè con l’Alicia in camera di Marco e Lucia che hanno anche la ter-razza sulla piscina. Si cena e dopo ritorniamo a visitare i negozietti nell’atrio dell’albergo; ci è sconsi-gliato di andare a giro in città senza scorta, per tutto il giorno infatti siamo stati scortati dalla polizia seppur in modo invisibile. Stiamo un po’ a chiacchierare tra noi, ci raggiunge la guida che ci informa che una delle nostre mac-chine ha avuto un incidente per fortuna non grave; chiediamo quali sono stati i danni e come funziona-no qui le assicurazioni. Lui ci risponde categorico che nello Yemen non esistono assicurazioni: il Cora-no comanda “chi sbaglia paga”, non può esistere che qualcun altro paghi al posto tuo i danni che hai provocato! Anche da qui si capisce che tutta la vita dei mussulmani dipende dal Corano, non ci sono leggi dello stato, ma leggi della religione. Notte. 10° giorno – 23 novembre giovedì Partiti da Taizz, lasciamo il Sofitel e ci dirigiamo verso Al-Hodeida, città che si trova sul Mar Rosso al centro della Tihama, la pianura costiera lunga 50 Km che si affaccia appunto sul Mar Rosso. Qui la temperatura è più alta e si sente l’umidità! La strada per un po’ è monotona poi diventa quasi deserto e infine ha il paesaggio della savana. Arbusti bassi e deserto di sassi…Pensi che tra un po’ appaiano gaz-zelle, zebre, giraffe…Invece niente! Arriviamo al villaggio di Al-Khawkha, il più grande villaggio di pescatori della costa dove sorgono alcuni villaggi turistici. Andiamo sulla spiaggia, la riva del mare è circondata da boschetti di palme, l’acqua non ha un aspetto invitante. Ci aspettano bambini che vendo-no conchiglie e coralli; la guida ci chiede se vogliamo fare un giro in barca e, in diversi, saliamo su due barchette scalcinate con le seggiole di plastica inchiodate sul fondo. Raggiungiamo una lingua di terra al di là della quale il mare è più pulito, ma l’acqua è molto bassa e per fare il bagno dobbiamo camminare a lungo. Sulla riva ci sono tante conchiglie bellissime, ne raccolgo più che posso insieme alla Carla; non riesco a non pensare a mia madre che sarebbe stata felice di essere qui, conchiglie così belle e grosse non ne ha mai potute raccogliere per la sua collezione! Ci rivestiamo per tornare sulla barca e durante il viaggio di ritorno il barcaiolo ci fa rifare il bagno vestiti! Andiamo a pranzo a “Le Village Moka Marine”, uno dei villaggi turistici sorti negli anni 90, certo non ha nulla a che vedere con i villaggi del Club Mediterranée, però è molto carino. In una grande capanna c’è il ristorante con vari tavoli e lettini di paglia tutt’intorno, vicino ci sono altre capanne con ancora lettini. Questo perché la gente non solo ci mangia, ma anche ci dorme. Si respira un’aria esotica. Ci se-diamo intorno ad un grande tavolo dove ci sono delle grosse sedie-poltrone e con un po’ di difficoltà, perché qualcuno fa il difficile, riusciamo a sederci tutti! Soliti piatti di plastica e pane sulla tavo-la…Non ci facciamo più caso! Mangiamo bene e poi l’atmosfera è particolare, tutti volti sorridenti, le pareti del ristorante dipinte, ci sono fucili attaccati…! Si riparte per Zabid. Zabid è una città con un passato importante, una delle più antiche dello Yemen. E’ importante soprat-tutto per l’Islam perché la tribù che viveva in questa zona adottò la religione islamica fin dai tempi di Maometto ribellandosi ai califfi che la governavano, e la stessa città fu fondata nell’820 d.C. Da Mu-hammad ibn Ziyad con una rivolta per l’indipendenza. Fondare una città significò anche fondare una dinastia, una moschea e un’università. Ancora oggi all’interno di ogni moschea c’è una scuola coranica la cui funzione principale è quella di insegnare ai ragazzi e alle ragazze a leggere e a scrivere. L’esame finale prevede la recitazione dell’intero Corano a memoria! Lo fanno facilmente visto che è l’unico compito che gli studenti devono svolgere.
Comunque l’Università di Zabid non era solo una scuola coranica, ma una vera e propria università in continua espansione. Zabid divenne un vero e proprio centro di cultura: venivano insegnate principal-mente le questioni relative alla fede e all’interpretazione della legge islamica, tuttavia erano presenti anche altre discipline, tra cui grammatica, poesia, storia e matematica, sembra che qui sia nata l’algebra. Purtroppo verso il 1500 l’attività dell’università cominciò a calare dopo l’occupazione dei turchi. Oggi ci sono ancora molte moschee e scuole coraniche. La città appare molto trascurata e il suo splendore è svanito anche se dal 1994 l’Unesco ha incluso Zabid nella lista delle località “patrimonio dell’umanità”. Arriviamo in una grande piazza con edifici imponenti, questo è il nuovo centro governativo. Ci inol-triamo nel suq con i suoi stretti vicoli, qui una miriade di bambini ci segue e ci dà la mano chiamandoci papà e mamma… Vogliono tutti qualcosa, soprattutto penne (kalam) e soldi. Ci sono negozietti, ma non per turisti, presto si perde il senso dell’orientamento. Qui Pasolini ha girato la scena del film “Il fiore delle mille e una notte” relativa alla vendita della schiavetta, adesso c’è un bar con uomini sdraiati sulle brandine. Si continua a camminare, persi nei vi-coli, e ci si accorge che si sale e si arriva al Palazzo di Nasr, dove fu ospitato Pasolini ai tempi del film. È un bel palazzo, che ha conosciuto tempi migliori, c’è anche una terrazza da cui si vede il panorama di Zabid. Ci riuniamo in una stanza con tutt’intorno giacigli alti su cui, con un po’ di difficoltà, ci mettia-mo a sedere e prendiamo il tè. Usciamo dal palazzo e passiamo vicino alla Moschea al-Asha’ir, non si può entrare, solo guardare da una finestra. I bambini ci seguono sempre, vogliono le foto, si divertono con poco: un bimbo piccolo gioca facendo ruzzolare una ruota…Altri tempi, altri tempi, siamo nel Medio evo! Si riparte, questa volta destinazione Al-Hodeidah, Hotel Ambassador! A parte il nome altisonante, è un albergo modesto per i canoni europei. A noi ci capita una camera enorme con tre letti, un divano d’angolo, due finestre, due armadi, un bagno grande e una televisione senza pulsanti! Però, tutto som-mato, va bene! Cena a base di pesce, tutto buono. Dopo cena, la guida, alla chetichella, ci porta (noi, Carla e Stefano, Marco e Lucia, Fabrizio e Daniela) nel centro della città a fare un giretto. Si parte con un pulmino scalcinato e arriviamo nel centro. Girovaghiamo tra negozi e bancarelle tipo mercato dove vendono di tutto: dalla verdura e la frutta ai vestiti e gli elettrodomestici, tutti sono ancora aperti. Carla vuole acquistare un profumo e viene accontentata! Poi ritorniamo all’albergo a piedi. Notte.
11° giorno – 24 novembre venerdì Lasciamo l’albergo Ambassador dopo aver fatto colazione, a tavola la guida ci dice di preparare qual-cosa da portar via per il pranzo perché anche oggi ci tocca solo frutta. Abbiamo imparato che quando ci dice così significa che non ci sono ristoranti dove poter portare i turisti! Al-Hodeida è una città recente. Si deve sapere che tutta la Tihama, la costa occidentale dello Yemen, è stata dall’800 al ‘900 teatro di scontri durissimi, prima tra turchi e inglesi, poi durante la prima guerra mondiale bombardata dal mare da italiani e britannici; quindi è solo dalla metà del 1900 che si è potuta sviluppare senza problemi. Oggi Al-Hodeida è la quarta città dello Yemen, è un porto importante e do-po che l’Arabia Saudita ha espulso gli Yemeniti, molti lavoratori tornando in patria si sono stabiliti qui.
Andiamo a vedere il mercato del pesce. Sulla riva del mare ci sono tante barche coloratissime e una miriade di persone!!! E poi…Pesci, pescioni, pesci martello, cernie…Qui non ci sono camion refrigera-ti o congelatori, ma carriole per il trasporto e somarelli che si sobbarcano il peso del ghiaccio! Da qui ci muoviamo per andare a vedere il “Mercato del venerdì” a Bayt Al-Faqih (Casa del saggio); si chiama anche “Mercato africano o del caffè”. Questo nome naturalmente deriva dal commercio del caf-fè moka che in questo mercato era già in atto dal 1700. Venivano i compratori dall’Egitto, dal Marocco, da Tunisi, dalla Persia, dalla Turchia e perfino dall’Europa per acquistare i chicchi e spedirli a destina-zione. Oggi il caffè non è più il prodotto principale del commercio di Bayt al-Faqih; qui si vende tutto della produzione agricola e industriale della Tihama. L’area del mercato è molto vasta, suddivisa in zo-ne a seconda del tipo di merce; tutto è molto caotico e rumoroso! E colorato! Appena arrivati Guido compra un cappellino di quelli fatti all’uncinetto, bellino, mi piace e me lo metto subito! Percorriamo i “corridoi” del mercato tutti in fila dietro alla guida senza poterci soffermare più di tanto per non perderci: vediamo le spezie, le stoffe, le corde e le ceste. La Franca compra una borsa di paglia. Ci sono anche i friggitori di polpettine: grandi padelle con l’olio che bolle e queste polpettine di farina di ceci che fanno venire l’acquolina in bocca, poi lì accanto ci sono delle salsine dove ognuno può inzuppare la sua polpetta…A noi però viene consigliato di non assaggiarle! Passiamo davanti al “reparto macelleria”, che non resisterebbe certo ad una visitina della nostra Asl! La Carlina che già non sta troppo bene, dopo quella vista ha quasi un conato…Andiamo via dal mercato e prima di rimontare sulle macchine ci imbattiamo in un raduno di moto che con i loro motori ci stordiscono veramente, an-che la Daniela e Fabrizio che sono sordomuti sentono quel rumore tramite le vibrazioni del terreno! Riprendiamo il viaggio. La Carla si sente male di nuovo e vomita diverse volte, quindi lei e Stefano vanno con una macchina direttamente a Hajja dove pernotteremo stasera.
Noi, dopo la visita al mercato, andiamo nei pressi di As-Salif sul mare davanti all’isola Kamaran. Non ci stiamo molto, giusto il tempo per mangiare un po’ di frutta, portata dagli autisti, e il panino che ci siamo preparati a colazione. Ripartiamo subito anche perché la guida e gli autisti devono mangiare e, infatti, ci fermiamo per la strada, in un villaggetto dove pranzano in un ristorante… Non molto invitante per noi! Il posto è anche di un caldo torrido.
Questo è il giorno, di tutto il viaggio, in cui ho sofferto di più il caldo! Poco dopo ci rifermiamo in un altro villaggio, dove sulla strada ci sono i baracchini tipici dei venditori di qat; sono delle scatole sollevate da terra in cui i venditori spesso stanno sdraiati. I nostri autisti scen-dono e comprano la loro dose, dopo ce li ritroviamo con la “palla” nella guancia! Proseguiamo. Il paesaggio è piuttosto brullo, piatto, arido e polveroso; incontriamo un “gregge” di dromedari. Ce ne sono tanti, anche mamme con i piccolini. Ce n’è uno nato da un giorno che ha un pe-lo strano, quasi a riccioloni, e stenta ancora a stare in piedi! Notiamo che le mammelle delle dromeda-rie sono coperte. Questo perché i dromedarini non poppino tutto il latte. Infatti ci dicono che questo lat-te è buono e nutriente e lo vendono. Ci fanno vedere come si possono riempire velocemente dalle mammelle bottiglie di latte fresco! Alcuni autisti, il nostro Jack Palance e anche la guida comprano del-le bottiglie. Ci rimettiamo in strada, abbiamo diversi chilometri da fare, tutti in salita e con molte curve perché la nostra meta, Hajjah, è una città situata sulla cima di una montagna.
Lasciamo villaggi costruiti con mattoni di fango, poi diventano predominanti le tipiche costruzioni in canna della zona del Wadi Mur che conferiscono al paesaggio un carattere stranamente “africano”: le prime che vediamo sono di forma rettangolare o quadrata, poi nella zona di Az-Zuhra le capanne si fanno rotonde; ci fermiamo vicino ad alcune, ma non possiamo addentrarci all’interno del villaggio, gli abitanti non vogliono intrusi. Il paesaggio cambia, si comincia a salire, i tornanti si susseguono e scorgiamo innumerevoli villaggi sparsi sulle cime e sui pendii delle montagne terrazzate. Meno male che siamo in montagna, il clima è più fresco! Arriviamo ad Hajjah, il Ghamdan Hotel è situato proprio in cima al paese; ha una bella hall, un po’ vecchia, ma dignitosa. Per il resto sembra non finito, le scale hanno scalini di diversa altezza e i corri-doi sono così enormi che non sai da quale parte sei venuto! Sembra che debbano costruire ancora un piano di sopra… Decidiamo di andare a fare una giratina prima di cena e ci ritroviamo sulla porta dell’hotel con Marco e Lucia. Incontriamo per strada delle bambine con vestiti bellissimi, di raso rosso, molto “chic” che si fanno fotografare volentieri e, stranamente, anche due ragazze, tutte vestite di nero dalla testa ai piedi, di cui si vedono solo gli occhi, acconsentono volentieri a farsi fotografare. E’ la prima volta! Peccato che è già sera e la foto viene piuttosto buia. Camminiamo per il paese e vediamo un semaforo tutto storto, leggo sulla guida che Hajjah ha il vanto di avere avuto uno dei primissimi semafori dello Ye-men…Deve essere questo! Torniamo per la cena, stasera sono stanca, deve essere stato il caldo della giornata, e quando la guida chiede se qualcuno vuole uscire, io dico a Guido che non me la sento, del resto la giratina l’abbiamo già fatta prima! Sentiamo poi tornare quasi subito quelli che sono usciti, la città è al buio, alle 20 tolgo-no l’energia elettrica, l’hotel ha il suo generatore di corrente! Notte.
12°giorno – 25 novembre sabato Dopo colazione andiamo subito a vedere la fortezza di Hajjah e da lassù facciamo le foto al panorama circostante che è bellissimo. Proseguiamo per la nostra strada, la guida ci fa scendere dalle auto per mostrarci da vicino la pianta del caffè con i chicchi rossi, e la palma del mango. Poi arriviamo a Kohlan, un villaggio costruito su un pendio ripidissimo. Andiamo a visitare la cittadel-la, che prima era di uso governativo, ma adesso è visitabile ed è adibita a museo. Per arrivarci dobbia-mo percorrere una mulattiera e, infatti, incontriamo un ragazzino con un’espressione piuttosto triste che conduce due somarelli. La strada è abbastanza stretta e a picco sul dirupo! Saliamo fin sulla terrazza del castello e da lassù vediamo…Il mondo! Quando scendiamo dalla cittadella assistiamo ad un episodio piuttosto “commovente”: i nostri amici Daniela e Fabrizio, sordomuti, hanno incontrato due fratelli yemeniti anche loro sordomuti: il linguag-gio dei gesti li ha accomunati. Si capivano! Italiani e yemeniti si capivano a gesti! E come era contento Fabrizio di poter comunicare con loro! E’ stato un bel momento! Tutto il gruppo si è commosso.
Ripartiamo per arrivare alla città di Thula. La strada è sempre strada di montagna con i campi terrazzati di cui ci stupiamo ogni volta. Situata sotto una montagna rocciosa, con le sue case di pietra, da lontano non è facile distinguerla, è proprio questo che ha protetto gran parte dei paesi yemeniti dalle invasioni straniere. La città è tutta circondata da mura e per entrare attraversiamo almeno tre porte, dopo l’ultima ecco che ci appare con le sue case di pietra: sono bellissime, alte almeno quattro o cinque piani, con le finestre finemente decorate da intarsi (sembra che intorno abbiano i merletti) e le vetrate coloratissime. Quando entriamo vediamo subito una grande vasca, non del tutto piena, è una cisterna che fornisce l’acqua alla popolazione locale. Passeggiamo per le strade lastricate di pietra tra queste case torri, tutte bellissime e ognuna diversa dall’altra per struttura e fregi decorativi. Si notano anche delle cupole bianche che indicano il luogo di sepoltura degli Imam. Ci sono anche tanti negozietti e i negozianti ci invitano agli acquisti. La guida ci ha avvertito che qui i venditori sono molto insistenti e ci ha raccomandato di non comprare niente…Non sappiamo il vero motivo per cui ci dice questo, sarà perché qui non ha il suo tornaconto o perché non vuole che i suoi connazionali si comportino così…O per altro? E’ un personaggio molto complesso; tutti lo conoscono, dovunque si vada; per alcuni sembra l’amico del cuore, altri sembrano addirittura averne timore, quasi che non essere suo amico gli si rivolgesse contro… Qui a Thula, evi-dentemente sanno che lui dice di non fare acquisti e gli sono nemici , alcuni apertamente ne parlano male. In effetti, a volte si comporta da “mafioso”, sembra sempre al limite della doppiezza: l’ho visto fare il duro, parlare in modo sprezzante, ma l’ho visto anche abbracciare uomini e parlare con loro da buon amico. Chissà quali sono i suoi veri sentimenti, chissà se è questa terra, ancora così aspra e chiu-sa, o il suo mestiere che non gli permettono di vivere sempre in modo sincero. Dopo le sue parole, i negozi di questo paese all’inizio vengono da noi snobbati, ma…Le sciarpe che ve-do qui non le ho viste neanche a Sana’a e alla fine decido e ne compro una, sui toni del rosa, che mi piace molto! Pazienza se ho disobbedito! Ripartiamo e ci fermiamo poco dopo per vedere un altro gioiello: Hababa. Anche qui c’è una bellissima cisterna, questa volta con tanta acqua, e qui si rispecchiano tutte le case torri che la circondano…Una meraviglia! Per fare le foto mi avventuro su un muretto insieme a Marco, è stretto stretto e ho paura di cascare, rischio di rimanere lì impietrita, invece con un piccolo aiuto ce la faccio, mi salvo e scendo! Ritorniamo alla macchina e poco dopo arriviamo a Shibam (un’altra Shibam) dove andremo a pranzo. La guida ci avvisa che il ristorante è un ristorante tipico in cui mangeremo alla loro maniera. L’ingresso non è gran che, anzi ci lascia molto perplessi, sembra di entrare in un garage, in un’officina…Poi dietro questo stanzone “nero” dove i cuochi stanno dietro a enormi fornelli “a tutto gas”, c’è un piccolo giardino e qui ci accoglie una signora che per essere di queste parti, è molto “osé”: è vestita di nero, ma, dal vestito aperto davanti, si intravede una maglia rosa attillata che le mette in mostra il seno! Sorridente, ci fa salire le scale e, dopo averci fatto togliere le scarpe, ci fa entrare in una grande sala coperta da tappeti. Al centro, per terra, c’è una tovaglia lunga quanto la sala e tutt’intorno sui lati ci sono materassini coloratissimi, con spalliere e braccioli. E’ chiaro ci dobbiamo sedere quasi per terra e ci dobbiamo servire da soli! Infatti arrivano i piatti, i bicchieri, le posate (cucchiaio e for-chetta, non il coltello), l’acqua minerale e poi i vassoi con le pietanze e il pane senza lievito. Abbiamo individuato un vassoio che contiene…Uova al pomodoro! Poi carne, una “cosa” verdastra non bene i-dentificata (che non mi piace!) e naturalmente il riso! Quest’ultimo non manca mai nel menù del giorno e della sera. Mangiamo bene, anche se qualcuno si lamenta che si sta scomodi seduti così o che è difficile mangiare in questa posizione o che le condizioni igieniche non sono gran che…Questo è! Devo dire che il nostro “sottogruppetto” si diverte parecchio in queste situazioni, scherziamo e pren-diamo tutto con filosofia e anche qualcuno…In giro! Dopo mangiato si riparte per Al-Mahwit. Appena arrivati ci sistemiamo all’albergo che porta il nome della città ed è situato sulla strada principale. La camera non è gran che, è piccola piccola e il lenzuolo mi sembra sporco o forse è solo consumato. Decidiamo di andare subito a fare un giro per la città. Tro-viamo alcuni ragazzini che, dichiarandosi amici della nostra guida, ci vogliono portare per le stradine; sono bravi, insistenti il giusto. Anche le case di questo paese sono in pietra, sono tutte molto curate, le finestre sono sormontate da un archetto intarsiato ed hanno fregi e decorazioni bellissime, le persiane di legno sono dipinte di vivaci colori e hanno disegni ornamentali. Saliamo un po’ e troviamo un negozio che vende di tutto e nelle cui vetrine sono esposti abiti femminili di gusto piuttosto “vistoso”, ci mettiamo a scherzare con il proprie-tario e Guido si fa anche fotografare. Poi incontriamo delle ragazze, tante, e sembra che vadano tutte in una casa, ci viene spiegato che c’è un matrimonio, ma la festa è solo per donne; la Lucia, intraprenden-te, chiede se possiamo entrare e loro accettano, ma solo donne e… Niente foto! Entriamo, c’è un pigia pigia, qualche ragazza si è già tolta il vestito nero e sotto è di un’eleganza incredibile! Vestiti coloratis-simi e scicchissimi, i volti truccati, musica…È solo in questo modo, tra di loro, che fanno festa! Torniamo fuori e continuiamo il nostro giro in città, qui vedo che alcune donne portano sulla veste ne-ra, sopra la testa un velo anche questo nero, ma con un bordo ornato da fiori rossi. Deve essere il co-stume di queste parti! Dopo cena, la guida ci riunisce per parlare del programma del giorno dopo. Ci sediamo in una terrazza coperta e “ammobiliata” come il ristorante di oggi. Per gli Yemeniti quei materassini bassi con le spal-liere, tutti rivestiti di stoffe colorate bellissime, sono i divani e non c’è niente di meglio, per parlare tutti insieme, di queste stanze in cui tutti si possono sedere e guardarsi in faccia. Siamo arrivati quasi alla fine del nostro viaggio, la guida oltre a parlare del programma di domani, commenta le cose che si sono viste, risponde alle domande, spiega…È molto esauriente. Mi piace molto stare a sentirlo parlare perché ci toglie tante curiosità sul suo paese e sull’islamismo. Però più che parla più mi accorgo che è difficile capire questo mondo ed è difficile per loro assuefarsi al nostro, inoltre deve essere anche più dura per uno come lui che ha visto l’occidente e che ha contatti con molte perso-ne. Penso che nonostante la sua sfrontatezza abbia molte contraddizioni. Notte.
13° giorno – 26 novembre domenica Partiamo dall’albergo di Al-Mahwit con le macchine e ci fermiamo quasi subito in un luogo panorami-co, un belvedere naturale chiamato Hadiqat (giardino). Da qui si vede un panorama incredibile, si ri-mane così emozionati da non riuscire a esprimere i nostri sentimenti. Il nostro occhio spazia su chilo-metri e chilometri di montagne, all’infinito, quasi non finissero mai. Sotto di noi c’è il dirupo. Di fron-te, sulle cime più vicine, vediamo dei villaggi arroccati, più in basso nelle valli i terrazzamenti di campi coltivati. Stare in quel posto è come stare su un aereo, ma con i piedi per terra! Riprendiamo le macchine che ci portano più su, alla cittadella di Al-Mahwit, arroccata sulla cima della montagna. A piedi entriamo per una porta delle mura e ci ritroviamo…In pieno medio evo. Stradine di terra battuta, case a piano terra misere, buie, dove si intravedono dei pagliericci e poco o niente altro, da cui escono bambini spettinati, sporchi, scalzi, vestiti di stracci, ma…Bellissimi! Alzi gli occhi al cie-lo e scorgi le case alte, di nuovo di pietra, bellissime, con gli archi alle finestre, i trafori, i fregi! Ripartiamo, questa volta arriviamo a At-Tawila. Questa città è costruita sul fianco di una montagna rocciosa, proprio sotto enormi blocchi di pietra. Alcune case hanno proprio per base un masso, sembra siano appoggiate sopra. Le finestre sono sempre il segno distintivo delle case yemenite, sono dipinte di bianco, ornate da fregi e da trafori. Qui è giorno di mercato, ci incamminiamo nelle stradine tra vendi-tori di frutta e verdura, spezie, stoffe, coltelli, collane, stoviglie, tè e ciabattini; alcune neo-nonne del gruppo comprano per i loro nipotini una zanzariera speciale da mettere sui pargoletti! Qui le donne so-no vestite di nero, ma alcune hanno anche lunghi scialli colorati sulla testa. Ripartiamo e ogni tanto ci fermiamo per vedere gli stupendi paesaggi che la strada ci offre: valli verdi e coltivate, villaggi che sembrano tutt’uno con la montagna, montagne rocciose che non hanno nulla da invidiare a quelle dell’America! Arriviamo a Kawkaban, un esempio della passione degli Yemeniti di costruire villaggi sui pendii più inaccessibili! È situata sulla cima della montagna. Kawkaban e Shibam sono chiamate città gemelle. Infatti Kawkaban fu costruita come fortificazione per Shibam, il paese sottostante; nei periodi di crisi gli abitanti di Shibam, lasciavano le loro case per rifugiarsi nella fortezza di Kawkaban. Anche qui so-no rimaste le mura e la porta di accesso alla città. Dalla sommità del dirupo, grazie a uno strapiombo di 350 m. Si ha una stupenda vista sui campi sottostanti e, appunto, sulla città di Shibam. Kawkabam è rimasta inaccessibile per lunghissimi anni, fino alla guerra civile del 1960, in cui fu scon-fitta perché bombardata dagli aerei. Oggi gran parte della città è abbandonata e in rovina, anche se al-cune case rimaste sono belle e con le facciate adorne di fregi e le solite decorazioni alle finestre. Appena arriviamo prende vita subito un mercatino: arrivano ragazzi e adulti con le loro bancarelle che altro non sono che carriole, sulle quali espongono la loro merce: collanine, orecchini, scatoline, incre-dibili portachiavi a lucchetto con cammelli e elefanti! Naturalmente ci avviciniamo tutti…E le soli-te…Comprano, comprano! Il capo degli autisti, Jack Palance, ci controlla, ci fa segno che ha fame e ci invita a incamminarci. La guida ci ha detto che, per chi se la sente, c’è una bellissima discesa da fare a piedi che è una parte del ripido sentiero che unisce Kawkabam a Shibam.
Le macchine e chi non vuol camminare partono e ci aspetteranno nella strada sottostante, noi ci in-camminiamo su una stradella che inizia vicino alla porta di accesso. La discesa è piuttosto ripida, ma è stata in gran parte lastricata e attrezzata con gradini e parapetti e la camminata è piacevole. A metà strada, guardando giù si vedono le nostre macchine, gli autisti e anche la Carla e Stefano che ci stanno aspettando e, chiamati, ci fanno segni di saluto, sembrano piccoli come formiche! Guardando invece in su si vede la parete verticale della montagna da cui stiamo scendendo con le case a strapiombo! Stupendo! Quasi a fine discesa incontriamo degli operai yemeniti che stanno finendo il lastricato, ci soffermiamo a guardarli perché portano ancora le pietre, grosse e pesanti, sulle spalle. Evidentemente sanno che su-scitano stupore, forse pensano che ci meravigliamo “di quanto siano forti!”. Alcuni, davanti ai nostri occhi, si fanno legare le pietre sulle spalle dai compagni e si fanno fotografare volentieri. Forse non sanno che la nostra non è ammirazione, ma compassione! Arrivati alle auto ci dirigiamo velocemente verso Shibam, allo stesso ristorante dove abbiamo mangiato ieri; la guida ci aveva chiesto se ci andava bene tornare qui, la maggioranza è stata favorevole, ma al-cuni hanno contestato questa scelta. Il nostro gruppetto ormai sembra di casa e, un po’ per il solito en-tusiasmo, un po’ perché siamo a fine viaggio, ci scateniamo in performance canore che poi coinvolgo-no anche tutti gli altri! Dopo mangiato facciamo un piccolo giro per Shibam, ma non c’è molto da vedere: una grande piazza dove si svolge il mercato…Una camionetta di militari, o presunti tali, sfreccia quasi travolgendoci e ci viene consigliato che è meglio andarcene, da queste parti non è molto sicuro per i turisti.
Eppure Shibam è stata una città importante: era abitata già molto tempo prima dell’arrivo dell’islam, è stata anche capitale di uno staterello nato dall’indebolimento del regno di Saba e fu di nuovo capitale di un altro regno con la prima dinastia yemenita dell’era islamica.
Ripartiamo e arriviamo finalmente a quella meraviglia dello Yemen, la cui foto ci ha perseguitato sull’etichetta delle bottiglie dell’acqua minerale! E’ il Dar al-Hajar, un edificio che è diventato quasi il simbolo stesso dello Yemen! Siamo nei dintorni di Sana’a, a circa 5 km, nel Wadi Dhahr, una valle fer-tile con molti frutteti e costellata di piccoli villaggi.
Dar al-Hajar significa “la casa sulla roccia” o “il palazzo sulla roccia”: è un magnifico edificio situato in cima ad uno sperone roccioso, ha cinque piani e fu costruito negli anni ‘30 dall’Imam Yahya come residenza estiva. Il palazzo ora è di proprietà del governo e dalla rivoluzione del 1990 è rimasto vuoto per restauri. E’ imponente e bellissimo. Sotto, vicino alla roccia c’è un enorme sicomoro, un albero centenario con una grande chioma. Naturalmente anche qui ci sono negozi, e qui prendo un piccolo e vecchio “porta-Corano” in argento: è una specie di scatolina che dovrebbe stare attaccata ad una cate-nina che si porta al collo, dentro ci stanno dei rotolini con versetti del Corano.
Da qui ripartiamo per arrivare alle 16,30 a Sana’a al solito Sheraton! “Ca sa – ca sa”! Facciamo per i “soliti” il caffè con la moka, poi un riposino e la cena al ristorante dell’hotel.
Dopo cena consegniamo alla guida la mancia extra, che abbiamo raccolto, con un biglietto di accompa-gnamento scritto dalla Franca, da me e da Guido e firmato da tutti quelli che hanno contribuito (ci sono state delle defezioni!). Poi andiamo, con due pulmini, a Sana’a centro per vederla di notte con le case illuminate e le vetrate di mille colori…Naturalmente ritorniamo anche nel suq, e compriamo le fasce per sedersi da regalare agli amici e una kefia leggera che mi piace. Be’ è diventata una mania comprare qualcosa! Notte! 14° giorno – 27 novembre lunedì E questo è veramente l’ultimo giorno! Si parte, naturalmente sempre presto, alle 7, ciò vuol dire sveglia alle 6! Oggi nella macchina di Lucia e Carla l’autista ha portato il suo bambino: è piccolo, avrà 3-4 anni, è carino e ci guarda con due occhioni grandi.
La nostra ultima destinazione nello Yemen sono i Monti Haraz relativamente vicini a Sana’a. Il paesaggio è abbastanza vario perché ci appaiono vasti terrazzamenti coltivati in altipiani di 2000 m, ma anche montagne desolate che superano i 3000 m di altezza. La strada è molto tortuosa. Ci fermiamo a Manakha, la più importante cittadina della zona. Qui c’è il ristorante dove torneremo all’ora di pranzo, per ora usiamo i suoi bagni che sono, devo dire, abbastanza dignitosi! Naturalmente ci sono i soliti venditori e Guido ricompra un cappellino che è simile a quello che ha comprato al mer-cato di Bayt-al-faqih, il mercato africano, e che io gli ho fregato! Proseguiamo per Al-Hajjara, per la strada vediamo da lontano il villaggio di Manakha e altri villaggi sparsi per le montagne. Al-Hajjara è un villaggio pittoresco, le sue case sono altissime e di pietra. Quello che colpisce sono le pitture bianche sulle case e soprattutto dintorno alle finestre. La guida mi spiega che le fanno gli abitan-ti per scacciare il malocchio: “Se mi guardi male, prima di tutto i tuoi occhi si soffermano sulle pitture delle case e quindi il male si ferma sui muri!” Ci fermiamo estasiati davanti a questo paese e facciamo le foto dai punti più panoramici; poi entriamo nel paese dall’unica porta di accesso, che sino al 1960 veniva sprangata alle sei della sera. Siamo vera-mente nel Medio Evo! Anche questo paese è situato sulla cima della montagna e quindi è tutto in salita: le case sono attaccate l’una all’altra, i vicoli sono strettissimi, manca la luce e l’acqua viene portata da tubi che, come abbiamo visto anche da altre parti, viaggiano pericolosamente al centro di queste strette stradine! Non esistono le fogne, l’acqua (e altro) viene fatta uscire dalle case tramite tubi di scarico che finiscono direttamente in strada… Ne sa qualcosa la Maria che ha fatto un bagno e si è dovuta cambiare dalla testa ai piedi! Ci sono per queste stradine delle donne che, con il loro banchetto piccolissimo, vendono cartoline e so-prattutto bamboline, e volete crederci? Ci sono Barbie vestite come le donne arabe, cioè tutte velate, al-cune colorate ed altre pure vestite di nero! Dall’alto, la guida ci mostra le case fuori delle mura degli ebrei, praticamente il “ghetto”. Ad Al-Hajjara risiede la setta sciita degli ismaeliti, ancora in contatto con gli ismaeliti dell’India. Riscendiamo accompagnate dai bambini che ci seguono e, anche qui, c’è la sosta nei negozietti per i turisti.
Ritorniamo a Manakha e andiamo al ristorante. Con dispiacere di qualcuno, siamo di nuovo senza tavo-la! L’apparecchiatura alla yemenita è per terra, la stanza è molto bella, grandissima e, come al solito, ci sono tanti materassini-divani tutt’intorno. Dopo mangiato, la guida consegna agli autisti la mancia che spettava loro e ci congediamo così perché come arriveremo a Sana’a loro ci lasceranno.
Ma ci fanno ancora una bella e ultima sorpresa: la “Danza dei coltelli”. Un gruppo di suonatori e ballerini, tutti uomini e un ragazzino, si presenta con un ritmo scatenato. Pri-ma si esibiscono loro con passi precisi e con movimenti dei loro coltelli, poi si aggiungono gli autisti e anche la guida! Alla fine coinvolgono anche noi…E giù tutti a ballare, saltare, ci danno anche i coltelli che dobbiamo far volteggiare nell’aria! Insomma, divertente e carino, un bel modo per salutarci dopo alcuni giorni passati insieme per una vacanza, che, sicuramente noi, non dimenticheremo mai! Ed ecco che ritorniamo a Sana’a. Ci facciamo lasciare dagli autisti alla Porta Bab Y-Aman per fare l’ultima visitina al Suq, dato che qualcuno ha chiesto di poter fare gli ultimi acquisti di spezie e casine. Chi invece vuol andare allo Sheraton subito, verrà accompagnato da una macchina. Quasi tutti voglia-mo andare ancora a dare l’ultimo sguardo a Sana’a, e viene pure Giuliano, anche se è molto preoccupa-to dal pensiero di fare la valigia! Comprate le ultime cose si ritorna per l’ultima volta alla nostra “ca-sa” nello Yemen: lo Sheraton.
Ma la guida ci ha riservato un’altra sorpresa: una cena fuori dall’hotel in un ristorante tipico, quindi dopo la doccia e con le valigie pronte per la partenza, ripartiamo con i pulmini e salutiamo, questa vol-ta, veramente, per l’ultima volta, lo Sheraton! Sul pulmino per ricambiare il regalo (la mancia) che gli abbiamo fatto, regala ad ognuno di noi un piccolo cestino porta spezie, coloratissimo e con il coper-chio, proprio made in Yemen! Un gesto veramente carino! Si va al ristorante, naturalmente dobbiamo sempre ricordare che siamo nello Yemen e questo è un tipi-co ristorante di qui. L’apparecchiatura è la solita, l’igiene è quello che è! Andiamo in cucina per vedere i forni di terracotta dove viene cotto il pane, le grandi ruzzole di pane non lievitato, e i pesci, sembra cernie. Queste vengono aperte, condite con spezie rosse, infilzate in uno spiedo e poi introdotte in que-sti forni di terracotta. La cena è buona, prima del pesce ci portano una salsina buonissima con il pane caldo caldo e soffice. Poi il pesce e le verdure cotte. Infine il tè e il miele.
Non saremmo mai voluti venire via, invece dobbiamo presentarci all’aeroporto alle 22,30 per l’imbarco, l’aereo parte alle 0.30. All’aeroporto salutiamo con un po’ di commozione la nostra guida. Ci baciamo e ci promettiamo di scriverci, lui ci dà i suoi biglietti con l’indirizzo e-mail. Poi, altra bella sorpresa: ecco che riappare il “granchio” della nostra accompagnatrice, così ha ritrovato il suo ricordo personale! Dobbiamo passare un sacco di controlli all’aeroporto, addirittura noi donne anche perquisizioni perso-nali! E le valigie…Ad alcuni le hanno aperte: ad un tizio perché si era portato per ricordo un bossolo di Kalasnikov! E anche a Giuliano che, per sua sfortuna, ha dovuto “svoltolare” tutte le casine di gesso incartate nella carta igienica! A Stefano che aveva la borsa rosa (la pink bag, uguale a Marco e a noi) piena di sciarpe e altre cianfrusaglie! Insomma alla fine siamo partiti tutti, con tanto di borse di paglia e zucche incorporate…Non ci hanno rapito!!! Siamo dovuti tornare! Peccato!!! F I N E