Trieste e Slovenia 2

Tra grotte e castelli in compagnia di due (mini) turiste per caso
Scritto da: Doc McStuffins
Partenza il: 21/04/2014
Ritorno il: 26/04/2014
Viaggiatori: 3
Spesa: 500 €

21/04

Partenza all’alba alla volta di Trieste. Dopo un viaggio di 5 ore sotto una pioggia battente, arriviamo intorno alle 11.00 del mattino a Duino; il programma prevedeva una breve passeggiata in zona San Giovanni di Duino per vedere le risorgive del fiume Timavo, ma visto il meteo avverso ci dirigiamo direttamente a Duino per visitare il famoso castello. In realtà i castelli a Duino sono due: la biglietteria si trova presso il castello nuovo, che è possibile visitare, unitamente alla torre, ai giardini e al bunker sotterraneo della II guerra mondiale al costo di 8 €; a 200m circa da esso si trova il castello vecchio, del quale restano solo i ruderi, visitabile aggiungendo 2€ al costo del biglietto (bimbi fino a 6 anni gratis). Cominciamo da quest’ultimo, visto che la pioggia ci concede un attimo di tregua: il posto è da favola, nonostante il cielo grigio… mi immagino che spettacolo deve essere in una giornata di sole! La leggenda narra che il signore del castello volle liberarsi della consorte gettandola in mare; il cielo, impietosito, non la volle far morire e la trasformò nella roccia bianca che si trova ai piedi del castello, detta appunto la Dama Bianca.

Torniamo verso il castello nuovo appena in tempo: si sta scatenando l’ennesimo acquazzone! All’interno del castello nuovo ci sono una serie di stanze arredate con mobili d’epoca (sala da pranzo, camera da letto, biblioteca e vari salottini), un’esposizione di strumenti musicali e una serie di documenti che raccontano la storia del castello e della famiglia che ne è proprietaria: niente di speciale, ma a mio avviso valgono il costo del biglietto i panorami che si ammirano dalla terrazza al secondo piano e dalla torre e il bel giardino con la vasca delle ninfee. Anche il bunker sotterraneo è interessante. Torniamo alla nostra auto sotto il diluvio universale! Avrei voluto visitare anche Miramare, che è di strada, in modo da non dover uscire fuori città l’indomani, ma con questo tempo sarebbe sprecato: preferisco rimandare sperando che domani sia una giornata di sole. A questo punto, percorrendo la strada costiera, arriviamo a Trieste: dai finestrini dell’auto ci godiamo un piccolo assaggio della città, con i suoi bei palazzi, il canal grande e piazza Unità d’Italia. Percorriamo le Rive fino alla Lanterna e poi prendiamo la strada che va verso il confine di stato: la nostra meta è la Risiera di San Sabba. La Risiera, un ex opificio per la pilatura del riso, è stata utilizzata durante la II guerra mondiale dal governo Nazista (questa zona dell’Italia è stata a partire dall’autunno del 1943 sotto il diretto controllo tedesco) come campo di detenzione per prigionieri politici italiani, croati e sloveni e come campo di smistamento per gli ebrei rastrellati nelle zone del Veneto e del Friuli: qui venivano razziati dei loro averi e caricati sui treni diretti ai campi di sterminio dislocati nel resto dell’Europa. Si tratta di un vero e proprio lager dove, secondo gli storici, vennero uccise tra l’autunno del ’43 e la primavera del ’45 tra le 3000 e le 5000 persone. Era presente anche un forno crematorio, che fu distrutto dai tedeschi in fuga nella notte tra il 29 e 30 aprile del 1945. I documenti che si conservano oggigiorno sono purtroppo esigui: la Risiera è stata infatti utilizzata, al termine della guerra, come campo per i profughi istriani e poi abbandonata all’incuria fino al 1965, quando è stata dichiarata monumento nazionale. Gran parte del materiale che oggi abbiamo a disposizione lo dobbiamo a Diego de Henrique, che nei suoi quaderni trascrisse le scritte e le incisioni presenti sui muri della Riseria, che in molti casi rappresentano l’ultima traccia delle persone che le hanno lasciate. Nella cosiddetta Sala delle Croci è possibile visionare parte di questo materiale e leggere ed ascoltare le testimonianze di alcuni superstiti. Questa sala, che in passato era divisa in quattro piani, come testimonia lo scheletro in legno messo in evidenza dalla ristrutturazione del 1975, rappresentava la zona in cui venivano raccolti i prigionieri nell’attesa di essere smistati verso gli altri campi europei. In un’altra stanza del campo ci sono le anguste celle in cui venivano rinchiusi i prigionieri politici. Accanto ad essa, la stanza detta Della Morte, dove i prigionieri venivano seviziati e uccisi con un colpo alla nuca: nell’area museale è possibile vedere la copia dello strumento usato a questo scopo (l’originale è stato trafugato). Nello spiazzo centrale una lastra metallica delinea l’area in cui si trovava il forno crematorio (di cui è possibile vedere l’impronta sul muro dell’edificio attiguo) e una scultura in ferro battuto si proietta verso l’alto a rappresentare il camino. La visita alla Risiera è molto toccante: un’esperienza che porterò per sempre nel cuore. Non è stato semplice spiegare alle bambine in modo a loro comprensibile, quello che rappresenta questo luogo, ma credo che nel loro piccolo abbiano colto la sacralità di questo posto.

Siamo ormai a metà pomeriggio e non accenna a smettere di piovere, ci dirigiamo quindi verso il colle di San Giusto, dove abbiamo prenotato due notti al B&B Tre Rose (120,00 con prima colazione per le due notti). La stanza, in realtà un mini appartamento, dotato anche di cucina, è pulita e decorata con gusto ed allegria, all’esterno c’è un bel giardino (del quale purtroppo potremo approfittare ben poco, visto il tempo…) ed un posto auto (cosa non da poco!). Facciamo merenda e ci rilassiamo un’oretta, sperando che spiova. Intorno alle 18.30, usciamo per fare due passi prima di cena… e mi rendo veramente conto di quanto è centrale questo B&B. Facciamo solo pochi passi e ci troviamo in cima della Scalinata dei Giganti! Scendiamo in piazza Goldoni, che riconosco subito grazie all’opera moderna che si trova al centro della piazza e che i triestini chiamano scherzosamente “porta cd” e poi facciamo una passeggiata nella pedonale via XX Settembre, fino al Teatro Politeama. Tornate in via Carducci, ceniamo da Bagutta (ricordo di aver letto il nome in qualche diario di viaggio): io assaggio la “iota”, zuppa di crauti e fagioli, servita dentro una pagnotta…bellissima e buonissima, le bimbe gnocchi al ragù, anche questi molto buoni (con un dolce e acqua il conto è stato di 23€) Rifacciamo, questa volta in salita, la Scalinata dei Giganti e col fiatone arriviamo al B&B, dove ci godiamo il meritato riposo.

22/05

Ci svegliamo e vediamo entrare dalla finestra un raggio di sole… evviva! Iniziamo la visita della città dal colle di San Giusto: cattedrale, Rovine Romane e Castello; del castello visitiamo solo la parte esterna (1€/gratis sotto i 6 anni): la passeggiata sulle mura offre panorami mozzafiato sulla città. Scendiamo alla parte bassa della città passando da via della Cattedrale e ci addentriamo nelle sue viuzze caratteristiche: sul nostro cammino incontriamo il monastero di S.Cipriano, l’Arco di Riccardo, la Rotonda Pancera (un po’ in stato di abbandono, devo dire), la chiesa di S. Maria Maggiore (che pare fosse collegata da un passaggio segreto alla Rotonda e nei cui sotterranei si dice venissero eseguiti i processi della Santa Inquisizione) e la vicina chiesetta di S. Silvestro. Scendendo dalla scalinata sotto la chiesa ci troviamo in via del Teatro Romano e dopo pochi passi vediamo appunto i resti del teatro. A questo punto imbocchiamo Corso Italia e passando da piazza della borsa, dove troneggia il bel palazzo della Borsa Vecchia, in stile neoclassico, prendiamo una delle vie sulla destra che ci portano al Canal Grande. A partire da via del Teatro Romano l’aspetto della città cambia completamente: questa zona è caratterizzata da vie molto ampie e da grandi palazzi signorili. Facciamo una passeggiata lungo il Canal Grande e attraversiamo i suoi ponti, in fondo si vedono la chiesa di Sant’Antonio Nuovo e quella greco-ortodossa di S. Spiridone, dalle cupole azzurre. Nella piazza di fronte alla chiesa ci concediamo una meritata pausa, io su una panchina al sole e le bambine su una giostrina che aveva già attratto la loro attenzione il giorno precedente, quando abbiamo percorso in auto il lungomare (non so se sia fissa o temporanea, ma la segnalo per chi viaggia con bambini: è stato un incentivo per farle camminare per mezza mattina!).

A questo punto, passando dal lungomare, arriviamo in piazza Unitá d’Italia: qui ogni descrizione è superflua, dico solo che è all’altezza della fama che la precede! Dopo le foto di rito, torniamo sui nostri passi per andare alla stazione dei treni a prendere l’autobus n.6 per Miramare; durante il tragitto ci fermiamo a fare un po’ di spesa per il pranzo al supermercato Despar che c’è lungo il Canal Grande (lo segnalo perché offre la possibilità di consumare il pranzo direttamente sui tavolini esterni lungo il canale. Noi non ne approfittiamo: abbiamo in programma un pic-nic a Miramare!). Per entrare al parco dall’ingresso principale bisogna scendere alla fermata appena dopo l’indicazione per la stazione ferroviaria di Miramare; si attraversa la strada e si prendono le scalette che scendono verso il lungomare. L’ingresso al parco è gratuito, la visita al castello costa 4€ (gratis fino a 6 anni), 5€ l’audio guida doppia. Il parco è molto bello, anche se penso per le abbondanti piogge dei giorni scorsi era un po’ “allagato”, inoltre in alcune aree sono in corso dei lavori; in ogni caso è sicuramente una passeggiata molto piacevole. Il castello è veramente da sogno: il castello delle principesse che tutte sognamo da bambine! Anche gli interni sono molto belli e interessanti: insomma, un posto dove vale veramente la pena di entrare. Noi, dopo la visita al castello, abbiamo passeggiato nel parco fino al castelletto e poi siamo usciti verso Grignano e lì abbiamo ripreso l’autobus n.6 per rientrare in città.

Dopo una pausa ristoratrice al B&B siamo nuovamente uscite per la cena; prima, però, aperitivo in piazza Unità al tramonto: pensavo mi avrebbero spennata, invece tutto sommato sono stati onesti… e con quella cornice ne vale sicuramente la pena. Per la cena abbiamo seguito il consiglio della GpC di Trieste Angela e siamo andati alla trattoria dell’Istriano, in riva Grumula,6: cena di pesce da 10 e lode e personale gentile e simpatico (2 fritti di totani, 1 antipasto misto con 4 assaggi caldi e freddi, 1 primo e i mitici “sardon”, acqua e vino: 64€). Nel tornare al B&B siamo nuovamente passate da piazza Unità per vederla illuminata: uno spettacolo meraviglioso!

23/04

Salutiamo Trieste direzione Slovenia. Prima tappa Hrastovlje, per visitare la piccola chiesa con il famoso dipinto della danza della morte (3€/bimbi gratis). La chiesetta è in realtà interamente affrescata; la custode fa partire un’audio registrato di 15 min circa che spiega cosa rappresenta ogni affresco: davvero interessante. Nel pomeriggio ci siamo recati alle grotte di Skocjan (San Canziano), dove abbiamo partecipato alla visita classica, che viene chiamata”Attraverso il canyon sotterraneo” (16€ adulti/7.50 bambini/gratis <6a.). Esistono altre due visite che si possono fare: la prima, anch’essa guidata, che passa lungo il fiume e arriva fino al punto in cui si inabissa sotto terra; la seconda, che si può fare autonomamente, è un percorso circolare in superficie per vedere le doline.

Le visite guidate sono in inglese, ma nel nostro caso, visto che la maggioranza del gruppo era composta da italiani, la guida ha gentilmente fatto la spiegazione anche in italiano. Si cammina molto: circa 500 m per arrivare all’ingresso della grotta e poi 2,5km all’interno della grotta, ci sono molti gradini (in ogni caso tenete conto che ce l’ha fatta mia figlia di 4 anni) e una bella scarpinata in salita per ritornare alla superficie, attraverso la dolina (l’ultimo pezzo si fa in ascensore). All’interno si vede una prima parte della grotta, detta del silenzio, dove non c’è il fiume: è la parte più alta; poi si arriva alla grotta detta del rumore, dove scorre il fiume (che fa rumore, appunto): si scende sempre più in basso fino a raggiungerlo nel punto in cui si inabissa nel sottosuolo e poi si risale all’esterno attraverso la dolina. All’interno la temperatura è bassa (12 gradi circa) e la guida ci ha spiegato che in inverno è più fredda nella parte in cui scorre il fiume perché la temperatura delle acque influenza quella della grotta; comunque scarpinando su e giù il freddo non lo sentirete per nulla, anzi ( io avevo pile e piumino primaverile e mi sono fatta una bella sudata!). All’interno l’illuminazione essenziale rende l’ambiente molto suggestivo, la discesa verso il fiume è veramente spettacolare! Il gruppo relativamente piccolo di visitatori e il fatto che il posto è lasciato molto naturale rendono l’esperienza veramente piacevole: ci si sente un po’ speleologi per un giorno. Un consiglio per il pranzo: portatevi i panini o provate una delle gostline in paese! Il bar-tavola calda delle grotte è una rapina a mano armata: noi abbiamo speso per due panini, una porzione di patatine e una bottiglietta d’acqua da mezzo litro 18€!!Inoltre il personale è davvero scortese.

La visita dura circa 3 ore, per cui ormai è piuttosto tardi e decidiamo di recarci direttamente all’agriturismo: per le 3 notti in Slovenia abbiamo scelto l’agriturismo Na Meji vicino a Pivka, precisamente a Trnje, una struttura bella ed economica in mezzo alla campagna. Le camere sono nuove e ben arredate, il personale molto gentile e offre la possibilità della mezza pensione che, per chi viaggia con bambini, è una bella soluzione (spesso la sera sono troppo stanchi per uscire a cena). La prima sera, però, per problemi personali dei proprietari, non è possibile cenare in agriturismo. Il proprietario ci consiglia un paio di posti e noi scegliamo la pizzeria Herman, perché è vicina alla stazione ferroviaria e quindi facilmente raggiungibile; sono molto dubbiosa sulla qualità della pizza, invece devo proprio ricredermi: è veramente buona e il conto veramente onesto (10€ per 2 margherite e una bottiglia d’acqua); la proprietaria, inoltre, è gentilissima (ha anche offerto degli ovetti di cioccolato alla bimbe).

24/04

Dopo un’abbondante colazione partiamo alla volta di Rakov Skocjan, un altro esempio dei fenomeni carsici presenti in zona: il parco si estende intorno al fiume detto Rio dei Gamberi, che scorrendo in parte in superficie, in parte nel sottosuolo crea grotte e ponti naturali (che non sono altro che grotte parzialmente crollate). Il percorso è in tutto lungo 3 km circa, completamente in mezzo ai boschi ed è possibile percorrerlo in auto lungo la strada e fermarsi nei punti di interesse segnalati;in alternativa si può seguire l’intero corso del fiume. Noi abbiamo scelto la prima soluzione, un po’ perché il cielo minacciava pioggia da un momento all’altro, un po’ perché mi sembrava stancante, soprattutto per la piccola, specie se si considera di avere alla fine altri 3 km circa da percorrere per ritornare all’automobile. Al cosiddetto Ponte Piccolo siamo però scese lungo la dolina, fino alla grotta: per le bambine è stato molto divertente! Lungo il percorso troverete 3 tabelloni illustrativi che indicano il punto in cui vi trovate (uno all’inizio, uno alla fine e uno all’altezza dell’albergo Rakov Skocjan) e altri cartelli più piccoli che indicano i vari punti di interesse: questi ultimi non sono ben visibili, ma c’è da dire che le gelate dell’ultimo inverno hanno arrecato grossi danni alle foreste (il proprietario dell’agriturismo ci ha mostrato foto davvero impressionanti) e sono ancora in corso i lavori per eliminare gli alberi danneggiati, quindi probabilmente anche la segnaletica ha subito danni. I sentieri erano comunque accessibili.

Ci siamo poi recati a Sneznik, a circa 30 minuti di strada, per visitare il castello: il proprietario dell’agriturismo, che parla un po’ di italiano, ci ha detto che ci sarebbero stati degli animali… intendeva però impagliati! In ogni caso il castello è veramente bello, soprattutto dall’esterno e merita una visita se siete in zona. Inoltre per arrivarci si attraversa una campagna fatta di prati verdissimi, boschi e paesini con case tipiche; si costeggia anche il lago Cerchiaio: un lago intermittente che in alcuni periodi dell’anno è un lago, in altri un prato, un altro tipico fenomeno carsico! Per visitare il castello si compra il biglietto (4€ adulti/3€ bambini/gratis<6anni) e poi la stessa addetta che ti vende i biglietti, ti apre il pesate portone principale con delle grosse chiavi e ti accompagna per una visita guidata praticamente privata nelle sale del castello (le spiegazioni sono in inglese). All’interno gli arredi sono originali, un po’ logori, alcuni, ma questo contribuisce ad aumentare l’aura un po’ spettrale del luogo: sarà che ci siamo solo noi, saranno le grosse chiavi con cui vengono aperte e chiuse le porte, ma l’atmosfera è un po’ tenebrosa: per fortuna la nostra guida è una ragazza giovane e simpatica, perché se si fosse trattato di una seria e anziana signora sarebbe potuto sembrare il preludio di un film horror. In effetti gli animali ci sono e di ogni genere: lupi, cinghiali, corna di cervi di ogni foggia e dimensione, volpi, ghiri…c’è persino un orso!

Ultima tappa della giornata: le famose Grotte di Postumja. Siccome avevamo in programma di visitare anche il castello di Predjama abbiamo comprato il biglietto cumulativo (28.90€ adulti/17.40bambini/2€<6 anni). In realtà nel programmare il viaggio avevo deciso di visitare solo le grotte di Skocjan perché da più parti avevo sentito che quelle di Postumja sono troppo commerciali, poi però le bambine dopo aver visto lungo la strada innumerevoli cartelli pubblicitari con il famoso trenino che porta all’interno delle grotte hanno insistito per andarci… e per fortuna! In effetti l’ambiente è molto “costruito”, però le concrezioni che si possono ammirare sono veramente spettacolari: talmente belle da sembrare finte!!! Immagino che in periodi di maggior afflusso turistico sia molto più caotico, ma noi fortunatamente non abbiamo trovato molta gente. In conclusione, il mio consiglio è vedere entrambe le grotte: sono due esperienze totalmente diverse; però meglio vedere prima quelle di Skocian, così non si rischia di rimanere delusi dal fatto che sono meno ricche di concrezioni e si apprezza a pieno l’esperienza. Terminiamo la giornata con un’ottima cena al nostro agriturismo.

25/04

Dopo la solita abbondante colazione, partiamo alla volta di Predjama per visitare il famoso castello. Arriviamo 15 minuti in anticipo sull’orario di apertura e abbiamo così tutto il tempo per goderci la passeggiata fino al castello sotto un bel sole… e fare un sacco di foto! La visita al castello, che richiede circa un’ora, è libera: con il biglietto viene fornita una guida che descrive i vari ambienti (ognuno contrassegnati da un numero). Non aspettatevi arredi particolarmente ricchi: le stanze sono piuttosto essenziali, però è particolare il modo in cui gli ambienti “costruiti” si concatenano con le camere della grotta che si trova dietro il castello e all’interno della quale, in pratica, il castello è costruito. Terminata la visita al castello riprendiamo l’auto in direzione Idrija per visitare le miniere di mercurio, che hanno reso famosa la cittadina. Prima, però, visto che ormai è ora di pranzo, non ci facciamo scappare l’occasione per provare i famosi zlikrofi (ravioli ripieni di formaggio, pancetta e erba cipollina): per assaggiarli scegliamo la Gostlina Barbara (consigliata dalla guida Lonely Planet; io ho preso gli zlikrofi con gulasch, le bimbe una pasta al ragù, due dolci -enormi!- acqua e il conto è stato di 25.70€).

Finito il pranzo, mancando ancora un’ora all’inizio della visita guidata alla miniera, abbiamo visitato il museo all’interno del castello (5.20€ 1adulto + 1bambino/ <6anni gratis): con il biglietto d’ingresso viene fornita una guida cartacea in italiano che illustra il contenuto delle diverse sale; nel complesso è piuttosto interessante, ricco di documenti fotografici e nella sezione dedicata al mercurio c’è un cubo di plexiglas contenente il famoso metallo. A Idrija l’estrazione del mercurio è una lunga tradizione: dal 1500 fino agli anni ’90 la città ha basato tutta la sua economia su questo metallo; oggi non ci sono più miniere attive. La parte dei cunicoli aperta al pubblico è il pozzo di Antonio, uno dei primi ad essere attivi. La visita (9€ adulti/3€ bambini) inizia nella sala dell’adunata, cioè la stanza in cui il caposervizio faceva l’appello e assegnava i compiti ai minatori, qui viene proiettato un filmato di circa 20 min (in italiano… perché eravamo tutti italiani nel gruppo, ma penso che normalmente sia in inglese), poi ci si veste con giacche e caschetto e, dopo essercisi reciprocamente augurati “Buona fortuna” (il saluto del minatore) con una guida si scende nel pozzo. Mentre si attraversano i cunicoli si scopre tutto sul l’estrazione del mercurio, su come è cambiata nei secoli e sulla vita dei minatori. La nostra guida è un simpatico signore che parla un buon italiano, molto appassionato e coinvolgente nelle spiegazioni.

Dopo la visita alla miniera avremmo voluto fare una passeggiata sulla strada che porta al lago selvaggio (sono circa 2,5 km) lungo la quale si vedono un antico mulino ad acqua e le chiuse che venivano utilizzate per il trasporto del legname; purtroppo quando siamo usciti stava piovendo, però lo segnalo come spunto per altri TPC. Mentre torniamo verso casa la pioggia lascia nuovamente spazio al sole e alla luce del tramonto il verde dei prati e dei boschi diventa quasi abbagliante: viene voglia di fermarsi a fare foto ogni minuto! Prima di tornare all’agriturismo saliamo fino alla piccola chiesetta di Trnje, che si trova su un promontorio e offre un meraviglioso panorama sulla piana sottostante. Cena all’agriturismo con pietanze tipiche (ho scoperto che a mia figlia piace la zuppa di crauti e salsicce!): questa sera sono arrivate altre famiglie italiane e le bimbe fanno subito amicizia con le nuove bambine arrivate.

26/04

Ultimo giorno di vacanza…purtroppo si torna a casa. Dopo colazione carichiamo le valigie in auto e partiamo direzione Pirano… appena arrivati però si scatena il nubifragio! Consultato il meteo e stabilito che in zona piove un po’ ovunque, con le pive nel sacco decidiamo di rientrare in Italia. Sulla via del ritorno però ho un’idea: perché non approfittare per visitare i luoghi del Vajont? Non è proprio di strada, ma rispetto al Piemonte possiamo dire di essere in zona! Consulto il navigatore e verifico che dovremmo essere a Longarone per le 14.00: ottimo! Proprio l’orario in cui riapre il museo dopo la pausa pranzo. La storia del Vajont mi ha sempre appassionato; ho letto l’interessante libro scritto da Tina Merlin, giornalista de L’Unità che aveva denunciato i soprusi della SADE sugli abitanti della valle interessata dall’invaso e la pericolosità dell’opera anzi tempo e per questo aveva subito un processo per diffamazione. Proprio per la prevedibilità dell’evento e per la colpevole assenza delle istituzioni dello Stato nel garantire la sicurezza e preservare la vita dei cittadini, oggi nel definire le vicende del Vajont molti parlano di “olocaustro”.

Arrivando a Longarone si passa da Fortogna, dove si trova il cimitero monumentale dedicato alle vittime del Vajont (noi non lo abbiamo visitato); il giorno dopo il disastro questa era l’ultima “roccaforte” prima della devastazione: da qui in poi non c’era più una strada, una ferrovia… Se considerate quanta strada dovrete percorrere da qui per arrivare al centro del paese (io ad un certo punto ho reimpostato il navigatore perché pensavo di averne già passato l’ingresso senza essermene accorta), questo vi da già un’idea delle dimensioni di questa catastrofe. Prima tappa della nostra visita il Museo del Vajont “Attimi di Storia”, che si trova nella piazzetta centrale del paese; antistante la piazza c’è una terrazza da cui si vede la diga, immobile al suo posto nonostante tutto. In realtà da Longarone non si ha la percezione di quanto sia imponente quest’opera, sembra una cosa lontana e questo spiega in parte perché la percezione del rischio legato alla diga fosse maggiore nei paesi a monte, che si venivano a trovare sulle sponde dell’invaso artificiale. Il Museo (4€ adulti/gratis<6 anni) merita una visita prima di salire alle diga; si tratta essenzialmente di una mostra fotografica, ma aiuta a capire meglio cosa rappresentano i luoghi che si andranno a visitare. La mostra inizia con due foto, la prima, in bianco e nero, ritrae i bambini della scuola materna dell’anno 1963, di fronte una seconda foto, a colori, ritrae i bambini della scuola materna dell’anno 2009; in mezzo un pannello con i numeri della tragedia: il numero delle vittime, il numero dei bambino tra le vittime, quanti di loro avevano meno di 5 anni, quanti meno di un anno, l’età della vittima più giovane, i bambini mai nati. Un’immagine forte, che dimostra però anche la voglia di ricominciare dei superstiti. Nella prima parte dell’esposizione le immagini raccontano Longarone prima della tragedia, le manifestazioni religiose e civili, le piccole e grandi imprese messe in piedi dai cittadini, ci sono foto di gruppo di classi scolastiche e di bambini alla prima comunione, foto di giovani che vanno a ballare. La seconda parte riguarda i primi rilievi fatti in valle, i progetti e la costruzione della diga; in questa sezione è possibile vedere un plastico della valle del Vajont prima del 1960, che dà un’idea di quelle che dovevano essere le dimensioni dell’invaso, che faceva parte di un più complesso sistema di dighe a monte. Nella terza parte, le immagini della prima frana, di dimensioni ridotte rispetto a quella del 1963, le nuove indagini eseguite dai geologi, che vennero considerate troppo pessimistiche, il modello ridotto 1:2000 in cui venne simulata la caduta della frana (in due parti, secondo l’ipotesi più ottimistica), le crepe ben visibili sul monte Toc, la costruzione del canale di by-pass. Segue il racconto, attraverso immagini e testimonianze, di ciò che è accaduto la notte della tragedia e nei giorni successivi: senza dubbio la parte più toccante della mostra; sono esposti anche piccoli oggetti appartenuti alle vittime: un orologio da polso, il casco del vigile urbano, piccoli utensili. L’ultima parte racconta il coraggio e la forza dei superstiti: la faticosa ripresa della quotidianità, lo scandalo della sentenza giudiziaria, la ricostruzione e la nuova vita in un paese che aveva perso la sua identità: le immagini che mettono a confronto scorci di Longarone prima della tragedia e dopo la ricostruzione sono impressionanti e rendono davvero l’idea di come sia stata dura per coloro che sono sopravvissuti adattarsi a vivere in un posto a loro totalmente estraneo, dove ogni punto di riferimento veniva meno. Io sono convinta non si debba aver timore a portare i bambini in questi luoghi della memoria, anzi, credo sia importante aiutarli fin da piccoli a sviluppare la coscienza che il proprio benessere non possa prescindere da quello delle altre persone; per come è strutturato, questo museo è perfettamente fruibile anche dai bambini (naturalmente adeguatamente preparati): la visita non richiede un tempo eccessivamente lungo, ci sono molte foto e in particolare molte foto di bambini, verso i quali i piccoli visitatori sviluppano subito empatia; anche la presenza dei plastici attrae molto la loro attenzione e li aiuta nel capire gli aspetti più “tecnici” (le mie non sapevano nemmeno cos’era una diga). Alla fine dell’esposizione c’è anche un tavolino con fogli da disegno e pastelli, dove i bambini si possono intrattenere se gli adulti si vogliono soffermare ad approfondire alcune parti della mostra.

Usciti dal museo, prima di dirigerci alla diga, facciamo un giro per Longarone per vedere le poche cose sopravvissute all’onda: il campanile di Pirago, i murazzi, alcune case nella parte più alta del paese, la cui architettura contrasta con la modernità degli edifici circostanti. Iniziamo quindi a risalire la montagna verso la diga; poco prima di arrivare una galleria segna il confine tra Veneto e Friuli Venezia Giulia. In prossimità della diga ci sono diversi parcheggi: quello più vicino è a pagamento (2€/h), quelli più distanti hanno i parchimetri ma al momento sono inattivi, non so se nei periodi dove l’afflusso di turismo è maggiore vengano attivati o rimangano gratuiti. Attualmente per poter percorrere a piedi il coronamento della diga, bisogna seguire una delle visite guidate(5€/gratis<6anni), gestite dalla Pro Loco di Longarone. Ad accompagnare i visitatori sono volontari della stessa associazione, che danno spiegazioni sul progetto e sulla costruzione della diga, sui meccanismi che hanno portato alla tragedia, su cosa sia accaduto dopo; la signora che ci ha accompagnato si è dimostrata preparata, gentile e disponibile a rispondere alle nostre molte domande; credo che il fatto che le visite vengano gestite da persone del posto renda quest’esperienza ancora più completa per il visitatore, perché la sensibilità ed il coinvolgimento con cui affrontano gli argomenti non si potrebbero trovare in una guida professionista: sono persone desiderose di raccontare la loro storia, volutamente tenuta nella penombra per anni perché costituiva motivo di vergogna per gli organi dello Stato. Altro particolare molto commovente sono le bandierine colorate, presenti su tutto il percorso fino alla diga, ognuna delle quali porta il nome di un bambino morto durante la tragedia; le bandierine bianche rappresentano i bambini mai nati.

Terminata la visita alla diga, decidiamo di visitare Erto e Casso: sono due paesini che si trovavano ai margini dell’invaso artificiale e che sono stati quasi completamente abbandonati dopo la tragedia, anche per la non-volontà da parte delle istituzioni di agevolare un ritorno in valle dei loro abitanti (si dice che l’Enel fosse intenzionato ad utilizzare comunque l’invaso e per non avere ulteriori problemi volesse rendere la valle disabitata): epico fu il gesto di alcuni ertani, persone dalla proverbiale tenacia, che rientrarono abusivamente nelle loro abitazioni!

Casso, che si trova su di uno spero e roccioso proprio al di sopra della diga, è un paese veramente delizioso, caratterizzato dalle tipiche case in pietra locale: oggi ci vivono circa 15 persone, molte case sono in rovina, le porte chiuse da grossi catenacci. Facciamo due passi per le strette viuzze, le uniche voci che si sentono sono quelle delle mie figlie che giocano a rincorrersi: mette un po’ di malinconia pensare a come doveva essere un tempo questo paesino quando vi abitavano quasi 500 persone. Notiamo un piccolo cartello con la scritta “Il Mercatino, alimentari, libri, curiosità..”, seguiamo l’indicazione incuriosite e arriviamo ad un piccolo negozietto: compriamo dolci tipici da portare a casa e un libro per bambini che racconta la storia del Vajont sotto forma di favola; la proprietaria è una signora molto gentile, regala alle bimbe un po’ di formaggio per la merenda: se capitate da queste parti passate a trovarla, sarà sicuramente un’esperienza piacevole.

Risaliamo in auto ed andiamo verso Erto; oggi il paese è costituito da un nucleo antico, che si trova più in basso e un nucleo nuovo, più in alto; al momento della ricostruzione agli abitanti non era stato consentito ristrutturare le vecchie case, ma è stato costruito un nuovo paese ad una quota più elevata. Alcuni sono testardamente rimasti nelle abitazioni storiche, ma anche questo piccolo borgo, nel quale vivevano quasi 1000 persone, oggi è quasi deserto; anche qui molte le case in stato di abbandono e le porte chiuse da pesanti catenacci. Si vedono però alcuni segni di ripresa: qualcuno ristruttura le vecchie case di famiglia. Entriamo nella “Enoteca da Corona”(unico locale a Erto antica oltre ad una trattoria), per prendere un caffè e…sorpresa: il giovane proprietario me lo prepara con la moka! (Io adoro il caffè fatto con la moka: fosse per me tutti i bar lo dovrebbero proporre). In questo locale è stato ambientato uno dei libri di Mauro Corona, che parla proprio della tragedia del Vajont. Il posto è veramente invitante: peccato non potersi fermare di più, ma abbiamo molta strada da fare prima di arrivare a casa. Percorriamo a ritroso la strada che ci riporta verso Longarone e notiamo alcune cose che prima ci erano sfuggite: un vecchio traliccio della luce in mezzo ad un prato piegato a metà, testimonianza della furia dell’onda; da un paio di punti è anche possibile vedere nel fondovalle quel che resta del lago artificiale. Noto anche le indicazioni che segnalano diversi sentieri da percorrere a piedi…insomma, mi sembra ci siano molti altri buoni motivi per visitare questa valle, oltre alla diga…e già sento il desiderio di tornarci, magari per fermarmi qualche giorno!

E così, sulla via del ritorno, iniziamo già a fantasticare sul nostro prossimo viaggio…



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