Stati Uniti d’America sulle orme dei pionieri e dei cowboy
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1° giorno: Venezia-Chicago
Partenza regolare dall’aeroporto di Venezia con scalo a Parigi e arrivo a CHICAGO con mezz’ora di ritardo; dogana e pratiche di entrata veloci quindi, con il bus della compagnia, arriviamo agli uffici dell’Avis dove mio figlio Giovanni ha già prenotato la macchina. Piove a dirotto e non fa molto caldo: ci consegnano una comodissima Chevrolet Cruze poi, seguendo le indicazioni di Google map (stampate da casa come tutte le altre per raggiungere i vari hotel) arriviamo alle ore 18,00 al Quality Inn O’Hare Airport una buona struttura con annesso ristorante dove finalmente possiamo riposarci dopo questa lunghissima giornata ma contenti perché tutto è andato nel modo migliore.
2° giorno: Chicago – Newton km. 510
Una buona notte di sonno ci ha rimesso in sesto e anche se fuori piove ancora, una sostanziosa colazione ci carica per affrontare al meglio questa prima giornata in ILLINOIS e la strada che dobbiamo percorrere.
Partiamo alle 9,30 immettendoci sulla US-45S e la percorriamo fino all’incrocio con la I-80 che seguiamo per ca. 300 km quando alle 13,00 arriviamo a Rock Island dove attraversiamo un lungo ponte sul fiume Mississippi che segna il confine con lo IOWA; incontriamo un’infinita distesa di campi coltivati a mais intervallati da qualche rara fattoria e da gruppi di enormi silos per la raccolta del grano (questo, unitamente ai pascoli con le mucche, sarà il panorama che caratterizzerà tutto il lungo viaggio), vediamo anche dei cerbiatti e un procione. La temperatura è salita fino ai 30° e splende un bel sole che ci accompagna fino a NEWTON dove arriviamo alle 15,45. L’hotel prenotato è posto su una piccola collina e all’esterno si presenta bene; purtroppo all’interno si notano i segni di un antico splendore con arredamento vecchio e usurato. Dopo un breve riposo usciamo per andare a cena al “Pizza Ranch” dove al buffet ci si può servire di vari tipi di pizza anche dolci.
3° giorno: Newton – Lincoln km. 460
Il cielo è nuvoloso e soffia un forte vento che ci accompagnerà per tutta la giornata. Ci mettiamo in macchina alle ore 9,30 con una temperatura di 16° e seguiamo sempre la I-80 fino a Des Moines, poi la I-35 sud ma dopo parecchi chilometri decidiamo di deviare su strade alternative anche per rompere la monotonia dell’autostrada; quando entriamo sulla US-34 E ritroviamo le classiche lunghe strade americane che vanno su e giù seguendo l’ondulazione del terreno, attraversano piccoli paesi, c’è pochissimo traffico e l’andare risulta piacevole e rilassante.
Tutto coltivato a mais, soia e poco frumento. Lasciata la US-34 E, dopo una lunga deviazione causa lavori, prendiamo la I-29 N fino a Council Bluffs poi nuovamente la I-80 W e alle ore 14,00 attraversiamo il confine con il NEBRASKA segnato da un ponte sul fiume Missouri (qui la velocità è di 75/miglia). Dopo una breve sosta in una “rest area” e altri chilometri, arriviamo a LINCOLN alle 15,30 e troviamo subito il “Super 8” già prenotato. Il motel è nuovo, molto curato, la camera ampia e confortevole a un prezzo decisamente basso (€ 54); io esco per una passeggiata di venti minuti attorno alla zona industriale completamente deserta data l’ora.
Alle 19,30 andiamo a cena presso il Big Red Lincoln, un locale enorme con decine di schermi TV giganti e ai tavoli schermi più piccoli per giocare al bingo, il menù è veramente invitante e vario.
4° giorno: Lincoln –Ogalalla km. 470
Dopo la colazione continentale partenza per una breve visita a Lincoln che è la capitale dello Stato e la seconda città dopo Omaha, si evidenzia su tutto il Nebraska State Capitol (non il solito campidoglio eretto ad immagine di quello di Washington) ma dalle forme più simili a quelle di un moderno grattacielo e sormontato da una pacchiana cupola d’oro. Persiste il vento forte anche se la temperatura si mantiene sui 19° quando alle 9,30 riprendiamo la I-80 W che seguiamo per ca.200 km e abbandoniamo a Odessa per prendere la US-30 W che collegava lo stato da est a ovest prima della costruzione della moderna autostrada. A lato passa la ferrovia dove transitano in continuazione lunghissimi treni merci che si fermano a caricare il grano dagli enormi silos che la affiancano: non per niente il Nebraska è considerato uno dei primissimi stati agricoli degli USA e lo si capisce dall’estensione infinita dei campi coltivati che si ripetono all’infinito.
Costeggiamo a lungo il fiume North Platte, il cui corso attraversa tutto lo stato prima di confluire nel Missouri e, presso la città omonima (il paese di Buffalo Bill dove c’è quel che rimane del suo ranch), rientriamo sulla I-80 W (un cartello segnala che siamo entrati nella Mountain zone per cui dobbiamo mettere gli orologi indietro di un’ora) che ci conduce fino a OGALALLA (un paesino di solo 5.000 abitanti che è stato fin dalla metà dell’ottocento il principale centro di raccolta delle mandrie di bestiame del vecchio west) dove arriviamo alle 14,50 e prendiamo alloggio al Quality Inn: eccellente! Solite ore di riposo, TV e altro poi alle 18,30 usciamo per la cena presso un locale gestito da due “befane” sull’ottantina (calzoncini corti, capelli gialli tinti), poca illuminazione, sui tavoli secchielli pieni di noccioline americane le cui bucce sono gettate tranquillamente per terra a formare un tappeto scricchiolante; in compenso la cena è molto buona.
5° giorno: Ogalalla-Casper km. 485
Dopo un’abbondante colazione all’americana riprendiamo la macchina e alle 9,45 con un pallido sole, molto vento e una temperatura sui 18/20° ci immettiamo sulla US-26 strada panoramica che costeggia sempre il Platte, attraversando colline verdi ondulate, boschetti, calanchi e piccoli paesi con pochi abitanti (Lewellen con 282 o Lisco con 140). A Bridgeport una deviazione sulla NE 92 ci fa scorgere il Chimney Rock National Historic Site una guglia di roccia alta circa 150 m che dava ai pionieri un’importante indicazione segnalando la fine delle praterie e l’inizio del cammino verso le Montagne Rocciose che già si scorgono in lontananza coperte di neve; nelle vicinanze di Gering possiamo invece ammirare lo Scott Bluff National Monument, un promontorio che emerge in mezzo alla pianura, alto quasi 250 metri e che serviva anch’esso come punto di riferimento per i pionieri e i Pony Express in viaggio sull’Oregon Trail verso la California. Alle ore 13,00 superiamo il confine con lo WYOMING: il paesaggio è caratterizzato da vasti altopiani, da strade che corrono dritte all’infinito, dal cielo con le nuvole bianche e grigie che danno una bella sensazione di pace e tranquillità.
Prima di immetterci sulla I-25 W lasciamo sulla destra il mitico Fort Laramie e facciamo una breve sosta presso un “Historic Site” dove una targa commemorativa racconta il viaggio dei Mormoni verso lo Utah dopo essere partiti dall’Illinois.
Alle ore 16,00 arriviamo a CASPER e troviamo subito il National 9 Inn (motel senza pretese con qualche carenza) vicino al fiume Platte dove facciamo in tempo a vedere la partita di calcio Italia- Inghilterra vinta con merito dalla nostra squadra che ha giocato bene.
Poi, solita uscita per la cena presso il “Poor Boy’s” un vastissimo locale stile western con appesi alle pareti parecchi trofei di animali di caccia e pesca e atmosfera particolare; io ordino cinque grossi gamberi avvolti nel bacon e grigliati con verdure in pinzimonio e salse varie (deliziosi), Giovanni un hamburger medio con tanta carne, verdure e patate. Quando usciamo spira ancora un forte vento, la temperatura è calata perciò accendiamo un po’ il riscaldamento poi ci sistemiamo per la notte.
6° giorno: Casper – Dubois km. 345
Alle ore 9,30 con una temperatura di 19° riprendiamo la Us-26 W che attraversa immense praterie con ranch, mandrie di mucche (quasi tutte nere e di razza angus) e i classici “corral” visti in tanti film western. Procediamo così per molti chilometri in un paesaggio sempre uguale che alla fine risulta monotono: vediamo parecchi giovani cervi dai “culi bianchi” sia isolati che in gruppo poi alla prateria subentra un deserto sabbioso con pochi arbusti e formazioni di arenaria scolpite dal vento. Nelle vicinanze di Riverton ritornano i campi coltivati, il verde dei boschetti lungo il fiume Wind e, sullo sfondo i monti coperti di neve e rocce striate da vari colori: splendido!
Arriviamo a DUBOIS alle ore 15,00 presso il Super 8 un nuovissimo motel veramente “super” gestito da un indiano molto gentile e disponibile e la nostra stanza si affaccia sui monti dietro i quali vedremo tramontare il sole.
Dopo un breve riposo ci rechiamo in centro di questo piccolo paese di circa 1.000 abitanti che si caratterizza nella via principale lunga 200 m dove si vedono le costruzioni tipiche in legno, i negozietti con merce varia, il saloon e i marciapiedi formati da migliaia di listelli di legno su ognuno dei quali è inciso il nome della persona che l’ha donato. Ci rechiamo a cena presso il “Rustic Pine Grill and Steakhouse”, locale caratteristico frequentato perlopiù da gente locale ma con un menù invitante: io prendo otto grosse alette di pollo caramellate con salsa piccante, Giovanni un sandwich con bistecca di manzo e cipolla rossa. Eccellente! Persiste il vento che ormai ci accompagna da quando siamo partiti e la temperatura scesa a 15° ci consiglia di accendere il condizionatore.
7° giorno Dubois – Cody km. 400
Oggi ci accoglie un sole splendido e poco vento, a colazione mi preparo i waffles e ci metto sopra lo sciroppo d’acero quindi aspetto Giovanni per la partenza che avviene alle 8,45 sempre seguendo la US-26 W con una temperatura di 11°. Attraversiamo un vasto altopiano coperto da fitti boschi dove le case di legno marrone con i tetti verdi sono ben mimetizzate tra gli alberi, costeggiamo sempre il fiume Wind seguendone il corso sinuoso, vediamo molti cartelli che indicano il parcheggio per le motoslitte e chiazze di neve ai bordi della strada; saliamo su fino ai 3.000 m poi scendiamo e iniziano a cadere le prime gocce di pioggia quando alle 9,50 arriviamo a Moran ed entriamo a Grand Teton National Park (biglietto valido sette giorni anche per la visita a Yellowstone). Il tempo non ci aiuta ma possiamo comunque ammirare il panorama soprattutto lungo le sponde del lago Jackson, i laghetti formati dal fiume Snake e le Rocky Mauntain coperte di neve sullo sfondo. Dopo una cinquantina di chilometri salendo da sud a nord, alle 10,50 arriviamo all’ingresso sud del parco di Yellowstone sotto una fitta pioggia e con sempre più alti cumuli di neve ai lati della strada; non c’è molto traffico, la velocità consentita è di 40/miglia ma la guida richiede la massima prudenza anche per le indicazioni che specificano la presenza di animali.
Alle 11,40 con una temperatura esterna di 5° ci fermiamo al Grant Village presso il Tourist Information dove chiedo una guida in italiano ma, con mia grande sorpresa, mi rispondono che oltre all’inglese ce l’hanno in francese e spagnolo (mi rendo conto che nel mondo non contiamo proprio nulla!). D’accordo con Giovanni, decidiamo di dirigerci a est verso l’Old Faithful il più noto geyser che erutta a intervalli regolari e, secondo quanto scritto su cartelli esposti nel centro, dovrebbe farlo alle 12,10; per raggiungerlo però bisogna percorrere 30 km e pensiamo di non fare in tempo ma noi ci proviamo lo stesso. Arriviamo alle ore 12,20, lasciamo la macchina in un parcheggio enorme poi, seguendo le indicazioni, giungiamo nei pressi del grande cratere da cui purtroppo stanno uscendo gli ultimi vapori dell’eruzione; pioviggina e fa freddo ma iniziamo comunque il percorso obbligato che, tramite passerelle di legno, fa un lungo giro che ci porta a vedere da vicino le sorgenti termali con i loro meravigliosi colori e molti altri geyser grandi e piccoli i cui sbuffi si perdono all’orizzonte. Il tempo passa tra viste incantevoli e la gente si va via via ammassando nei pressi del famoso geyser formando una corona multicolore in attesa della prossima eruzione. Giovanni ed io stavamo quasi per partire quando ho un ripensamento perciò, avvicinandosi le 13,40 (ora prevista) mi dico che non ci sarà una prossima volta e decido di restare a godermi lo spettacolo. Ritorno quindi sulla passerella, mi trovo un posto da cui posso vedere bene e aspetto assieme a migliaia di altre persone che puntano teleobiettivi, macchine fotografiche, cellulari; puntuale il geyser Old Faithful comincia la sua azione facendo prima dei timidi tentativi con piccoli getti d’acqua che ci illudono, poi fa sul serio e lancia uno zampillo che s’innalza nel cielo a una considerevole altezza. Fotografo tutto con grande gioia e ritorno felice per questa magnifica esperienza!
Finalmente è uscito un po’ di sole e la temperatura si è alzata fino ai 14°; proseguendo verso ovest seguiremmo il tracciato che presenta altri geyser ma riteniamo che non valga la pena di percorrere tanta strada perché alla sera dobbiamo arrivare a Cody dove abbiamo prenotato l’hotel e si trova dalla parte opposta; sono già le 14,15 così rifacciamo il percorso fino a West Thumb e iniziamo a costeggiare il lago Yellowstone che a tratti scompare tra gli alberi per poi ripresentarsi in tutta la sua ampiezza. In successione vediamo: un grosso cervo, tre bisonti e proprio sul ciglio della strada un gruppo di cinque pecore delle Montagne Rocciose (bighorn sheep) dalle caratteristiche corna ricurve in avanti che sono accentuate solamente nei maschi (macchine ferme per le foto). Il lago termina dopo una cinquantina di chilometri e la strada comincia a salire con andamento tortuoso arrivando ben presto ai 2.600 m di Sylvan Pass con i cumuli di neve che ricordano che questa strada rimane chiusa al traffico da metà novembre a metà maggio. Alle ore 16,00 arriviamo alla “east entrance” e proprio sul prato lì vicino c’è un enorme bisonte che pascola tranquillo: fermata e foto di rito; da qui a Cody si snoda una strada panoramica (la Buffalo Bill Cody Scenic Byway) che per 85 km corre attraverso montagne brulle di terra marrone, qualche canyon e da un lato il fiume Shoshone che con le sue limpide acque crea un bel contrasto. Il manto stradale è perfetto come se fosse stato appena rifatto, il traffico quasi inesistente così possiamo godere pienamente di questi paesaggi meravigliosi: anche il sole e la temperatura di 21° ci confortano dopo la pioggia e il freddo patiti nel parco.
Alle 17,45 arriviamo a CODY, bella cittadina di circa 10.000 abitanti e patria di Buffalo Bill, dove abbiamo prenotato il “Sunrise Motor Inn”: i gestori sono giapponesi così come la maggior parte degli ospiti; motel dignitoso ma non certamente all’altezza del prezzo pagato (quasi 100 € il più caro in assoluto!). Dopo un breve riposo, ci rechiamo a cena presso il famoso hotel-ristorante “The Irma” fatto costruire da Buffalo Bill dove si è riservato una camera fino alla sua morte. Si entra in un salone enorme che conserva il bancone, gli specchi e arredi originali, le pareti sono tappezzate di foto dell’epoca e grandi trofei di caccia fanno bella mostra di sé. L’atmosfera particolare è animata dai molti turisti e ospiti dell’hotel che si fanno fotografare con un “sosia” di Buffalo Bill vestito come lui.
Giornata interessantissima con tante emozioni: il parco di Yellowstone avrebbe meritato una visita come minimo di due o tre giorni data la sua vastità e diversità di paesaggi ma noi abbiamo fatto una scelta diversa e siamo felici di quello che abbiamo potuto vedere.
8° giorno: Cody – Billings km. 420
Ho visto che c’è all’aperto l’Old Trail Town e Museo del Vecchio West che mi attira e decido di visitare. Il villaggio è costituito da 26 strutture di legno che ricordano lo stile di vita e la storia della Frontiera Occidentale attraverso una rara collezione di “baracche” e arredi autentici; dopo attente ricerche in Wyoming e Montana questi edifici storici sono stati accuratamente smontati, spostati e rimontati in questo spazio a Cody. La prima struttura è riservata all’ufficio (entrata 8$) e a un piccolo “general store” che vende un po’ di tutto, con mia grande sorpresa quando dico che sono italiana mi danno una guida nella nostra lingua che dovrò riconsegnare all’uscita: posso così seguire la descrizione delle varie strutture, sapere da chi erano occupate, a cosa erano adibite. La più antica è stata costruita nel 1879 da William Carter che fu il primo ad allevare il bestiame in questa regione, la più recente è del 1901 costruita in Wyoming da George Taggart un pioniere Mormone che l’aveva adibita a falegnameria (ci sono i banchi da lavoro e gli attrezzi originali). Riassumo velocemente le altre costruzioni: quella di Curley un indiano Crow scout di Custer, la scuola con i banchi, l’ufficio postale, il rifugio di Buch Cassidy e Sundance Kid famosi banditi svaligiatori di banche, l’ufficio dello sceriffo, del primo sindaco di Cody, un general store, un saloon con il bancone originale, le sputacchiere e la classica pianola, la stazione di posta centro importante per cacciatori, esploratori e indiani. Ho visto arredi, attrezzi, carri, carrozze (spettacolare la carrozza funebre che compare all’inizio del film “I magnifici sette” e in tanti altri film western), trofei di animali imbalsamati, (mi ha impressionato un enorme cervo) manufatti indiani originali e i loro bellissimi costumi e ornamenti e molto altro. All’esterno si trovano le tombe di sei personaggi che hanno fatto la storia del west. Nel complesso una visita interessante che mi ha fatto riprovare le emozioni che sempre mi coinvolgevano seguendo i film di “indiani e cowboy”. Alle ore 10,00 con un bel sole e una temperatura di 21° riprendiamo la macchina e ci immettiamo sulla US-14 Alt una bella strada a 2+2 corsie dove la velocità è di 65/miglia, attraversiamo un’estesa pianura e a metà strada tra Cody e Powell vediamo una torretta che segnala il posto dove, durante la seconda guerra mondiale, erano stati confinati 14.000 giapponesi americani ma ritenuti nemici dopo Pearl Harbour. Dopo Powell la strada diventa a 1+1 corsia ma sempre ben tenuta e panoramica; ci fermiamo a Lowell per fare benzina, comprare le batterie per la macchina fotografica poi proseguiamo in mezzo al nulla per 90 km attraversando colline mammellate; saliamo con tornanti fino ai 3.000 metri di Bald Mountains da cui si gode una vista spettacolare a 360° sulla sconfinata pianura sottostante e sui monti coperti di neve. Anche ai lati della strada c’è ancora tanta neve mentre dopo Burgess attraversiamo fitti boschi di pini; alle 13,45 prendiamo la I-90 e attraversiamo il confine con il MONTANA con il paesaggio caratterizzato da un vasto altipiano ondulato con tante mucche al pascolo.
Alle 14,50 arriviamo al Little Big Horn storico sito dove è stato massacrato dagli indiani il generale Custer con tutti i suoi soldati nel 1876 (unico scampato il trombettiere di origini italiane che era stato mandato a chiedere soccorso): parcheggiata la macchina, ci avviamo a piedi verso una collina dove una stele a piramide tronca riporta i nomi di tutti i caduti (263 soldati) e seguiamo un percorso da cui si può vedere la pianura dove si sono svolte alcune fasi della battaglia cui hanno partecipato anche quattro italiani, vediamo il luogo in cui sono stati ritrovati gli scheletri di tanti cavalli, il memoriale che riporta le immagini dei vari capi indiani e delle tribù che hanno preso parte alla battaglia e un giardino botanico che raccoglie le varie specie di fiori esistenti in questi luoghi. All’aperto c’è un folto gruppo di visitatori che seguono attentamente le spiegazioni che una guida, dal tono di voce molto coinvolgente, offre di tutta la vicenda; il visitor center e il museo annesso sono, come il solito, molto ben tenuti e organizzati. Sempre all’esterno un ampio terreno ospita centinaia di tombe con lapidi bianche tutte uguali ma, sinceramente non ho capito se sotto ci sono i soldati caduti o anche residenti di questa zona. C’è anche la possibilità di percorrere in auto sette-otto chilometri per spostarsi nel luogo dove hanno avuto origine i combattimenti celebrato con un monumento e durante il tragitto vedere le lapidi sparse nella prateria che ricordano dove sono stati trovati i corpi: fa però molto caldo così decidiamo di continuare la nostra strada riprendendo la I-90 verso BILLINGS dove arriviamo alle ore 17,00. Ci accompagna ancora un forte vento e una leggera pioggia quando entriamo al “Dude Rancher Lodge” un motel “super” con le pareti e i mobili di legno massiccio, la hall ospita uno spazio con articoli regalo fabbricati dai nativi, in bagno la jacuzzi, i bicchieri di vetro, tazze in ceramica per il caffè in camera, set per il cucito e crema per il corpo: si capisce che la gestione è accurata e attenta al cliente (il migliore in assoluto anche per il prezzo di 64 €).
Dopo un breve giro a piedi per strade deserte, ritorniamo al ristorante collegato con il motel (siamo solo quattro clienti) per consumare la cena a base di pesce: Giovanni ordina fish and chips io un filetto di trota del Montana con verdure cotte al vapore e risotto allo zafferano.
9° giorno: Billings – Miles City km. 370
Prima di riprendere il viaggio facciamo un lungo giro a piedi in questa zona commerciale di Billings dove si trovano uffici, banche, negozi poi vedo la Cattedrale di Saint Patrick (prima chiesa cattolica con il nome originario di St. Joachim); entro per una preghiera e subito dopo la porta vedo alla mia destra una bara di legno bianco aperta a metà con dentro il cadavere di una signora anziana con le mani intrecciate da una corona del rosario. In giro non c’è nessuno ma sento delle voci provenire dalla stanza vicina adibita ad accogliere i parenti: capisco che dovrebbe svolgersi a breve il funerale e ne ho conferma guardandomi attorno e notando un lungo tavolino dove fanno bella mostra di sé parecchie fotografie della defunta (dalla nascita, giovinezza, diploma, matrimonio, figli, marito) e un pieghevole sempre con alcune foto, un lungo riassunto della vita e delle opere e che riporta i momenti della cerimonia con in evidenza le preghiere, le musiche che saranno eseguite, i cantori che le accompagneranno e i celebranti che presiederanno la cerimonia; ne prendo uno per ricordo di Louise Vinner morta a 96 anni.
Alle 10,25 con un bel sole e una temperatura di 29° ci mettiamo in strada sulla MT-3N attraverso estesi pascoli con mandrie e ranch, traffico come sempre inesistente, fino a congiungerci con la Us-12E segnata come panoramica con percorso ondulato a “montagne russe”, un piccolo torrente che corre attraverso i prati, rocce basse e radi boschetti, sei cerbiatti al pascolo e via così fino alle ore 13,20 quando ci fermiamo per una sosta prima di Ingomar in un punto dove, leggo su una targa ricordo, in passato si raccoglieva tutta la lana della regione (un milione di libbre l’anno) per essere consegnata agli acquirenti.
Riprendiamo in un paesaggio che non muta solo, a lunghi tratti, il verde dei pascoli è sostituito dal giallo intenso di milioni di fiori che penso sia erica selvatica ma riposante per gli occhi dopo tanta uniformità; ancora boschetti, piccole colline e dopo quasi 300 km di queste strade infinite a Forsyth ci raccordiamo con la I-94E dove iniziano di nuovo le coltivazioni di mais e soia.
Finalmente alle 15,10 arriviamo a MILES CITY dove ci aspetta il “Guesthouse Inn & Suites” uno stupendo, nuovissimo motel con stanze ampie e luminose, ben curato e pulito dove è una gioia potersi finalmente riposare; esco per una breve camminata e alle 18,30 facciamo un giro in centro con la macchina per vedere dove poter andare a cena e la scelta cade sul “4B’s” un locale senza pretese ma con carne buonissima.
10° giorno Miles City–Deadwood km. 425
Anche stamattina colazione all’americana; dopo i preparativi partiamo alle ore 9,35 con una temperatura sui 16° e seguiamo la MT-59 S per circa 125 km poi la US-212 E per altri 100 km attraversando un vasto altopiano ondulato con la strada che ne segue l’andamento, erba verde, fiori gialli, rari ranch, mucche al pascolo e farm. Vediamo ancora dei cerbiatti e, per la prima volta, tante pecore; superiamo piccoli paesi quali Broadus e Alzada da dove, entrati nuovamente in Wyoming, proseguiamo sulla WY-112 S per altri 100 km in mezzo al “nulla” con traffico inesistente e paesaggio che non si discosta dal precedente per arrivare alle 13,10 al Devils Tower National Monument. Questa montagna (in Lakota “torre dell’orso”) sacra agli indiani, è alta 1.590 m e 390 m sul terreno circostante e sbuca quasi dal nulla; la cima è a panettone e le pareti sono solcate da lunghe striature verticali scalate dagli alpinisti. Narra una leggenda che sette bambine raccoglievano fiori alla sua base quando vennero degli orsi per divorarle ma un dio pietoso le portò in salvo in cima alla montagna; così gli orsi, cercando di raggiungerle, lasciarono i segni delle loro unghiate. Dall’entrata seguiamo la strada asfaltata che ci porta al visitor center da cui si gode un’ottima vista della torre; dopo una breve sosta, ritorniamo per la stessa via obbligata ma ci fermiamo per vedere una zona destinata a colonie di “cani della prateria” che qui hanno scavato le loro tane con cunicoli e gallerie profonde 4-5 m e lunghe anche centinaia. Si tratta di piccoli roditori della famiglia delle marmotte che devono il loro nome al verso caratteristico, molto simile al latrato di un cane, che emettono per avvertire i propri simili di un pericolo imminente; mi divertono molto quando emergono con tutto il busto, latrano, si guardano attorno poi spariscono a una velocità supersonica ma ne fotografo alcuni.
Alle ore 14,15 riprendiamo la macchina e, prima sulla WY-24 W poi sulla US-14 E infine sulla I-90 con l’ingresso in DAKOTA DEL SUD, arriviamo nel centro di DEADWOOD: si tratta di una cittadina che ha visto la sua nascita nel 1876 quando, con la corsa all’oro, arrivarono qua i cercatori, giocatori d’azzardo, pistoleri e fuorilegge ma che, all’esaurimento del filone, divenne un paese fantasma. Le poche case rimaste di stile vittoriano, caddero in rovina ma nel 1986 i suoi abitanti ottennero dal governo il permesso di aprire delle case da gioco e così il centro è ridiventato fiorente con la costruzione di numerosi hotel e altre attrattive che portano qui numerosi turisti. Noi abbiamo prenotato al “Deawood Gulch Gaming Resort” dove arriviamo alle 16,30 e, per arrivare al banco registrazione, dobbiamo attraversare un grande salone dove sono sistemate decine di slot machine con clienti che stanno giocando; per fortuna la nostra stanza è sistemata sul retro sulle rive di un placido ruscello, molto accogliente spaziosa e ben isolata.
Ci rilassiamo poi usciamo per una passeggiata di mezz’ora lungo il torrente e ritorno sulla strada dove si trovano negozi, hotel, parco giochi con bambini e coppie anziane.
Per la cena ci rechiamo nel ristorante collegato al motel dove ordino una zuppa, tre grossi pezzi di salmone panati e fritti e per finire una grossa fetta di dolce al cocco.
Al rientro ho fatto un giro del motel per vedere all’opera i giocatori e le giocatrici ancora numerosi e ho notato le cameriere che giravano continuamente per riempire i bicchieri o portare snack, noccioline, patatine sistemate anche su un tavolo a loro disposizione.
11° giorno: Daedwood-Hot Springs km. 540
Riposo regolare con sveglia alle ore 7,15 e abbondante colazione all’americana con la solita scelta di alimenti e bevande, c’è un sole splendido e fa caldo; ci dirigiamo con l’auto verso il centro facendo prima tappa al Mt.Moriah Cemetery famoso soprattutto per ospitare le tombe di Wild Bill Hickok (il pistolero ucciso mentre giocava a poker avendo assi e otto che da allora fu chiamata la “mano del morto”) e Calamity Jane, un’avventuriera e prima donna pistolera del west che, si dice, fosse la sua amante. Arrivati all’entrata un avviso informa che per arrivarci bisogna percorrere un tratto a piedi in forte salita perciò preferiamo proseguire. Attraversato il centro di Daewood con i suoi numerosissimi hotel-casinò, negozi e turisti, guardando la mappa indico a Giovanni di seguire la US-85 che si dirige a est per immetterci sulla I-90 E l’autostrada che, dopo circa 150 km attraverso prima una pianura sconfinata tutta coltivata, poi colline ondulate e pascoli, ci porta alla congiunzione con la SD-240 W e dopo alcuni chilometri all’entrata delle Badlands National Park. Dopo aver pagato il biglietto ci viene consegnato un dèpliant illustrativo in cui è anche indicato il tratto di 50 km asfaltati che si possono percorrere a semicerchio attraversando tutto il lato più interessante di questo parco.
Sono le ore 13,10 con una temperatura di 27° quando iniziamo la nostra visita che già da subito ci affascina e meraviglia: si tratta di un’area geologica costituita da calanchi, pinnacoli, guglie d’arenaria stratificata, con differenti colorazioni in un percorso labirintico di estrema bellezza; deve il suo nome agli indiani Sioux che la chiamarono “mako sica” (terreni del male) a causa del terreno accidentato e per la mancanza di acqua. Il paesaggio affascinante all’interno del parco erode a una velocità di circa 1 cm l’anno fornendo un panorama in continua evoluzione. Qui, dove moltissimi anni fa esisteva un antico mare, sono stati trovati fossili di vari animali estinti e pesci: attualmente vivono nel parco bisonti, cervi, pecore bighorn, cani della prateria, furetti dalle zampe nere unitamente a molteplici varietà di uccelli, rettili e farfalle.
Procediamo lentamente in questa bellezza dove si alternano formazioni che si elevano verso il cielo (il punto più alto del parco è a 1.100 metri) e altre che sembrano scaturire dal terreno per poi lasciare spazio alla prateria formata da erba mista di cui si nutrono gli animali; ci fermiamo alcune volte nei punti panoramici dove lo sguardo si perde all’infinito o per osservare particolari colorazioni delle rocce e scattare delle fotografie.
Dopo un’ora usciamo e prendiamo la I-90 W poi la US-16 per arrivare dopo 130 km sempre attraversando distese di fiori gialli, pascoli (visto un branco di bisonti) all’entrata del Monte Rushmore: ci dirigiamo subito verso uno dei grandi parcheggi (ai lati dei quali ci sono delle aeree riservate ai cani) poi saliamo a piedi delle comode scalinate che ci portano in uno spazio dove si trovano il centro informazioni, caffè, bagni, due negozi di souvenir; proseguiamo lungo un viale detto “delle bandiere” di tutte le nazioni che formano quasi un arco trionfale sopra le nostre teste. Alla fine troviamo un terrazzo da cui si possono ammirare e fotografare le famose facce dei grandi Presidenti americani: da sinistra a destra George Washington, Thomas Jefferson, Theodore Roosevelt e Abramo Lincoln scelti rispettivamente come simboli della nascita, della crescita, dello sviluppo e della conservazione degli Stati Uniti. I volti sono scolpiti su una grande parete di roccia, sono alti circa 18 metri, i lavori sono iniziati nel 1927 sotto la guida dallo scultore Gutzon Borgium coadiuvato dal mastro carpentiere italiano Luigi del Bianco e dall’impiego di circa 400 operai; inizialmente dovevano essere scolpiti i quattro busti per intero ma poi vennero a mancare i fondi.
Soddisfatti anche di questa visita riprendiamo la nostra macchina alle ore 16,30: mi sarebbe piaciuto attraversare il Custer State Park che è raccomandato per la sua fauna e i suoi paesaggi, purtroppo avendo perso tempo il mattino, vista l’ora preferiamo prendere una via più diretta la SD-79 S a doppia corsia che dopo 90 km ci fa arrivare a HOT SPRINGS e al Super 8 (ottimo) che raggiungiamo alle ore 17,50. Dopo il solito breve riposo andiamo a cena al “Wooly’s Western Grill & Club” dove io prendo dieci gamberoni a farfalla panati e fritti, crema di patate con verdure e pollo, Giovanni un doppio hamburger di bisonte con formaggio, bacon, anelli di cipolla fritti e per finire una fetta di torta ai mirtilli: veramente squisito! Nella hall del motel delle locandine informano che in paese si terranno le finali di Miss South Dakota e sono esposte tutte le fotografie delle partecipanti; sarei curiosa di assistere ma sono troppo stanca dopo una giornata così impegnativa.
12° giorno: Hot Springs-Valentine km. 395
Avevo notato la sera prima una grande statua di mammut posta vicino al nostro hotel per cui mi sono informata ed effettivamente a un centinaio di metri si trova il “Mammoth Site” così decidiamo di fare un salto per vedere di cosa si tratta: all’entrata c’è un grande negozio che vende vestiario e oggettistica in tema; pagato il biglietto si passa in una saletta tipo teatro con sedie e schermo per la visione di un filmato che illustra la storia del sito, fuori si aspetta il cicerone incaricato di accompagnare i visitatori durante il breve tour. Con mia grande sorpresa ci viene consegnata una guida in italiano perciò, dopo le prime brevi note introduttive, siamo liberi di proseguire da soli fermandoci dove ci sembra più interessante anche per scattare delle foto. Il sito è all’interno e consiste in una grande fossa dove sono stati trovati i resti di 53 mammut con scavi iniziati nel 1974 e portati avanti perlopiù da volontari, attorno corre una passerella dotata di microfoni che permette di vedere il sito da ogni prospettiva e fare domande: fa impressione vedere ossa, zanne e altri resti preistorici che segnalano la presenza di questi grossi animali e di altre specie anche marine. Prima di uscire ci fermiamo ad ammirare in un piccolo museo altri ritrovati più recenti di fossili, crani di orsi provenienti da diverse nazioni e manufatti vari dei primitivi; nel complesso un giro culturale che mi ha arricchito.
Sono ormai le ore 10,40 quando ci mettiamo in strada con un sole splendido e una temperatura di quasi 30° seguendo la US-385 S una bella strada a 2+2 corsie che attraversa una vasta pianura con pascoli, alle ore 11,30 attraversiamo il confine con il NEBRASKA poi a Chadron deviamo sulla US-20 E con una distesa di campi coltivati fino a Hay Springs dove c’è un grosso centro di raccolta rappresentato da enormi silos; fuori dalle case c’è la consueta vendita del sabato (l’abbiamo notato anche nei precedenti viaggi) di tutte le cianfrusaglie accantonate dalle famiglie per queste occasioni. Ci colleghiamo con la NE 27 N che dopo alcuni chilometri si raccorda con la US-18 E e rientra in South Dakota: in questo tratto in mezzo ai campi possiamo vedere da vicino le fattorie con le classiche “girandole” a vento poi entriamo nella riserva indiana di Rosebud dove i campi e le fattorie sono più trascurati e nel negozio dove ci fermiamo per acquistare dei sandwich la ragazza indiana non è molto cordiale (avranno le loro ragioni).
A Mission entriamo nella US-83 S una lunga strada dritta senza paesi che, dopo essere rientrata in Nebraska, ci porta fino a VALENTINE meta della nostra giornata; dobbiamo rimettere gli orologi avanti di un’ora così quando arriviamo al Raine Motel (molto buono con bagno e stanza enormi) sono già le ore 17,15 poi usciamo per la cena (caldo e cielo nuvoloso con una breve pioggia) presso il “Neon Bar & Grill”.
13° giorno: Valentine- Hays km. 550
Alle ore 9,20 con un cielo un po’ velato e una temperatura di 23° proseguiamo sulla US-83 S una lunga strada dritta di circa 180 km che attraversa colline ondulate seguendone su e giù il tracciato: non ci sono paesi, non ci sono auto solo pascoli e mucche e in lontananza farm e ranch. La velocità di 100/kora rende l’andare piacevole e rilassante; alle 10,30 facciamo una sosta e nelle vicinanze di Thedford il paesaggio si fa un po’ desertico con i classici fiori di yucca secchi ma a Stapleton ritornano i campi coltivati a mais e i silos di raccolta. Alle 11,50 a North Platte deviamo sulla I-80 E una bella autostrada che avevamo già percorso all’andata, in questo tratto il traffico è aumentato per la presenza di molti camion, le coltivazioni si estendono all’infinito e quando alle 13,20 dopo aver preso la US- 183 S ed essere entrati in KANSAS noto anche colture di frumento di un bel giallo oro e, vicino a Plainville, parecchie trivelle per l’estrazione del petrolio.
Alle ore 16,00 arriviamo finalmente a HAYS al Super 8 (un buon motel al prezzo di 56 €!) dove possiamo rilassarci; dopo usciamo per andare a cena al Whiskey Creek Grill. Oggi abbiamo attraversato tutto il Nebraska dal nord al sud mentre all’andata l’abbiamo percorso da est a ovest: dopo aver letto che è uno degli stati dove più frequentemente si sviluppano improvvisi e devastanti tornado, devo dire che ero un po’ preoccupata ma il tempo si è sempre mantenuto al bello con una temperatura di 35° nel pomeriggio.
14° giorno: Hays-Blue Springs km. 500
Durante la notte è caduta molta pioggia e anche stamane il cielo si mantiene nuvoloso ma con una temperatura di 25°; riprendiamo la nostra strada percorrendo la I-70 E attraversando la solita pianura coltivata, le farm, i silos ma anche lunghi tratti (circa 50 km) punteggiati da trivelle per l’estrazione del petrolio con annesse grandi cisterne per il deposito; altrettanti chilometri sono costellati da pale eoliche che svettano enormi verso il cielo girando più o meno lentamente secondo la loro disposizione.
Prima di arrivare a Topeka, lasciata l’autostrada che diventava a pagamento (uno dei pochi tratti in tutti gli Stati Uniti) abbiamo deviato sulla US-75 S poi sulla US-56 E che attraversa un vasto altopiano ondulato proseguiamo sulla I-435 E e, dopo aver percorso tutta la circonvallazione sud della città di Kansas City (ci sono due città con lo stesso nome: una in Kansas e una in Missouri collegate fra loro da ponti che attraversano il fiume Kansas che poi si getta nel Missouri) alle ore 16,05 entriamo nello stato del MISSOURI dove riprendiamo la I-70 e dopo altri trenta chilometri usciamo per trovare il nostro Quality Inn a BLUE SPRINGS. Vediamo subito che anche stavolta la scelta è stata ottima: porte con apertura automatica permettono un agevole passaggio con le valigie, stanza molto ampia con TV a schermo piatto, quattro cuscini per ogni letto, dotazione bagno di marca così come il preparato per il caffè e tè, piscina coperta e palestra e nella hall due postazioni computer e internet.
Breve riposo poi uscita per la cena e rientro.
15° giorno: Blue Springs- Fenton km. 410
In motel ho visto un depliant che reclamizzava un luogo chiamato “Missouri Town 1855”, incuriosita chiedo a Giovanni se ha voglia di andare poiché non c’è molta strada da fare; è d’accordo così alle ore 10,00 ci mettiamo in macchina e seguendo le indicazioni prendiamo la MO-7 S, una lunga strada dritta che dopo circa 13 km. ci porta all’entrata di questo complesso.
Paghiamo il biglietto d’ingresso a un veterano che ci consegna anche la mappa per la visita a piedi: si tratta di una vasta area all’aperto composta da più di venticinque edifici risalenti dal 1820 al 1860 e qui ricostruiti nelle strutture originali complete di arredi, attrezzature, abbigliamenti, colture erbacee e giardini comprese razze di animali rare. I vari stili architettonici degli edifici danno un’idea delle differenze culturali ed economiche degli abitanti di quegli anni del Western Missouri: si passa dalla ricca casa del “colonnello” a quella più umile dell’operaio, dal negozio con la mercanzia alla taverna, dalla chiesa all’ufficio dell’avvocato alla “livery stable” per la manutenzione dei cavalli e delle carrozze. Nel complesso una piacevole camminata nella storia americana che termina alle ore 11,20 sotto un sole che scotta perché la temperatura è arrivata ai 30°. Prima di lasciare definitivamente l’area facciamo sosta presso una zona riservata ai bisonti che qui vivono relativamente liberi: abbiamo la fortuna di vederne un grosso branco che si sta facendo il bagno in un laghetto (foto) e notiamo anche le bellissime ville che si nascondono tra il verde alla periferia di questa accogliente cittadina che è Blue Springs.
Riprendiamo la I-70 E che passa attraverso, boschetti, balche e campi coltivati poi lasciata l’autostrada percorriamo la US-47 S che attraversa paesetti con belle case e, per la prima volta, vedo una estesa coltivazione di mele che interrompe la monotonia del mais e della soia; la strada va su e giù per quasi 50 km. poi entriamo nella I-44 E prima a 3+3 corsie poi a 4+4 e mentre il traffico si fa più intenso arriviamo a FENTON alle ore 17,00 e ci dirigiamo subito al nostro hotel Fairfield Inn St.Louis che troviamo facilmente grazie alle indicazioni stampate da google map.
Anche questo un ottimo motel signorile, confortevole dove ci riposiamo fino alle ore 19,30 quando per la cena scegliamo la catena “Cracker Barrel” che avevamo già avuto modo di apprezzare durante i viaggi precedenti e che anche stavolta si è rivelata all’altezza: per me due filetti di pesce gatto alla griglia con riso condito, broccoli, un piccolo polpettone e purè; per Giovanni un hamburger grande quadrato panato e fritto con purè, fagiolini e broccoli e per finire una torta di mele e un gelato al caramello con panna e pezzetti di cioccolato. Alla genuinità e bontà del cibo si aggiunge un negozio che vende merce di ogni tipo dagli abiti, ai dolci, alle marmellate, ai saponi ecc. (tutto caratteristico e originale).
16° giorno: Fenton-Peoria km. 305
Oggi abbiamo in programma la visita alla città di St.Louis così alle ore 9,20 con un cielo sereno e una temperatura di 29° saliamo in macchina, percorriamo circa 20 km sulla I-44 E e alle 9,35 arriviamo al parcheggio che avevo individuato prima di partire posto nelle vicinanze del centro. A piedi attraversiamo un lungo viale alberato che arriva sotto il “Gateway Arch” (arco della porta) posto sulle rive del fiume Mississippi: è alto 192 metri e altrettanto misura la larghezza della base, è formato da sezioni trasversali e le colonne sono formate da triangoli equilateri che si restringono salendo in altezza partendo dai 16 m della base ai 5,20 m della sommità. Si può salire fino in cima con un trenino interno a cremagliera (io soffro di vertigini e non ci sono andata) da cui si può godere di una vista meravigliosa fino a trenta chilometri di distanza ma anche da sotto si resta impressionati dalla sua maestosità e senso d’infinito.
Proseguendo ci fermiamo alla Old Cathedral eretta in onore di Saint Louis re di Francia ma quando entro resto molto delusa perché gli operai la stanno ristrutturando ed è tutta un cantiere polveroso; dall’altra parte della strada, anch’essa sottosopra con parecchie deviazioni causa lavori, ammiriamo la Old Courthouse un grande edificio bianco con una cupola che rievoca quella di San Pietro a Roma poi andiamo a zonzo per il centro che però ci delude un po’. Entro nella Biblioteca Pubblica, un enorme edificio a quattro piani che comprende un intero isolato, attraverso sale moderne e antiche con preziosi mosaici, ascensori e scale mobili, rischio anche di perdermi ma chiedo informazioni nel mio inglese stentato e alla fine trovo un’uscita su un’altra strada. Continuiamo a girovagare sotto un sole cocente in cerca della “Cattedrale” famosa per i suoi mosaici, arriviamo alla Christ Church Cathedral che visito ma mi rendo conto che non si tratta di quella di cui avevo letto (si trova molto lontana da dove siamo ora) così ritorniamo sui nostri passi verso il parcheggio.
Abbiamo bisogno di bere e rifocillarsi così ci sediamo all’ombra fuori dal “Morgan Street Brewery” dove ordino un hamburger alla polpa di granchio con formaggio fuso, otto crocchette di patate con salsa piccante, verdure varie. Alle ore 13,00 siamo pronti per uscire dal parcheggio ma il meccanismo che fa alzare la sbarra non funziona e dobbiamo aspettare un quarto d’ora perché sia riparato. Finalmente ripartiamo sulla I-55 N e alle 13,30 entriamo in ILLINOIS che presenta un paesaggio di estesi campi coltivati e farm, superiamo Springfield e altri paesi piccoli e grandi e a Lincoln deviamo sulla I-155 N che percorriamo fino all’incrocio con la I-74 W e all’uscita 89 ci dirigiamo a PEORIA presso il Super 8 che avevamo scelto in base al prezzo (41€ con lo sconto) reclamizzato sulle apposite riviste in distribuzione gratuita presso le aree di sosta: un buon motel con stanze grandi, pulito e ben tenuto. Cena e rientro.
Interessante la visita a St.Louis.
17° giorno: Peoria-Bourbonnaise km. 515
Con tutta calma alle ore 10,00 con una temperatura di 26° riprendiamo il nostro viaggio seguendo la IL-29 N, una lunga strada panoramica che costeggia per tanti chilometri il fiume Illinois superando belle cittadine con campi sportivi, casette con prati curati. Quindi attraversiamo dei boschetti, la pianura coltivata con farm e silos enormi fino all’incrocio prima con la US-6 che porta a Perù e La Salle. Poi con la US-51 S che corre dritta per quasi 100 km per arrivare a Bloomington e dopo altri 60 km a Decatur dove ci immettiamo sull’autostrada I-72 E. Abbiamo attraversato una sconfinata estensione coltivata solo a mais e soia, ci siamo fermati dalle ore 14,00 alle 14,35 presso una delle numerose rest area che si trovano lungo l’autostrada e che ogni volta mi lascia meravigliata per le strutture, servizi e pulizia.
Riprendiamo l’auto, deviamo sulla I-57 N e alle ore 16,00 arriviamo nel piccolo paese di Chebanse (2.000 abitanti) per andare a trovare un amico di Giovanni che qui ha aperto un piccolo ristorante.
Così eccoci qua presso l’Uptown Grill (un piccolo locale caratteristico dei paesini con lungo bancone e sgabelli al bar e una decina di tavoli al ristorante) dove Alessandro e Giovanni si rivedono dopo tanti anni. Alessandro ci spiega che è stato un po’ difficile all’inizio anche per la mentalità dei clienti un po’ restii ai cambiamenti ma lui con pazienza sta cercando di inserire nel menù anche qualche piatto italiano; siamo rimasti quasi un’ora a parlare di tutto un po’ a me ha fatto un’ottima impressione come persona e mi fa piacere costatare che i giovani, se vogliono, possono trovare da far bene in ogni parte del mondo.
Alle ore 17,25 arriviamo a BOURBONNAISE dove avevamo prenotato un Super 8 molto ordinario ma tranquillo; per la cena scegliamo il “Red Lobster”: Giovanni ordina una pizza alla polpa di granchio con pomodori a pezzetti e origano, io prendo dieci gamberoni a farfalla panati prima nel cocco dolce poi in un preparato piccante (eccellente il gusto in contrasto) il tutto servito con otto panini caldi spalmati di burro fuso e crema di aragosta. Una cena buonissima che ci ha ritemprato dopo la lunga giornata.
18° giorno: Bourbonnais-Chicago Km. 110
Ultimo del nostro affascinante viaggio che si concluderà con il volo in partenza dall’aeroporto di Chicago alle 17,25. Decidiamo di seguire la IL-50 N che attraversa tutta la zona sud della città con tanti incroci semaforici superando la periferia caratterizzata dagli insediamenti prima dei messicani (lo si nota dall’inconfondibile stile delle case, dai negozi con vivaci colori che espongono merci varie) poi dei neri (case degradate con inferriate alle porte e finestre dei negozi, gente che bighellona malvestita e drogata, incuria e sporcizia ovunque) con parecchie soste per il traffico intenso; così per percorrere circa 110 km. impieghiamo due ore e mezza che mettono alla prova la pazienza di Giovanni e mia. Alla fine deviamo sulla I-90 W per arrivare poco dopo alla sede dell’Avis dove consegniamo l’auto e, con il minibus gratuito che fa la spola ogni cinque minuti, ci trasferiamo al terminal 5; imbarchiamo le valigie, superiamo senza difficoltà i controlli doganali e finalmente ci concediamo un po’ di relax a un tavolo di ristorante consumando due buonissime pizze.