Sicilia sud-orientale in cinque tappe… a pedali

Tour del Barocco in bicicletta da Palazzolo Acreide a Siracusa, passando per Marzamemi, Noto, Modica…
Scritto da: cappellaccio
sicilia sud-orientale in cinque tappe... a pedali
Partenza il: 23/08/2015
Ritorno il: 29/08/2015
Viaggiatori: 1
Spesa: 1000 €
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Sicilia sud orientale in cinque tappe… a pedali

Emilia fa rima con Sicilia e dopo aver stabilito questo gemellaggio mentale fra le due regioni, al volgere dell’estate, parto da Ferrara con la bussola puntata su Siracusa, per imbarcarmi nel tour del Barocco: un magnete per chi come me ha il pallino dei viaggi in bicicletta in riva al mare.

L’itinerario s’inoltra inizialmente nell’entroterra ibleo da Palazzolo Acreide passando per Modica e Scicli, poi giunge al mare d’Africa e percorre la fascia costiera da Donnalucata alla Riserva di Vendicari inanellando una serie di località tra cui Sampieri, Marina di Modica, Portopalo di Capopassero e Marzamemi, per arrivare in seguito a Noto e proseguire lungo il litorale ionico da Lido di Avola alla città di Archimede, toccando la spiaggia della Marchesa, Fontane Bianche, Capo Ognina e la lingua rocciosa di Punta Arenella.

La bicicletta offre il passo giusto: è il trionfo della lentezza, eppure consente spostamenti rilevanti in termini di distanze (circa 50 km al giorno) ed è un mezzo abbastanza integrato con l’ambiente da permettere di percepire gli odori della natura, osservare dettagli altrimenti invisibili e intuire l’identità dei luoghi più di quanto non si possa fare con un giro automobilistico.

Prima tappa: Palazzolo-Modica

Pedalando per le strade di Palazzolo Acreide, risorta dalle macerie del devastante sisma del 1693, mi rendo conto che ha una densità di chiese da far spavento: S. Paolo si staglia al termine di via Messina con la sua imponente facciata a torre e le sue logge balaustrate; non lontano sorge la chiesa Madre che prospetta su piazza Umberto I; l’Annunziata calamita specialmente l’attenzione per le sue due coppie di colonne tortili disposte simmetricamente ai lati di un grande portale, ma non è da meno S. Sebastiano, che colpisce per l’effetto scenografico del suo formidabile fronte in stile tardobarocco che balza in alto da una scalinata monumentale.

Da Piazza del Popolo, vero e proprio cardine della cittadina, imbocco via Carlo Alberto, continuo dritta in via S. Michele, arranco per via Acre e così compio un salto all’indietro di secoli approdando all’area archeologica di Àkrai, che conserva i resti di quella che fu la prima colonia siracusana, fondata nel 664 a.C. Animata da una febbre esplorativa irrefrenabile mi avventuro fino all’acropoli, posizionata a 770 m. sul livello del mare, dove riconosco i cunei posti a raggiera di un piccolo teatro risalente al III sec. a.C. In seguito ispeziono le latomie dell’Intagliata e dell’Intagliatella, due cave di pietra di epoca greca, riutilizzate dai cristiani come sepolcreti e abitazioni, dove adesso scorazzano dei conigli selvatici. Noto che gli scavi hanno riportato alla luce anche dei quartieri residenziali e alcuni segmenti di un’antica strada pavimentata con lastre laviche. Prima di uscire mi informo in biglietteria su come vedere i Santoni, menzionati nei pannelli esplicativi del museo. Un custode mi dice che per combinazione è proprio l’ora della visita accompagnata, ma stamattina, a parte me, non c’è nessun turista attratto dal sito di Akrai e men che meno dal complesso delle raffigurazioni della Grande Madre seduta in trono che costituiscono una sorta di via Crucis in contrada del Santicello. Comunque non è un problema: lui mi precede con l’auto e il lo tallono pedalando di buona lena per pochi minuti fino alla valletta dove si trovano le dodici sculture rupestri destinate al culto di Cibele. Il mio cicerone mi parla della dea della terra e della fertilità e mi illustra gli aspetti orgiastici e sanguinosi dei riti in suo onore: pare che i sacerdoti a lei consacrati, travolti dall’estasi mistica, si autoevirassero.

A questo punto, saziata la curiosità intellettuale e forse anche una più morbosa, sento il richiamo imperioso della Strada, nello specifico la SP24 per Noto, che mi conduce a Rigolizia. Al bivio a destra con la SP81 mi immetto su di essa e sfrutto la lieve discesa per filare giù senza fatica fino ad alcune balze rocciose crivellate di antri che sono le tombe della necropoli di Castelluccio, della prima età del bronzo. Mi introduco in qualche cavità sepolcrale solo per sottrarmi alla luminosità di un cielo incandescente.

Dopo la pausa refrigerante riprendo la rotabile, ornata da muretti a secco, che si avvita in tornanti che corrono a valle in un paesaggio punteggiato dai carrubi e dagli ulivi, caratterizzato dalla presenza degli spettacolari fiori dell’agave. I raggi del sole mettono in evidenza le rupi di calcare bianco tipiche del tavolato ibleo, mentre in basso mi appaiono le linee ondulate di un oceano di piccoli colli che digradano lentamente fino a scomparire all’orizzonte. Nessuno mi aveva svelato gli incantesimi di questo posto: ne rimango folgorata.

E sono infine sulla SP79 per Gianforma, che immediatamente si trasforma in un martirio, dato che attorno alle due e mezza fa così caldo che la mia stessa ombra sembra stia per prosciugarsi e come se non bastasse un paio di salite sfiancanti mi fanno battere il cuore a mille e respirare come una partoriente.

Meno male che Modica non è più tanto lontana. La abbordo dal quartiere alto e perciò passo ai piedi della chiesa di S. Giovanni, nei pressi della quale si trova il Belvedere Pizzo, strepitoso poggiolo panoramico. Da qui scendo in centro come una fucilata per corso Regina Margherita, che si metamorfizza in corso Santa Teresa e poi in corso Crispi. Ed ecco che inchiodo per lo stupore davanti ai vezzi rococò del Duomo di S. Giorgio, preceduto da una plateale scalinata sinuosa che ne accentua la verticalità. Ancora più in basso, tuttavia, mi attendono nuove e inattese meraviglie: una galassia di palazzi, alcuni dei quali con volti di pietra sbeffeggianti che sorreggono mensole o balconi, fra cui spiccano il Tommasi e il Cannizzaro, e un esercito di chiese, in mezzo a cui il tempio di S. Pietro svolge un ruolo centrale, svettando al sommo di una gradinata movimentata dalle statue dei dodici apostoli, chiamate familiarmente “santoni”.

Una volta sistemata in albergo mi butto nella mischia di villeggianti che affolla la città e cambio veicolo: mi accomodo sul sedile di una delle tre carrozze di un trenino che staziona in Corso Umberto I, nelle vicinanze dell’ufficio turistico. Mentre il convoglio verde si sposta in direzione di Modica alta, infilandosi in un intrico di vicoli incassati fra costruzioni non sempre all’altezza della qualità architettonica che dovrebbe avere una città dichiarata patrimonio dell’Umanità, ascolto le spiegazioni dell’audioguida e allora vengo a sapere che Salvatore Quasimodo, uno dei poeti più rappresentativi dell’ermetismo è nato qui, che Modica è famosa per il suo cioccolato speziato, le sue focacce e il pasticcio della vigilia di Natale e che la festa più conosciuta è quella della Madonna Vasa-Vasa, che si tiene la domenica di Pasqua e si conclude quando, durante una processione la statua della Vergine, manovrata tramite un meccanismo “bacia” ripetutamente quella del Figlio risorto, scatenando il giubilo dei fedeli.

Seconda tappa: Modica-Pozzallo

Partendo da via Vittorio Veneto a Modica sottopasso l’ardimentoso viadotto Guerrieri, sospeso a 126 metri d’altezza, che scavalca la profonda forra squarciata dalla potenza erosiva della fiumara di Modica. Percorro la SP54, parallela al torrente che scorre tra ripide scarpate. In questa “cava”, nelle aree in cui sono possibili le coltivazioni, predominano gli orti disposti su terrazze. Dopo una decina di chilometri, quasi tutti in lieve pendenza in discesa sono a Scicli, in piazza Busacca, dedicata al ricco commerciante cinquecentesco Pietro di Lorenzo, altrimenti detto “Busacca”, di cui si vede il palazzo sul lato meridionale e la statua al centro. Un altro edificio importante che si affaccia su questo spazio rettangolare è il convento del Carmine. Svoltando a sinistra in via Dolomiti si arriva prima alla chiesa della Consolazione e poi a quella di S. Maria La Nova, mentre dalla cima di un poggio occhieggia quella di S. Matteo, recentemente restaurata. Ma i monumenti di maggior rilievo si dispiegano lungo la via Penna, chiusa a mo’ di quinta teatrale dalla chiesa di Santa Teresa e impreziosita da altre due chiese di impronta barocca, S. Giovanni e San Michele, e da residenze signorili quali Palazzo Spadaro e Palazzo Sgarlata, nominati patrimonio Unesco assieme a Palazzo Beneventano. Proseguendo per via Nazionale si raggiunge la novecentesca piazza Italia e da qui ci si spinge ancora oltre fino alla chiesa di S. Bartolomeo, che spicca per la sua posizione all’interno di un canyon e per la sua maestosità.

Esco da Scicli passando per via Ospedale e mi dirigo verso Plaja Grande. Bastano pochi chilometri di SP95 per incontrare la deviazione a sinistra per il santuario della Madonna dei Milici, però non mi accorgo di esserci finché non ci sbatto il grugno contro e posso assicurare che non sprigiona la benché minima suggestione, malgrado la storia alle origini della sua fondazione sia quantomeno curiosa. Si favoleggia infatti che la Vergine, in veste di gloriosa guerriera sia comparsa qui nel 1091 sul dorso di un cavallo bianco per incitare i Normanni durante una battaglia contro i Saraceni e che grazie a lei i Cristiani abbiano avuto la meglio. L’eremo fu innalzato quindi come ex-voto, ma poi trovandosi fuori mano, agli inizi del XIX sec. accolse pure dei malati di colera.

Tornata alla SP95 rotolo in discesa fino all’intersezione con la litoranea, dove ho subito l’impressione che qualcuno abbia aperto al massimo il rubinetto che regola il flusso delle automobili. Il fatto è che ha iniziato a cadere una sottile pioggerellina che ha indotto il popolo dei vacanzieri a sciamare dagli arenili all’asfalto, intasando la carreggiata. Lambisco la costa che è piuttosto selvaggia, con parecchi fichidindia e, a poca distanza dalla battigia, tante graziose pianticelle fiorite di finocchio marino. A partire da questo punto i cartelli marroni della ciclovia SIBIT segnano il mio cammino sino alla città di Elio Vittorini.

Il primo paese in cui mi imbatto è Donnalucata, una recente stazione balneare che per effetto del boom edilizio ha finito per soppiantare il vecchio borgo di pescatori. Più avanti la SP64 oltrepassa la fiumara di Modica in prossimità della foce e taglia vari appezzamenti di terreno agricolo che un tempo erano gli acquitrini di Spinasanta. Procedendo verso Cava d’Aliga il paesaggio diventa sempre più intossicato dal cemento, ma dandoci dentro con pedalate lunghe e regolari presto ci si ritrova al parco extraurbano Costa di Carro un incantevole fazzoletto di litorale roccioso di incorrotta bellezza, che ospita la vegetazione tipica della gariga mediterranea fra cui l’odoroso timo, l’euforbia arborea e le palme nane, che si pavoneggiano con le loro foglie erette e robuste a forma di ventaglio sulla scogliera continuamente martellata dalle onde. Perlustro l’area in tutta la sua lunghezza e scopro che le piante hanno fagocitato i resti di una casermetta della guardia di finanza e di un faro. Servendomi di un sentiero polveroso arrivo a una mezzaluna sabbiosa che è il primo arenile di Sampieri. Da qui giungo alla borgata marinara vera e propria, situata a un’estremità di un piccolo golfo, all’altro capo del quale svetta la slanciata ciminiera del rudere della fornace bruciata di Pisciotto, che compare nella serie televisiva del Commissario Montalbano col nome di “Mànnara”. Mi guardo avidamente intorno perché la particolarità del luogo mi spiazza: la spiaggia, libera da stabilimenti balneari è accarezzata da un mare dalle sfumature turchesi e contornata da dune altissime colonizzate da densi cespugli di ammofila e inoltre non è un carnaio, nonostante sia agosto. Mi sdraio tra le dune e chiudo gli occhi. Quando li riapro vedo lo scintillio del mare in lontananza e di fianco a me uno zampettante coleottero di un nero lucente, che contemplo commossa.

Nei paraggi c’è una sterrata che conduce a Marina di Modica, dove la costa come al solito è aggredita da abitazioni moderne, alberghi, stabilimenti balneari e altri impianti ricreativi. Subito oltre si incontra la località di Maganuco, un po’ trascurata e poi tagliando per la spiaggia si arriva inizialmente al porto e quindi al centro di Pozzallo, il cui asse principale è Corso Vittorio Veneto e il cui monumento simbolo è la torre Cabrera, in origine un palazzo signorile commissionato dal conte di Modica nel Quattrocento. La sua imponente massa cubica si erge su uno scoglio battuto dai flutti e ci ricorda che per oltre un secolo Pozzallo fu uno scalo marittimo estremamente attivo poiché godeva di un privilegio: il grano siciliano prodotto in eccedenza veniva esportato da questo caricatore senza l’imposizione di dazi, perciò la torre nel Cinquecento assolveva sia una funzione commerciale che difensiva.

Terza tappa: Pozzallo-Marzamemi

Oggi si viaggia sull’estrema punta meridionale della Sicilia -lungo le coste che furono mute spettatrici dell’invasione angloamericana del 1943- attraversando gli habitat umidi dei pantani Longarini, Cuba e Gariffi. La full immersion nella natura però comincia già dai lidi di Ispica, che sono ben quindici e vanno da S. Maria del Focallo, un estesissimo arenile affiancato da dune, cespugli e arbusti, a Porto Ulisse, un’insenatura sabbiosa ubicata nella zona in cui le acque del Pantano Longarini defluiscono a mare, laddove si suppone che il mitico eroe omerico sia sbarcato. A Punta Ciriga si rimane stregati da calette arcuate che sembrano tracciate col compasso, punteggiate da scogli e faraglioni, circondate da falesie a balcone sul mare forate da grotte e anfratti. È impossibile non desiderare di immergersi in questo baratro di azzurro e di luce: l’occhio è sopraffatto dallo splendore. È difficile andarsene, soprattutto pensando alla lunga distesa di asfalto arroventato che resta da percorrere. Tuttavia alla fine bisogna rimettersi in moto, un colpo di pedale e via, si è di nuovo in pista. Comunque il passaggio in mezzo ai pantani non delude, giacché si tratta di un’ulteriore esperienza che lascia il segno nel cuore: questi specchi d’acqua si allungano su ambo i margini della strada e sono come fogli di carta stagnola adagiati sulla pianura che danno asilo a miriadi di uccelli che volano a pelo d’acqua e sulla distesa di limonio in fiore che a fine estate dipinge di viola i bordi di queste depressioni naturali.

Dai e dai, a forza di menare i pedali, ci si accosta all’Isola delle Correnti, che spunta come se fosse una ninfea appena sbocciata dal mare nel punto in cui lo Ionio e il Mediterraneo si sposano, congiungendosi su un letto di schiuma.

La fermata successiva è a Portopalo di Capopassero, dove si ammira un’altra isola un tempo collegata alla terraferma da una stretta lingua rocciosa, presidiata da un forte seicentesco costruito dagli spagnoli in funzione anticorsara.

Poi, d’un tratto, dopo una curva, si dischiude alla vista lo scalcinato e stravagante Castello Tafuri, una costruzione novecentesca in stile liberty di color rosso pompeiano, collocata accanto alle vestigia della tonnara di Portopalo.

L’ultimo “scalo” è a Marzamemi, un villaggio peschereccio lambito dall’acqua su tre lati, strutturato attorno al decadente complesso di fabbricati destinati alla lavorazione a terra dei tonni, attualmente in vendita, sulla cui piazza principale si elevano una chiesa e una fatiscente cappella dedicate entrambe a San Francesco di Paola, patrono del paese. Quando vi giungo il sole è al tramonto e proietta un lungo sentiero dorato attraverso il mare, dalla riva fino all’orizzonte. Mi arrampico sugli scogli smussati dalle onde e sbatto le palpebre nella luce morente del crepuscolo, mentre il cielo lentamente si tinge di rosso.

Quarta tappa: Marzamemi-Noto

Oggi inizialmente si percorre la SP56 Bimmisca-Agliastro, il cui ciglio è seppellito dalla vegetazione: di conseguenza bisogna pedalare sul centro, con grave rischio per la propria incolumità. Non meno assassina può rivelarsi la SP19 che si è costretti a utilizzare per esplorare la villa romana del Tellaro dove nel 1971 furono rinvenute delle stupende decorazioni musive pavimentali di tarda età imperiale: una è una scena di caccia non dissimile da quelle riportate alla luce alla villa del Casale di Piazza Armerina, mentre l’altra raffigura un episodio dell’Iliade, ovvero il patetico momento del riscatto a peso d’oro del cadavere di Ettore da parte del padre Priamo. Vale la pena di esporsi al pericolo di rimanere falciati sulla medesima provinciale Noto-Pachino per realizzare il sogno di visitare la riserva di Vendicari, un’oasi di una bellezza pazzesca che salvaguarda 8 km di litorale sottratti miracolosamente dalle mani degli speculatori che è come un tesoro inestimabile scampato a un naufragio. Difatti si tratta di uno dei pochi ambienti umidi costieri di una certa vastità del Bel Paese non compromesso dalla bonifica e non brutalizzato da un’urbanizzazione folle.

Se si parcheggia la bici all’ingresso di Eloro si osservano le modeste rovine del teatro greco della colonia siracusana risalente al III sec. a.C. In alternativa la due ruote la si può lasciare al cancello di Calamosche o a quello principale di Vendicari. Io sono riuscita a passeggiare da Vendicari a Eloro in virtù del fatto che esiste un sentiero pedonale che è la colonna vertebrale di questo sito Ramsar, che si raggiunge dalle diverse entrate, invece il tratto dal Pantano Roveto a Cittadella non l’ho potuto percorrere visto che da alcuni anni è vietato il transito in quest’area per non infastidire la nidificazione degli uccelli marini e per non disturbare l’eventuale deposizione di uova da parte della Caretta Caretta, una specie di tartaruga in estinzione. Camminare a Vendicari vuol dire respirare un’aria a tratti salmastra a tratti zuccherosa, andare in visibilio nel vedere il trionfo di colori del pantano grande con al centro i resti di un’abitazione, la casa del salinaro, o nello scorgere la Torre Sveva, ristrutturata alla fine del Cinquecento a tutela delle spedizioni dei carichi di grano in partenza dal porto.

Dal canto loro, i ruderi dello stabilimento industriale per la lavorazione del tonno rammentano la grande importanza che la mattanza ebbe qui nel Settecento e nel Novecento. Dal Centro visitatori ci si sposta in direzione nord fino all’ex caserma della Guardia di Finanza da dove si gode una vista mozzafiato sul Golfo di Noto, mentre scrutando l’orizzonte dal lato opposto si dominano i pantani grande e piccolo. Superato quest’ultimo pantano, dopo un po’ si giunge a Cozzo Balsamo, da dove si abbraccia con lo sguardo una bella fetta di costa. Il sentiero prosegue in lieve discesa verso il mare, sino a quando vira a sinistra nei pressi di alcuni scogli. La via continua poi in salita fino a Calamosche, racchiusa fra due promontori rocciosi che la proteggono dalle correnti e dalle mareggiate. Degli scalini parzialmente ricavati nella roccia permettono di scendere alla spiaggia, che come suggerisce il nome formicola di bagnanti che si accalcano sull’arenile al pari di un nugolo di mosconi. Per proseguire ancora è necessario attraversare il lido e risalire una scala in pietra, dopodiché inizia un tratto in cui il mare non si vede più e i piedi affondano in una sabbia morbida e fluida. Poco più avanti fa capolino la graziosa spiaggia di Marianelli, zona nudista non ufficiale ma tollerata, che si oltrepassa per arrivare alla foce del Tellaro, che va guadata. Una volta attraversato lo sbocco a mare del fiume si è sulla la spiaggia di Eloro. La riserva finisce quando si incappa in un canale sovrastato dalla collina con gli scavi archeologici di Eloro, perciò si deve ritornare sui propri passi, sempre sotto un sole che cucina le meningi se uno ha optato per il periodo estivo.

Adesso per raggiungere Noto ripercorro la SP11 fino alla diramazione con la SP56. Passo per la frazione di S. Paolo e dopo un passaggio a livello mi imbatto in una salita che mi fa intendere che ho le batterie scariche, infatti vengo subito assalita da una stanchezza invincibile, ma siccome so che mancano solo 7 km al capolinea riesco a non rovinare a terra come una pila di mattoni: tracanno varie sorsate d’acqua e sblocco la situazione di stallo.

A Noto per prima cosa mi siedo ai tavoli di una bancarella da cibo di strada immediatamente fuori Porta Reale e così mi rimetto in forze, poi già anestetizzata da una botta di sonno me ne vado a nanna in hotel.

Quinta tappa: Noto-Siracusa

La giornata conclusiva del tour comincia con una passeggiata a Noto che mi consente di cogliere la città da diverse angolazioni. Dapprima ne ammiro i tetti e la conformazione dall’alto, dal campanile della chiesa di S. Carlo e capisco le ragioni per le quali il barocco del Val di Noto è senza eguali: da un lato questo dipende dal fatto che le sue creazioni architettoniche esuberanti, colme di virtuosismi artistici, manifestano il desiderio di rigenerarsi e di tornare a rinascere dei paesi rasi al suolo dal terribile terremoto del 1693, dall’altro la sua originalità si deve all’apporto di maestranze specializzate come intagliatori e altri artigiani che erano in grado di plasmare rapidamente opere meravigliose con risorse minime. Ciò che importava era la volontà di stupire e divertire, inoltre si cercava di concentrarsi sui pregi, nascondendo i difetti. Insomma il “giardino di pietra” curatissimo che mi si dispone dinnanzi mostra un ordito costituito da edifici allineati in rassicuranti geometrie scandite in orizzontale e da una ristretta palette di colori sobri, determinati fondamentalmente dalle gradazioni di rosa e di giallo della pietra calcarea locale impiegata come materiale da costruzione.

Un altro accattivante scorcio lo catturo con la digitale dalla Piazza XVI Maggio, sulla quale insistono la Chiesa di S. Domenico, abbellita da volute e riccioli e, dirimpetto a questa, l’ottocentesco Teatro Comunale.

All’interno del Municipio di Noto visito la Sala degli Specchi, che venne inizialmente progettata come un piccolo teatro: qui infatti si tenevano i concerti di musica da camera riservati all’aristocrazia. Nel periodo fascista fu restaurata e adibita a sala di rappresentanza, mentre attualmente viene usata per le celebrazioni dei matrimoni civili e per tutti gli incontri di carattere istituzionale. Sul soffitto campeggia un affresco realizzato da un pittore locale settecentesco che rappresenta la storia della fondazione di Noto da parte di Re Ducezio, rappresentato in guisa di guerriero con indosso un’armatura viola, intento a indicare col suo bastone il sito dove edificare Neas, antico nome della città abbandonata dopo il cataclisma del 1693. La creazione di Noto, dunque, la si fa datare all’epoca dei Siculi. Le altre decorazioni, che sembrano in rilievo sono ottenute in realtà con la tecnica del chiaroscuro e sono in stile liberty, come le vetrate a piombo. Le specchiere producono l’illusione dell’esistenza di un corridoio infinito: la loro presenza è uno stratagemma per dare maggiore profondità all’ambiente.

Prima di inforcare la bicicletta penetro nel Duomo varcando un portone bronzeo: il mio interesse si sofferma sulla sontuosità degli interni e dei soffitti affrescati che rispecchiano la floridezza del clero e dei ceti dominanti di un tempo.

Per quanto riguarda il percorso ciclistico di oggi l’assenza di rilievi rende la mia pedalata agevole. Dapprincipio mi muovo in una campagna coltivata a mandorli e olivi lungo le SP35 e SP34, poi proseguo in Contrada Calabernardo fino a Marina di Avola. Poco prima di Chiusa di Carlo scorgo un’indicazione per il Dolmen di Avola e naturalmente vado a vederlo. Si trova vicino alla litoranea e per raggiungerlo si attraversa un torrentello irto di canneti. Questo monumento megalitico fu scoperto da uno storico locale nel 1961, ma non ha nulla di prodigioso, anche perché è poco valorizzato.

Nei pressi della foce del fiume Cassibile si incontra la spiaggia della Marchesa avvolta dalla pineta del Gelsomineto, un angolo naturale cullato dal respiro delle onde. Il paese successivo è Fontane Bianche che conserva ancora un barlume di fascino nonostante tutti gli sforzi profusi per deturparlo.

Via Mar di Giava, a destra alla fine del centro urbano, mi consente di giungere a uno spicchio selvaggio di costa nei dintorni di Ògnina, dove salgo su una torre di vedetta trasformata in belvedere e mi lascio ammaliare dal sortilegio sottile del luogo: l’acqua è verdeazzurra e tersissima e al largo si intravvede la piatta isola di Ognina. Un sentierino mi porta a una cala a forma di falce, mentre una sterrata mi permette di aggirare un porto-canale.

A Punta Arenella mi rinfresco su una spiaggetta sassosa dove le onde avanzano per poi ritirarsi, spostando la ghiaia avanti e indietro con un suono sospiroso.

Dopo un ulteriore tratto in cui affronto il traffico congesto della SS115 e rimango inebetita da un sole che picchia rovente sono infine a Siracusa, una delle metropoli del mondo antico, che vive di vestigia del passato da mostrare ai turisti. La mia prima sosta è infatti nel distretto archeologico della Neapolis, dove il teatro greco fa scattare raffiche di click dalla mia macchina fotografica perché è una struttura colossale intagliata nelle viscere della roccia, che in passato poteva ospitare fino a 15.000 spettatori distribuiti su 67 file. Osservandolo dall’alto della cavea si prova la sensazione di trovarsi in un luogo leggendario, che trasuda grandiosità e forza. In effetti gode di una posizione estremamente suggestiva dato che la scena è rivolta verso il mare. Altro basilare catalizzatore dell’area archeologica è l’orecchio di Dionisio, gigantesca cavità dalla resa acustica eccezionale attorniata da una micro giungla. La visita del parco sarebbe articolata e complessa, se non fosse per il fatto che è quasi tutto chiuso al pubblico: l’ara di Ierone II è difesa da una recinzione invalicabile, l’anfiteatro romano non è accessibile.

Per arrivare al mio B&B attraverso una parte piuttosto degradata del centro storico e una volta posteggiata la bici nel garage della locanda me ne vado a zonzo per Ortigia, nucleo primitivo di Siracusa, risultato di una simbiosi tra terra e acqua. L’isola è talmente ricca di gemme architettoniche, archeologiche e artistiche che una permanenza di poche ore lascia l’amaro in bocca: non si sa che Ortigia pigliare e si finisce per gustarne solo la buccia.

Quando sta per annottare mi sento addosso una gran fiacca; allora mi accontento di camminare sul lungomare Alfeo, dove contemplo la fonte Aretusa nel riflesso fioco dei lampioni e più avanti il Castello Maniace, una fortezza irrobustita da torri cilindriche adagiata su uno sperone roccioso proteso nel mare, che si staglia davanti a me nel cielo vespertino.

Mentre rientro in hotel le onde si frangono sulle rive con ritmo rapido e battito breve sotto al lungomare di Levante e una luna quasi piena inonda di luce argentea ogni cosa.

Noleggio biciclette e itinerari

Lo stratega di questo cicloviaggo a tappe nel barocco è Giuseppe Montalto, da anni al timone di Ciclofree, Contrada Vizzinisi sn – 96010 Solarino (SR) cell: 339 243 93 58 cell. emergenza 334 124 75 79 e-mail office@ciclofree.it; http://www.ciclofree.it/joomla/tour-in-sicilia/in-bicicletta-tra-le-bianche-rocce-dei-monti-iblei.html; le biciclette che noleggia hanno la sella in gel, un telaio in alluminio, parafanghi e robusti portapacchi, un cambio con 27 marce, lucchetto, una borsa laterale e una da manubrio con portamappe, una camera d’aria extra e una pompa. Fornisce cartine, roadbook, tracce GPS dei percorsi (quasi sempre con varianti lunghe e corte, per adattarsi a ogni esigenza) e ha posizionato delle freccine agli incroci. Giuseppe sposta anche i bagagli da un hotel all’altro. Il giro finisce con un pernottamento a Siracusa, pertanto le bici, che erano a disposizione nel primo albergo, vanno lasciate nell’ultimo alloggio. Io ho prenotato tramite Funactive tours: http://www.funactive.info/CustomerData/188/Files/Documents/Bici_Sicilia_Ibleo_2015.pdf

Come raggiungere l’inizio del tour

Se si giunge in aereo all’aereoporto di Catania si può prendere l’Interbus dall’aeroporto di Catania o dalla città di Catania a Siracusa www.interbus.it. Siracusa è raggiungibile anche con le FS, sito: www.trenitalia.it. Poi, se si arriva a un’ora decente ci si può servire del bus per Palazzolo Acreide dell’AST, orari su www.aziendasicilianatrasporti.it, durata circa 50 min., altrimenti Giuseppe Montalto organizzerà il transfer da Siracusa a Palazzolo (20 euro).

Dove pernottare

1) A Palazzolo Acreide (SR): Hotel Colle Acre, via G. Campailla; Tel 0931 040001 www.hotelcolleacre.it; in campagna, fuori dal paese.

2) A Modica (RG): Ferro Hotel, via stazione sn; tel. 0932941043 www.ferrohotel.it; un comodo 4 stelle appiccicato alla stazione FS, ma i treni passano così raramente che non ci si fa caso.

3) A Pozzallo (RG): Sikania Suite, Corso Vittorio Veneto, 58; Tel 0932 954309 www.sikaniasuite.it; un tre stelle in centro a Pozzallo.

4) A Marzamemi (SR) Agriturismo La Vignazza, in mezzo ai campi, in contrada San Lorenzo Lo Vecchio; Tel 333 317 74 57 www.lavignazza.it; usciti da Marzamemi si prende a destra per Noto e dopo un po’ si vedono le indicazioni dell’agriturismo a sinistra. Altri 800 metri e l’agriturismo e sul lato sinistro della strada. Piscina a disposizione degli ospiti.

5) A Noto (SR) Hotel Flora via Brindisi 3; Tel. 0931 573052 www.hotelfloranoto.com; un tre stelle nei pressi di Porta Reale.

6) A Siracusa: Piccolo Hotel Casa Mia, Corso Umberto I, 112; Tel. 0931 463349 www.bbcasamia.it, un b&b ubicato in un antico palazzo a 10 minuti a piedi dalla stazione FS, 15 minuti dal Parco Archeologico Neapolis e 10 minuti dal ponte che porta all’isola di Ortigia.

Per saperne di più

Sulla ciclovia SIBIT http://fiab-onlus.it/bici/turismo-in-bici/cicloturismo-news/item/742-sicilia-med-in-bike.html; http://www.medinbike.eu/

Su Palazzolo Acreide, breve documentario https://www.youtube.com/watch?feature=player_detailpage&v=pLNAdvL7xAo

Http://www.miti3000.it/mito/luoghi/palazzolo.htm;

Su Castelluccio: http://sudestsicilia.altervista.org/index.php?mod=01_Sezioni_del_Portale/07_Banca_dati_dei_luoghi_da_visitare/01_Noto/05_Elenco_dei_luoghi_da_visitare/02_Territorio_ibleo_netino_e_zone_archeologiche/30_Castelluccio

Http://mtbpozzallo.xoom.it/vari/noto/percorso3.htm

Su Modica https://www.youtube.com/watch?feature=player_detailpage&v=48cBsd8nQYA

Sul trenino barocco di Modica: prezzo biglietto 5 euro. Info tel. 3398255882 https://www.youtube.com/watch?feature=player_detailpage&v=TwvkJtw1efk

Su Scicli, Sampieri, Vendicari, Noto https://www.youtube.com/watch?feature=player_detailpage&v=f-Bu8sMKsuQ

Su Scicli https://www.youtube.com/watch?feature=player_detailpage&v=wOhP4jojD4w

Sul Santuario della Madonna delle Milizie (Scicli) https://youtu.be/X8-CdUY_fr8

Https://youtu.be/WlFrLTfmlPE

Su Scicli, Cava d’Aliga, Sampieri, Donnalucata https://www.youtube.com/watch?feature=player_detailpage&v=7oEv-6398FA

Su Cava d’Aliga: https://www.youtube.com/watch?feature=player_detailpage&v=LDnYbCAGaZo

Https://www.youtube.com/watch?feature=player_detailpage&v=klyiiZ6amXE

Sulla Villa del Tellaro: http://www.villaromanadeltellaro.com/

Sui pantani di Vendicari https://www.youtube.com/watch?feature=player_detailpage&v=aVAmISUG0PU

Https://www.youtube.com/watch?feature=player_detailpage&v=K5Ii2Q7KxQk

Sulla salvaguardia della Caretta caretta https://www.youtube.com/watch?feature=player_detailpage&v=to2DMwCINYM

Su Noto (brevissimo documentario) https://www.youtube.com/watch?feature=player_detailpage&v=zKAZKjovKrk

Documentario siti patrimonio umanità (Noto, Modica) fino ai minuti 3.30 https://www.youtube.com/watch?feature=player_detailpage&v=pclv-yiuo34

Sul Dolmen di Avola: http://hermes-sicily.blogspot.it/2009/07/verso-la-fruibilita-del-dolmen-di-avola.html

Su Siracusa documentario https://www.youtube.com/watch?feature=player_detailpage&v=ygHbf_OvDP0

Https://www.youtube.com/watch?feature=player_detailpage&v=2xBPAdjotyo

Https://www.youtube.com/watch?feature=player_detailpage&v=pzrAwdKsXII

Www.wikkionline.com/SR/I_it/conditions.aspx

Sulle spiagge del siracusano: http://www.guidasicilia.it/le-spiagge-del-siracusano/rubriche/2009

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