Scozia e Londra – all you can eat/all you can see

Da dove cominciare? Come sconfiggere il foglio bianco? Come si inizia il racconto di un viaggio? Semplice: dall’inizio del viaggio. E quindi? Credo che la percezione dell’inizio vari da persona a persona ma non coincida quasi mai con la risposta più scontata: quando si parte, soprattutto nel mio caso. Io la vedo come una reazione chimica in...
Scritto da: Paolo Zambianchi
scozia e londra - all you can eat/all you can see
Partenza il: 07/06/2003
Ritorno il: 14/06/2003
Viaggiatori: in coppia
Spesa: 1000 €
Da dove cominciare? Come sconfiggere il foglio bianco? Come si inizia il racconto di un viaggio? Semplice: dall’inizio del viaggio. E quindi? Credo che la percezione dell’inizio vari da persona a persona ma non coincida quasi mai con la risposta più scontata: quando si parte, soprattutto nel mio caso. Io la vedo come una reazione chimica in cui per lungo tempo la reazione sta avvenendo e poi arriva l’elemento catalizzatore che la fa scattare, o se volete in modo più prosaico, come un quadro che di colpo wramm, cade perché ha ceduto il chiodo (citazione cinematografica). Di ogni viaggio ricordo perfettamente qual è stato l’elemento catalizzatore, anche perché, da lì è iniziato per l’appunto il viaggio stesso. Da quel momento comincia l’ansia di partire, la sensazione di non riuscire a stare più nella propria pelle, di voler partire sopra ogni altra cosa. Per questo viaggio l’elemento catalizzatore sono stati i racconti degli altri TPC riguardo la Scozia ed in particolare quello di Milena D. – 18 gg tra cornamuse e doubledecker – e quello di Steve – Scozia, un viaggio non ancora terminato -. 29 Maggio 2003, sono in ufficio e mi manca la voglia di lavorare, allora mi dedico ai preparativi per l’imminente viaggio in Scozia, ma non ho voglia di arrabattarmi tra cartine, itinerari, prenotazioni. Poi noto che Steve, con il quale ho in corso già da qualche giorno un fitto scambio sul forum della Scozia, ha pubblicato sul sito il suo racconto. Copio il suo racconto su word (il sito di TPC è bellissimo, ma ha colori troppo sgargianti per non dare nell’occhio e farmi cogliere in flagrante) e, una volta selezionati dal mio archivio alcuni MP3 fra cui Simon & Garfunkel, Pink Floyd e Dire Straits, mi dedico alla lettura. Lavoro al piano terra in un ex concessionario d’auto adattato ad uffici ed ho quindi a disposizione una mega vetrina, di cui amo tenere le tende semiaperte. Fuori piove lentamente e il cielo è grigio. Leggo, leggo e wramm, il chiodo si stacca. Mi rendo conto che è scattata la reazione. Da adesso mancano circa 10 gg alla effettiva partenza ma io sono già in viaggio, ho l’ansia, non sto più nella pelle, devo partire.

Piccola premessa tanto per orientarci: Programma del viaggio: partenza il 07/06 da Bergamo con Ryanair – www.Ryanair.Com -, con il mitico biglietto da 0.99 Euro (ho trovato posto) per Stansted (totale: 67 euro A/R 2 persone comprese le tasse). Poi, dopo 4 ore, di noia all’aeroporto, volo per Glasgow Prestwick sempre con Ryanair, ma stavolta ad una cifra esorbitante per Ryanair (totale 250 euro). 5 giorni in Scozia e poi il 13/06 ci aspetterà il volo che ci riporterà a Stansted per passare 2 giorni a Londra.

Obiettivo del viaggio: 1°) portare solo un bagaglio a mano a testa per tagliare i tempi di imbarco/sbarco, nonché essere più tranquillo (con questa, sconosciuta per me, Ryanair, non si sa mai). 2°) facendo sempre tappa alla sera a Biggar (sud della Scozia, 40 miglia a sud equistante da Glasgow e Edimburgo) girare quanto più possibile della Scozia, vedendo le decine di posti segnalatemi, nei 5 gg a disposizione. 3°) A Londra, avendo a disposizione poco più di un giorno effettivo, tra trasferimento da e per l’aeroporto, check-in ,ecc… girare tutti i posti segnalatemi, praticamente tutta, compreso l’ingresso alla National Gallery (ci tengo a vedere i Girasoli di Van Gogh) e il Tate Modern (ci tengo a vedere le Ninfee di Monet).

Partecipanti del viaggio: io, Paolo, 26 anni, geometra, milanese di origini emiliano-liguri-partenopee, amante della musica, della danza, del cinema, della buona cucina, naturalmente dei viaggi e Fabiana (Faby), mia moglie, 23 anni, geometra, milanese di origini partenopeo-venete, amante della danza, della musica, dei film strappalacrime, naturalmente dei viaggi. Un bel miscuglio, suggellato dal matrimonio avvenuto circa un anno fa e che sarà festeggiato grazie a questo viaggio.

Fine della piccola premessa: spero vi siate orientati. n.B. Dove posso inserirò i, pochi, link che spero possano esservi utili.

Il primo obiettivo sembra davvero insormontabile. La preparazione della valigie inizia giorni prima della partenza al fine di comprimere il più possibile. Prima versione: bagaglio trolley che assume la forma di una cozza, dal peso di circa 9 Kg. Seconda versione: bagaglio trolley che conserva la sua forma ma dal peso di oltre 8 kg. Dopo innumerevoli versioni, riusciamo a fare approdare uno dei due bagagli sotto i 7 kg, ma l’altro è quasi 8: speriamo non lo pesino. In compenso dovremo tenerci addosso un maglione, il giubotto, il cappello, gli ombrelli e io un marsupio con dentro spazzolini, shampoo, ecc… e lei la macchina fotografica. Ridotti così approdiamo a Orio al Serio. Al check-in, ci pesano i bagagli e senza alcuna pietà: “quello va nella stiva”! Il famoso volo da un euro parte in orario, e arriva in orario. Questa Ryanair non sembra affatto male. Siamo a Londra, anche se sembra Malpensa. Prendiamo il bagaglio stivato meditando vendetta e pensando che abbiamo di fronte altre 2 ore prima del check in per Glasgow e potremo provare a studiare un ulteriore nuovo assetto per la valigia incriminata, contando anche sul fatto che contiene i panini che adesso mangeremo. Da bravi italiani, per non saper né leggere né scrivere, abbiamo pensato bene di portarci appresso un bel panino con la bresaola. Decidiamo però di integrarlo con qualcosa del luogo. Vi lascio solo immaginare cosa possano trovare due poveri viaggiatori italiani in un aeroporto, per di più inglese: ogni genere di cibo ipercalorico o supersalato o dietologicamente squilibrato. Optiamo per dei tramezzini, che vediamo ingurgitare un po’ da tutti. Il nostro primo approccio con la cucina inglese ci lascia alquanto male, ma è quantomeno coerente: ci aspettavano facesse schifo e i tramezzini lo confermano appieno. Inoltre da bravi viaggiatori squattrinati e risparmiosi abbiamo pensato bene di acquistare il mitico Pacco Famiglia Offerta: 3 al prezzo di 1. Dopo aver assaggiato il primo non sappiamo se tenere gli altri 2 come prova regina di come si mangia male fuori dall’Italia, nelle interminabili discussioni culinarie sull’opportunità di assaggiare i cibi tipici dei paesi che visiti. Poi pensiamo a quanto dicevano le nostre madri da piccoli: “mangia e pensa a quanta fame c’è nel mondo”. Che noi da piccoli pensavamo si riferissero al terzo mondo, all’Asia o all’Africa, e invece, si riferivano al Regno Unito, porca miseria. Con sprezzo del pericolo finiamo comunque il lauto pranzo, guarnito da cioccolatini di ogni tipo. Guardandoci intorno, sia per il numero di persone obese, che per i prezzi stracciati di cioccolati e affini (soprattutto se paragonati al resto), comprendiamo quanto avesse ragione credo Adam Smith (forse quello delle scarpe) quando asseriva che maggiore è la domanda e più basso sarà il prezzo dell’offerta. Esempio: 3 mars o twix dalle dimensioni mai viste (250 gr.) a 0.99 £ – caffè espresso 1.50 £.

Appresa la prima nozione sul Regno Unito ci incamminiamo, certi di caricare entrambe le valigie come bagaglio a mano, verso il check-in per Glasgow, con aria di sfida verso l’inglesissima hostess. E già qui mi rendo conto di un grosso problema sinora sottovalutato: oddio ma questi parlano solo inglese, e sono pure madrelingua. Per me che il massimo dell’inglese è “the chair is on the table”, saranno dolori. Fa niente, capiscano o no io viaggerò convinto con il mio già preparato: “I have only hand-luggages”. Assumo la postura da William Wallace, studiata guardando il film (medito anche sull’opportunità di pittarmi la faccia). La hostess mi guarda, guarda le borse e io: “Is not heavy, it’s under 7 kilos” e lei spiazzandomi come neanche Platini su punizione: “Your luggage have wheels, trolleys”. E mi spiega, per quello che posso capire io, che i trolley a Stansted, per regolamento, non possono essere imbarcati come bagaglio a mano. Sconfitto abbandono il bagaglio sul nastro e stavolta entrambi. Ancora abbattuto, atterriamo a Prestwick dove ci aspetterà la Seicento prenotata dall’Italia, attraverso il sito diretto della Hertz – www.Hertz.It – con notevole risparmio rispetto alla prenotazione hertz mediante il sito di Ryanair. In cuor mio spero non ne abbiamo una e mi diano qualcosa di più grande. Mentre Faby ritira i bagagli io vado al banco Hertz ripassando mentalmente in inglese cosa devo dirgli. Lei mi ascolta e poi parte a parlare. In scozzese. Chi non c’è stato non credo possa capire. Già il mio inglese vacillava, dopo questa tranvata, comincio a parlare a gesti. Provo col milanese (devo dire che però ho notato che il bergamasco non sarebbe troppo diverso, ma non conosco neanche quello). La scena è davvero comica. Per farmi capire che quando esco devo controllare prima di partire se l’auto ha dei graffi, fa una riga lei sul banco con la penna: è giunta alla disperazione e io sto sudando. Ad un certo punto, per farmi capire arriva persino a parlare uno strano idioma via di mezzo tra spagnolo e brasiliano. Firmo qualunque cosa continuando però a blaterare frasi tipo “no addictional insurances” o “i want car with full of fuel”. Con un ghigno lei prende la mia carta di credito: credo che nei mesi a venire mi ritroverò ogni tipo di addebito. Esco dall’aeroporto spossato. Guardando sul portachiavi mi accorgo che non è una seicento ma una Fiesta, me l’aveva detto ma nel trambusto manco me ero reso conto. Non ho però idea di dove sia, ho capito solo left. Nonostante ciò la troviamo subito. Cavolo! È una Zetec. Per chi non se ne intende, è il modello full optional: radio con cd, cerchi in lega, vernice metalizzata, tetto apribile, antifurto, fendinebbia, vetri elettrici, insomma ha tutto.

Mi butto nel traffico e comincio a fare la conoscenza con i deliziosi guidatori scozzesi: mi fanno immettere tranquillamente nel traffico. Anche se sulle prime avevo qualche dubbio. Mi hanno difatti abbagliato con i fari e io da bravo italiano pensavo fosse già venuta l’ora di presentargli il mio crick e invece qui gli abbaglianti li fanno per il motivo opposto, per segnalarti che ti fanno passare. Tutto ci sembra strano e nuovo, ma comunque è come ce lo immaginavamo. Percorriamo le miglia che ci separano da Biggar, ridente cittadina della Scozia del sud, nelle cui campagne saremo ospitati per i 5 gg a seguire, nell’hotel di mio cugino, Roberto, emigrato nel 70 in Galles come cameriere e approdato infine qui come proprietario di hotel, una perfetta incarnazione del sogno americano, nel Regno Unito.

Arriviamo in hotel: è stupendo, davvero scozzese – -.

Salutiamo tutti e prendiamo possesso della stanza. Scopriamo che ci ha riservato la suite, con il letto a baldacchino, il salottino per il tè e il divano messo dove c’è quella specie di verandina, il bowindow che abbiamo visto un po’ in ogni casa venendo qui. Bellissimo.

Scendiamo per cena e riportiamo le nostre vicisittudini quotidiane, mentre lui ci sbigottisce con un aperitivo ed una cena che manco al Savini. Cibi italiani e tipici scozzesi, annaffiati da Sauvignon Collio, Barolo, Amarone, ecc… Ma non si doveva mangiare male e bere solo birra? Giustifichiamo la cosa pensando che lui è italiano. Fatto sta che anche gli altri ospiti dell’hotel mangiano quello che mangiamo noi e la cuoca è scozzese, gli da una mano la moglie di mio cugino, Judith, gallese, lui non ci mette mano. Mah, i prossimi giorni staremo a vedere, è quasi una sfida.

Tra gli ospiti dell’hotel notiamo una particolarità, per noi un po’ ironica: c’è un uomo in gonnella, o per meglio dire, in kilt. Si può essere aperti mentalmente quanto volete, ma sulle prime ci appare abbastanza ridicolo. Poi, pochi istanti dopo, si alza per passare nel salone a bere il caffè e Roberto si alza per salutarlo e rispettosamente gli chiede a quale clan appartenesse e lui, indicandogli quella specie di marsupio che portano davanti, gli risponde fiero: “Buchanan”. Roberto gli rivolge rispettosamente i complimenti e si commiata. Allora capiamo e ci sentiamo meschini ad aver pensato che sia ridicolo. Adesso ci troviamo a pensare che quelli ridicoli probabilmente siamo noi, che rincorriamo le griffe americane e ci dimentichiamo le nostre radici. Andiamo a letto con questi pensieri impegnati.

La mattina dopo ci alziamo abbastanza presto. Per la verità io sono già sveglio dalle sei in quanto mi sono svegliato di colpo vedendo il sole già molto alto e pensando quindi che fosse tardissimo. E invece qui, in questo periodo dell’anno, il sole tramonta alle 11 p.M. E sorge alle 3 a.M.. Scendiamo le scale verso la colazione e troviamo Roberto che ci pone la fatidica domanda: colazione continentale o Full english breakfast? E noi, che in fondo siamo per la cucina indigena nei viaggi, optiamo per la seconda. Così mi ritrovo davanti ad un piatto con uova, bacon, pomodori, funghi e perfino una salsiccia. E dire che io in Italia al massimo mangio un paio di fette biscottate. È tutto buonissimo! Passeremo la mattinata passeggiando nei dintorni e chiaccherando con il parentado.

A pranzo si replica con un pranzo in cui ci sono anche amici di Roberto e Judith. Siamo in 5 coppie. 6 uomini e 4 donne. No, non mi sono sbagliato. Anzi in seguito apprenderemo che anche il manager è gay. Da loro, nel Regno Unito, i gay sono tutti dichiarati e sono perfettamente accettati. La cosa rende sia me che Faby estremamente felici e al tempo stesso tristi perché in Italia non è così. Mangiamo per la nostra prima volta il caviale, quello vero non i soliti surrogati, e il salmone scozzese. Poi si passa a piatti più scozzesi. Chiudiamo con un dolce fantastico, sull’alticcio andante. Su richiesta esplicita da parte degli altri commensali io, Faby, e Roberto ci troviamo costretti ad improvvisare un “Romagna mia” da antologia. Forse anche qui siamo considerati Pizza-spaghetti-mandolino-mamma? No, è solo per stare in compagnia. Anzi anche gli altri si improvvisano cantanti. Insomma ci divertiamo abbastanza. Il pomeriggio sfidando le severe leggi sulla guida in stato di ebbrezza decido di fare un giro per la vicina Biggar e ci inerpichiamo poi per una stradina, un nastro di asfalto tra le colline verdi, in mezzo a cavalli e coniglietti selvatici, circondati da pecore. Piccola nota di colore: con tutte queste pecore ci aspettavamo stupendi formaggi di cui andiamo ghiotti e invece niente. Fanno solo una specie di formaggio che assomiglia però di più alla salsa tartara. A parte questo, ci rendiamo conto che siamo davvero in un posto stupendo.

Scesi dalle verdi colline scozzesi, entriamo a Biggar, con l’intenzione di andare al pub, una roba da veri scottish boys. Sono circa le otto di sera, ma sembra la cittadina fantasma tipica dei film western. Non siamo più così sicuri di voler entrare al pub: sarà chiuso, non ci sarà nessuno. Alla fine entriamo comunque e scopriamo che sono tutti lì. Il paese intero. E non perché ci sia una festa ma perché, abbiamo scoperto poi, è la cosa più normale. E ci sono davvero tutti, dagli 8 agli 80 anni. Fuori strade e negozi, ancora aperti ma vuoti e dentro tutto un mondo. Da bravi scozzesi beviamo la Guinness. Finita la birra il nostro fegato ci fa gentilmente presente che, per oggi, sarebbe anche a posto così. Lo assecondiamo e andiamo a dormire, domani si comincerà a fare sul serio, ci aspettano un mare di posti da vedere.

La sveglia antelucana ed il fegato provato dalla giornata precedente ci diffidano dal fare la colazione inglese e optiamo per pane tostato con marmellata e miele e poi via, sulla corsia sbagliata, vabbè, che diamine, concedetemelo, è anche mattino presto. Seguendo le precisissime indicazioni di Steve, la GPC della Scozia, che ho provveduto a stampare prima di partire, partiamo alla volta di St. Andrews, prima tappa odierna. Intanto passiamo per posti molto belli, cito su tutti Kirkaldy. Stiamo percorrendo la Fife Coastal, una strada panoramica che costeggia il mare. Qui il mare è il prolungamento blu di prati verdi, posti sotto il cielo azzurro puntinato di nuvole. Colline che rapidamente scendono al mare, pochi metri di sabbia o roccia, tanto per fare da linea di demarcazione e poi il blu del mare. Il tutto con la solita cornice di animali e case bellissime immerse nella campagna.

St Andrews è la mecca del golf scozzese, ma a noi sinceramente non interessa e quindi ci rechiamo subito verso la cattedrale. Ci troviamo davanti le rovine di quella che doveva essere una cattedrale stupenda, posta su un promontorio direttamente sul mare. Intorno alle rovine un cimitero costituito da centinaia di lapidi, con la croce celtica per la maggior parte, in mezzo ad un prato di un verde intenso. Fuori dalle mura, sulla stradina a strapiombo sul mare, un suonatore di cornamusa. Sopra di noi le nuvole che si mescolano con un cielo azzurro celeste. Le parole e nemmeno le foto, potranno mai rendere l’idea delle sensazioni che si possono provare. La cosa mi rammarica. L’unica cosa che posso dire è: andateci! In un attimo ci rendiamo conto che è già ora di ripartire.

Ripresa la Fife Coastal passeremo Dundee per recarci al Castello di Glamis. Arriviamo a Strathmore, il paese vicino al castello verso l’una e mezza. Entriamo in un pub per mangiare qualcosa. Aspettando quello che abbiamo ordinato, non siamo troppo sicuri di cosa sia, leggiamo la lista dei vini. Apprendiamo che possiamo scegliere fra un prestigioso Montepulciano del Perù, un Sauvignon austrialiano o il celeberrimo Sangiovese dell’Argentina. Come canta Raoul Casadei: “evviva l’Argentina, evviva il Sangiovese” (o forse non era proprio così). Attenzione, forse abbiamo trovato le prove del fatto che in Scozia si mangia male. Aspettiamo con ansia quello che abbiamo ordinato: io del beef strogonoff e lei del haddock. In un pub, dove da bere hanno del vino tanto strano, figuriamoci, è fatta, mangeremo da schifo. Eccolo arriva. Assaggiamo la carne e il pesce, le verdure di contorno: è tutto ottimo. Anzi nei giorni a seguire Roberto ci assicura addirittura che quel vino, per noi tanto strano, è invece ottimo. Lui non lo serve in quanto quello italiano è considerato sicuramente più prestigioso, ma lui, esperto ed estimatore di vini, lo beve con piacere.

Siamo immersi nel verde, tra alberi altissimi. Facciamo una curva e in fondo lui: il castello di Cenerentola, o di Biancaneve o di quello che preferite, ma in sostanza il castello delle fiabe. Ma come, non doveva essere quello dove Shakespeare ha ambientato il cupo Macbeth? Si è lo stesso, eppure ci appare laggiù fra gli alberi e ci sembra di essere approdati in una storia dei fratelli Grimm. Seguiamo la visita guidata all’interno, in scozzese adattato inglese, con l’ausilio di un opuscolo in italiano. Forse l’interno, a parte un paio di stanze, ed in particolare il salone delle cerimonie, non è all’altezza dell’aspetto esterno, mozzafiato. Qualche altra foto, poi i giardini e via, alla volta di Scone Palace a Perth. L’ingresso di Scone Palace è stupendo, ci sembra di essere dei ricchi possidenti che tornano nella loro dimora di campagna. L’orario di ingresso al palazzo è passato da pochi minuti e ci dobbiamo accontentare di sbirciare gli interni e di vederli sui libri venduti nel gift shop. Facciamo però un giro nel giardino pieno di pavoni. Poi di nuovo via, verso Dunkeld, probabilmente l’ultima tappa odierna. Sulla strada, alla periferia di Perth, ci fermiamo in un ipermercato per comprare qualcosa da mangiare poi alla sera, in macchina per guadagnare tempo. Apprendiamo che i supermercati qui sono quasi tutti aperti dalle 7 a.M. Del Lunedì, alle 8 p.M. Del Sabato 24 ore al giorno, più una decina di ore alla Domenica.

L’ipermercato al suo interno non è molto diverso da quelli italiani, tranne che per un piccolo particolare: il 50 % degli scaffali e delle corsie è occupato da vestiti, formaggi, frutta, ecc… ed il restante 50 % da ogni genere di “schifezza” e cioè cioccolatini, patatine, caramelle, bibite ipergassate, insomma la fiera del “imbottiamoci con allegria”. E per forza che poi diventano obesi, hanno anche prezzi stracciati. Noi, da bravi consumatori, ci inchiniamo al dio del consumismo e acquistiamo cioccolatini, Pringles e la mitica Dr Pepper, vista mille volte nei film americani, ma mai assaggiata. Acquistiamo anche del tacchino e dei panini da farci per la serata, cedendo anche, con un po’ di campanilismo, all’acquisto di due scatolette di formaggini di Crema Bel Paese Galbani. Strada facendo, molto bella, ci accorgiamo che siamo davvero circondati da “speed cameras”. In Scozia, un po’ dappertutto si trovano delle speed cameras. Quasi tutte ipersegnalate, ma qui la cosa è davvero impressionante. Tutti difatti rispettano i limiti, peraltro bassi in città e autostrada.

Piano pianino arriviamo comunque a Dunkeld. Vediamo da fuori l’abbazia, è già chiusa, e facciamo un giretto della città. È molto carina, con il fiume e le montagne che la circondano. Da qui riscendiamo verso Biggar, ci aspettano molte miglia.

Per fortuna la sveglia non è troppo presto in quanto il programma prevede un pranzo ad Edimburgo con Roberto e Judith, al ristorante italiano Giuliano’s – www.Giulianos.Co.Uk -, già celebrato dal racconto di Milena D.. Appena entrati nel ristorante, dubbiosi come sempre circa il cibo, nonostante le segnalazioni ed il fatto che Roberto lo frequenti, rimaniamo positivamente impressionati dal fatto che i camerieri ci accolgono con spiccato accento napoletano: ci guardiamo in faccia io e Faby e poi sottovoce: “evvai, che questi sono italiani davvero”.

Conosciamo subito Giuliano, al quale comunico la buona pubblicità che ha riscosso sul sito di Turisti per Caso. Tronfio di orgoglio parte quindi con un soliloquio sul fatto che i migliori ristoranti, il miglior vino, ecc. Si trovino qui. Mi sento come nei panni di un napoletano che vive in una casa affacciata sul golfo di Sorrento, mentre un milanese gli dice che il miglior pesce si mangia a Milano. E’ una sensazione strana perché io sono milanese, e quel discorso l’ho fatto spesso, ignorando perché mi guardassero con la faccia catatonica. Credo che in qusto momento abbia assunto la stessa faccia, nonostante i precisi fondamenti scientifici addotti da Giuliano, un po’ gli stessi usati da me negli omologhi discorsi tenuti in Italia. Onestamente potrei citare una decina di ristoranti italiani dove si mangia meglio, ma è tutto comunque piuttosto buono. Sarebbe ottimo, se non fosse per gli spiedini di pesce alla griglia, impanati. No dico, ma dove l’hanno mai visti gli spiedini di pesce alla griglia impanati in Italia? Mi rendo conto però che, giustamente, i piatti italici sono stati adeguati al gusto scozzese. Sul vino niente da dire, come al solito ottimo.

Finito il pranzo ci rechiamo verso Princes Street, la via principale di Edimburgo. Acquistiamo il biglietto giornaliero per la visita della città sul Bus, il Sightseeing – www.Edinburghtour.Com -, l’unico a 7 pound e mezzo, gli altri costano di più. Sarà il ns. Primo double decker, anche se un po’ atipico: gli manca il tetto. Si tratta per l’appunto di un bus a due piani che grazie alla particolarità dell’assenza del tetto consente di godere una bellissima e completa vista della città, grazie anche all’impianto, cui collegarsi con le cuffie da prendere a bordo, che in otto lingue, tra cui l’italiano, precisazione necessaria (vedasi libretti di istruzione di videoregistratori ed affini), descrive, mentre il pulmann ci passa, le cose da fare e da vedere, svelando la storia ed i retroscena, una specie di audioguida in tempo reale, attivata dall’autista. Grazie alle fermate strategiche si sale e si scende recandosi nei vari posti descritti. Consiglio un giro preliminare per valutare il da farsi ascoltando le indicazioni per poi scendere il giro successivo. Unica controindicazione: alle 17.30 finisce il servizio. Ne consegue che se non siete previdenti vi dovrete fare una bella camminata. Parlo per esperienza diretta. In compenso grazie alla passeggiata approfitto per bere l’ultimo goccio nel pub in cui i condannati a morte bevevano il loro ultimo whisky al The Last Drop (l’ultimo goccio per l’appunto), prima di essere impiccato nel prospiciente piazzale. Il mio “ultimo goccio” lo bevo alle 6 di pomeriggio, a stomaco vuoto, ma d’altronde non potevo lasciarmi scappare l’occasione.

Durante la giornata abbiamo visitato il museo di storia, la National Gallery (Cezanne e Van Gogh), il parco, putroppo non Holyrood House, in quanto residenza reale, occupata per qualche giorno dal principe Carlo.

Ripresa la macchina e pagato il salato conto del posteggio (13 pound), optiamo per un giro in auto di Edimburgo con cena a sacco sull’altura di Carlton Hill, in macchina, in quanto già chiusa a quell’ora, ascoltando un cd di Vangelis comprato in giornata e rivelatosi quanto di più azzeccato da ascoltare col brutto tempo, tra i castelli della Scozia.

La mattina dopo, sfruttando il biglietto del bus, valevole per 24 ore, andiamo al castello, che non avevamo potuto visitare il giorno precedente a causa del ridotto tempo a disposizione. Inoltre ieri abbiamo maturato intenti “assassini” nei confronti di un mito che pensavamo solo americano e invece scopriamo essere anche britannico: il All you can eat. Da Pizza Hut per 5,49 pound puoi mangiare tutto quello che vuoi scegliendo in un buffet tra insalate, pasta, e pizza, la real new yorker pizza. Del resto, per chi non lo sapesse, la pizza l’hanno inventata a New York. Chiedete a Sonia (Songi) se non ci credete. Con in mente i nostri intenti bellicosi per il pranzo, programmiamo di affamarci con una lunga passeggiata nel Castello. All’ingresso acquistiamo la Historic Scotland Pass – www.Historic-scotland.Net – , che ci consentirà nei giorni a seguire un notevole risparmio in quanto con 15 pound, nei tre giorni a seguire, si può entrare gratuitamente in ognuno dei 65 monumenti e castelli compresi, praticamente tutti. Dopo una lunga passeggiata nel castello, decisamente degno di nota (consiglio l’audioguida o la guida scritta), scendiamo verso Pizza Hut come non avrebbe fatto nemmeno Robert the Bruce a Bannockburn contro gli inglesi. La lunga discesa dal Castello non fa che incrementare il nostro fat instint. Entriamo in uno delle decine di Pizza Hut e, preso da bere, apprendiamo altre simpatiche peculiarità di questo posto: l’acqua è gratis e la pepsi si paga 1 pound e mezzo e poi c’è il free refill: finchè vuoi ti riempiono il bicchiere. Cominciamo così il primo di 5 giri al buffet. Io arrivo a fare un giro con 3 piani di pizze ed una tenuta tra i denti, tipo Sandokan con la sciabola. La pizza, newyorkese, non è affatto male. Le insalate sono un po’ strane e la pasta fa davvero schifo. Usciamo strapieni e complessivamente soddisfatti dell’esperienza. Archiviamo l’esperienza complessiva ad Edimburgo come fantastica. Edimburgo è una città bellissima e con molto da offrire.

Ci rechiamo all’auto, ripaghiamo l’ennesimo salasso e partiamo alla volta di Linlitghow Castle. Non sappiamo bene cosa e come sia, ma dalla foto sulla guida della Historic Scotland, sembra bello. Il nostro intuito non ci delude affatto. Il castello non è particolarmente bello, ma il contorno con verde a perdita d’occhio e laghetto è stupendo. Facciamo decine di foto, tutte bellissime, e ripartiamo alla volta di Blackness Castle. La visita non era preventivata, dalla foto non sembrava un granchè, ma siccome si trova lì vicino. Anche qui il nostro intuito non sbaglia, il castello non è un granchè. Fa molto medio evo, ma è piuttosto bruttino. E ora? Un salto a Glasgow ci sembra l’ideale. Il tempo a disposizione non è molto e Glasgow ci ricorda troppo Milano, così decidiamo di fare solo un giro in auto. Probabilmente ha molto da offrire, ma non abbiamo tempo e poi ci siamo così innamorati delle campagne che non tolleriamo quella che è davvero una metropoli, con, tra l’altro, il traffico congestionato, nel quale ci troviamo a disagio dopo miglia e miglia di solitudine.

E’ l’alba dell’ultimo giorno. Come al solito il sole ci ha fatto svegliare presto. Cominciamo ad accusare il colpo e ci alziamo faticosamente. Ci aspetta l’ultimo giorno nella neoamata Scozia. Si parte, direzione Stirling, in cerca della storia scozzese, ci sembra quasi doveroso. Visitiamo il castello di Stirling, bello e molto simile a quello di Edimburgo. Sulla strada, di poche miglia, per Bannockburn, luogo della storica battaglia di Robert the Bruce contro gli inglesi, ci fermiamo per la prima volta in una fish & chips. Abbiamo deciso che vogliamo mangiare tipicamente scozzese. Prendiamo l’haggies, i funghi, gli onion rings, il king rib, ecc… E’ un take away piuttosto squallido, ma quantomeno è tipico, scozzese. E invece, appena la commessa, che mi ricorda una mia zia, apprende che siamo italiani, chiama il Sig. Rocco, il padrone, napoletano, del locale. A parte questo ci sembra sia tipicamente scozzese. Ne siamo certi anche in quanto appena usciti da scuola entrano una trentina di studenti, che si mette tra l’altro ordinatamente e precisamente in coda per aspettare il proprio turno. Intanto mia zia, cioè volevo dire la commessa, infila le nostre prelibate cibarie in una friggitrice che sembra una vasca di bagno, le dimensioni fanno davvero impressione. Consumiamo il lauto pranzo, quantomeno economico, sul piazzale di Bannockburn. Finalmente possiamo dire, pienamente a ragione: Che Schifo! L’Haggies mi ricorda molto da vicino come sembianze il Kitekat, probabilmente ne ha anche lo stesso sapore. Le patatine sono supersalate e superunte. Il mio fegato prende piuttosto male questo pranzo, ma al tempo stesso esulta pensando che è in un corpo di un italiano e non di uno scozzese. Certo se mangiano sempre così probabilmente qui più che rifarsi il seno o il naso o il lifting in genere, è molto trendy, e più utile, farsi fare un bel trapianto di fegato. Del resto abbiamo assistito alle ordinazioni degli scolari: il trionfo dei fritti e dei carboidrati, coronati da bibite supergassate e cioccolati ipercalorici, e i risultati vi assicuro sono ben visibili. Con il fegato tipo cornamusa, visitiamo i luoghi della battaglia, il museo. Fondamentalmente qui non c’è niente. Non è stato ricostruito niente. C’è solo un monumento e, nel museo, i plastici che ricostruiscono quello che avvenne. Il fatto però di sapere che è accaduto qui, sulla stessa terra che stiamo calpestando è estremamente emozionante. Andiamo quindi al monumento a William Wallace che è invece l’estremo opposto. Si trova in un luogo in cui non è successo niente, dove tutto è stato costruito posticcio. Per una cifra esorbitante si può visitare la torre che, guardando i libri fotografici, vediamo non essere un granchè. Gratuitamente è invece visibile una statua che ha curiosamente le sembianze precise di Mel Gibson. Strano. Apprendiamo difatti, senza troppa difficoltà, che è stata eretta nel 1997, sull’onda della grossa promozione che hanno ricevuto questi luoghi grazie al film. Mi rattristra sempre la strumentalizzazione turistica che a volta viene compiuta.

Seguendo le indicazioni dei TPC puntiamo verso nord alla volta di Aberfoyle, dentro il Queen Elisabeth Park, descritto da tutti come un parco stupendo. Purtroppo arriviamo lì che sono già le tre di pomeriggio e apprendiamo, al Tourist information che per fare la strada dei Trossach – www.Lochlomond-trossachs.Org – , una strada che ammiriamo dalle foto che ci sono appese, si percorrono circa 120 miglia. Rammaricatici di non aver preso il giusto tempo per visitare dei luoghi che ci paiono così belli, decidiamo di riprendere la direzione sud e andare a visitare il Dumbarton Castle, di cui abbiamo, come al solito, intuito la bellezza attraverso la foto sulla guida. Come a Linlitghow, non è tanto il castello, che non c’è praticamente più, a piacerci, ma tutto il contorno, in quanto si trova in cima ad un promontorio a penisola sul mare. Passiamo qui in cima, dominando il panorama, i nostri ultimi momenti scozzesi, salutandola idealmente, ma ripromettendoci di tornare in un luogo che ci ha davvero fatto provare delle emozioni. Scusate il mio, se volete banale, romanticismo, ma credo che un viaggio ti debba donare delle emozioni. Certo sono piacevoli anche viaggi a Lloret de Mar sulla Costa Brava, per esempio, dove sono stato in vacanza ben due volte, ma non riescono a darti emozioni. Possono donarti divertimento in quantità esorbitanti, ma del tutto effimero, che svanisce dopo poco. La Scozia ci ha lasciato dei solchi profondi e scrivendo questo banale racconto rivivo appieno ogni emozione. E non perché capitato solo pochi giorni fa, ma perché mi rendo perfettamente conto che ho visto luoghi e conosciuto persone che hanno, anche magari solo in parte o minimamente, cambiato il mio modo di pensare o il mio modo di pormi.

Beh, ora bando ai sentimentalismi perché è tempo di Londra.

Se il volo da 1 euro si è rivelato, e si rivelerà anche per il ritorno, ottimo, quello da 250 euro, da Londra a Glasgow, sembra una comica. Già all’andata il volo era arrivato al gate solo 5 minuti prima della partenza, e siamo poi partiti in orario (vi lascio immaginare le procedure d’imbarco). Ora, al ritorno, con i tempi bruciati, siamo fermi al gate d’arrivo, in attesa di una scaletta. Non c’è nessuno, sembriamo evidentemente invisibili. Dopo 15 minuti un disperato,da solo, cerca di metterci sotto una scaletta, compiendo delle evoluzioni degne del Circo Togni.

Disguido a parte, andiamo verso lo Stansted Express – www.Stanstedexpress.Com -, il mezzo più economico e veloce per Londra da Stansted, o così almeno dicono loro. Nonostante l’acquisto a bordo del volo dei biglietti, che consente un risparmio di 6 sterline a coppia, non ci sembra troppo economico: 44 sterline in 2 A/R. Veloce? Mah, per ora sì. Arriviamo difatti 40 minuti dopo a Liverpool. Ci precipitiamo a comprare i ticket giornalieri per i mezzi: 4 sterline al giorno a testa (cifra equa, vi assicuro). E poi? Eccoci, siamo nella metropolitana più famosa del mondo, anzi per piacere, siamo nella underground, in una tube station: come ci sentiamo londinesi. Io vivo a Milano e, prendendo spesso la metro, ritengo che sia lo specchio della città. Voglio dire che a bordo ci trovi, almeno a Milano, tutti i tipi di persone: dall’uomo d’affari che la usa per il centro, all’operaio, alla signora benestante che è andata a fare shopping, alla cameriera d’albergo, agli universitari, ecc…, il tutto di varie razze, religioni, stili di vita, modi di vestire, ecc… Impariamo da subito che Londra è una città davvero eterogenea, dove sentirsi straniero è praticamente impossibile in quanto quello che ho imparato a vedere a Milano in metro, lo vedo ora qui a Londra nella Tube, estremamente amplificato. Ci sono decine di razze, centinaia di modi di vestire e di stili, migliaia di persone. Anche perché l’underground è usata parecchio anche se, abbiamo notato subito a Liverpool Station, ha grossi problemi: cappeggiavano infatti dei tabelloni con i nomi delle linee ed i relativi ritardi di fianco, impressionanti, di decine di minuti, alcuni definiti solamente “serious delays”. Per fortuna non è il caso della nostra linea, che ci porta in pochi minuti a Paddington Station. E’ una stazione-dedalo dove non è facile districarsi tra metropolitane e treni in arrivo da Heatrow. Finalmente riusciamo ad uscire, ma non riusciamo a raccappezzarci sulla cartina della Lonely Planet. Avevo come punto di riferimento Sussex Garden, una zona ricca di hotel, ma non riusciamo a trovarla. Proprio di fronte alla stazione, c’è London Street. Camminando intravediamo una viettina con un parco ed una quantità impressionante di hotel. Ci incamminiamo per quella via ma dopo pochissimi passi, uno dei portieri schierati come avvoltoi sulle scale esterne dei propri hotel, ci ferma per chiedere se ci serve una camera. Dice che costerebbe 80 sterline a notte, ma per me farà 60: dalle ricerche internettiane compiute prima della partenza so che è il prezzo giusto, così gli dico che se mi piacerà la camera l’affare è fatto. Mi consegna le chiavi e salgo a vederla. Le misure sono imbarazzanti: camera circa 10 mq – bagno circa 2. Però ha tutto il necessario e sembra pulita, nonostante sia ancora da rassettare. Affare fatto, anche perché abbiamo poco tempo e non possiamo permetterci il giro di tutti gli hotel alla ricerca del meno caro o più bello: questo va bene. La camera sarà pronta solo tra 30 minuti. Siccome è già l’una, perché non andare a prendere un panino al Burger King, in modo da risolvere il problema pranzo e poi, sistemate le valigie via. Inoltre ci serve qualche minuto per raccogliere le idee e programmare quelle che sappiamo saranno ore super-intense.

Siamo in fila, scegliendo quale chimico panino prendere, e il mio sguardo viene inspiegabilmente attirato verso il pavimento. Noto molte monetine sparse. Da bravo accattone senza troppe riserve mi chino per raccoglierne qualcuna e che ti vedo? CINQUANTA STERLINE (scusate il maiuscolo ma mi sembrava il minimo). Sembre da bravo accattone, ci metto sopra un piede e con indifferenza le sfilo, chiudendole nel palmo della mano. Mi alzo e vedo l’angioletto del bene apparire sulla mia spalla dicendomi: “e se fossero di una povera famiglia in difficoltà (così in difficoltà che si è ridotta a cibarsi da Burger King)?”. Allora mi guardo in torno e non c’è nessuno se non noi e una coppia di giapponesi davanti a noi. Forse sono i loro. E allora? CHISSENESTRAFREGA (scusate ma anche qui ci stava bene il maiuscolo). Voglio dire, girano il mondo, facendo spese folli da Gucci in via Montenapoleone. Quante volte li avrete invidiati tutti? E dai, ammettete? L’angioletto cattivo mi sussurra: “vai Paolo, sei il nuovo Robin Hood”. Preso il panino, il primo che capitava, ci avviamo a passo ultraveloce verso il parchetto di fronte all’hotel, mimettizzandoci tipo Rambo nella boscaglia. In tutto questo c’è da dire che Faby non aveva capito molto quello che stava succedendo, e io non potevo dirglielo: mi veniva appresso, preoccupata che avessi fatto chissà che cosa.

Risolto il pranzo, la camera e pianificato il da farsi, partiamo. Decidiamo di andare verso Regent Park. Anzi più che altro abbiamo ancora qualche problema con la cartina e sapendo che Hyde Park e Regent sono l’uno dalla parte opposta all’altro rispetto all’Hotel, che si trova a metà strada ci incamminiamo a caso, lasciando scegliere al destino. Tocca a Regent, passando dalla City, ottimo. La City ci delude un po’, ci aspettavamo, e scusate la banalità, la gente in bombetta con l’ombrello, e invece niente. Notiamo con ilarità che in basso, sulla strada, ai semafori, c’è scritto dove devi guardare: “look left”. Scopriremo poi che dopotutto c’è poco da ridere perché camminando camminando se ti distrai rischi davvero di essere stirato.

Se la City ci aveva deluso, Regent ci entusiasma. Oddio, sulle prime ci sembrava il parco Sempione di Milano, poi, entriamo nella zona del laghetto: stupendo. Cigni neri, mai visti, e Dino lo Scoiattolino, che si appassiona subito alle nostre Pringles, e anatre, oche, piccioni, ecc… Il tutto a pochi passi dalle case.

Usciamo e ci dirigiamo verso il nostro primo vero double decker. Fortunatamente è uno di quelli vecchio modello, con la bussola aperta, sul fondo, per salire/scendere come e quando vuoi. In teoria si dovrebbe scendere solo alle fermate, ma nessuno lo rispetta e quindi, da bravi italiani, nemmeno noi.

Con il bus, definizione riduttiva, giriamo per il centro di Londra, passando per quei luoghi tante volte visti in tv, al cinema, o ascoltati nelle canzoni, o peggio, sentiti dalla mitica professoressa d’inglese: Piccadilly, Trafalgar, Oxford, Carnaby, ecc… Sarà per le cinquanta sterline, forse contaminate da qualche misterioso batterio, ma sembriamo due giapponesi, fotografiamo qualunque cosa. Eppure tutto ci sembra nuovo e bello. Il giro ci porterà al mitico Tower Bridge, il quale, quale benvenuto, ci regala anche una apertura, con ulteriori foto. Tralasciamo la traversata, anche perché ora il ponte è aperto, anche perché la Tower of London ci occuperebbe troppo tempo e costa troppo. E poi, smanio di andare al Tate Modern – www.Tate.Org.Uk – a vedere le mitiche Ninfee di Monet. Passiamo per caso il mercatino di Borough, pieno di cibarie italiane. Sulla strada, lunga a piedi, cerco sul vocabolario la traduzione di Ninfee, identificandola in Waterlyle, speriamo mi capiranno. Frattanto leggo sulla guida, che piano piano riesco ad interpretare, che il Tate Modern ha vinto numerosi premi di architettura. E non si capisce il perché! Come mi appare all’orizzonte, non riesco a trattenere una risata sadica, da geometra. Sembra un incrocio fra una fabbrica dismessa ed un inceneritore: una roba davvero brutta. Entriamo e sulla base delle indicazioni, mi hanno capito, mi dirigo verso il mio Monet preferito, sino a quel momento. Quante volte ho ammirato i suoi colori e le sue sfumature nelle stampe che campeggiano un po’ dappertutto e ora che ce l’ho qui davanti, mi esce dalla bocca un solo commento: “ma è brutto”. Si insomma, è scuro, non ha quei colori e quelle sfumature che si vedono nelle stampe. Leggo nella descrizione se magari gli è success qualcosa negli anni ma non è così. La mia delusione è enorme. Mi rinfranco comunque grazie ad altri suoi dipinti ed al buon vecchio Cezanne ed al mitico Matisse che non deludono, come al solito. Poi, entrando in una stanza, sento l’irrefrenabile istinto di girarmi verso destra. Altre 50 sterline? No, meglio: il mitico “Sgaro” (taglio, alla romana) di Lucio Fontana. Non riesco a trattenere una profonda risata. Sbotto letteralmente a ridere, tanto che si girano le altre persone presenti nella stanze. Lo so, non si fa, ma è stato più forte di me. Poi lo guardo bene da vicino e trattengo, almeno stavolta, il mio istinto, che sarebbe quello di staccarlo da lì e buttarlo nel cesso. Ora, siete tutti liberissimi di dissentire, ma mi piacerebbe anche se riusciste a spiegarmi perché quella ca… Sia considerata un’opera d’arte, come possa Fontana essere considerato un’artista alla stregua di un Caravaggio, di un Leonardo o di un Michelangelo. C’è differenza, sono modi diversi di esprimere l’arte? Beh io fino a questo viaggio non annoveravo Van Gogh fra gli artisti e poi mi sono ricreduto. Ho difatti ammirato i suoi dipinti sia ad Edinburgo che poi, il giorno dopo, alla Nation Gallery di Londra e devo dirti che lo colloco decisamente al di sotto degli artisti che ho citato prima, ma gli riconosco innegabilmente un suo stile, in un modo diverso, in tempi diversi, ha dato anche lui qualcosa all’arte, mentre Fontana, e scusate, mi sembra abbia dato qualcosa al massimo al cabaret.

Bando alle digressioni artistitiche, il tempo stringe. Completiamo difatti velocemente il giro tra sculture che, anche qui, ci strappano più di un sorriso, pensa a quante sculture ho buttato, e pensavo che erano pattumiera.

Fuori dal Tate Modern, attraverso il Millenium Bridge, niente di eccezionale anche questo, visitiamo, sempre da fuori per risparmiare tempo, la Cattedrale di St. Paul. Il tour a questo punto prevede il Big Ben con annessa la House of Parliament e l’Abbazia di Westminster. E qui, l’aspettativa non viene delusa, sono davvero belli. Sembra di conoscerli, per quante volte li abbiamo visti sui libri di inglese a scuola. La London Eye o Millenium Wheel o British Airways Wheel, o chiamatela come vi pare, non stona dopotutto, più di tanto. Anche lei è fuori del nostro giro per la già citate motivazioni tempistico-economiche.

Il giro si conclude per le vie del centro a piedi, fermandoci a mangiare al Deep Pan Pizza, una catena clone di Pizza Hut, che la copia anche nell’All you can eat, il nostro mito. Anche il mangiare è un clone, percui dopotutto ci va bene.

Stremati, anche dall’abbuffatta, andiamo a dormire.

La mattina ha l’oro in bocca, ma noi sinceramente ci sentiamo più che altro il piombo addosso, siamo davvero stanchissimi, eppure dobbiamo vedere ancora un sacco di posti.

Affrontata una colazione, continentale, vediamo Londra alle 8 di mattina: è deserta. Meglio così, faremo prima.

Ci avviamo a piedi, seguendo un itinerario consigliato dalla mitica guida, da Trafalgar, verso Buckingham Palace, ecc… Sul Mall, la via che collega Trafalgar a Buckingham, notiamo un imponente schieramento di forze, transenne, e già parecchia gente. Apprendiamo che in mattinata si svolgerà la parata della Regina per il suo compleanno e apprendiamo anche che è un fatto rarissimo, pare infatti che si svolga solo in quel giorno: che cu… Siccome non passerà prima di almeno un’oretta, facciamo un giro per il parco, cercando Downing Street. Camminiamo tra guardie reali e invitati a pranzo dalla Regina, vestiti con tight e cilindro o, per la felicità di Faby, con la mitica bombetta e l’ombrello: ma allora esistono davvero. E le donne hanno tutte il cappellino, uno più strano dell’altro. Mentre io li fotografo in coda per entrare, Faby viene squadrata da un poliziotto. Dopo avervi descritto il loro abbigliamento, vi descrivo quello di Faby, per me vale la stessa descrizione, più o meno: jeans stile consumato come impone la moda, stivaletti, maglietta con i buchi, sempre come impone la moda, borsa a tracolla in quanto una bretella si è rotta e l’altra è mezza rotta, borsa di plastica del supermercato con dentro un bottiglione d’acqua e il suo giubotto, maglione legato in qualche modo in vita. Credo abbia tutte le sembianze di una senzatetto, e il poliziotto ne ha ben donde di guardarla. Ci appostiamo vicino a Trafalgar per vedere la parata. Guardie, cavalieri e poi eccoli. Siamo lontani ma qualcosa, anche grazie al teleobiettivo della reflex, riusciamo a vedere. Poi, via, verso la National Gallery – www.Nationalgallery.Org.Uk -. La visitiamo praticamente tutta, tronfi di orgoglio in quanto sono quasi tutti quadri di pittori italiani. Tra gli stranieri il già citato Van Gogh, con i Girasoli e la famosa sedia. Completato il giro, un altro double decker ci porta nella zona di Notting Hill, con conseguente mercatino di Portobello, niente di eccezionale, più che altro tanti italiani.

Come non citare però sulla strada la sosta da Harrods – www.Harrods-casino.Co.Uk -. Ebbene si, cediamo alla tentazione e facciamo un giro da Harrods, benedicendo tale tentazione in quanto non si rivela un semplice centro commerciale, ma un luogo credo unico al mondo: basti dire che c’è un salone dedicato esclusivamente al the ed ai pasticcini da the, incredibile.

Il tour londinese si conclude con una passeggiata in Hyde Park. Peccato per Kensington Palace su cui insiste un ponteggio. Sinceramente era meglio Regent. Prese le valigie, via verso Stansted. Evitiamo ancora una volta la metro, per goderci un ultimo giro per la città, che nel frattempo si è più che svegliata: c’è un casino immane. A Liverpool ci aspetterà una sorpresa. Arriviamo alle 16.04, l’express delle 16 è già partito. Saliamo su quello che dovrebbe partire alle 16.30, del resto il volo è alle 19.00, non c’è problema. Ma poi, l’uso del verbo al condizionale non è un caso, sorpresa. Il treno non parte perché manca uno che lo piloti. Voglio dire, e per fortuna che noi in Italia siamo famosi per i disguidi, ancora di più per quelli ferroviari, ma una cosa così è troppo pure per noi. Piuttosto adirati scendiamo dal treno speranzosi che quello delle 17.00 parta. Il metodo più veloce ed economico per Londra già rivelatosi non economico si rivela essere anche non veloce. Fatti i conti, dovremo correre. Il treno parte in orario, ma arriva in ritardo, Quando ci catapultiamo giù dal treno, correndo come forsennati, e non siamo gli unici, manca meno di mezz’ora alla chiusura del check-in. Nonostante il fantozziano corri corri, ce la facciamo. Non ci restano che pochi minuti prima del volo, visto che per accedere ai gate facciamo una fila chilometrica tra perquisizioni e apertura di bagagli a mano. La vacanza ci sta ormai sfuggendo di mano e la lunga mano del tran tran quotidiano si sta allungando su di noi, introducendoci in quel tipico torpore da sindrome del ritorno che ci colpisce al termine di ogni viaggio. Le due ore di volo, avvolti dalle nuvole, con relative turbolenze, mi concedono, Faby come al solito dorme, il tempo per tirare le somme di un viaggio davvero eccezionale. Eccole: Nota personale: nel presente “racconto”, espresso nel miglior italiano concessomi, ho inserito spesso e volentieri pensieri miei e di Faby, dei quali andiamo fieri ma dei quali, al tempo stesso, ci scusiamo, nel caso in cui possano, anche se dubito, aver offeso qualcuno.

Nota organizzativa: questi giri, effettuati velocissimamente, in particolare a Londra, sono stati resi possibili, oltre che dalla preparazione dall’Italia, anche dalla indispensabile guida Lonely Planet Zoom su Londra, dalle cartine della Scozia e da una guida ai mezzi pubblici di Londra distribuita gratuitamente sul giornale dello Stansted Express. Ma in primo luogo, soprattutto, mi sento di poter dire che il merito principale vada attribuito agli altri TPC ed alle GPC, per i quali ogni aggettivo superlativo sarebbe comunque insufficiente a rendere l’idea di quanto siano stati semplicemente indispensabili.

Spero, nel mio piccolo, che anche il mio racconto possa contribuire a rendere una vacanza stupenda quanto lo è stata la nostra. Per il resto vi rimando alle ottime GPC e se volete contattemi pure.



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