Romania & pregiudizi

Partire per la Romania di questi tempi ti invita a pensare, grattandoti nervosamente la testa, che stai facendo la cosa sbagliata, nel momento sbagliato. Eppure, alle 9 del mattino del 22 Settembre 2007 un inedito gruppo di 3 persone parte in auto da Ancona per la contea di Iasi, nell’estrema parte nord-orientale della Romania. Sono del gruppo,...
Scritto da: Sergio_AN
romania & pregiudizi
Partenza il: 22/09/2007
Ritorno il: 29/09/2007
Viaggiatori: in coppia
Spesa: 500 €
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Partire per la Romania di questi tempi ti invita a pensare, grattandoti nervosamente la testa, che stai facendo la cosa sbagliata, nel momento sbagliato. Eppure, alle 9 del mattino del 22 Settembre 2007 un inedito gruppo di 3 persone parte in auto da Ancona per la contea di Iasi, nell’estrema parte nord-orientale della Romania. Sono del gruppo, Rosi e Sergio (coppia anche nella vita) ed Angela che ritorna a casa dopo 3 mesi di lavoro in Italia in cui ha assistito Nunzio, il babbo di Sergio.

Li attendono quasi 1800 km attraverso Italia, Slovenia, Croazia, Ungheria e Romania, prima che Angela possa riabbracciare sua figlia Lavinia di 10 anni, suo marito Juan ed il resto della famiglia che vive nel piccolo villaggio rurale di Poiana, nella municipalità di Deleni (a circa 80 km dalla città di Iasi), non distante dai confini con Ucraina e Moldova.

Come per gli atleti in vista di uno sforzo importante, così i primi 500 km del viaggio in territorio italiano sono una specie di stretching ambientale in preparazione di quello che, almeno per Rosi e Sergio, rappresenta forse il viaggio “tecnicamente” più impegnativo finora affrontato.

La stupenda giornata di sole invita a recuperare l’entusiasmo smorzato prima della partenza dagli accorati avvertimenti di alcuni familiari ed amici che ci hanno messo in guardia da tutti i rischi possibili ed immaginabili che dobbiamo affrontare (attenti alla macchina, alla criminalità diffusa, alle truffe, agli zingari, alle strade, ai cani randagi, ai poliziotti rumeni falsi …Ed a quelli veri, ecc.).

Ci consoliamo con le numerose testimonianze di italiani che negli ultimi 20-30 anni si sono frequentemente recati in Romania, soprattutto nella versione “più sportiva” del cacciatore di animali e di .. Ragazze, riportando racconti “entusiasmanti” di ogni tipo, alimentando gossip leggendari su inenarrabili conquiste sentimentali, snocciolando i nomi delle località sul mar Nero come se fossero state tra Rimini e Riccione, descrivendo i virtuosi effetti delle cure al gerovital.

Tutto questo, fregandosene sia del clima politico (ora fa comodo rimuoverlo dalla memoria collettiva ma, se ricordate bene, Ceausescu prima dell’ 89 era considerato dal resto d’Europa il più “illuminato” tra i plenipotenziari a capo dei paesi dell’est) sia del “trambusto” successivo alla caduta dell’URSS.

In questo “clima” si è autorevolmente aggiunto, per effimera coincidenza temporale, uno “strepitoso” reportage giornalistico mandato in onda Giovedì 20 Settembre 2007 nel TG della sera (tra servizi sulle nuove tendenze invernali della moda e le sofferte pene di amore di qualche personaggio televisivo), imperniato sulla devastante ferocia degli immigrati Rumeni in Italia e nel resto d’Europa, ormai padroni indiscussi della criminalità in ogni sua possibile declinazione, inevitabile risultanza di un popolo particolarmente incline a queste “attività”.

Bravo il Direttore del TG1 che dall’alto del suo delicato ruolo fornisce con zelo professionale un ottimo esempio di “giornalista” attento e fedele al mandato affidatogli dai “fabbricanti della paura”. In ogni caso questa descrizione puntigliosa dei Rumeni assomiglia tanto a quello che da anni pensano degli Italiani all’estero.

In località Fernetti, nei pressi di Trieste, varchiamo il confine con la Slovenia che attraversiamo quasi per intero fino alle vicinanze di Maribor. Per quel che si può intuire dall’autostrada la Slovenia si rivela una piacevolissima sorpresa; sembra tutto perfetto nella cornice di questa magnifica giornata di sole, le montagne carsiche, i boschi, i prati, i colori delle case, l’autostrada nuovissima, gli autogrill avveniristici. Ad Ormoz lasciamo la Slovenia ed entriamo in Croazia per un breve tratto di 40 km fino al confine Ungherese di Letenye da cui procediamo senza sosta verso il Lago Balaton; alle 19 siamo a Siofolk dove si pernotta presso l’Hotel Adler (48 € in tre, prenotato tramite “Venere.Com”) e si mangia un ottimo ed abbondante gulasch ungherese al “Piroska Csarda”, un ristorante molto ben curato a 200 metri dall’Hotel; oltre a gustare il cibo e la birra ci siamo goduti anche uno spettacolo di danze e canti popolari ungheresi animato da una compagnia di ballerini in costume tipico, accompagnati da un abile gruppo di musicisti (spesa sostenuta, l’equivalente di 26 € in tre).

E’ la prima volta che Angela dorme in un Hotel e cena in un ristorante. Domenica 23 Settembre si riparte alle ore 8.30 in direzione Budapest. E’ un peccato ignorare la capitale ungherese ma non abbiamo scelta se vogliamo rispettare la tabella di marcia. Si prosegue imperterriti per Szolnok e dopo oltre 200 km di monotona pianura intensamente coltivata con teutonica precisione entriamo finalmente in Romania da una delle “porte” principali, quella della città di Oradea che comunque non visiteremo per cercare di arrivare a Poiana il prima possibile. Oltrepassata la dogana facciamo uno stop tecnico prima di proseguire; in sequenza: “change” (10 “Lei” corrispondono grosso modo ad 1 €), acquisto della “Rovineta”, un bollino adesivo da apporre sul parabrezza dell’auto (con l’equivalente di circa 3 € hai la coscienza a posto per circolare una settimana sulle “fantasiose” strade rumene), adeguamento al fuso orario (+1 rispetto l’Italia), pieno di gasolio (costa poco meno che in Italia) e telefonata di Angela a Lavinia per comunicare l’avvenuto “sbarco” nel patrio territorio. Ripartiamo che sono le ore 15.00 (il “fuso” ci ha mangiato una preziosa ora di viaggio) consapevoli che ora si deve affrontare la parte più difficile.

L’attraversamento di Oradea è più complesso del previsto e rappresenta il primo contatto con ogni cosa: il primo carretto trainato dal cavallo, i primi lugubri e decadenti insediamenti industriali dell’epoca Ceausescu, i primi desolanti caseggiati di periferia dall’architettura “real-socialista”, il primo doloroso impatto delle ruote dell’auto sull’asfalto martoriato da buche, solchi longitudinali e laterali, rattoppi e cunette di ogni tipo, i primi gruppi di cani randagi che, rincorrendosi, attraversano sovrani la strada.

Ma la cosa che inaspettatamente rimane più impressa è l’incredibile ed inestricabile groviglio di fili sospesi tra pali, muretti, tralicci, agganciati ai palazzi; fili che si sovrappongono, che scendono, che salgano, che attraversano strade, cortili, spiazzi, giardinetti, incurvandosi impietosamente sotto il loro peso proprio; fili di ogni tipo, per ogni utilizzo, a tutte le altezze, per tutte le direzioni. La composizione artistica di uno scenografo folle.

Il nostro prossimo obiettivo è la città di Cluj Napoca distante circa 150 km a cui ci avviciniamo con una velocità di crociera di 50 hm/h, incolonnati frequentemente da TIR, pulman, vecchi trattori e gli immancabili carretti trainati da cavalli. Accumuliamo ritardo su ritardo rispetto alle pur peggiori previsioni, cosicché decidiamo di non fermarci a mangiare; ci alimentiamo a schiacciatine, biscotti ed acqua direttamente in auto.

Superato di poco l’abitato di Ciucea, subito dopo una curva leggermente in discesa l’auto che ci precede attiva i 4 lampeggiatori e rallenta fino a fermarsi; innanzi a noi si materializza un lungo serpentone di Dacia 1300, cloni di Trabant, improbabili Skoda di epoca antesignana, intercalate da moderni SUV giapponesi, Porsche Cayenne, BMW X5, TIR, autobus e pulmini a 9 posti; tutti con targa rumena. Siamo fermi e ci resteremo per almeno 40 minuti in attesa che la carreggiata venga liberata da un auto che si è rovesciata nel bel mezzo della strada senza aver causato, per fortuna, troppi danni a cose e persone.

Attraversiamo in sequenza veloce i villaggi agricoli che incorniciano la strada a lastre trasversali di cemento che conduce a Bistrita; sembra di viaggiare su rotaie con le ruote che trasmettono fedelmente alle sospensioni della nostra auto ogni solco delle giunture (a proposito, onore al merito per lo strepitoso comportamento della Renault Laguna SW che non ci ha mai tradito).

Di tanto in tanto si incontrano, purtroppo, “carcasse” di cani investiti dai veicoli.

E’ quasi completamente buio quando arriviamo a Bistrita e le mutate condizioni di visibilità ci obbligano ad uno sforzo di maggiore attenzione. La strada inizia a salire e l’asfalto a peggiorare; siamo ormai ai primi contrafforti dei Carpazi e l’ultimo villaggio ce lo siamo lasciato alle spalle ormai da diversi km. Ciononostante quando i fari dell’auto squarciano il buio rivelano l’incredibile movimento di questa prima notte rumena: individui in gruppo o solitari che camminano barcollando sul ciglio della strada, donne che ritornano probabilmente a casa dal lavoro nei campi, gli onnipresenti cani randagi per nulla intimoriti dal passaggio dei veicoli, i consueti carri trainati dai cavalli con inverosimili carichi sporgenti senza una torcia luminosa, catarifrangente o altra diavoleria a segnalarne la presenza.

Cerchiamo con l’auto di viaggiare il più possibile al centro della carreggiata quando si materializza all’improvviso una voragine proprio sulla mezzeria, senza nessuna indicazione o segnale di preavviso. Praticamente la strada è ora su 2 livelli con la parte destra ormai completamente priva di asfalto e di sottofondo che risulta essere più bassa di 30-40 cm rispetto alla corsia opposta. Per Istinto, fortuna o destino, sterziamo repentinamente a sinistra e percorriamo nel buio contromano alcune centinaia di metri lasciandoci sulla destra la voragine fino ad un punto in cui la strada si restringe ad unica carreggiata e diventa completamente “imbrecciata”. Sarà questa, più o meno, la condizione della strada per i prossimi 130 km fino a Cimpulung Moldovenesc, un festival di polvere e buche. Appena superato il valico di Pasul Thuta (1200 metri), mentre godiamo per un attimo la felice condizione di non avere veicoli che ci precedono e riusciamo anche ad immaginare il suggestivo paesaggio di boschi e gole delicatamente illuminato da una irripetibile luna piena, si materializza all’improvviso innanzi a noi un individuo barcollante dal passo incerto e lentissimo con in testa un cappello a larghe tese e probabilmente una giacca appoggiata sulle spalle; non ci sono villaggi o case isolate, è da poco passata la mezzanotte e la temperatura esterna è di 4 gradi. L’uomo, vede l’auto ma non si scansa. Riesco ad evitarlo solo perché evidentemente non è giunta la sua (o la nostra) ora. Ancora adesso non sappiamo se quell’uomo era Dracula o un suo parente stretto.

Alle ore 1 del mattino l’ingresso nella città di Suceava pone fine al tormentato percorso.

Ci aspettano ancora 120 km e quasi 2 ore di viaggio. Non sentiamo più neanche la stanchezza.

Finalmente arriviamo a casa di Angela. Sono le 2.30. Gli ultimi 3 km di strada, da Deleni al villaggio di Poiana, sono di nuovo sterrati. Il villaggio è immerso nel buio ed a stento si intuiscono ai lati della strada i profili di alcune case molto basse. Ci aspettano solo Juan, Lavinia e soprattutto l’esuberante Valeria, la suocera di Angela, una contadina di origine russo-ungherese di 53 anni che senza sapere una sola parola di italiano ci sommerge con un loquace e “disarticolato” discorso di benvenuto. Ci godiamo il caloroso abbraccio di Angela ai suoi familiari e constatiamo che il buio non riesce a celare la bellezza e la grazia delicata di Lavinia.

Sistemiamo l’auto nel cortile di Valeria senza scaricare i bagagli e ci incamminiamo a piedi verso la casa di Angela con Juan che ci fa strada con una torcia elettrica per un sentiero scosceso a rischio rottura caviglie. Finalmente si può riposare, non prima però di aver adempiuto a turno ai legittimi bisogni fisiologici nella latrina di legno ubicata nell’orto dietro alla casa.

Quando gli occhi si riaprono non sono passate molte ore; alle 7.45, l’accecante luminosità di una nuova stupenda giornata di sole irrompe dalle finestre prive di scuri o persiane senza lasciare scampo; bisogna alzarsi. Alla luce del giorno il villaggio ci appare come un arcaico paesino rurale sviluppato lungo l’unico stradone sterrato (al tempo di Ceausescu, racconta Angela, era asfaltato) con alcuni sentieri scoscesi disposti ortogonalmente “a pettine” rispetto alla strada principale. Le case sono quasi tutte uguali; un basso volume rettangolare (generalmente 4 stanze con un piccolo corridoio centrale) con i muri fatti di terra, fango, acqua, pagliericcio e sterco di cavallo ed il tetto di lamiera o in “eternit”. Il pavimento, in terra battuta, è coperto da coloratissimi tappeti plurimi sovrapposti; si entra in casa senza scarpe che vengono lasciate esternamente in prossimità della porta di accesso. Non c’è gabinetto ne acqua corrente (non c’è proprio l’acquedotto) ma soltanto alcuni pozzi da cui si attinge, con i secchi, l’acqua che si usa per la precaria igiene personale.

I più fortunati (tra cui la famiglia di Angela) possono disporre da circa 2 anni della corrente elettrica; le scatole dei contatori, appese generalmente sul muro esterno delle case in prossimità della porta di ingesso, riportano sul coperchio la scritta “RENEL”. Si può notare in molti casi la presenza, subito dopo il contatore, di prolunghe aeree volanti che danno elettricità alle casa del vicino (generalmente un familiare) in modo da contenere i costi, stipulando un solo contratto.

Naturalmente, per prima cosa, dove c’è corrente… C’è televisione, (inevitabile, immarcescibile televisione) anche satellitare e con lettore DVD… Poi, in alcuni casi anche il frigorifero con il congelatore. Per le fredde giornate invernali il riscaldamento è diffusamente affidato a stupende stufe piastrellate in ceramica ed alimentate a legno o altri derivati vegetali (fogliame vario).

Con il fogliame delle pannocchie, opportunamente lavorato, si imbottiscono materassi, poltrone e divanetti. Costruirsi una casa di questo tipo può costare l’equivalente da 3.000 a 5.000 euro.

Il pensiero va a Juan che con l’equivalente di 200 euro al mese si ritiene fortunato per avere un ottimo salario, corrispostogli per lavorare come operaio sul rifacimento della tratta ferroviaria Costanza – Bucarest; e poi il pensiero va ai genitori di Angela che hanno una pensione equivalente a circa 60 euro al mese.

Si trascorre la giornata nel villaggio tra la comprensibile curiosità degli abitanti che sono ben lieti di cogliere questa “novità” per modificare in parte le consuete abitudini ed incombenze quotidiane. Osservando la gente ed i tratti somatici dei loro volti sembra di trovarsi nel punto di incontro tra 2 distinte etnie; da una parte individui con carnagione ed occhi chiari, capelli generalmente biondi, statura medio-alta e dall’altra quella invece che si avvicina di più ai tratti tipicamente Rom.

Tutti comunque condividono abitudini e necessità, hanno in comune gli stessi problemi e difficoltà, vivono nello stesso tipo di case e, come in ogni comunità che si rispetti, sviluppano anche gelosie, diffidenze ed opportunismi a vario titolo.

Anche se Lavinia è stata per un giorno esonerata, tutti i bambini sono già andati a scuola (impiegano 20-30 minuti a piedi per raggiungerla), mentre la maggior parte di uomini e donne sono al lavoro nei campi oppure a Bucarest e le altre città del centro – sud a lavorare generalmente come operai nelle imprese che stanno cercando di dare alla Romania strade e ferrovie di concezione più europea. Sono molti inoltre i nuclei familiari con almeno un congiunto che lavora all’estero, principalmente Francia, Italia, Spagna, Belgio, e Germania. Di contro, sono molti anche gli italiani che hanno iniziato a fare investimenti nella zona, come nel settore della lavorazione del legno e acquistando aziende vinicole (di pregio il vino di Cotnarj); c’è perfino chi ha acquistato un museo naturalistico con annesso campeggio e bungalow (non in funzione…).

Quando nel pomeriggio giunge il momento dei saluti la commozione, come facilmente prevedibile, prende il sopravvento su ogni altra cosa. Pensiamo alla grande umanità e dignità che queste persone ci hanno trasmesso, mantenuta a dispetto del grande disagio nel quale sono costretti a vivere, condizionati dalla totale assenza di acqua corrente e delle più elementari norme igieniche, costretti ad una forte promiscuità con animali da lavoro e da cortile, nella morsa apparente degli eventi causati da uomini e stagioni. Ci piace immaginare che fra un anno sia stato realizzato l’acquedotto, asfaltata la strada, illuminato il paese… Ma temiamo che sarà più facile veder loro con nuovi sofisticati telefonini, segnale di un “progresso” frutto esclusivo di dolorosa emigrazione nel resto d’Europa. Si parte da Poiana alla 16.30 con l’obiettivo di giungere a Bicaz prima di sera. Ora che abbiamo salutato Angela e la sua famiglia siamo liberi di costruirci la vacanza come meglio crediamo, tuttavia decidiamo se possibile di evitare di viaggiare con il buio. Ci sono da percorrere circa 140 km attraverso un suggestivo paesaggio agricolo caratterizzato da un ampia e curata pianura intercalata ogni tanto da basse colline tondeggianti. I vigneti sono molto diffusi in questa zona come testimoniato anche dall’elegante architettura dell’edifico che è sede dell’azienda vincola Cotnarj, visibile dalla strada che collega Hirlau a Tirgu Frumos.

Come previsto arriviamo a Bicaz alle 19 e troviamo una sistemazione per la notte in un Hotel vicino alla imponente diga che forma il lago Bicaz; siamo ai primi contrafforti orientali dei Carpazi e la zona si presta molto bene anche per gli appassionati di escursionismo alpino. Siamo sfiniti perché di fatto sono 2 giorni che non dormiamo (e non ci laviamo) ed abbiamo sulle spalle oltre 2000 km. Fortunatamente l’Hotel è molto confortevole (con l’equivalente di 30 euro prendiamo una camera doppia) ed effettua anche servizio ristorante. Il nostro progetto è quello di visitare l’indomani le gole di Bicaz ed il Lacul Rosu (lago Rosso), a soli 30 km di distanza, percorrendo una strada che sfrutta il canyon naturale scavato tra le montagne da un torrente attraverso pareti di calcare alte oltre 300 metri.

Siamo nel massiccio del Ceahlau e quando la strette pareti della gola si allargano lo scenario che si presenta è ancor più bello: siamo ormai ad un altitudine di oltre 1000 metri e, agevolati dalla bella giornata di sole, possiamo godere di boschi e pascoli con tutte le gradazioni del verde fino a giungere in un pianoro apparentemente piccolo che risulta essere invece la culla del Lago Rosso, così denominato per via dei numerosi ceppi di alberi morti che sporgono per alcune decine di centimetri dal livello dell’acqua. Considerando che siamo di fronte ad un fenomeno ritenuto naturale (in realtà forse causato ai una frana nel corso del XIX secolo) c’è di che rimanere stupiti.

La zona è ricca di hotel ed altre attrezzature per turisti; si possono noleggiare anche piccole barche per fare un giro sulle torbide acque del lago.

Lasciamo questo paradiso ed entriamo finalmente in Transilvania per la contea di Hargita. Vogliamo raggiungere il baricentro geografico (e non solo) della Romania, cioè la città di Brasov.

Alcuni km dopo Gheorgheni appena oltrepassata la località di Izvorul Muresului ci appare inaspettato sulla sinistra il bianco candore dei caseggiati dell’omonimo monastero. Gli edifici restaurati sembrano appena stati tinteggiati con calce mediterranea mentre la cura e perfezione geometrica dei giardini, associata all’assordante silenzio imperante nel cortile, contrasta con i villaggi e le campagne che abbiamo finora attraversato. Non sembra esserci nessuno. All’interno della cappella, completamente dipinta di colori vivacissimi raffiguranti scene dalla vita di Cristo, troviamo invece una giovane suora compostamente seduta con un drappo nero sulla testa. E’ lì per vendere le belle icone intagliate in legno e dipinte con gusto ed eleganza dalle monache stesse che, se non abbiamo capito male, sono un po’ maestre in tutte le arti e mestieri.

A Miercurea Ciuc, più o meno a metà strada, lo stomaco inizia a protestare e decidiamo per una sosta – pasto veloce. Dopo alcuni minuti di vagabondaggio in auto non troviamo niente di meglio che parcheggiare in prossimità della stazione ferroviaria dove saltano all’occhio la presenza di alcuni baracchini con eloquenti immagini di panini e bibite. Il piazzale della stazione non è asfaltato, forse lo era, non si capisce bene, e la leggera brezza che mantiene sgombero il cielo dalle nuvole solleva la polvere macinata dalle ruote dei numerosi veicoli in transito. Da queste parti la popolazione è al 90% di origine ungherese, secolare questione di antenati, motivo per cui tutte le scritte, cartelli stradali ed altre indicazioni sono riportate in entrambe le lingue (la rumena dopo).

Appena addentiamo il nostro panino si avvicina una ragazza dai tratti somatici tipici dei ROM porgendo le mani come per chiedere l’elemosina. Rosi tira fuori qualche “Lei” ma la ragazza non vuole il denaro… e guarda il panino. Condividiamo il pasto anche con lei.

Finalmente arriviamo a Brasov, definita da tutte le guide la piccola Praga per le sue atmosfere Bohemiens. Veramente per chi proviene da nord il primo impatto non è per niente bello. La periferia di Brasov assomiglia a quella di tutte le altre grandi città rumene che abbiamo attraversato finora. Come se una quarantina di anni fa , un solo architetto abbia disegnato un solo palazzone di 8-10 piani, costruito poi contemporaneamente in tutte le periferie delle città rumene (usando solo il cemento per tinteggiare i muri). Attraversiamo l’estesa cintura periferica (la città conta oltre 300.000 abitanti) fino ad arrivare quasi a ridosso della montagna che da sud, molto probabilmente, ha protetto negli anni con i suoi ripidi e verdi versanti ogni tentativo di stupro urbanistico ed architettonico in quella direzione. Ed infatti giungiamo nella città vecchia, incastonata come una gemma preziosa nel pianoro tra i lussureggianti versanti della montagna. La parte pedonalizzata del centro storico con le belle piazze adiacenti la Chiesa “Negra” , le fontane, i bar con poltroncine in vimini e cuscini bianchi, il passeggio della gente, ci trasmette un atmosfera modaiola molto simile a quella che ben conosciamo anche in alcune città italiane. Al di là degli edifici restaurati del centro storico di chiara matrice sassone, per il resto si respira un aria singolarmente familiare; i volti delle persone, i modi di relazionarsi, il traffico caotico delle vie a ridosso della zona pedonale, il capolinea degli autobus, il parcometro… Si, sembra proprio di stare in Italia.

Ma quello che attrae di più i flussi turistici, soprattutto d’inverno, si trova a circa 15 km da Brasov attraverso una panoramica strada in salita. Ci riferiamo a Poiana Brasov, definita da alcuni la “Cortina d’Ampezzo” rumena. In effetti il luogo è molto suggestivo e curato in un contesto che a oltre 1000 metri di altezza ricorda i migliori paesaggi alpini, dotato di impianti di risalita (la cabinovia porta a quota 1800 metri), un discreto comprensorio di piste da sci, alberghi, ville, strutture ricettive, centro servizi e centro commerciale (semichiuso in questo periodo). Il posto ci piace così tanto, complice il sole ruffiano, che decidiamo di farlo diventare il nostro quartier generale (si fa per dire) per gli ultimi giorni di vacanza.

Ci abbandoniamo anche nelle mani dello chef del Coliba Haiducilor, ristorante super raccomandato da tutti, dove decidiamo di assaggiare le varietà di Ciorba (zuppa) e Mamaliga (polenta) preparate. Il ristorante è davvero molto particolare con la sua suggestiva struttura in legno con tanto di scenografica scala esterna; le pareti interne sono tappezzate da pelli di animali di ogni specie, (forse, in memoria di un vero e proprio genocidio) accanto alle quali “riposano” appese armi di ogni tipo (fucili, pistole, sciabole, archi, coltellacci), probabilmente responsabili ognuna del tragico destino delle “povere bestie”. Al centro del ristorante troneggia, come un altare, un maestoso camino che è anche il punto di riferimento della compagnia di suonatori che allieta le serate con musiche popolari. Tuttavia il nostro approccio con il ristorante non è stato proprio lineare; dapprima non riusciamo ad aprire la pesantissima porta di accesso (badate bene occorre tirare con entrambe le mani) poi, una volta dentro, non raccogliamo uno straccio di sorriso “di benvenuto” da nessuno dei camerieri presenti. Per un po’ siamo ignorati e dopo una certa attesa (e un po’ di disagio perché siamo sulle veloci traiettorie dei camerieri) quello che sembra il “veterano” del gruppo ci viene incontro e, con un sbracato e plateale sorriso, ci indica dove sederci. Sarà l’unico “sorriso”. Nel giro di 5 minuti prendono l’ordine; altri 10 minuti e ti servono al tavolo; 20-30 minuti per consumare l’ottimo cibo e brindare con l’ultimo goccio di vino o birra dopodiché, se non tocchi più la forchetta per ulteriori 5 minuti, il cameriere ti sparecchia e ti guarda in “modo strano”. Insomma volendo in meno di un ora sei già fuori e, tutto sommato, a noi va bene così anche perché si mangia davvero bene e la spesa, per quanto maggiore rispetto ad altri luoghi, è ampiamente sostenibile (30-35 euro in due).

Poiana Brasov è’ anche un ottima base strategica perché in “relativo” poco tempo consente di raggiungere agevolmente, oltre alla città di Brasov, anche le località di Bran dove è ubicato il famigerato castello di Dracula e le zone più suggestive dei Carpazi Meridionali; inoltre, per coloro che prediligono le vacanze “stanziali” a quelle “itineranti”, rappresenta un ottima soluzione per escursioni di una giornata a Sighisoara, Sibiu, Pitesti e, per i più “temerari” anche dalle parti di Bucarest.

Per evitare di rimanere con la curiosità sospesa e “soffrire” di postumi rimpianti, decidiamo di visitare il castello di Dracula che troneggia su uno sperone di roccia dominante la piccola località di Bran. Nonostante l’impatto ci ricorda un po’ l’atmosfera che si respira nella nostrana San Marino il castello è davvero bello, tenuto molto bene e circondato da un parco molto curato. Peccato che non intimorisce per niente, anzi sembra proprio un luogo molto ospitale. La visita del castello non è molto agevole, sia se si vuole praticare da soli che in gruppi organizzati con guida. Gli spazi ridotti, i percorsi obbligati ed i passaggi (tra cui uno “segreto”) non sono molto consigliabili a chi mal sopporta la ressa. Ed infatti, a metà del giro, rimaniamo immischiati in un “ingorgo” formato da un gruppo di vacanzieri turchi (Istanbul non è poi così lontana…).

Bran è anche il luogo ideale per i souvenir o per fare acquisti di prodotti artigianali, tappeti, tovaglie, tessuti colorati, oggetti in legno, impagliati, di ceramica, di vetro, improbabili strumenti musicali quadri e tele dipinte (alcuni hanno allestito anche dei piccoli atelier).

Inoltre, naturalmente, tutto quello che la fantasia umana è riuscita a generare nei secoli sul conte Vlad, dal portachiavi al lampadario, dal quaderno scolastico all’eccitato Dracula, (“bambolotto” che indossa un impermeabile nero “sbottonato” che, al battito delle mani, … allarga le braccia..).

Naturalmente non può mancare nel bazar tutto il restante merchandising omologo in ogni parte del globo, dal telo mare Coca Cola alla tartarughina verde che muove la testa, passando per la maglietta del Che… Noi rimaniamo colpiti anche da una scritta in italiano: Pizzeria Bella Italia. Decidiamo di regalarci una pizza ben consapevoli che sarà soltanto un’imitazione. In ogni caso il posto è gradevolmente familiare, gestito da ragazzi rumeni molto cortesi (che non parlano italiano) e la pizza anche se “strana” per forma e spessore è di sapore apprezzabile. Risultato finale per 2 pizze e Coca Cola, 22 “lei” (cioè 7 euro in 2).

Ci allontaniamo da Bran e dopo appena 12 k, nonostante il fresco ricordo del castello di Dracula, ci compare di fronte, sorprendendoci, la visione della cittadella medioevale di Rasnov, appollaiata su una strategica altura panoramica, con le mura esterne e parte consistente degli edifici interni completamente restaurati. Vale davvero la pena di fermarsi, anche per godersi la bella passeggiata nel bosco che la circonda dalla parte meridionale.

L’ultimo giorno di quiete vacanziera prima del tour de force per il ritorno in Italia decidiamo di trascorrerlo a Sibiu che quest’anno è stata designata capitale europea della cultura; di questa nostra scelta, la città ci ripaga ampiamente. Seppur più piccola di Brasov, Sibiu trasmette alla pari (se non di più) la sensazione di essere in una città che, almeno in questo “suo” momento, riesce a sintetizzare nello stesso tempo le “cose” migliori della Romania e dell’Europa. Prima ancora di apprezzare la bellezza degli edifici restaurati, i coreografici getti delle fontane, la contenuta ed elegante presenza di esercizi commerciali, le discrete opportunità per trascorrere piacevolmente il tempo libero, la città offre una incredibile atmosfera di “civiltà” a vera misura d’uomo, riflessa tra l’altro anche sull’apparente tranquilla serenità dipinta sui volti della gente. L’armonia di un equilibrio che sembra escludere gli eccessi di ricchezza e di povertà. Nell’originale sistema di pedonalizzazione del centro storico trovano posto un numero contenuto di negozi ed hotel ma anche di banche ed uffici pubblici. Per i servizi c’è tutto di uno (farmacia, poliambulatorio, ecc.) mentre le panchine e l’offerta di bar, molti all’aperto, invitano a rallentare ogni ritmo.

Nessuno chiede l’elemosina. Nelle vicinanze del box per le informazioni turistiche, troviamo in bella mostra un grande manifesto: 30 Agosto 2007 – ore 21 – Piata Mare (Piazza Grande) – concerto dei Jethro Tull, con sotto l’inconfondibile e ormai storica sagoma di Ian Anderson che suona ispirato il suo flauto traverso.

Quando arriviamo a Piata Mare ci viene la pelle d’oca; la piazza è molto grande, naturalmente bella e soprattutto sembra appena “finita di costruire”. Ce la immaginiamo piena di gente, ragazzi e meno ragazzi, rumeni e meno rumeni, quando in quella notte di Agosto si sono spente le luci che illuminano la piazza e le note di “Aqualung” hanno iniziato a vibrare nell’aria.

Ecco perché non hanno tolto il manifesto pur essendo trascorso quasi un mese dal concerto: non è una dimenticanza, molto probabilmente è il ricordo di un momento indelebile per la città. Ce ne torniamo dunque in Italia con negli occhi quest’ultima immagine della Romania.

Al nostro arrivo troveremo ancora più accesa la “querelle” sulla criminalità degli immigrati, con riferimenti più o meno espliciti e confusi a Rom e Romania (ed altri popoli ormai “sfigati” …).

E pensare che noi Italiani assomigliamo davvero tanto ai Rumeni… Speriamo che Sibiu possa simbolicamente rappresentare l’inizio del “riscatto” per questo paese e per il suo popolo, esempio di feconda ed equilibrata contaminazione europea senza snaturare le preziose caratteristiche autoctone.

Diversamente da quello che ora sta accadendo in altri luoghi della Romania, dove sembra che ad entrare sia solo il peggio dell’Europa con i sui aspetti di sfruttamento senza scrupoli di ogni risorsa, dove è lecito ogni abuso speculativo e dove, per endemica contrapposizione, ci viene restituito direttamente al nostro domicilio il peggio da loro prodotto.



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