Ricordi del Dodecaneso…

Alla scoperta di Karpathos, Calchi e Kastellórizo
Scritto da: giubren
ricordi del dodecaneso...
Partenza il: 12/07/2019
Ritorno il: 29/07/2019
Viaggiatori: 2
Spesa: 2000 €
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Il nostro volo interno per l’isola di Karpathos parte in serata, abbiamo così un’intera giornata ad Atene. È un’ottima occasione per visitare il Museo Archeologico Nazionale, il più importante al mondo per le opere di arte ellenica custodite all’interno di un edificio neoclassico di fine 800. La collezione spazia dalle eleganti sculture arcaiche dei kouroi a quelle di origine egiziana e romana. Pregevoli statue in marmo o di bronzo esaltano l’ideale di bellezza classica in voga nelle epoche passate che costituisce un punto di riferimento senza tempo. Ci si imbatte in famosissimi reperti, immancabilmente fotografati in ogni libro di storia dell’arte che si rispetti: dal tesoro di Micene agli affreschi minoici di Akrotiri, la cosiddetta “Pompei” dell’isola di Santorini sepolta dalle ceneri dell’eruzione. Particolarmente interessante la sala dedicata alla misteriosa macchina di Antikythera, un elaborato computer ante litteram risalente al I secolo a.C. che veniva utilizzato quale calendario solare e lunare, oltre che per calcolare le date dei giochi olimpici. Stupisce la complessità del meccanismo con ruote dentate che in Europa sarebbe stata replicabile soltanto nei 1000 anni successivi per la costruzione degli orologi.

Atterriamo a Karpathos di notte e raggiungiamo Pigadìa, il capoluogo dell’isola. Il nome di Karpathos (o Scarpanto) rimanda alla sua morfologia, caratterizzata da montagne di roccia che digradano ripide sul mare. È la seconda isola del Dodecaneso per grandezza dopo Rodi e si trova ai margini sudorientali dell’arcipelago assieme a Kasos. La posizione appartata rispetto alle rotte marittime principali determinò una sorta di letargo durante la lunga dominazione ottomana mentre nei secoli precedenti era stata spesso contesa tra genovesi, veneziani e l’ordine cavalleresco di San Giovanni. Nel 1912, a seguito della guerra italo-turca per il possesso della Libia, Scarpanto con la vicina Caso viene annessa all’Italia (con il resto del Dodecaneso), per poi passare alla Grecia al termine del secondo conflitto mondiale. Pigadìa non è particolarmente attraente, essendo cresciuta in maniera disordinata nel corso degli anni ’60 e ’70 con palazzi a più piani senza uno stile particolare, tuttavia si concentrano in questo luogo locali e ristoranti che la rendono vivace di sera.

Un tempo meta inconsueta, oggi Karpathos è frequentata da moltissimi turisti grazie ai collegamenti diretti con vari Paesi. La maggior parte dei visitatori sono italiani per i numerosi voli provenienti dagli aeroporti del nord. L’ex Palazzo del Governo italiano, nel tipico stile razionalista ingentilito da archi e linee deco’, è oggi sede della prefettura. Sorge in un piccolo promontorio sul porto assieme ad altri due edifici laterali. In quello che un tempo era la caserma dei carabinieri ha sede oggi il locale museo archeologico che, in un paio di stanze, ospita manufatti risalenti al Paleolitico fino all’epoca Paleocristiana.

Tra i diversi locali in prossimità del lungomare, spicca il piccolo Caffè Karpathos, altrimenti noto come “Angolo Italiano”. Si tratta del cafènio più vecchio di Pigadìa ed un tempo l’unico esistente nella cittadina. Si instaura con il proprietario Michalis una forte intesa, grazie ai ricordi paterni reciproci che riaffiorano relativamente all’epoca italiana e che ormai, con il passare del tempo, non hanno quasi più testimoni diretti che possano raccontarli. Il padre di Michalis parlava perfettamente italiano, avendolo studiato a scuola quando la nostra lingua era l’idioma ufficiale delle isole del Dodecaneso. Negli anni ’70 il padre di Michalis era solito ricevere i visitatori italiani nel suo cafènio, che aiutava non solo per dare le informazioni sull’isola ma anche per tutti quei problemi pratici o di salute in cui potessero incappare. L’Angolo Italiano così rappresentava un punto di riferimento dei nostri connazionali prima dell’esplosione del turismo moderno. I reduci del secondo conflitto mondiale, tornando a Karpathos, erano soliti incontrarsi in questo luogo raccolto per parlare del loro passato.

Durante la guerra, le Isole Italiane dell’Egeo vennero militarizzate e rafforzate con l’invio di numerosi soldati poco più che ventenni, molti dei quali provenienti dal sud. Questi giovani, originari delle campagne e dei poveri centri meridionali, erano estranei alla baldanza colonialista del Fascismo e ben presto si trovarono a familiarizzare con la popolazione locale con la quale si instaurò un rapporto intenso e fraterno. Con l’occupazione tedesca, gli italiani che decisero di non collaborare con la Germania furono deportati a Rodi e qui non avvennero le terribili stragi come a Cefalonia o a Coo. Il ricordo dell’appartenenza dell’isola all’Italia non sembra aver lasciato ricordi negativi: Michalis mi racconta che nel 1912 gli italiani sbarcarono a pochi metri dal suo locale con una nave da guerra, ottenendo la resa dell’autorità turche senza la necessità di combattere. Suo padre, probabilmente affezionato ai ricordi giovanili, si prodigò per salvare ciò che restava dell’ex cimitero italiano, inviando regolarmente delle petizioni presso i ministeri italiani dai quali purtroppo non ha mai ricevuto risposta. Ad un paio di chilometri dal centro, resta di quel cimitero un piccolo terreno in stato di degrado ed abbandono, recintato da muri perimetrali in rovina e con un cancello d’ingresso dove rimangono soltanto i due piloni di sostegno. Su un piccolo altare invaso dalle erbacce, giace una croce spezzata crollata circa 4 anni fa. I resti dei defunti sono ormai stati traslati in Italia nel 1948, ma questo sito lo si sarebbe voluto trasformare in un luogo della memoria; sarebbe bastato un piccolo sforzo economico per realizzare il desiderio del padre di Michalis ed è sorprendente che certe iniziative cadano nel completo disinteresse delle nostre autorità. Mi piacerebbe aiutare Michalis a realizzare il desiderio del padre a cui sembra tenere molto, anche se ormai c’è davvero poco da salvare.

Nell’Angolo Italiano viene servito il caffè con le moka: la prima Bialetti venne regalata dagli italiani alla nonna di Michailis e così è continuata quella tradizione fino ai giorni nostri. La madre, ormai rimasta vedova, è una donna vivace dai profondi occhi color del mare. Al collo porta una catena d’oro con la croce di Karpathos, realizzata in filigrana ed ispirata a quella etiope. Negli anni ’30 infatti l’Etiopia venne conquistata da Mussolini e diversi greci del Dodecaneso si recarono in quel lontano Paese per la realizzazione di ponti ed infrastrutture… davvero interessanti le influenze culturali che hanno unito in quel periodo dei mondi così distanti.

Per esplorare l’isola conviene affittare una macchina, visto la sua forma allungata ed i percorsi a tornanti ed in salita. Le strade sono in buone condizioni anche se piuttosto strette ed attraversano verdeggianti pinete lungo la costa dove spira una brezza profumata di resina e mentuccia. Si aprono meravigliosi panorami sulle spiagge della costa orientale, dai ciottoli chiari e calme acque cristalline.

Sono facilmente raggiungibili, anche se più affollati, i litorali di Achata, Kirya Panagia e Apella situati nella zona centrale. Apella è forse quello più spettacolare per le invitanti sfumature delle acque anche se Diakoftis, nell’estremità meridionale e nelle vicinanze dell’aeroporto, le contende il titolo della spiaggia più scenografica.

Diakoftis si raggiunge attraverso un facile sterrato ed è contornata da due promontori: su Kape Kastello è possibile passeggiare tra ciò che resta di fortificazioni militari italiane realizzate nel corso del secondo conflitto mondiale. Sulla collina assolata, sono sparse diverse mura in rovina di vecchie caserme, bunker con gallerie scavate nella roccia, trincee e, nei punti più elevati, circoli di pietre di postazioni di contraerea.

Nella costa occidentale le spiagge sono per lo più di sabbia. Le acque sono altrettanto invitanti ma più spesso increspate per le correnti che soffiano su questo versante di Karpathos.

Presso Arkassa, nella spiaggia di Agios Nikolaos, si scorge la sagoma della vicina Kasos che purtroppo non siamo riusciti a visitare per mancanza di tempo. Kasos pare sia rimasta cristallizzata negli anni ’70 ed ha risentito poco dello sviluppo turistico per la sua posizione remota.

Nei pressi della spiaggia ci sono un’antica acropoli ed i resti della basilica paleocristiana di Agia Sophia risalente al V secolo. Rimangono tracce dei pavimenti a mosaico e colonne che un tempo sorreggevano le navate.

Più a nord, c’è il piacevole villaggio di Finiki, noto per i suoi ristoranti di pesce, e Lefkos con cinque diverse baie da esplorare oltre alla cisterna romana. Quest’ultima, in buono stato di conservazione, mantiene il tetto di pietra con i pilastri originali ed una scala che conduce al vano inferiore per attingere l’acqua.

Tra i villaggi più interessanti dell’entroterra, Ménetes si caratterizza per le sue abitazioni color pastello che si ammirano dal sagrato della sua grande chiesa seicentesca.

Il villaggio di Olympos, nell’estremità settentrionale, è stato a lungo uno dei segreti meglio custoditi di Karpathos. Nascosto da impervie montagne, il villaggio fu costruito in quel luogo dai suoi abitanti per difendersi dai pirati, rimanendo isolato dal mondo esterno.

Il dialetto locale ha così conservato inflessioni dialettali addirittura di origine dorica.

Da Pigadìa ci vuole più di un’ora per raggiungerlo e la strada – relativamente recente – è preferibile percorrerla di giorno visto che spesso delle pietre rotolano sulla carreggiata.

Le anziane indossano gli abiti tradizionali e, sorprendentemente, parlano anche un buon inglese per attrarre i turisti che si recano in giornata a visitare Olympos con escursioni organizzate. Raccontano che, quando ancora non esisteva la strada asfaltata, occorreva più di un’ora a piedi per poter raggiungere il porto di Diafani. Molte non si allontanavano mai dal villaggio, che sopravviveva autarchicamente di agricoltura e pastorizia. Sono sopravvissuti i lavori tradizionali dei merletti e nei negozietti si vende il sapone fatto in casa ed il miele prodotto localmente.

Per poter apprezzare meglio questo luogo, conviene trascorrervi almeno una notte per visitalo con tranquillità ed ammirare gli spettacolari tramonti. Arrivati nel tardo pomeriggio, quando ormai le orde dei gruppi organizzati hanno fatto ritorno, raggiugiamo l’Hotel Aphrodite. Il proprietario Nikos, dopo essere emigrato negli USA, è riuscito a rinnovare la sua locanda Parthenon, gestita da generazioni della sua famiglia, ed a costruire l’albergo su un piccolo terreno appartenuto a suo nonno.

Stanze semplici con piccoli balconi si affacciano sull’infinito orizzonte dell’Egeo e sulle case del villaggio, disposte ad anfiteatro lungo le scoscese pareti della montagna per non fare ombra l’una all’altra.

Lungo le stradine, piccole chiesette e mulini in rovina, tranne l’unico ancora funzionante del ristorante Milos dove i pochi turisti che si fermano in questo luogo incantato si ritrovano per assaggiare il semplice cibo tradizionale tra cui i “makarounes”, una pasta fresca di acqua e farina.

L’isola di Saria è raggiungibile con un’escursione in barca. Si trova immediatamente a nord di Karpathos, separata da un braccio di mare di 100 metri apertosi a seguito di un terremoto. Saria è oggi disabitata, ma un tempo era sede di pirati saraceni ed i resti del loro villaggio sono chiaramente visibili nei pressi della spiaggia di Palatia. Dalla spiaggia si scorge su una rupe la bianca chiesetta di Agios Zacharias, raggiungibile con un percorso di 40 minuti che attraversa un canyon ed il villaggio fantasma di Argos abbandonato dai pastori negli anni ’70.

Tra le isole più piccole del Dodecaneso, Calchi assieme ad Alymia ed altri scogli disabitati costituisce un micro-arcipelago lungo la costa ovest di Rodi. Nonostante la vicinanza con l’affollatissima Isola delle Rose, Calchi è estremamente tranquilla per le sue ridotte dimensioni oltre che per la completa assenza di agenzie di noleggio di veicoli. Il suo nome deriva dalle antiche miniere di rame.

Emboriò, capoluogo ed unico centro abitato, si è sviluppato lungo la baia a ferro di cavallo con le sue case in stile neoclassico dai colori pastello ed i balconi in ferro battuto. Sulla facciata si apre un foro (il tradizionale “occhio”) che consente il ricambio dell’aria nelle abitazioni.

Le spiagge di Pondamos e Ftenagia sono a breve distanza dal porto e possono essere raggiunte a piedi, esiste però un servizio navetta abbastanza frequente che consente ai visitatori di arrivare più facilmente a Kania. Si tratta di piccole calette sabbiose ed attrezzate che, in certi momenti, possono risultare affollate visto gli spazi ridotti.

Le acque sono limpidissime anche ad Emboriò, per cui nella zona a sud della baia delle scalette sulla roccia consentono ai villeggianti di accedere al mare direttamente dalle loro case.

Il porto è il luogo preferito per le passeggiate serali dove si concentrano i ristoranti tradizionali.

Di fronte al molo, c’è l’ufficio postale di edificazione italiana dipinto di giallo, una salita alle sue spalle conduce al dimarkio ottocentesco e alla torre dell’orologio, costruita grazie alle rimesse degli isolani emigrati negli USA. La chiesa di Agios Nikolaos ha il campanile più alto del Dodecaneso ed una pavimentazione esterna a realizzata con ciottoli di fiume bianchi e neri.

Nell’entroterra ci sono diversi piccoli monasteri, quello più lontano dedicato a San Giovanni si trova a circa 10 chilometri da Emboriò ed è piuttosto complicato raggiungerlo a piedi anche perché le strade, pur essendo asfaltate, sono in salita e faticose da percorrere sotto il sole cocente. Conviene organizzarsi per tempo per visitare almeno il vecchio capoluogo abbandonato di Chorio, situato nel centro dell’isola dove si trova il Castello dei Cavalieri di San Giovanni.

Chorio era abitato sin dall’epoca classica, rimangono ancora tracce consistenti dell’antica cerchia muraria ellenistica e, lungo il sentiero in salita, si incontra l’arcaico trono di Zeus e di Ekhate scolpito nella roccia, un luogo per offerte votive alle due divinità i cui nomi compaiono nella parte inferiore dei sedili.

Il castello, dall’ingresso monolitico, evidenzia come sia stato realizzato su resti preesistenti e più antichi. All’interno della cinta fortificata è stata interamente ricostruita la piccola chiesa di Agios Nikolas. Dai contrafforti si ammira la vista su tutto il versante meridionale di Chalchi oltre che sulle isolette vicine e su Rodi.

Kastellorizo, l’ultimo avamposto orientale di lingua greca prima di Cipro. Il suo nome è una storpiatura dell’italiano “Castelrosso”. Furono i Cavalieri di San Giovanni ad averla battezzata così per il colore vermiglio della roccia locale con la quale avevano costruito una fortezza sul porto e di cui oggi resta un torrione solitario. I greci la chiamano anche Megisti (i turchi Meis), essendo la maggiore per dimensioni rispetto ad altri due scogli disabitati di Rho e Strongyli che l’affiancano a pochi chilometri dalla costa turchese.

Kastellorizo in effetti è la più distante tra le isole elleniche e si raggiunge con 3 ore di traghetto da Rodi, mentre il porto turco di Kas è a soli 40 minuti di barca.

L’isola è famosa per il film “Mediterraneo” del regista Salvatores che racconta la storia del gruppo di militari italiani chiamati a difendere questo lontano avamposto del Dodecaneso durante il secondo conflitto mondiale; vicende simili erano quelle che sentivo raccontare tante volte da mio padre che invece si è trovato durante quel periodo di stanza a Simi.

L’isola entra a far parte del gruppo di isole egee controllate dall’Italia solo nel 1921, cioè dopo la fine della prima guerra mondiale. I francesi, che l’avevano precedentemente occupata per 2 anni ed utilizzata come base militare, la cedono al nostro Paese che la conserverà formalmente fino al 1945. Grazie a tale cessione, l’isola è rimasta nel Dodecaneso ed è potuta così riunirsi al resto della Grecia nel ‘48, altrimenti la sua storia avrebbe potuto prendere una piega diversa.

Nel porto staziona stabilmente una fregata militare e diverse caserme dell’esercito ellenico sono dislocate nei punti strategici dell’isola per difenderla da possibili rivendicazioni della Turchia con cui persistono rapporti tesi.

La cittadina è quanto mai pittoresca, con piccole casette neoclassiche dai colori vivaci allineate lungo la stretta banchina che circonda la baia. Diversi edifici sono stati recuperati per ospitare i turisti, ad ogni modo il clima rimane sempre raccolto e tradizionale.

I bombardamenti (del tutto inutili) subiti durante la guerra ed il precedente terremoto del 1926 determinarono lo spopolamento dell’isola. Parecchi abitanti sono emigrati in Australia, tuttavia molti sono quelli che tornano d’estate, provvedendo a restaurare le vecchie proprietà di famiglia.

Nei pressi della moschea ottomana, oggi sede del museo del folklore, c’è il piccolo ex Palazzo del Governo italiano e nella piazzetta antistante è stato organizzato un club con musica e cocktail bar. Tra le case del villaggio ed affacciato sul mare, ho trovato molto interessante il mercato coperto costruito dagli italiani, rimasto intatto ma caduto in disuso.

Kastellorizo è poco più di uno scoglio roccioso, con scarsa vegetazione alle spalle del villaggio. Non esistono spiagge, per cui ci si immerge direttamente tramite comode scalette posizionate sulle banchine nelle limpide acque del porto.

Siamo stati estremamente sorpresi nel vedere le tartarughe Caretta-Caretta nuotare vicino alle barche, le quali tornano sull’isola per riprodursi.

Con i taxi-boat si possono raggiungere altri luoghi meravigliosi per la balneazione tra cui Plakes, una caletta di roccia levigata e di ciottoli oppure la straordinaria grotta azzurra (Perastà). Quest’ultima è visitabile la mattina quando il sole non è troppo alto sull’orizzonte.

Attraverso una stretta fessura si accede in barca ad un antro alto più di 20 metri e, con la rifrazione dei raggi solari sulle acque del mare, una luce di zaffiro ne inonda l’interno.

Si tratta dell’attrazione principale dell’isola, che da sola merita di spingersi fino a questi lidi remoti, eppure ci sono stati momenti in cui ci siamo ritrovati completamente soli con il nostro barcaiolo.

Un tuffo nell’azzurro intenso e la visita nel fondo della grotta della minuscola spiaggetta dove le tartarughe si recano per nidificare concludono l’escursione.

Le acque di Kastellorizo sono tra le più calde in cui mi sia mai capitato di immergermi rispetto alle isole greche in mare aperto, e questo grazie alla vicinanza con la costa anatolica.

Ai piedi delle rovine del Castello dei Cavalieri di San Giovanni, un ripido sentiero consente di dare un’occhiata ad una tomba licia, l’unica esistente in suolo ellenico. I lici erano un antico popolo di cui parla anche Omero e che furono capaci di costruire città favolose e tombe scolpite nella roccia sulla costa turca con uno stile monumentale non inferiore a quello che si può osservare a Petra in Giordania.

Raggiungiamo nel tardo pomeriggio il Paliokastro, l’antico insediamento ellenistico poi rimaneggiato anche in epoca medioevale. L’antica fortezza conserva parzialmente mura e torri perimetrali e custodisce al suo interno tre piccole chiese, cisterne e tombe scavate nella roccia. Sulla sommità si domina il mare circostante Kastellorizo e la prospiciente costa anatolica, per cui si tratta di un formidabile punto strategico –militare. In cima al Paliokastro infatti rimangono tre postazioni di contraerea italiana molto ben conservate.

Un ultimo sguardo alla piazzetta del ristorante “Mediterraneo”, dove è stato girato parte del film di Salvatores, e già siamo sulla grande nave che, con la sua scia, si allontana rapidamente attraccando a Rodi.

Sono trascorsi 8 anni dalla mia ultima visita, la città è sempre meravigliosa ma dispiace vederla sempre più affollata e soffocata da pubblicità e paccottiglia turistica di negozi e locali poco rispettosi del decoro dei luoghi storici in cui sono inseriti. In odos Socratou resiste ancora lo storico caffè turco del 14° secolo, ormai una singolarità tra esercizi commerciali del tutto fuori contesto.

Torniamo nel Nosokomio, l’antico ospedale dei Cavalieri mirabilmente restaurato dagli italiani, che ospita il museo archeologico della città e che, come nel passato, continua ad essere una silenziosa oasi di tranquillità rispetto al trambusto esterno.

Abbiamo ancora un’intera giornata a Rodi, visto che il nostro volo di ritorno parte in serata.

A causa di un improvviso sciopero dei benzinai, la volta precedente non eravamo riusciti a visitare Ialyssos… e così raggiungiamo questa località a 10 chilometri dalla città.

Ialyssos era assieme a Kamiros e l’antica Rhodos, una delle 3 città doriche tra cui veniva spartito anticamente il controllo dell’isola. In cima al monte Filerimos, ammantato di pinete, si trova l’acropoli dell’antico insediamento di cui rimangono i resti del tempio di Athena Polia. Di fronte alle rovine, sorge un Monastero dedicato alla Vergine costruito dai Cavalieri di San Giovanni, tuttavia dopo i danni inflitti dai turchi è stato riscostruito nella forma attuale dagli italiani che adottarono lo stesso stile di ispirazione medioevale tipico della città murata.

Caratteristico l’esotico campanile, su cui campeggia la croce in rilievo dei cavalieri e che ora è avvolta da impalcature per i restauri. Molto suggestivo il chiostro e l’interno della chiesa pervasa da una luce mistica, che conserva un’originale pavimentazione marmorea.

Gli ultimi monaci italiani furono forzati ad abbandonare l’edificio nel 1948.

Di fronte all’ingresso del monastero c’è una Via Crucis che termina presso una croce enorme alta 18 metri.

Il viale ombreggiato da cipressi è intervallato dalle edicole delle diverse stazioni con raffigurazioni in bronzo che ancora riportano le originali scritte in italiano.

Ci spostiamo alle Terme di Kallithéa. I restauri del complesso realizzato dagli italiani nel 1929 sono ormai ultimati ed anche la cupola della rotonda con le scritte latine rifulge nel suo candore. Gli edifici non ospitano più un centro benessere (ormai in disuso) ma sono uno splendido esempio di stile eclettico d’oriente tipico dell’epoca coloniale, caratterizzato da grandiosi giardini, mosaici e fontane in stile moresco.

La località oggi è utilizzata come centro balneare data la vicinanza del complesso con la spiaggia.

Lasciamo così il Dodecaneso, un luogo che inevitabilmente suscita in me tanti ricordi lontani ed emozioni non solo legati alla bellezza ed al fascino che ogni isola greca è in grado di sprigionare.

Quell’angolo dell’Egeo è per me qualcosa di speciale che una semplice regione della Grecia, ed in qualche modo quel trentennio di presenza italiana del quale nel nostro Paese resta al massimo un confuso ricordo o qualche nome di strade o di piazze, è rimasto negli isolani molto più impresso nella memoria (nel bene o nel male…)



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