Portogallo e Spagna: quel che resta di un viaggio
Breve prefazione La porta di casa si chiude dietro di noi; ecco, siamo tornati, il viaggio è finito. Tutte le volte che, mia Moglie Maria Clara ed io Alessio, rientriamo a casa da un viaggio questo pensiero ci viene in mente, ma subito dopo ci rendiamo conto che ormai ciò che abbiamo visto sentito e assorbito nei giorni passati in giro è dentro di noi e forse, invece, è proprio in quel momento che il viaggio vero comincia senza che più abbia fine; anche quando passeranno i decenni forse non ci sarà più il nitido ricordo dei singoli momenti, ma quei momenti dimenticati avranno contribuito a formare e sedimentare in noi una sempre nuova consapevolezza, una sempre nuova visione della vita, una persona sempre nuova.
Ma perché comincio dal ritorno? Forse è proprio per quello che dicevo prima: solo dopo si comprende e si da un senso logico e consapevole a ciò che si è appreso; probabilmente se avessi scritto questo resoconto nei giorni stessi del viaggio esso sarebbe risultato più dettagliato e preciso cronologicamente, ma forse sarebbe stato più superficiale e avrebbe trascurato l’essenza. Nelle righe che seguiranno non cercherò di descrivervi le bellezze dei monumenti, dei luoghi e di quant’altro; dal tronde per rendersi conto di ciò può essere sufficiente qualche bella fotografia; cercherò, invece, di comunicare le sensazioni che tutto ciò, città, monumenti, luoghi, suoni, voci, odori, sapori ecc. Mi hannoregalato; naturalmente darò anche indicazioni utili, a mio giudizio, per chi vorrà in futuro recarsi negli stessi luoghi: nomi di alberghi, ristoranti, posti caratteristici.
Il viaggio: Al momento della partenza avevamo solamente tre cose predisposte: il volo di andata da Roma a Lisbona, tre notti prenotate in questa città e il volo di ritorno da Granada; nel mezzo vi erano sedici giorni e tredici notti, da vivere e organizzare con l’aiuto di appunti scaricati da internet e l’ausilio della guida turistica Lonely Planet, nella versione italiana della edt.
HTTP://www.Edt.It Lisbona.
L’arrivo a Lisbona subito ci riserva una gradevole sorpresa: la temperatura oscilla tra i 21 ed i 28 gradi! L’estate italiana torrida di quest’anno ci aveva fatto dimenticare quale bella sensazione potesse regalare un po’ di aria fresca sulla faccia. La pensione “residencial do sul” http://www.Neteuro.Net/directorios/p1/index.Php?id=711 da noi prenotata, si trova al così detto “Rossio”, il cui nome ufficiale è Praza D. Pedro IV, in posizione egregia per gli spostamenti in tutta la città; per chi conosce Roma è un po’ come alloggiare in una zona tipo piazza dei Cinquecento alla stazione Termini; peccato però che la pensione sia stata la meno buona di tutto il viaggio, anche se i 37,50 € per notte, sembrano un prezzo onesto per una doppia matrimoniale, decentemente pulita ed adeguato al livello, considerando la posizione strategica.
La prima escursione, serale, è dedicata al “Bairo alto”, un quartiere collinare raggiungibile con pochi minuti di cammino a piedi dal Rossio; si tratta del quartiere destinato maggiormente al divertimento notturno per lisboeti e turisti; un quartiere suggestivo, dalle strade ripide, strette e lastricate, come la maggior parte delle strade di Lisbona. Una particolarità è costituita dal fatto che anche in piena ressa, la sera, è possibile trovare in questo quartiere, una calma quasi assoluta a pochi passi dal pulsare della vita, in stradine quasi deserte e silenziose; il silenzio e la calma appunto… è la prima caratteristica di Lisbona che ci ha colpito; raramente si incontrano situazioni realmente chiassose nel senso che intendiamo comunemente e quelle che si incontrano quasi sempre sono animate da turisti; il portoghese no… il suono della lingua stessa, più dura di quanto ci si possa aspettare, sembra creato quasi per un idioma parlato a mezza bocca, sussurrato e con risonanze di vocali secche e parole che non sembrano mai completate; allo stesso modo sembra non debba mai aver fine la malinconia di questo popolo; riservato e schivo, il portoghese, però, si rivela loquace e disponibilissimo se interpellato; in tutto il viaggio non abbiamo mai riscontrato un cenno di scortesia nei nostri confronti. Tra i tantissimi locali nel Bairo Alto, la gran parte sono destinati alla fruizione da parte dei turisti, ma, alcuni di essi sono comunque particolari; uno di questi è la Cervezaria da Trinidade, in Rua da nova Trinidade, citata tra le altre cose in molte guide turistiche; si tratta di una birreria ricavata all’interno di un antico convento, ove vi sono grandi, meravigliosi pannelli di azulejos, che rientrano sotto la tutela dei beni culturali; vi si incontrano molti turisti, ma anche molti portoghesi ed i menu sono variamente assortiti e, per quello che abbiamo potuto costatare, la qualità è buona e i prezzi onesti se si considera il luogo, e l’abbondanza delle porzioni. In questo quartiere, vi sono anche molti locali che propongono cena unitamente a esibizione di fadisti; la maggior parte sono esclusivamente per turisti, con cena e spettacolo (generalmente vi è anche un menu turistico), ma non si spende mai meno di 25€; la cifra non sembra esagerata, se consideriamo i prezzi in Italia, ma, considerando i prezzi medi portoghesi, effettivamente la cifra è ragguardevole. Se proprio desiderate ascoltare del buon fado, in uno dei pochi locali ancora veramente tradizionali, la vostra scelta potrebbe cadere su “A Tasca Do Chico” in Rua de diario de noticia, sempre nel bairo alto; si tratta di un minuscolo localino con soli 10 tavolini molto semplici, un piccolo bancone bar, affianco al quale i musicisti prendono posto per esibirsi; qui il fado si può ascoltare solitamente la notte del lunedì e del mercoledì, a partire dalle 22/30 fino alla chiusura; si alternano durante la serata vari musicisti e cantanti, in una atmosfera sincera, intima, calda, appassionata e la gente è lì non per chiacchierare ma per ascoltare e lasciarsi rapire dall’emozione di questa musica struggente, malinconica, intrisa da una profonda tristezza e segnata, come la parola stessa dice, da “o fado”, ossia dal destino; l’ingresso è assolutamente libero e le consumazioni hanno prezzi irrisori; qualche esempio: una birra 1€, una agua ardente (sorta di grappa), solo 50 centesimi di più.
Naturalmente abbiamo preso subito confidenza anche con la zona in cui alloggiavamo; è chiamata “baixa” (città bassa), di cui il Rossio rappresenta un po’ il nucleo centrale; è una zona interamente sorta dopo il disastroso terremoto seguito da un maremoto del 1 novembre 1755; di giorno è piuttosto animata da negozi e attività commerciali di vario genere; passeggiando tra le sue vie sicuramente verrete avvicinati da persone che vi vorranno vendere del fumo o cocaina, ma il tutto avviene alla luce del giorno senza problemi e normalmente è sufficiente dire di no perché si allontanino così come si erano avvicinati; è una zona un po’ trascurata, ma come il resto di lisbona, è proprio questa decadenza il suo fascino; vi sono numerose “cafetarias” (l’espresso portoghese è ottimo) e numerosissime “pastelarias”; a proposito: per nulla al mondo perdetevi le mille varietà di paste e dolci! Non aggiungo altro.
Un’altra parte della città che inevitabilmente si visita è il sobborgo di “Belem” ove vi sono i due maggiori monumenti della città: il monastero “Dos Jeronimos” (monaci devoti a san Girolamo” e la celeberrima “Torre de Belem”; in realtà, oltre a ciò mi pare che qui non vi sia null’altro da segnalare; solo poche notizie di utilità pratica: da qualche tempo l’ingresso ai monumenti costa per entrambi 3€ e quindi non è più gratuito; se andate a Belem d’inverno copritevi bene perché Lisbona è sempre ventosa e qui, siamo praticamente sulle sponde dell’oceano atlantico, lo è più che mai; non salite in cima alla torre: la miglior vista si gode dal primo livello.
Tornando verso il centro, non mancate di assaggiare le superlative “pastelas de Belem”, nella pastelaria proprio di fronte all’ultima fermata dell’autobus a Belem andando verso il centro. Nel nostro sogiorno lisboeta, spesso e volentieri siamo tornati a più riprese nel quartiere de “l’Alfama”, un quartiere popolare che ha mantenuto la struttura pre terremoto, non avendo subito danni, ed non è molto diverso da come era stato pensato e costruito dai Mori; come il Bairo alto, e molte altre parti della città, l’Alfama si inerpica su per ripidissime stradine strette intersecate da traverse; anche se la frequentazione dei turisti in questo luogo è sempre in aumento, almeno di giorno, a differenza del Bairo alto qui tutto è più vero: la gente nelle notti d’estate fuori le piccole abitazioni a torso nudo, i muri con gli evidenti segni del tempo affatto nascosti, le notti calme lontani da frastuoni di vario genere e una sensazione di nostalgia e ineluttabilità più forte che in ogni altro dove della città; non nascondo che in tale giudizio sono influenzato dal fatto che su queste lastre di pietra camminò e che questi muri scalcinati riecheggiarono la voce di Amalia Rodriguez, che da quei “miraduros” (bel vedere) rimirando la sua amata, malinconica e nostalgica Lisbona, si struggeva Fernando Pessoa.
I locali qui sono più alla buona e ancor più a buon mercato, rispetto a quelli di altre parti della città; se, per cenare, mediamente altrove si spendono tra i 15 e i 18€ a persona, qui andiamo dai 12 ai 15€; noi ci siamo trovati bene per il rapporto qualità prezzo, al Pateo 13 in Calcadina de Sao Esteban all’Alfama.
Come ogni grande città che si rispetti, anche Lisbona ha i suoi tesori nascosti; uno di questi è la Fondazione Kalus Gubelkian, che in sé racchiude un museo con opere pittoriche, manoscritti, sculture ecc. Che spaziano nei secoli fino ad arrivare al 19/o secolo, un museo d’arte moderna portoghese e la fondazione stessa che si occupa di promozione culturale; il museo in sé è impressionante, non per le singole sezioni che paragonate con le rispettive sezioni dei musei più famosi del mondo non reggono il confronto, ma perché bisogna considerare che tutto, ma proprio tutto ciò che si può ammirare qui dentro era proprietà privata proprio di Kalus Gubelkian, uno degli uomini più ricchi del 900 che, avendo trascorso l’ultima parte della sua vita in portogallo, decise di donare al paese che lo ospitò tutta la sua collezione d’arte veramente enorme. Per raggiungere la fondazione Gubelkian dal Rossio è comodissima la metropolitana, anche se bisogna effettuare due cambi e quindi si transita su tutte e tre le linee della metropolitana di questa città, linee in verità non molto lunghe. Altro tesoro un po’ trascurato, è il museo “de los azulejos”; il Portogallo è il paese al mondo in cui questo modo di decorare interni di abitazioni, facciate, pati, locali pubblici ecc. È maggiormente utilizzato; si tratta di piastrelle levigate e variamente disegnate e colorate, in questo museo vi è una raccolta molto completa che copre un arco di molti secoli. I luoghi citati in questo resoconto ed altri ancora, sono attraversati dalla linea del vecchio “eletrico 28”, un vecchio tram che inerpicandosi su per le colline e gettandosi in discese vertiginose, percorre praticamente tutti i luoghi più caratteristici della città vecchia, quindi un giro a bordo di questo mezzo è assolutamente consigliabile per avere un colpo d’occhio introduttivo, o un riassunto finale. Il nostro sogiorno a Lisbona dalle tre notti iniziali si è prolungato a sei, con una pausa di due notti tra la quarta e la quinta, che abbiamo trascorso a Porto; la seconda parte della permanenza a Lisbona, l’abbiamo trascorsa presso la “Pensao Norte” in Rua Do Duradores, appena discosta dal Rossio, sempre però nella Baixa e di livello lievemente superiore alla prima, a fronte di un prezzo lievemente più basso 35€ la doppia matrimoniale con bagno in camera; pensione consigliabile.
Passeggiando per le vie della città, a volte ci imbattevamo in commenti di italiani, gli unici che riuscivamo a capire con facilità, che lamentavano non so bene quali aspettative tradite; naturalmente non so cosa essi cercassero, ma Lisbona è un luogo che possiede una bellezza profonda che va al di là del semplice sguardo; spesso mi piace paragonare le città alle donne… se Lisbona fosse una donna, avrebbe vestiti un po’ sgualciti e non propriamente lindi; avrebbe capelli spettinati, mani non curate ed un sorriso triste, ma nella sua voce, nel suo sguardo e dalle sue rughe, così come dalle crepe dei muri scalcinati di alcune zone della città, ci investirebbe con una bellezza nascosta e superba, triste e potente, che squote l’anima.
Naturalmente vi sono molti altri posti da poter visitare a Lisbona come ad esempio il parco delle nazioni con all’interno la zona dell’expò 98 e il più grande oceanario d’Europa e poi tutto il litorale, con le sue spiagge ed i villaggi; avremmo potuto vederli anche tutti, ma noi normalmente preferiamo vedere meno ma meglio e poi, rimanendo alcuni luoghi non visti, abbiamo così l’occasione e la scusa per tornare, almeno lì ove ci siamo trovati bene, perché ciò che cerchiamo non è tanto vedere superficialmente più posti possibile ma cercare e trovare una sorta di armonia tra il luogo che ci ospita e la nostra anima. Chi sa se anche questa sera pedro sta suonando la sua chitarra sotto i bastioni del castello di Sao Jorge… chi sa passando avanti a A Tasca do Chico quale struggente melodia risuona… ma non temere, anima mia, non disperarti tornerai a Lisbona. O Porto: Lasciata mal volentieri Lisbona, in treno abbiamo raggiunto Porto, a meno di 300 KM dalla capitale; la città possiede un bel centro storico costruito sulle ripidissime pendici delle colline che degradando verso il fiume Douro ne creano l’omonima valle; si tratta di colline di granito, stesso materiale del quale sono lastricate le strade della città e rivestiti molti edifici. Tutto il centro storico fin sull’altra sponda ove vi sono le famose cantine che producono l’omonimo vino, da qualche anno è stato dichiarato patrimonio dell’umanità ed effettivamente, a nostro giudizio, lo merita, anche se la cura della città lascia ancora piùttosto a desiderare; vi sono numerosi lavori in corso allo scopo di migliorare il tutto, ma occorrerà parecchio tempo. Già in questo stato di trascuratezza però, la città offre edifici, piazze chiese e strade di notevole bellezza. È innegabile però che Porto vuol dire soprattutto vino; le cantine, come già ho avuto modo di dire, si trovano tutte sulla sponda opposta del fiume rispetto al centro della città, collegata dallo spettacolare ponte Luis I, con una intelaiatura in acciaio e realizzato su tre livelli; l’inferiore per automobili e pedoni, quello intermedio riservato ai treni e quello superiore è attualmente aperto solo ai pedoni, ma vi sono lavori in corso e non sappiamo se terminati questi, il transito sarà permesso anche alle automobili; ad ogni modo camminare sul livello superiore dà una notevole sensazione di vertigine. Anche se le cantine si trovano appena sull’altra sponda del fiume e fisicamente sono perfettamente integrate nella città di porto, a rigor di logica già si tratta di un altro comune: Villa Nova De Gaia; quindi a livello puramente politico-amministrativo, a Porto non viene prodotta una sola goccia del famosissimo vino. E’ possibile effettuare visite guidate a tutte le cantine ed alla fine di ogni visita viene normalmente offerto del vino; spesso però non viene accompagnato da stuzzichini e quindi se si è a stomaco vuoto si rischiano discrete ubriacature se si decide di visitare più di una cantina; teoricamente ci si potrebbe ubriacare bevendo l’impossibile, senza spendere un €.
Per mangiare a pranzo ed a cena, è consigliabile recarsi al quartiere di “Ribeira”, situato lungo la sponda del fiume ai piedi della collina sulla quale si sviluppa il centro storico della città; si tratta di un piccolo quartiere animato da allegri locali, come bar, ristoranti e negozietti di chincaglierie assortite; qui è possibile mangiare ottimi piatti con una spesa tra i 10 ed i 15€. Porto ha un aspetto di città lavoratrice ed infatti è il polo trainante dell’economia portoghese; i portoeros sono soventi dire: “Braga prega Coimbra canta e Porto lavora”. A nostro parere il meglio che porto possa offrire lo si incontra lungo il fiume ove al tramonto si crea un’atmosfera allo stesso tempo sospesa e romantica, appena stemperata dal fresco vento proveniente dall’atlantico che è lì a pochi KM. In questa città abbiamo alloggiato presso l’hotel peninsular; (Rua Sabandeira) è veramente un bel albergo: arredamento con mobili in stile primi 900 di un certo pregio, rivestimenti in bellissimi azulejos, buone camere e personale cortese; data però una certa trascuratezza nell’insieme e dato che non siamo in una città capitale il prezzo è stato di soli 42€ per la camera matrimoniale, con colazione inclusa; quest’albergo potrebbe rispecchiare l’impressione che abbiamo avuto del paese: bellezze straordinarie ma un po’ trascurate e non valorizzate sufficientemente; il tutto è lì con tutti i segni del tempo che sembra portare senza vergogna, anzi con fierezza, ciò però è allo stesso tempo pregio e difetto di questo paese.
Verso la Spagna.
Lasciata Lisbona, ci muoviamo verso la Spagna passando attraverso la regione dell’Alentejo (oltre tago); si tratta di una regione a vocazione prevalentemente agricola con estese coltivazioni di viti ed ulivi e produzione di ottimi prodotti derivati: vino ed olio. Oltre a ciò, nella regione vi sono cittadine dal notevole patrimonio artistico e storico; una di queste è la città fortificata di Evora, la città più importante di tutta la regione e seconda per testimonianze storiche ed artistiche solamente a Lisbona. La visita alla città si rivela piuttosto breve; infatti si tratta di una cittadina dalle dimensioni abbastanza ridotte; tra i luoghi più notevoli è da segnalare la piazza centrale della parte antica, i quartiere ebraico, costituito da stradine strette in penombra, la cattedrale del Sé, la Chiesa di Sao Francisco, celebre per una cappella adornata con ossa umane che si pensa siano appartenute a 5000 persone… (a rendere latmosfera di questa cappella ancor più macabra, non poco contribuiscono due cadaveri essiccati appesi lateralmente) e il tempio romano di Diana, che si pensa sia la rovina romana meglio conservata di tutta la penisola iberica, anche perché per diversi secoli fu murato. A dire il vero, ci saremmo aspettati un po’ di più da questa cittadina, anche in considerazione del fatto che Evora è stata dichiarata patrimonio mondiale dell’umanità; forse perché, essendo il “piatto forte” della città una rovina romana come il tempio di Diana ed essendo noi italiani fin troppo avvezzi alle rovine romane, non abbiamo riscontrato in questo luogo una atmosfera particolarmente sugestiva; ad ogni modo una visita la merita certamente, ma o muovendosi in giornata da Lisbona, (sono 140 KM) oppure, come abbiamo fatto noi, transitandovi per avvicinarsi alla Spagna; trascorrervi la notte, invece, può essere inutile o una perdita di tempo se il viaggio è di un numero esiguo di giorni.
Lasciata Evora, a una manciata di chilometri dal confine spagnolo, sorge il villaggio fortificato di Monsarrà; si tratta di un minuscolo borgo fortificato con mura, ponte levatoio e torri di difesa che sorge sulla cima di una ventosa collina; lo stato di conservazione è buono e vi si respira un’aria d’altri tempi: tutto sembra fermo le poche persone che si incontrano girano a piedi, mentre i mezzi motorizzati sono lasciati ben fuori le mura; vi è un silenzio irreale e, purtroppo, non abbiamo visto come può, questo villaggio di una quarantina di case, apparire dopo il calar del sole; la nostra guida turistica consiglia di passarvi la notte se si desidera respirare un’atmosfera quanto più medioevale possibile; è sicuramente un posto da visitare a costo di effettuare una deviazione di circa 40 KM dalla strada principale.
Nel tardo pomeriggio dello stesso giorno siamo giunti a Beja, piccola città del basso Alentejo, dato che il giorno seguente da qui transitava l’autobus che ci avrebbe portato in Spagna e per l’esattezza a Sevilla; della cittadina (circa 20000 abitanti) non abbiamo visto praticamente nulla; abbiamo alloggiato per quella notte, presso l’ottimo Residencial Santa Barbara, che oltre ad essere pulitissimo e curato, per la modica cifra di 40€ la doppia matrimoniale, includeva nel prezzo la colazione, che si rivelerà ottima, e, cosa eccezionale per una pensione, il climatizzatore in camera, anche se qui non è un lusso ma spesso una necessità. Sempre a Beja abbiamo cenato in un bar-ristorante proprio alle spalle del Residencial; ad un primo sguardo un po’ deludente e squallido, questo posto riserva invece, al piano superiore, una gradevolissima sorpresa per la vista, (la sala è semplice ma molto curata), per il palato, (ottimo cibo e soprattutto patatine fritte tagliate ancora a mano e pane non casareccio ma fatto in casa) per la cortesia del proprietario e del personale, e per il portafoglio (cena luculliana completa di tutto a 12€ a persona!) Il giorno seguente, l’unico piccolo intoppo del viaggio; nel riconsegnare la macchina noleggiata a Lisbona presso l’AVIS,scopriamo che la sede locale della stessa oggi, sabato 30 agosto, è “feciada”! chiusa! Ma come è possibile! A Lisbona ci avevano detto di riconsegnare la macchina proprio qui ed ora e pensare che tra un’ora abbiamo l’autobus per Sevilla che è l’unico della settimana e che andare con la macchina in Spagna e riconsegnarla lì ci costa una sovratassa di 524€! Qui però entra in ballo la generosità e disponibilità dei portoghesi che in tante piccole situazioni abbiamo avuto modo di sperimentare; Joaquin, la stessa persona che ci aveva informati della chiusura della sede AVIS, dipendente della Nissan nell’autosalone della quale l’AVIS ha il suo banco di ricezione, telefona al responsabile locale AVIS, che era fuori città, e dopo essersi consultato con lui non solo prende in consegna la macchina, ma si offre anche di accompagnarci con la stessa alla stazione degli autobus!… Senza altri intoppi dunque, saliamo sull’autobus per Sevilla e dopo meno di un’ora dalla partenza diciamo “adeus” (arrivederci) al Portogallo e HOLA alla Spagna; dopo altre 2 ore di viaggio siamo a Sevilla.
La permanenza in Spagna.
A differenza del portogallo, ove il viaggio appena descritto era il primo, in Spagna ci recavamo per la terza volta in 5 anni; terra dalle forti e caldissime emozioni, l’Andalusia, la regione più meridionale della penisola iberica, in tutti e tre i nostri viaggi è stata il nostro centro di gravitazione, anche se abbiamo fatto veloci e brevi escursioni al di fuori di questa regione. Inoltre a Sevilla, il capoluogo andaluso, abbiamo una nostra amica italiana che si è stabilita lì da 12 anni e sempre lì a messo radici mettendo su famiglia e avviando, ormai da diverso tempo, una attività lavorativa; quindi per noi il ritorno a Sevilla è sempre più la visita ad una persona cara che alla città; comunque Sevilla è certamente una città da visitare e godere all’estremo. Quen no ve Sevilla no ve maravilla, dice un proverbio spagnolo ed effettivamente è proprio vero! L’eleganza dei suoi abitanti, il fascino del suo centro storico, il Barrio di Santa Cruz, quello di Triana, Plaza de Espana, la Jiralda, la cattedrale, l’Alcazar e molti altri luoghi emettono un fascino incredibile; allo stesso modo la voglia di vivere della sua gente è travolgente e non si può rimanere in disparte perché in un modo o nell’altro si è coinvolti; sembra che ogni occasione di socializzare, anche la più piccola come il bere una veloce birra al bar, sia sempre una festa, perché nella sua mente il sevillano ha sempre la voglia di relazionarsi e comunicare; una delle cose che impressiona di questa città è il vociare che sempre, ma soprattutto la sera in particolare dal giovedì al sabato, percorre tutte le sue strade e le sue piazze; è un vociare forte, pregnante e allegro, pieno di energia, diverso da quello di altre città; il modo stesso che hanno di presentarsi alle persone nuove, vaciandole su entrambe le guance, la dice lunga sul modo di relazionarsi molto fisico con gli altri; il fatto stesso che all’ora di pranzo e di cena si vedano persone anziane sedute ai bar fianco a fianco con giovani e giovanissimi a bere cerveza e mangiare una tapa, di per sé racconta quale è la voglia, di questa gente, di vivere la vita ad ogni età e con persone di qualsiasi età. Indubbiamente tra le moltissime cose splendide che la città può offrire la più bella di tutte è l’atmosfera che la sua gente sa creare, anche se i difetti non mancano neanche qui; accanto alla splendida ed estrema comunicatività, la gente di qui sa essere anche molto superba ed orgogliosa fino all’inverosimile rasentando, in alcuni casi e per alcune questioni, la grettezza; non vi venga mai in mente di dire, per esempio, ad un sevillano, ma anche ad un altro spagnolo che Cristoforo Colombo era italiano… potreste rischiare di tutto! Gli hanno perfino cambiato il nome in Cristobal Colon (sempre una delle vie principali delle città spagnole porta questo nome) e non sto parlando della gente comune, perché lo stesso atteggiamento si può riscontrare anche in professori universitari! Ma anche qui parliamo del mondo e non del Paradiso. Altro aspetto caratteristico e coinvolgente della città è il flamenco; ogni sera si può assistere a più spettacoli di musica e danza, in locali affollati da turisti, ma anche da moltissimi sevillani; la sevillana, uno degli stili flamenco originari della città, è ballato da un gran numero di persone di tutte le età, che nel farlo provano una gioia ed un godimento puri e sinceri; altro che retaggio del passato! Qui a Sevilla il flamenco è una realtà odierna che manifesta con forza la sua presenza. Naturalmente vi sono molti tablao di flamentco, però quelli più pubblicizzati e maggiormente consigliati ufficialmente, sono soprattutto per turisti e mediamente più costosi; ve ne consigliamo tre, frequentati certamente anche da turisti, ma che sono posti normalmente ad uso e consumo dei sevillani: La Carboneria: un locale dalla struttura approssimativa, ampio, con un grande spazio all’aperto; si tratta di un locale storico per il flamenco, un locale in cui sotto la dittatura di Francisco Franco, che osteggiava questa forma d’espressione, molti flamenqueros, continuarono caparbiamente a suonare, cantare e ballare, con l’appoggio del fondatore Paco Lira; non ricordo l’indirizzo, ma lo si può reperire facilmente anche domandandolo per strada, perché il locale è straconosciuto in città, praticamente è una vera e propria istituzione.
El Tamboril: fondamentalmente si tratta di un piccolo bar, in cui, in una sala secondaria non più grande di 30/40 MQ, dopo la mezzanotte, ogni notte si accalcano numerosi amanti della sevillana e, incredibile a dirsi, in uno spazio tanto risicato trovano anche il modo per ballare come indemoniati tirando anche fino all’alba! L’indirizzo è la Plaza del Barrio de Santa Cruz, attenzione però a non confonderlo con il vicino tablao di flamenco per turistoni. L’anselma: non ho una conoscenza diretta di questo posto, poiché le volte precedenti che ero stato a Sevilla non ancora esisteva e quando avrei voluto andarci durante l’ultimo soggiorno lì, purtroppo era periodo di chiusura; ad ogni modo i sevillani ne parlano bene e si trova nel Barrio de Triana, in una delle primissime traverse sulla destra di Calle San Jacinto.
A molte persone, Sevilla ha fatto venir voglia di lasciare tutto e trasferirsi qui, cosa che ha effettivamente realizzato la nostra amica di cui ho accennato prima; su di noi avrebbe avuto lo stesso effetto se non ci fosse stato un poi di cui ora leggerete. All’ombra dell’Alhambra AVVISO: Quanto state per leggere è anche pubblicato come itinerario a sé stante tra i racconti di viaggio in Spagna, col titolo: All’ombra dell’Alhambra.
Al mondo vi sono tante città e tanti luoghi meravigliosi che per la loro bellezza esercitano un gran fascino su moltissime persone anche se non vi sono mai state materialmente; chi di noi non ha mai detto io vivrei… io me ne andrei… io lascerei tutto… è un sogno, una aspirazione, una dolce illusione che regala alla nostra vita sempre una speranza, che ci fa credere, alcune volte, che da un giorno all’altro tutto cambi, tutto sia più bello, tutto sia più facile; al di là di questo però: vi è mai capitato di amare una città? Non intendo se vi è piaciuta ma se vi siete mai sentiti attratti fisicamente dalle sue pietre, dai suoi muri dalle sue strade; se avete mai camminato così pesantemente da voler lasciare sui suoi marciapiedi lastricati le vostre impronte a testimonianza non del vostro passaggio ma del fatto che voi siete parte di essa. Vi è mai capitato di sentirla vostra nel momento in cui vi mettevate piede e per la prima volta respiravate lì? Avete mai provato la sensazione, nel momento in cui la lasciavate, non di tornare a casa, ma di andar via da casa? Vi è mai capitato di pensare a questa città con nostalgia, amore, emozione sempre nuova quasi ogni giorno della vostra vita da quando l’avete vista la prima volta? Ed in fine, vi è mai capitato di sognare di tornar lì e piangere nel sogno per la felicità? A me si, e tutto ciò mi è successo per Granada; il delirio che mi avvolge è il mistero di sentirmi parte integrante di quella città da tempo immemorabile, quasi come un fantasma che dopo essere stato condannato a vagare per espiare una colpa, giunto qui la sente estinta, sente di aver espiato, sente che il suo purgatorio è finito e che lì proprio lì è il suo Paradiso. Così come a Sevilla a Granada sono tornato per la terza volta, ed ognuna di queste non solo ho avvertito sempre più forti le emozioni ed i sentimenti prima descritti, ma è sempre avvenuto qualche cosa, incontri, episodi, ecc. Per i quali la città si è fatta amare sempre di più.
Purtroppo, ma dal mio punto di vista fortunatamente, Granada è un posto conosciuto per l’Alhambra, ma trascurato per moltissimi altri aspetti; spesso qui la gente arriva in pulman, visita il celeberrimo monumento, mangia qualche cosa in fretta e poi va via portando con sé al massimo qualche foto; invece, anche se l’Alhambra rappresenta effettivamente la zona di maggior attrazione monumentale ed artistica della città, troviamo in altre zone della stessa, quella forza mistica che unita alla diversità dei luoghi, volta per volta assume un sapore, una qualità, una caratteristica diversa. Come non parlare della forza magnetica dell’Alhambra: la cittadella fortificata incombe su Granada; la salita per giungervi non è particolarmente lunga, ma molto ripida e pure, io l’ho sempre percorsa senza fatica, come se la voglia di giungere presto in quel luogo mi moltiplicasse leenergìe; già oltrepassata la porta di Granada e giunti nel pioppeto dell’Alhambra si incontra la prima caratteristica del luogo: l’acqua; ruscelli da secoli mormoranti, colonna sonora perpetua di questi posti ai quali con le loro acque correnti regalano la vita, come il sangue ad un corpo; continuando a salire poco dopo troviamo la seconda caratteristica del luogo: gli odori del bosco e dei giardini che si fondono in un’armonia, quasi fosse una composizione olfattiva, il cui compositore altri non può essere che Iddio o altri a lui assimilabile; personalmente non sono mai stato avvolto da una simile meravigliosa sensazione olfattiva in nessun altro luogo da me visitato; queste due sensazioni integrano la terza che è riscontrabile in tutta la città: il rosso della terra, dei muri, degli edifici, proprio come il sangue che scorrendo in un corpo gli dona la vita; Alhambra, parola derivante dall’arabo; significa proprio Castello Rosso; tutto ciò prima di entrare nel cuore della cittadella già rende questi momenti indimenticabili.
L’alhambra è un complesso monumentale che si articola su di una superficie piuttosto estesa e comprende giardini, edifici, boschi, strade ecc.; non è mia intenzione descrivere quanto di assolutamente meraviglioso si può qui ammirare, ma non posso esimermi dal riferire sensazioni ed emozioni che qui sempre mi hanno avvolto; nei giardini del Jeneralife le sensazioni olfattive e visive a volte trascendono la realtà, dando l’impressione meravigliosa di perdersi in un mondo fantastico, un bosco fatato; è un piacere immenso respirare quegli odori mentre si è abbagliati dai colori di una vegetazione rigogliosissima che vien fatta crescere dandogli le più svariate forme, ora creando cunicoli tra gli alberi ora vere e proprie stanze a celo aperto traboccanti di fiori e piante; e poi l’acqua che scorre ai lati delle scale, nelle fontane, nei pati dall’atmosfera senza tempo e dagli angoli nascosti; il rimbombo delle camere del palazzo nazzario vuote ma meravigliose che donano una sensazione di calma e misticismo; ho notato che le persone visitandole spesso parlano sommessamente come se si trovassero all’interno di una chiesa, con la differenza che questo non è un luogo sacro! L’alcazaba allo stesso tempo non può lasciare indifferenti; con le sue torri vermiglie che servivano da difesa o come postazione di segnalazione; si tratta, infatti, della zona militare della cittadella, che è anche la più antica e per questo la più in rovina; emana però un fascino e può ancora sembrare di udire strepiti di antiche battaglie e gemiti di morenti o di gente distrutta dalla fatica; la stessa fatica che si fa salendo sulle torri visitabili, non tanto per la loro altezza ma per il fatto che le scale sono decisamente scomode e mal messe. Dai punti panoramici dell’alhambra si può ammirare tutta la città con i suoi dintorni: la pianura della Vega, le alture dell’alpujarra proprio sotto la sierra nevada e la sierra stessa; ma rimaniamo in città. L’albaicin è un altro di quei luoghi in cui l’emozione la fa da padrona; si tratta dell’antico quartiere arabo, nel quale trovarono rifugio i mori sconfitti dai cristiani a Baeza, da dove il nome albaicin; tutt’ora è il più grande quartiere arabo d’europa e quando sei lì in certi momenti fai fatica a pensare di essere in una città europea, perché l’atmosfera che qui respiri è sinceramente mediorientale; la differenza è che mentre nel resto d’Europa l’immigrazione arava è un fatto risalente al più a qualche decegno fa, qui è praticamente casa loro, qui ci sono sempre stati, almeno dal VII secolo D.C., dall’epoca cioè della conquista araba e non sono andati tutti via dopo la reconquista cristiana, allorquando proprio Granada fu l’ultima a capitolare il 2 gennaio 1492; questa permanenza più che millenaria è percettibile proprio qui: si sente correntemente parlare arabo, i vestiti stessi sono tradizionali dei paesi arabi, i negozi, le mercansie in vendita i loro profumi, colori e sapori sono inconfondibilmente non di provenienza europea; la musica che si ascolta anche suonata dal vivo qui ha risonanze arabe più che mai; certo… c’è anche il flamenco, che di per sé è fortemente influenzato dalla musica araba antica, ma qui si possono ascoltare facilmente melodie e ritmi arabo-andalusi che se non sono proprio uguali a quelli dei secoli della dominazione dei mori, almeno ne sono discendenti diretti. Le strette e ripide stradine che si inerpicano su, verso la sommità del quartiere sono costeggiate da muri che spesso racchiudono e lasciano intravedere splendide case antiche con pati e giardini le fronde dei cui alberi sovrastano i muri di recinzione stessi, inondando con le loro chiome e con i loro profumi le strade e le meravigliose e calme piazzette alcune delle quali hanno una magnifica vista sull’alhambra che non distante, sta di fronte; è bellissimo verso sera perdersi in queste silenziose e tranquille stradine ed imbattersi di tanto in tanto in qualche bimba che porta con sé una gabbietta con gli uccellini, o incontrare qualche gitano dalle profonde rughe e dallo sguardo intenso. I gitani appunto… guardando dall’alhambra si nota sulla destra dell’albaicin, non molto discosto, una collina che è veramente particolare ed è un’altra manifestazione tangibile dell’anima granadina; si tratta del sacromonte con sulla cima un santuario; sulle pendici della collina si aprono grotte ed ancora grotte che fino a non molto tempo fa erano le abitazioni dei gitani; per chi li conosce il sacromonte ricorda moltissimo i sassi di Matera; tutt’ora questo è il quartiere dei gitani e del flamenco; le grotte “cuevas” da abitazioni sono state trasformate in piccoli locali in cui la sera si tengono spettacoli di flamenco, la maggior parte, a dire il vero, per turisti. Camminare sulle strade del quartiere deserte anche di giorno sotto il sole e con le macchine che si contano sulle punte delle dita di una mano, avvolti da un silenzio irreale rotto solamente dagli animali da cortile o dal ronzare degli insetti, dal vento che fa stormire le fronde o dal suono di qualche chitarra che vien fuori da qualche cueva o abitazione, è quanto di più consigliabile per ritrovare una calma ed un equilibrio interiori, per guardarsi dentro e parlare con la propria anima da troppo tempo trascurata; è incredibile pensare che solo a poche centinaia di metri nel centro di Granada scorre la vita del XXI secolo mentre qui sembra di essere totalmente immersi in una dimensione agreste che, pur potendo, non vuol cambiare, come è immutabile l’alhambra che dalle alture del sacromonte appare in tutto il suo splendido rosso. Anche il centro di Granada, che sorge in una sorta di valle tra la collina dell’alhambra e quella dell’albaicin, d’epoca rinascimentale, è notevole per bellezza ed emozioni che sa offrire, ma è più vicino al concetto di “bella città” espressione con la quale intendo belle piazze e strade, bei palazzi e chiese (la cattedrale di Granada è notevole), però facilmente assimilabile ad altre città con negozi, bar, ristoranti ecc. Simili e lo stesso fluire delle persone che in massa rendono tutto uguale; in effetti in questa zona vi è un gran traffico di granadini e turisti inquanto è geograficamente al centro e quindi punto di passaggio per raggiungere tutto quanto prima descritto. Una caratteristica di Granada che trovo veramente splendida e rara per una città di piccole dimensioni (circa 250000 abitanti) è che sembra di essere in una metropoli multiculturale e multietnica, ma con tutto a portata di mano e permeata da un’atmosfera magica e sospesa nel tempo; non è un caso, infatti, che Granada eserciti una sorta di attrazione su molteplici tipi di persone che da tutto il mondo decidono di venire a vivere per un periodo qui; a volte basta svoltare un angolo per effettuare un salto culturale o temporale. Credo che la multietnicità sia effetto delle culture araba, gitana e spagnola che si incontrano, confrontano e confondono in uno spazio fisico limitato; l’importante università, la terza di Spagna, poi contribuisce ad arricchire tutto ciò e funge da catalizzatore tra le culture.
Quanto ho appena raccontato ha certamente un carattere soggettivo e manca di obiettività, al punto che ai lettori più attenti non sarà sfuggito che dalla prima persona prurale in cui nei paragrafi precedenti mi esprimevo ed includevo anche mia moglie, sono passato alla prima persona singolare, poiché le emozioni non possono che essere esclusivamente individuali e nessuno può raccontare quelle degli altri;né credo né pretendo che coloro che si recheranno ho che già siano stati a Granada proveranno o abbiano provato tutto ciò, ma questo è il mio punto di vista, queste sono le mie sensazioni ed emozioni, questo è l’amore che io provo per questo luogo e per la sua gente. Spesso, quando ne parlo, mi sono sentito dire: “ma perché non ti trasferisci lì”? Rispondo che la tentazione e la voglia è tanta e che forse per un periodo limitato nel tempo sarei anche disposto a farlo, ma con molta paura; poiché anche Granada è parte di questo mondo, la quotidianità della vita potrebbe prendere il sopravvento e sopire le meravigliose emozioni che qui ho provato e che riprovo ogni volta in cui penso a questo luogo, che da città ideale e rifugio in cui la mia mente e la mia anima possono liberamente spaziare, la vita di tutti i giorni potrebbe cambiare in meravigliosa città certamente, ma assimilabile ad altre. Ciò che invece io cerco non è una città meravigliosa,anche perché già vivo forse in quella che è la meravigliosa tra le meravigliose (ROMA), ma un luogo fisico e reale che però viva dentro di me capace di lasciar spazio a tutti i miei sogni, a tutte le mie fantasie, a tutti i miei desideri e sentimenti e per ciò la Mia Granada è perfetta, perché, per me, più che una città è un’emozione.
Come ti dissi, oh anima mia, tornerai a Lisbona, ma prima dovrò passare a prenderti a Granada.