New York e dintorni: consigli per l’uso

Il nostro racconto non vuole solo essere la semplice cronaca di un viaggio estivo ma anche un tentativo di proporre utili informazioni e consigli per chi volesse recarsi in vacanza a New York e dintorni sfruttando al meglio il tempo della permanenza. Non avendo l’abitudine di appoggiarci alle agenzie di viaggio, almeno per l’organizzazione di...
Scritto da: clastex
new york e dintorni: consigli per l'uso
Partenza il: 24/08/2007
Ritorno il: 03/09/2007
Viaggiatori: in coppia
Il nostro racconto non vuole solo essere la semplice cronaca di un viaggio estivo ma anche un tentativo di proporre utili informazioni e consigli per chi volesse recarsi in vacanza a New York e dintorni sfruttando al meglio il tempo della permanenza.

Non avendo l’abitudine di appoggiarci alle agenzie di viaggio, almeno per l’organizzazione di vacanze in Paesi tranquilli, Claudia ed io (Stefano) abbiamo deciso circa tre mesi prima della partenza di prenotare autonomamente via internet il volo da Roma a New York (a/r circa 620 € a testa su EDreams), il volo NY – Buffalo (a/r 85 € a testa sempre su EDreams) per visitare le cascate del Niagara, l’albergo Best Western President Hotel a New York (120 € a camera per il solo pernottamento su Venere.Com), il bus per Philadelphia (a/r 39 $ a testa sul sito Greyhound.Com prenotando con la formula 3days advance che permette di ottenere un forte sconto se si acquista il biglietto almeno 3 giorni prima del viaggio) e l’indispensabile (considerato che negli USA non vige la copertura sanitaria pubblica e le cure ospedaliere, almeno quelle di qualità comparabile alla nostra, sono a pagamento) assicurazione sanitaria che abbiamo stipulato sul sito Viaggisicuri (pacchetto ORO per viaggio singolo a circa 40 € a persona).

24 agosto 2007 Il nostro viaggio nella East Coast degli USA è iniziato il giorno 24 agosto quando siamo partiti da Ancona in auto per raggiungere l’aeroporto di Fiumicino ed imbarcarci sul volo Eurofly diretto a New York JFK delle 14:50.

Il volo, effettuato su un aereo nuovissimo, è partito con circa 45 minuti di ritardo, recuperati in pieno durante il tragitto ed è stato piacevole e tranquillo conducendoci a destinazione dopo circa 8h e mezzo quando nella Big Apple erano le 18:30. Appena giunti all’aeroporto JFK, dopo aver sbrigato abbastanza velocemente le formalità doganali (riconoscimento con foto e impronte digitali), ci siamo diretti verso la stazione dell’Airtrain, situata all’interno dell’aeroporto, mezzo veloce e pulito che ci ha condotti al prezzo di 5 $ a testa fino a Jamaica station, dalla quale, tramite la linea blu della subway (2 $ a testa per il singolo viaggio) abbiamo raggiunto il nostro albergo situato sulla 48th strada tra l’8th avenue e Broadway, a neanche 40 metri da Times Square, dopo un viaggio di circa 50 minuti.

Consigliamo di sicuro questo tipo di collegamento con il JFK in quanto molto meno dispendioso del taxi che fino Manhattan costa 50 $ (se il tassista è onesto e segue le direttive comunali) escluso il pedaggio del ponte di accesso all’isola ed è soggetto ai continui intasamenti del traffico.

L’addetta alla reception dell’Hotel, molto comodo e pulito, con collegamento wi-fi incluso nel prezzo (funzionante però solo nella hall) che ci ha permesso di contattare l’Italia completamente gratis utilizzando Skype, ci ha accolto con estrema gentilezza assegnandoci però una stanza molto piccola e rumorosa al sesto piano rivolta sul cortile interno del fabbricato.

Dopo le nostre immediate lamentele (l’aria condizionata non si poteva regolare né spegnere) ci hanno assegnato un’altra stanza al piano superiore, stavolta molto più spaziosa e panoramica e decisamente più confortevole della precedente (poco male per la stanza al sesto piano…L’hanno rifilata alla coppia arrivata immediatamente dopo di noi…).

Stanchi ed affaticati dal viaggio (per noi sarebbero state le 3 del mattino) dopo aver comprato alcune bottiglie d’acqua in uno shop vicino all’albergo ed averne constatato il prezzo esorbitante (al litro circa il doppio di una Coca Cola) ci siamo diretti in camera ed addormentati subito.

25 agosto 2007 Causa il fuso orario (e la nostra impazienza di visitare quante più attrazioni possibili) ci siamo svegliati alle 6:00 del mattino e, dopo esserci preparati in fretta ed aver consumato la nostra prima colazione da Europa’s Cafè, ci siamo subito diretti verso Times Square.

Lo spettacolo, rispetto alla sera in cui tutto luccica e brulica di persone, è stato totalmente differente: causa l’ora e la leggera nebbiolina che avvolgeva i grattacieli nascondendone le cime, l’atmosfera risultava ovattata e sonnolenta (è stato allora che abbiamo constatato che la “City that never sleeps”, almeno in quel momento, stava sonnecchiando…). Dopo una breve sosta al “Times Square Tourist Information” vicino a Mc Donald’s per rifornirci di mappe e buoni sconto, abbiamo iniziato la nostra visita camminando per il Theatre District fino a Columbus circle (già a quell’ora c’erano persone in coda per accaparrarsi un biglietto per i vari spettacoli e dalla cospicua presenza di brande e sacchi a pelo abbiamo dedotto che avevano dormito lì). Abbiamo costeggiato il lato sud di Central park fino all’ex Plaza Hotel, visitando l’avveniristico Apple Store (dove volevamo comprare veramente tutto!!) sulla 5th avenue che abbiamo percorso in direzione sud, e lungo la quale abbiamo fatto “windows shopping” (boutique come Tiffany, Cartier, Gucci ecc. Ci permettevano solo quello!!) e appurato che la famosa marca di cancelleria “Spalding & Bros 520 Fifth Avenue” non risiede più là.

Dopo brevi visite alla Trump Tower (pacchiana all’inverosimile ma pur sempre residenza di VIP come Madonna), al Disney store, all’NBA Store, al Rockfeller Center (ovviamente privo di pista di pattinaggio sul ghiaccio e mega albero di Natale), alla St. Patrick’s Cathedral, alla Public Library, al Chrysler Building (splendido, di sicuro il più bel grattacielo di New York), alla Grand Central Station, ci siamo diretti al confine est di Manhattan per visitare il palazzo di vetro sede dell’ONU dove, al prezzo di 12 $ a testa abbiamo seguito l’interessante tour interno. Usciti da lì abbiamo preso la prima metropolitana della giornata per raggiungere il Metropolitan Museum nell’Upper East side (entrata a donazione) dove abbiamo ammirato tra le altre opere il tempio di Dendur, la Madonna con il Bambino di Duccio di Buoninsegna e la “The dreamer” di Picasso, prima di salire sul tetto per apprezzare il panorama di Central Park in una giornata che si sarebbe poi rivelata tra le più afose degli ultimi anni a New York e nella quale la differenza di temperatura tra i quasi 40 gradi esterni ed i 15 scarsi di qualsiasi luogo interno ci ha dato modo di venire a conoscenza della rinomata “US air conditioned” il cui unico scopo è evidentemente ricreare le atmosfere del Polo Nord e che ci ha dato più volte la sensazione di svenire.

Ripresa la metro siamo tornati verso Times Square per cenare al Bubba Gump dove un simpatico cameriere (forse desideroso di una mancia cospicua) voleva convincerci che il piatto che avevamo preso (gamberi fritti con ketchup e patatine fritte, il tutto rinchiuso all’interno di un megapanino) fosse il loro miglior prodotto e che eravamo stati dei buongustai a sceglierlo.

Usciti dal ristorante ci siamo sentiti già più statunitensi con tutti quel colesterolo in corpo ed abbiamo deciso di tornare in albergo: come prima giornata a New York City poteva bastare… 26 agosto 2007 Ci siamo alzati presto per recarci a Port Authority (42nd e 8th avenue) e, dopo un’ora di attesa data dall’obbligo di presentarsi alla partenza con un’ora di anticipo, alle 8 abbiamo preso il bus Greyhound per Philadephia dove siamo arrivati alle 10:20. Dopo una breve camminata durante la quale abbiamo visto la City hall, la Sede dell’Organizzazione Massonica di Philadelphia (ma non doveva essere un’organizzazione segreta?) ci siamo recati verso la zona più storica della città dove si trova un Visitors Center molto ben organizzato all’interno del quale poter reperire tutte le informazioni per visitare il “miglio quadrato più storico degli Stati Uniti d’America” (certo rapportato alla nostra storia italiana viene da sorridere ma non fatelo mai notare agli americani, sono molto orgogliosi e autocelebrativi e potrebbero offendersi!).

Essendo domenica, tutte le maggiori attrazioni erano gratuite anche se forse il fatto che molti negozi erano chiusi ha tolto brio ad una città che ci è sembrata tuttavia molto vitale ed in crescita, comunque molto differente da New York…Forse più “americana”.

Abbiamo visitato la Liberty Bell, l’Independence hall (dove venne redatta la Dichiarazione di Indipendenza nel 1776) seguendo la visita guidata da un Ranger comico e pungente che per tutta la durata della stessa ha continuato ad intrattenerci con battute e frecciatine soprattutto indirizzate ad una coppia di ragazzi inglesi (rei a suo dire di aver colonizzato il Nuovo Mondo in passato e bersagliati da domande del tipo “È la prima volta per voi nelle colonie?…Vi sentite sicuri qui da noi, non avete paura di girare per le strade?…”) molto divertente per noi, molto meno per i due che comunque sono stati al gioco.

Nel pomeriggio abbiamo fatto un giro della città con un piccolo bus in legno della linea “Quick Guide” (1 $ a giro a testa) che ci ha portato fino alle Rocky Steps (scalinata di entrata del Museo dell’arte di Philly, famosa soprattutto per essere stata protagonista degli allenamenti di Rocky Balboa in una scena epica dell’omonimo film) teatro di centinaia di foto con turisti che emuli del grande boxeur percorrono l’interminabile scala in salita di corsa per poi stramazzare al suolo in cima. Noi l’abbiamo percorsa in discesa dopo aver anche visitato il Museo (entrata a donazione) e ci siamo poi riposati in un parco sottostante in attesa del bus che ci ha riportato alla stazione Greyhound ove siamo ripartiti alle 17 alla volta di Manhattan.

L’arrivo, ritardato dal traffico di rientro dalle ferie dei newyorkesi, è coinciso con l’ora di cena che abbiamo consumato al Bistrò Pigalle (sotto l’albergo) dove si è mangiato molto bene anche se sul conto ci siamo visti addebitare ben 7$ per una bottiglia di acqua naturale da un litro (forse dovevamo bere una Coca Cola…Ben più conveniente) e dove abbiamo capito subito uno dei motivi per cui l’alimentazione statunitense risulta così fortemente sregolata: acquistare alimenti sani, almeno a NY, costa moltissimo (1,5 € un frutto, molto di più per la verdura fresca) e molti preferiscono fare snacks con hamburger e hot dog che risultano molto meno costosi. Appesantiti (…O alleggeriti?) dalla cena e dalla giornata stancante siamo tornati in albergo non prima di aver acquistato i biglietti del bus per Boston per il 30 agosto (sempre sfruttando lo sconto dei tre giorni di anticipo) alla stazione di Port Authority (49 $ a testa). 27 agosto 2007 La giornata è iniziata con la visita al Guggenheim Museum, (15 $ a testa) meta che ci eravamo prefissati sin dalla partenza sia perché siamo amanti dell’arte moderna e contemporanea sia perché eravamo ansiosi di ammirare la splendida struttura del museo che, se dall’esterno non è ad oggi apprezzabile causa lavori di ripristino che termineranno nel marzo 2008, dall’interno mostra tutta la particolarità e la genialità che il suo progettista, Frank Loyd Wright, ha voluto conferirle. Dopo circa un’ora, tempo necessario per una visita più che approfondita (e secondo noi la durata ideale per visitare un museo di questo tipo prima che sopraggiunga la stanchezza) siamo usciti per sfruttare la splendida mattinata e fare una passeggiata all’interno di Central Park fino a raggiungerne il lato sud (splendidi i sentieri interni, i laghetti dove i bambini improvvisano regate con modellini di barche a vela, ed i percorsi per il running dove centinaia di praticanti si cimentano in compagnia dell’inseparabile iPod, insomma una vera oasi che ci fa dimenticare di trovarci nel cuore di una metropoli).

Usciti da parco ed effettuata una breve escursione a piedi nell’elegante Upper East Side (splendidi alcuni condomini con attici che affacciano sul parco e che abbiamo scoperto poi appartenere a VIP internazionali), abbiamo preso la metro fino a Battery park (estremo sud di Manhattan) e, risalendo in superficie, ci siamo trovati all’interno di un trafficatissimo parco con vista sul mare dove è possibile incontrare sia top manager in pausa pranzo (il distretto finanziario è a due passi) che tranquille famiglie intente a fare un picnic; noi ci siamo imbarcati sul battello per Staten Island (gratuito e di linea, ce ne sono ogni venti minuti) per concederci una gita riposante e panoramica verso la Statua della Libertà (consigliamo di accomodarsi sul lato destro del battello per usufruire della vista migliore). Abbiamo scelto questo tipo di “crociera”, invece di quella più turistica diretta ad Ellis Island (a pagamento e con annessa visita al museo dell’Immigrazione), perché con un sole così splendente ci piaceva prenderci una pausa dalle “fatiche” della giornata godendoci la brezza marina e cercando di fare qualche bella foto panoramica di Downtown (a tal fine consigliamo di posizionarsi verso prua per il ritorno).

Dopo una breve sosta a Staten Island necessaria ad effettuare il cambio d’imbarcazione, siamo nuovamente sbarcati a Manhattan per dirigerci verso Wall Street (immancabile la foto toccando le parti intime della statua del toro di bronzo simbolo del rialzo in borsa e si dice amuleto portafortuna).

Dopo aver tentato senza sorte di entrare all’interno del New York Stock Exchange (le guardie all’ingresso ci hanno fatto desistere subito dicendoci che il palazzo non è più visitabile e tra l’altro quella mattina l’ospite addetto ad aprire le contrattazioni era nientemeno che Tiger Woods) abbiamo fatto una passeggiata per il Financial district e visto l’attuale enorme cantiere sorto ove una volta si innalzava la sede del World Trade Center oggi luogo di mesti pellegrinaggi e giri turistici organizzati tanto inopportuni quanto sgradevoli. Si rimane comunque piacevolmente stupiti nel vedere come gli americani, colpiti forse per la prima volta nell’epoca moderna in casa propria dalla violenza della guerra, abbiamo saputo subito rimboccarsi le maniche senza piangersi addosso per ricostruire quanto prima un simbolo della nazione (la nuova Freedom Tower si candida a diventare l’edificio più alto ed avveniristico al mondo e certamente torneremo per visitarla!).

Dopo esserci rifocillati con un delizioso Frappuccino da Starbuck’s che ci ha ritemprato nel fisico e nella mente, ci siamo diretti verso il Ponte di Brooklin, che abbiamo attraversato a piedi fotografandolo da tutte le angolazioni prima di rientrare a Manhattan con la metro che ci ha condotti proprio alla base dell’Empire State Building pronti ad inerpicarci fino alla sommità come novelli “King Kong con l’ascensore”. Abbiamo scelto il tramonto di una giornata limpida per effettuare la visita (18 $ a testa per la salita) e, dopo aver constatato che alle 19:00 la coda per salire è quasi inesistente per poi riformarsi molto più nutrita appena si fa buio, ci siamo affacciati dalla famosa balconata all’86mo piano. La scelta di salire al tramonto si è rivelata quanto mai azzeccata (e per questo ringraziamo altri Turisti per caso che l’avevano consigliata): lo spettacolo a cui si assiste da lassù è impressionante, si ha la sensazione di dominare la città senza però esserne inglobati e si può vedere il sole tramontare sull’Hudson e creare stupendi giochi di luci ed ombre sui grattacieli.

Inebriati da tanta bellezza, dopo aver atteso che calasse un po’ di oscurità e si accendessero le prime luci della città, siamo ridiscesi a terra e ci siamo fermati a cena in un ristorante proprio a fianco dell’entrata dell’Empire dal quale, dopo aver gustato un’ottima Ceasar salad, ci siamo diretti a piedi verso l’albergo per concederci una giusta dormita dopo i tanti chilometri percorsi nella giornata.

28 agosto 2007 Ci siamo svegliati presto per partire alla volta di Buffalo da dove avremmo raggiunto le vicine cascate del Niagara, escursione che sognavamo fin da quando abbiamo deciso di affrontare questo viaggio. La partenza per l’aeroporto La Guardia (raggiunto tramite la metro linea blu presa vicino all’albergo e il bus di linea in cui abbiamo trovato un autista gentilissimo che ci ha indicato il terminal giusto per il nostro volo) è avvenuta alle 7:45 e siamo giunti in aeroporto circa un’ora dopo.

Sbrigate molto velocemente le formalità di imbarco (le difficoltà si incontrano solo all’ingresso negli States, per i voli interni risulta tutto molto più semplice e rapido…Come se i terroristi, se mai ci fossero, venissero solo dall’estero) ci siamo concessi una lauta colazione ed abbiamo atteso il nostro volo US Airways che è decollato puntualmente alle 10:15 per atterrare a Buffalo alle 11:30.

Appena sbarcati ci siamo diretti verso il desk informazioni all’interno dell’aeroporto per reperire le indicazioni necessarie per raggiungere le cascate. Là una gentilissima signora dall’aspetto britannico ci ha consigliato di utilizzare un taxi (il cui prezzo convenzionato per la tratta è di 60 $), il mezzo più rapido per giungere a destinazione (circa 40 minuti), poiché avremmo impiegato più di tre ore utilizzando il bus di linea. Mentre la signora ci stava consigliando di uscire e trovare qualcuno con cui condividere il taxi (cosa molto facile visto che l’aeroporto di Buffalo è frequentato perlopiù dai turisti che vogliono visitare le cascate) si è avvicinata al bancone una coppia di ragazzi inglesi che aveva il nostro stesso programma e stava cercando qualcuno con cui dividere la spesa per il taxi.

Sfruttando il colpo di fortuna ci siamo subito proposti per la gioia dell’addetta alle informazioni che, con evidente soddisfazione, ha esclamato: “che giornata fortunata, ho fatto felici quattro persone nel giro di quindici secondi…Se non è efficienza questa!!” Ci siamo quindi avviati con Alex e Katie (questi i nomi dei nostri compagni di viaggio improvvisati) alla ricerca di un taxi e il destino ha voluto che ci capitasse come driver Gianfranco, un emigrante romano che non ha ancora perso il suo accento, in USA da trent’anni, che oltre a trasportarci alle cascate ci ha fatto da cicerone durante il tragitto spiegandoci, in italiano (…Anzi romano) e inglese (…Anzi romanglese) le attrazioni della zona e il tragitto più comodo ed efficiente da effettuare una volta arrivati. Dopo aver scoperto che Alex e Katie alloggiavano come noi a Manhattan (in un albergo a pochi metri dal nostro) ed avrebbero preso il nostro stesso volo per rientrare a New York, ci siamo accordati con Gianfranco per farci venire a riprendere alle cascate alle 18:00 e con i nostri amici d’oltremanica per dividere sia questo taxi che quello che dall’aeroporto La Guardia ci avrebbe riportato a Times Square…Non c’è che dire una giornata che iniziava sotto i migliori auspici! Appena entrati nel fantastico parco che circonda il lato americano delle cascate del Niagara ci siamo diretti, seguendo alla lettera la utili informazioni elargite da Gianfranco, verso la Horse Shoe (Ferro di cavallo), la cascata più alta ed imponente il cui punto di osservazione è posto immediatamente sopra il punto di salto e dove si prova la sensazione di venir trascinati via con tutta la terrazza dato il fragore con cui il getto si abbatte sulle rocce e la velocità dell’acqua immediatamente prima del salto.

Ci siamo poi fermati ad ammirare le Bridal Falls più piccole ma ugualmente imponenti, interamente sul lato americano, per poi decidere di farci una bella doccia scendendo con l’ascensore dentro la Cave of the Winds, una breve escursione da effettuare a piedi (10 $ a testa con tanto di impermeabile e sandali in dotazione) che permette di arrivare fin sotto alla cascata. Consigliamo a tutti di effettuare l’escursione, veramente molto divertente arrivare all’Hurricane bridge, una passerella in legno sulla quale si fatica a restare in piedi scossi dal vento e dall’impeto dell’acqua che colpisce i visitatori con la violenza acquisita in circa 60 metri di caduta.

Risaliti in sommità totalmente bagnati ci siamo fermati a pranzo in un bar per gustarci un bell’hot dog ed asciugarci al caldo sole estivo che ci ha accompagnato durante tutta la giornata. Dopo esserci rifocillati ci siamo diretti verso la torre con ascensore posta all’entrata del parco (uno scempio architettonico ma sempre nulla in confronto alle oscenità sorte dal lato canadese dove immediatamente sopra le cascate sono sorti grattacieli, torri e casinò) dalla quale, oltre a scattare qualche foto dalla terrazza sospesa sul fiume, si scende per effettuare la breve crociera sul Maid of the Mist, il battello che conduce i turisti proprio al centro della Horse Shoe (consigliamo di effettuare l’escursione partendo dal lato statunitense sia perchè più economico 12,50 $ contro 14 $ sia perchè molto meno affollato). La crociera è stata molto emozionante (se potete tenetevi i sandali dall’escursione precedente…Vi saranno utili e soprattutto posizionatevi a prua) ed è culminata con l’ingresso all’interno del “Ferro di cavallo” dove la furia del vento e il vapore che si sviluppa impediscono di tenere gli occhi aperti e dove si apprezza in pieno la fragilità del genere umano di fronte alla potenza della natura che in quel momento dà l’impressione al turista di essere finito all’interno della centrifuga di una lavatrice. Risaliti di nuovo alla terrazza sospesa ancora scossi dall’esaltante esperienza abbiamo attraversato il ponte sul fiume e siamo entrati in territorio canadese (solite domande del tipo “siete qui per eseguire atti terroristici?”…La risposta la lasciamo a voi) ed una volta vidimato il passaporto siamo arrivati fino alla balconata principale sull’altro lato della Horse Shoe dalla quale si gode in pieno lo spettacolo delle cascate tra nuvole di vapore e arcobaleni che si sovrappongono, sito non a caso scelto come set del film Superman (ricordate il bambino che cade nel burrone e viene salvato dall’eroe?).

Dopo una breve sosta per riposarci era già ora di rientrare per presentarci puntuali all’appuntamento con Gianfranco (attenzione a portare con sé alcune monete da un quarto di dollaro poiché per rientrare negli USA occorre pagare una tassa di mezzo dollaro a testa ed il tornello posto sul ponte accetta solo monete da 25 cents!) Il viaggio di ritorno in taxi è stato tuttavia un po’ meno piacevole dell’andata sia per la stanchezza che cominciava a farsi sentire sia perché Gianfranco, ormai a fine turno, ha insistito per mostrarci una strada alternativa molto panoramica ma anche molto più lunga.

Durante il viaggio inoltre, ormai in confidenza con noi, ha iniziato a cantare degli stornelli romani di trenta anni fa (aveva anche il cd…Ma dove l’ha trovato?) chiedendosi come mai noi non li conoscessimo e presentandoli a Alex e Katie come delle hit conosciutissime in Italia…Avremmo voluto sotterrarci dalla vergogna ma non potevamo fare altro che ridere a crepapelle cercando di convincere i nostri amici che gli italiani non sono tutti così (ma ora capiamo perché negli States hanno lo stereotipo dell’italiano PIZZA-MANDOLINO-SPAGHETTI…È stato Gianfranco!) Giunti all’aeroporto abbiamo salutato il nostro fantastico cicerone (e anche sua moglie al telefono visto che le aveva parlato di noi e lei ha voluto augurarci buon viaggio) e ci siamo imbarcati sull’ aereo di ritorno delle ore 20:45 che ci ha permesso di arrivare in albergo dopo circa 1 ora e mezzo di volo e venti minuti di taxi (28$ dall’aeroporto La Guardia a Times Square).

Salutati i nostri compagni di viaggio di giornata ed augurato loro un buon proseguimento ci siamo fiondati in albergo per goderci il meritato riposo ancora pensando alla fantastica giornata appena trascorsa in cui le circostanze favorevoli ci hanno sempre accompagnato rendendo questa escursione indimenticabile.

29 agosto 2007 Ancora stanchi per la giornata precedente ci siamo svegliati piuttosto tardi e, con l’intenzione almeno in questa giornata di prendercela con calma, dopo aver consumato la colazione in albergo, siamo partiti con la metro in direzione downtown per visitare Little Italy, Chinatown, TriBeCa (Triangle Below Canal Street), SOHO (South of Houston Street) e il Greenwich village.

Siamo rimasti stupiti di come questi quartieri, pur essendo simboli storici della Big Apple, collidano aspramente con l’immagine che si ha della città apparendo molto naif ed in netto contrasto con la frenesia e la confusione che regnano nei distretti più turistici come fossero parte di un’altra città, più tradizionale e meno innovativa.

Dopo aver constatato che Little Italy è ormai ridotta ad una sola strada (Mulberry Street) costretta dall’ingerenza totalitaria di una Chinatown sporca ma in continua espansione e che il Greenwich village, TriBeCa e SOHO una volta quartieri giovani e pieni di artisti stanno diventando di gran moda tra i VIP che curano le ristrutturazioni di molti condomini per trasformarli in loft superlussuosi, noi, patiti di serie televisive americane, siamo partiti alla ricerca della casa dei Robinson (10 St. Lukes Place) e del condominio di Friends (incrocio tra la Bedford e la Grove), ben consci però che gli interni sono stati girati agli studios di Los Angeles… ma che volete farci fa comunque una certa impressione vedere da vicino dei palazzi che tante volte abbiamo immaginato teatro di avventure così divertenti con le quali siamo cresciuti.

Dopo essere risaliti a piedi in direzione uptown (altri chilometri!!) abbiamo osservato il Flatiron Building e fatto un po’ di shopping da Macy’s con una sosta da Starbuck’s per rifocillarci e il ritiro del tesserino riservato ai cittadini non statunitensi al “Visitors information” del centro commerciale per ottenere uno sconto dell’11% su tutti i prodotti del “World’s largest shopping mall” (ma ci sarà, ci siamo chiesti, qualcosa di loro proprietà che gli americani non considerino come il n.1 al mondo?).

Abbiamo concluso la giornata visitando (solo da fuori purtroppo) il glorioso Madison square garden e cenando in un fantastico pub proprio dietro l’albergo dove abbiamo gustato un hamburger a testa e ci siamo divertiti ad osservare la faccia sbigottita del cameriere quando abbiamo chiesto di sostituire le immancabili patatine fritte con un insalata fresca.

In definitiva quella che doveva essere una giornata di riposo si è trasformata nell’ennesima sfacchinata ma si sa: siamo a NY ed è impossibile star fermi a riposarsi! 30 agosto 2007 Sveglia all’alba per trovarci a Port Authority alle 6:00 ed imbarcarci sul pulman Greyhound in partenza alle ore 7:00 alla volta di Boston.

Dopo circa 4 ore di viaggio siamo giunti alla South Station della principale città del Massachussets da cui, presa la Metro T (linea rossa) ci siamo subito diretti verso il distretto di Cambridge per visitare la cittadella universitaria di Harvard.

Appena risaliti in superficie ci siamo immediatamente imbattuti nella splendida atmosfera universitaria americana, ricca di campus e associazioni studentesche che così tante volte abbiamo visto nei film. Inutile sottolineare che l’elitaria università “Harvardiana”, di cui abbiamo potuto visitare solo i curatissimi parchi e i deliziosi vialetti alberati ricchi di piccole palazzine in stile vittoriano (tutti gli edifici sono chiusi al pubblico e l’ingresso è riservato ai soli studenti muniti di pass), è considerata la prima al mondo nel ramo legale e umanistico e ciò si può percepire anche dalle numerose iniziative didattiche di rilevanza mondiale pubblicizzate lungo le strade.

Saremmo rimasti per ore a visitare corti e giardini immersi in una tranquillità garantita sia dalla maniacale pulizia dei luoghi (vorremmo vedere…Con quello che costa la retta annuale!) che dall’atmosfera di grande serietà conferita dal blasone del luogo.

Il nostro giro, però, doveva continuare ed a malincuore ci siamo diretti nuovamente verso la metro per dirigerci al vicino MIT (Massachussets Institute of Technology) la più gloriosa università tecnico-scientifica del mondo ove l’insegnamento è garantito da numerosi premi Nobel e da dove provengono molti degli ultimi presidenti degli Stati Uniti (ma forse qualcuno marinava le lezioni!). Qui, in linea con le materie trattate (da tutti i tipi di ingegneria alle scienze, alla medicina), l’atmosfera è meno classica di quella che regnava ad Harvard ma, anche se prevalgono fabbricati modernissimi (alcuni vere e proprie opere d’arte dell’architettura moderna) sedi di istituti autorevoli e notissime case farmaceutiche che contribuiscono a finanziare le ricerche, si percepisce il medesimo prestigio.

Dopo esserci riposati un attimo ed aver comprato qualche immancabile souvenir, abbiamo deciso che era ora di dirigerci verso downtown per visitare il centro di Boston. Ripresa la metro rossa (molto nuova e pulita come del resto tutta la città) fino a Park street station abbiamo seguito il Freedom Trail, un percorso pedonale che tocca tutte le principali attrazioni della città e che è facilmente rintracciabile: occorre solo seguire una linea rossa tracciata sul marciapiedi.

Il tragitto seguito ci ha permesso di apprezzare una città stupenda (forse la più bella ammirata durante il nostro viaggio), in cui la pulizia e le influenze europee rendono l’ambiente a misura dei numerosissimi turisti. Si trovano grattacieli avveniristici in vetro riflettente alternati a palazzine tipiche in mattoni rossi, mercatini all’aperto e un distretto commerciale affacciato sul porto turistico che dà l’idea di una città in cui poter trascorrere le vacanze estive data anche la vicinanza con i famosi centri balneari della East Coast.

Dispiaciuti di dover lasciare dopo solo poche ore una città che ci ha colpito per la sua apertura alle influenze che l’hanno investita nella sua storia e che, provenienti dall’Oceano su cui si affaccia, ancora oggi la caratterizzano, ci siamo diretti verso la South Station per riprendere il pulman delle 17 che ci ha riaccompagnato a New York City. Inutile dire che abbiamo provato un po’ di nostalgia nel concludere un’escursione che ci ha emozionato e riportato ai tempi (peraltro recenti) in cui entrambi abbiamo frequentato l’università inducendoci a confessarci che, in quell’ambiente, avremmo volentieri ricominciato.

L’arrivo a New York alle 21:30, guidati da un autista sosia di James Brown che durante la folle corsa di ritorno non faceva altro che ripetere al microfono “Ok Folks! I’m doing my best” come se avesse dovuto rientrare a casa in fretta perché aveva lasciato il rubinetto dell’acqua aperto, ci ha comunque permesso di osservare il Bronx (che abbiamo attraversato in diagonale), quartiere reso tristemente mitico da miseria e criminalità e che, almeno in certi punti, ultimamente, si cerca di riabilitare.

Abbiamo potuto osservare ragazzi poco più che ventenni girovagare per le strade suddivisi in bande, case blindate da pesanti inferiate e filo spinato come estremo tentativo di difesa e molti campi da basket illuminati (i playground) da dove provengono molte stelle dell’odierna NBA.

Lo spettacolo non è stato dei più rassicuranti ma crediamo sia giusto sottolineare anche che in molti punti il quartiere è più che sicuro e visitabile (almeno di giorno) e che comunque anche esso, con il suo immenso Zoo, rappresenta un pezzo di storia di New York.

31 agosto 2007 La giornata è iniziata, dopo un abbondante colazione da Starbuck’s, con la visita al NY American Museum of Natural History, nell’Upper West Side, teatro del recente film di successo “Una notte al museo” dove abbiamo scoperto, appena sbarcati dalla metro, un’altra bizzarra caratteristica statunitense: l’entrata a “donazione forzata”.

Per accedere al museo, infatti, così come al Metropolitan Museum e così come pubblicizzato dal sito e dagli opuscoli informativi ufficiali si dovrebbe elargire una donazione (in quanto tale del tutto facoltativa e libera). Ci è però capitato di vedere un gran numero di turisti che, cercando di entrare senza aver elargito tale donazione (cosa del tutto legittima) sono stati respinti all’ingresso dagli addetti al controllo biglietti e rimandati alla biglietteria ad acquistare forzatamente il tagliando.

Ci siamo quindi chiesti il perché continuare a pubblicizzare una certa politica di ammissione e non ammettere tranquillamente ciò che in realtà accade: occorre pagare il biglietto per accedere al museo (cosa che tra l’altro non sarebbe affatto disdicevole) ed abbiamo concluso che, a volte, agli statunitensi piace complicare le cose, pur se in buonafede.

A parte questo curioso accadimento, tuttavia, occorre dire che il Museo di Storia Naturale è veramente ben curato ed interessante, troneggiano ovunque scheletri di dinosauri ed altri animali preistorici dalle dimensioni impressionanti, ottime sono le fedeli ricostruzioni degli habitat degli animali e dei più svariati popoli del mondo (dai tibetani ai pigmei), emozionanti le sale dedicate all’ambiente marino (con tanto di cetacei a dimensioni naturali che sembrano “nuotare” nell’aria appesi al soffitto), al cosmo (avveniristico il planetarium costituito da un’enorme sfera all’interno di una struttura in vetro e acciaio), alla teoria evoluzionistica, alla geologia ed alla biologia genetica.

Il tutto è presentato con terminologia semplice e comprensibile anche ai tanti bambini che incantati affollano il museo magari in attesa di trascorrere lì la notte tutti insieme, iniziativa promozionale recente per far loro provare l’emozione di prender parte alla magica avventura capitata a Ben Stiller durante il già citato film. Sicuramente soddisfatti della visita abbiamo deciso di fare una lunga passeggiata nell’Upper West Side (forse un po’ meno elegante ma certamente più frizzante del quartiere dall’altro lato del parco) abbiamo percorso Columbus street, visto il Lincoln Center, in attesa che scoccassero le 16:00, orario in cui, di venerdì, è possibile visitare gratuitamente il Moma (consigliamo però di presentarsi almeno 45 minuti prima per evitare le code che vengono a crearsi nell’immediata precedenza dell’apertura generale dei cancelli). La visita è trascorsa in un lampo benché siano passate ben due ore dal nostro ingresso ma si sa, ammirando opere come “Le demoiselles d’Avignon” di Picasso e “The Dance” di Matisse, solo per citarne alcune, il tempo trascorre velocissimo.

Dopo esserci riposati un po’ nell’interno Giardino delle Sculture, dal quale si può apprezzare al meglio il dedalo di passerelle in vetro e acciaio che costituisce il percorso da seguire all’interno del museo e ne caratterizza la recente opera di ristrutturazione (da alcuni molto criticata ma secondo noi consona al tipo di opere esposte), abbiamo preso la metro, linea viola, per dirigerci nel Queens alla volta di Flushing Meadows, il complesso sportivo ove in quei giorni erano in pieno svolgimento gli US OPEN 2007 di tennis. Nonostante fossimo privi dei tagliandi per assistere ai match principali, ci siamo comunque mescolati alla grande folla che gremiva l’impianto riuscendo ad assistere a qualche scambio di una partita e girovagando tra i numerosissimi punti vendita del merchandising ufficiale del torneo.

Affamati e soddisfatti abbiamo deciso di tornare a Manatthan per cenare da Pigalle, il bistrò proprio sotto il nostro albergo che tanto ci era piaciuto qualche sera prima. Purtroppo la serata è stata rovinata da uno scarafaggio gigante che ha ben deciso di passeggiare sotto il nostro tavolo sfuggendo ai tentativi di tutti i camerieri di schiacciarlo. Ad innervosirci, tuttavia, non è stato tanto l’insetto molesto (siamo a New York, non esattamente la città più pulita del mondo) quanto l’atteggiamento del personale che, invece di proporci un cambio di tavolo, ha continuato a passeggiare attorno a noi fingendo che nulla fosse successo ma lanciando occhiate furtive sotto il nostro tavolo ed andando successivamente a commentare il risultato della caccia in un angolo guardandoci di soppiatto come fossimo due coraggiose esche pronte ad essere assalite: non propriamente la più romantica delle cene. Infine l’exploit: il nostro cameriere ha preso il coraggio a due mani (forse spinto dalla nostra faccia non proprio soddisfattissima) ed avvicinandosi a noi con viso angelico se ne è uscito con “tutto di vostro gradimento signori?”…La nostra risposta? “CHECK PLEASE!” lasciamo a voi indovinare quanto abbiamo lasciato di mancia!

1 settembre 2007 Abbiamo deciso di dedicare l’ultimo giorno prima della partenza allo shopping che, considerato il cambio favorevole euro/dollaro e l’enorme varietà di prodotti reperibile a New York, è un’attività che pare quantomeno conveniente per il turista europeo. Quale miglior posto, quindi, per effettuare le nostre compere di un immensa cittadella degli outlet posta appena fuori New York ove trovare qualsiasi brand vi possa venire in mente? Forti di queste considerazioni abbiamo scelto di trascorrere l’intera giornata al Woodbury Common Premium Outlet ( 1 ora di pulman a nord di New York) ove avremmo potuto dar fondo alle nostre carte di credito, ormai allo stremo dopo dieci giorni di “strisciate” continue, usufruendo di eccezionali sconti (iscrivetevi, prima di recarvi sul posto, sul sito www.Premiumoutlets.Com onde farvi registrare nel VIP CLUB e procurarvi così dei coupons da ritirare sul posto per ottenere sconti aggiuntivi).

Le compagnie di bus che raggiungono il Woodbury Common sono solo due, entrambe con base a Port Authority, la Short Line e la Grey Line che, ad un prezzo di 39$ a testa a/r (attenzione: le biglietterie di queste due linee non accettano carte di credito quindi portatevi dei contanti o pagate con i bancomat), coprono il tragitto scaricando orde di turisti affamati di shopping proprio davanti all’ingresso con cadenza oraria.

Il risultato della nostra “battuta di caccia” sono stati una Lacoste (35€!!!), guanti e cappello di Calvin Klein, borsoni da ginnastica Reebok (14€ e 18€!!!), dei completi per il running Adidas, e alcuni souvenir.

Soddisfatti degli acquisti abbiamo deciso di rifocillarci con degli hot dog e dirigerci verso Manhattan ove siamo giunti circa alle 18:30. Dopo un breve sosta in albergo per posare gli acquisti e prepararci per la cena abbiamo deciso, entrambi appassionati di fotografia, di sfruttare la serata limpidissima per raggiungere Brooklin con la metro (fermata di arrivo High Street linea blu) e cercare di immortalare il ponte dal grande parco sottostante con lo skyline della città illuminata sullo sfondo. Il risultato della spedizione, grazie anche al cavalletto prestatoci da uno dei tanti fotografi accorsi sul posto con la nostra stessa idea, è stato fantastico: alcune delle più belle foto che abbiamo mai scattato in tutti i nostri viaggi! Tale visita, inoltre, ci ha permesso di addentrarci un po’ nel quartiere dall’altro lato del ponte, che, se all’inizio ci intimidiva un po’ (uscire da Manhattan di notte da soli non dicono sia prudente), abbiamo scoperto essere molto elegante e trendy con tanto di feste modaiole in locali ricavati da ex fabbriche e trafficatissimo di turisti che come noi hanno deciso di recarcisi nelle ore serali per godere del panorama. Elettrizzati da quello cui avevamo assistito siamo rimasti ancora un po’ ad ammirare gli attici con vista su Manhattan (i cui abitanti possono godersi quel colpo d’occhio tutte le sere e ciò crediamo influisca non poco sui prezzi delle abitazioni di quella parte di quartiere) e siamo poi rientrati per cenare in un pub irlandese sulla 8 avenue proprio dietro l’albergo ove ci siamo concessi, come “ultima cena negli States” un tradizionalissimo mega hamburger con patatine. Contenti del risultato della giornata siamo rientrati in hotel un po’ malinconici: la sera successiva a quell’ora saremmo stati su un aereo in direzione casa.

2 settembre 2007 In mattinata, dopo aver preparato le valigie ed averle lasciate in albergo, ci siamo diretti nel quartiere di Harlem per assistere ad una messa domenicale, evento che ultimamente, almeno a detta degli abitanti del quartiere, sta diventando molto turistico ma che non per questo ha perso il suo fascino. Avevamo deciso, seguendo i consigli di alcuni “turisti per caso”, di assistere alla funzione delle 11:00 all’Abyssinian Baptist church ma, arrivati sul posto con almeno quaranta minuti di anticipo abbiamo constatato che la coda per entrare era lunga almeno tre isolati ed era guidata da coloro che non erano riusciti ad assistere alla funzione delle 9:00. Gli stessi addetti alla coda (peraltro organizzatissimi) sconsigliavano di proseguire l’attesa e suggerivano di recarsi in altre chiese che nella zona sono molto numerose.

Abbiamo quindi ripiegato sulla vicina Williams Institutional C.M.E. Church ove abbiamo potuto assistere ad una funzione molto diversa da quelle che conosciamo abitualmente, ricca di canti, dialoghi con gli astanti, urla del pastore (che alternava le sue prediche con quelle di una sua collega) come fosse un allenatore di una squadra che cercava di motivare al massimo i propri giocatori.

Dopo aver salutato con gioia tutti i turisti presenti omaggiandoli con applausi e strette di mano, inoltre, il pastore ha intonato bellissimi canti con una voce molto bassa degna del miglior Berry White per una durata totale della funzione di circa due ore che però, affascinati dall’atmosfera familiare della comunità che ci accoglieva in cui tutti si conoscevano, per noi sono volate.

Entusiasti di questa esperienza che ci ha permesso di addentrarci ancora di più nella vita quotidiana newyorchese facendoci sentire un po’ più cittadini ed un po’ meno turisti, siamo tornati verso sud passando di nuovo all’Apple Store per consultare Internet circa il nostro volo, facendo l’ultimo shopping da Niketown e passando a Times Square per salutarla con un’ultima nostalgica occhiata.

Quindi, senza guardarci ancora indietro, siamo passati a ritirare le valigie in hotel e ci siamo diretti in aeroporto pronti a decollare con il volo di ritorno per l’Italia forse più leggeri nel portafoglio ma sicuramente carichi di ricordi che ci porteremo sempre dietro…Goodbye New York, anzi, ARRIVEDERCI!



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