Nelle terre del tufo
Primo giorno.. Ci troviamo già in Toscana, sebbene in una zona diversa dai “tufi”, che si estendono prevalentemente a sud-est della provincia di Grosseto; pertanto, in circa 2 ore raggiungiamo l’area di nostro interesse. Le origini vulcaniche dei luoghi hanno creato anche sorgenti termali di pregio per le proprietà curative delle acque; non è, perciò, un caso che la prima tappa del nostro viaggio sia Saturnia. Qui, quasi in paese, sorgono organizzatissimi stabilimenti termali, con cascatelle naturali di acqua sulfurea dove ci si può immergere sempre (cascatelle del Gorello e del Mulino). I bagni sono molto salutari per i principi terapeutici delle acque sulfuree, ma mi sento in dovere di darvi un consiglio: per il bagno utilizzate un costume vecchio poiché l’odore di “uova marce” è talmente forte e penetrante che resiste a ripetuti lavaggi degli indumenti. Il paese di Saturnia è piccolino. Tutto si concentra intorno alla piazzetta alberata dove si aprono i pochi ristoranti ed una gelateria. Noi abbiamo pranzato al Ristorante “Pizza in piazza”; la pizzeria è attiva solo di sera. In ogni caso l’offerta alternativa è eccellente: dagli antipasti, ai primi , ai secondi sono tutti piatti locali ben presentati. Un suggerimento: provare i “pici alla saturnina”, o, se siete più tradizionalisti, l’impareggiabile zuppa di farro con un giro di olio extravergine di produzione locale; e, ancora, il pecorino gratinato con purea di pere… ed infine i cantuccini artigianali intinti nel vinsanto. E da bere ? Fatevi consigliare dal proprietario oppure scegliete a caso : soprattutto per i rossi, qualunque sia la vostra decisione, sarà un successo. Dopo pranzo ci siamo spostati nel vicino borgo di Sovana : poche case arroccate su una collina che ancora conservano il fascino medievale. Qui il tempo sembra essersi fermato : il palazzo del Pretorio, ancora con le insegne di marmo originarie, ed ,attigua, la Loggia del Capitano, la Chiesa di S. Mamiliano, il Palazzo Bourbon del Monte, la Chiesa di S. Maria maggiore di cui si apprezza il delicatissimo ciborio. Un sentiero (ciò che resta della vecchia via Franchigena) porta dal centro del borgo al Duomo dei Santi Pietro e Paolo, suggestivo esempio del romanico in Toscana. Bellissimi gli interni a tre navate ed i giochi di luce che si creano quando i raggi solari penetrano dalle vetrate della Chiesa. Nella cripta sono conservate le reliquie di S. Mamiliano. Adiacente il Duomo il Palazzo vescovile. La località dette , inoltre, i natali ad Ildebrando di Sovana che salì al soglio pontificio con il nome di Gregorio VII.
A pochi chilometri troviamo Sorano, di cui Sovana è frazione. La strada che ci porta in paese è spettacolare : si sale in mezzo ai boschi ed ai tufi , le cui pareti si presentano a strapiombo come in un grand canyon. La cittadina ci appare, improvvisamente, imponente su una rupe di tufo giallastra. Conviene lasciare l’auto in un parcheggio appena fuori dell’abitato, anch’esso in mezzo al verde, ed avventurarsi a piedi tra il dedalo di vicoli, viuzze e scalinate che caratterizzano l’urbanistica del luogo. Di origine medievale il paese fu prima possedimento degli Aldobrandeschi e, successivamente, degli Orsini. Entriamo nel borgo attraverso la Porta di Sopra e ci troviamo catapultati in un ambiente dove la storia sembra essersi fermata: via Selvi è la strada principale che si incontra non appena superata la Porta; in questa strada sono presenti le principali attività commerciali ed artigianali del centro storico, oltre ad un edificio che sembra essere stato la prima Sinagoga di Sorano. Infatti qui, così come a Pitigliano, per volere dei Medici, all’inizio del 1600 , trovò ospitalità una piccola comunità ebraica che vi rimase fino allo scoppio del secondo conflitto mondiale, quando le leggi razziali la costrinsero alla fuga. Intorno alla ex sinagoga, ora edificio utilizzato dal Comune per mostre ed altri eventi, sorge quello che era il Ghetto, all’ingresso del quale sono ancora visibili i segni dei cardini ove ruotava il portone che chiudeva il ghetto stesso all’imbrunire per poi essere riaperto la mattina successiva. Continuando la salita si arriva alla Fortezza Orsini, ex palazzo Aldobrandeschi, successivamente ampliato dalla nobile famiglia subentrante. Sempre nella parte superiore del borgo merita una visita anche il Masso Leopoldino, caratteristica fortificazione che domina l’abitato di Sorano dal lato opposto della Fortezza Orsini; costruita per volere dei Lorena, si presenta circondata da altissimi “muri a scarpa” con una torre di avvistamento che si innalza su un lato. Da qui si può godere di un panorama eccezionale sulla vasta area del tufo. Ai piedi del Masso Leopoldino troviamo la Porta dei Merli o Porta di Sotto, secondo accesso alla città. Superata la Porta, portandosi fuori dal centro storico, si va verso il fondovalle del fiume Lente che scorre proprio al di sotto del borgo medioevale di Sorano e che rappresenta un percorso di altissima valenza naturalistica, ambientale, storico-culturale ed archeologica. Qui si trovano le vie cave o cavoni: suggestive reti viarie di epoca etrusca, sviluppatesi tra ripide pareti rocciose di tufo, che collegano vari insediamenti e necropoli. Nella zona interessanti tombe etrusche scavate nel tufo e i caratteristici colombari. La necropoli di S. Rocco ed i colombari sono visibilissimi anche dal ristorante “Hostaria Terrazza Aldobrandeschi” , situata in Via del Borgo 44, nella parte più bassa del borgo medioevale, sulla sommità di uno sperone tufaceo che sovrasta il fiume Lente. Meritano una visita anche le cantine scavate nel tufo della Locanda Aldobrandeschi situata in via del Ghetto.
L’ora è tarda e lasciamo, anche se a malincuore, Sorano per spostarci nella Tuscia viterbese presso Bolsena, ridente località turistica che si affaccia sul lago omonimo. Percorrendo la via Cassia, la cittadina si presenta divisa in due settori : a sinistra il borgo medievale accessibile sia attraverso l’antica porta sia attraverso la strada esterna percorribile in auto; a destra la parte moderna, caratterizzata da viali alberati che conducono al lago. Proprio qui è situato l’hotel dove abbiamo prenotato (Hotel Columbus, v.Le Colasanti n.27); la struttura offre un ottimo rapporto qualità-prezzo; il personale di servizio è molto gentile e disponibile, le camere ampie, luminose e pulite. C’è la possibilità di usufruire di un parcheggio interno. Per la cena consiglio l’ Hosteria del Borgo dentro, in pieno centro storico. L’ingresso principale è sull’antica via Francigena (ora via del Risorgimento). Parte del locale è scavato nella roccia, con cunicoli ancora percorribili che offrono all’avventore, amante non solo del cibo, curiosità e suggestioni. All’esterno si apre un pergolato che fa da cornice al giardino. Il ristorante è anche pizzeria, ma consiglio di orientarsi su piatti tipici quali quelli ricavati dalle antiche ricette del lago, dove il coregone la fa da padrone. Buoni vini alla carta e sfusi. Prezzi equi. Secondo giorno. Di primo mattino ce ne andiamo un po’ in giro per Bolsena vecchia. Scopriamo che i primi insediamenti furono di origine etrusca : intorno al III sec. A. C. Fu fondata dagli abitanti sfuggiti alla distruzione di Velzna, una delle più importanti città etrusche, di cui Bolsena ereditò il nome. In seguito fu dominio romano, ma, in seguito alle invasioni longobarde, il nucleo abitativo dalla originaria zona collinare dei monti Volsinii, si spostò sullo sperone roccioso che domina il lago, dove, in epoca medievale, fu costruito il castello ed in seguito l’intero borgo. Tuttavia, la tradizione di Bolsena ruota intorno al martirio della Santa bambina, Cristina, il cui corpo riposa nell’omonima Basilica, dove, per altro, viene officiato nel giorno del Corpus Domini il Miracolo Eucaristico avvenuto a Bolsena nel 1263. Un prete di origine boema, durante la celebrazione dell’ Eucarestia sulla tomba di Santa Cristina, avrebbe avuto dei dubbi sulla transustanziazione. Improvvisamente, durante le celebrazioni, del sangue, sgorgato dall’Ostia consacrata, bagnò il corporale e i lini liturgici. Papa Urbano IV, che si trovava nella vicina Orvieto, fu informato dell’accaduto e mandò il vescovo Giacomo per controllare la situazione, con il compito di portare con sé il sacro lino insanguinato. Nel 1264 il Papa promulgò la Bolla Transiturus che istituiva la Festa del Corpus Domini. A Bolsena sono custodite le sacre pietre, di cui una è sempre esposta alla venerazione dei fedeli. Tra le celebrazioni del Corpus Domini suggestive sono le infiorate, mentre il 23 Luglio, giorno di S. Cristina, le strade di Bolsena antica rivivono i molteplici martiri subiti dalla giovinetta con la rievocazione storica dei fatti che si conclude con spettacolari fuochi di artificio sul lago. Ovvio che S. Cristina sia la patrona del paese. Merita una visita anche la Chiesa di S. Salvatore, ubicata nella città alta, lungo la strada che porta ad Orvieto. Ci spostiamo a Viterbo, passando per Montefiascone che condivide con Bolsena l’origine: sorse per l’insediamento di una comunità etrusca, i Faliscii, in fuga dalle distruzioni dei loro territori ad opera dei romani, da cui mons faliscorum, trasformato in Montefiascone. La città conserva l’aspetto tipicamente medievale ed è proprio in questo periodo che il centro trova il suo massimo splendore. Fu spesso teatro delle lotte tra Guelfi e Ghibellini, ma fu anche località amena gradita a tanti papi. Protrasse la sua notorietà per tutto il Rinascimento, grazie alla famiglia Farnese, ma nel 1600, anche in seguito ad una terribile epidemia di peste, la cittadina trovò il suo declino. Il nome di Montefiascone è tuttavia legato, secondo la tradizione, al vino “Est!Est!!Est!!!”: attorno all’anno 1111 Giovanni Deuc detto, Defuk, un principe prussiano amante del buon vino, incaricò il fedele servo Martino di cercare per lui il migliore. Martino partì per questa ricerca e per far capire al suo padrone che era stato in quel paese e che vi si trovava del buon vino, scriveva sulla porta della locanda Est! Che stava per c’è. Defuk, passando per i paesi visitati dal servo, si fermava dove trovava la scritta. Martino, arrivato a Montefiascone, rimase talmente colpito da questo vino da scrivere Est! Est!! Est!!! Quando Defuk assaggiò quel vino non poté più smettere di gustarlo così che il troppo bere lo portò alla morte. Il principe prussiano venne sepolto nelle basilica di San Flaviano, dove ancora oggi si trova la sua tomba, e, prima di morire, espresse il desiderio che ogni anno nella ricorrenza della sua morte venisse versato del vino sulla sua tomba. Da questa vicenda nasce il Corteo Storico falisco e viene tratta la manifestazione “Fiera del Vino”, che si svolge ogni anno nel mese di agosto. Dopo una breve visita di questo centro dalle forti e singolari tradizioni, si raggiunge Viterbo, la città dei papi : è proprio qui che fu istituito il termine conclave e la relativa modalità per l’elezione del pontefice. Infatti, dopo varie vicissitudini in seguito alle lotte tra Guelfi e Ghibellini, nel XIII sec, la famiglia dei Gatti , guelfa, antagonista della famiglia Tignosi, ghibellina, monopolizza le cariche municipali e i pontefici scelgono Viterbo come sede papale. Tuttavia, l’ episodio discriminante, che attira l’attenzione su Viterbo, è l’elezione pontificale di Gregorio X: i cardinali che dovevano eleggere il successore di Clemente IV si riunivano inutilmente da quasi tre anni, quando il popolo viterbese, sdegnato di tanto indugio, sotto la guida del Capitano del popolo Raniero Gatti, giunse alla drastica decisione di chiudere a chiave i cardinali nella sala dell’elezione (clausi cum clave), nutrirli a pane e acqua, e di scoperchiare il tetto lasciandoli alle intemperie, finché non avessero eletto il nuovo Papa; così abbastanza rapidamente i cardinali scelsero il piacentino Tebaldo Visconti, arcidiacono di Liegi (quindi neanche prete), che in quei giorni si trovava in Terra Santa per la nona crociata. Il nuovo papa prese il nome di Gregorio X, e, vista la bontà della “clausura”, stabilì che anche le future elezioni papali avvenissero in una sede chiusa a chiave: era nato il Conclave. Dal 1261 al 1281 in Viterbo si tennero ben cinque conclavi, finchè la sede papale non ritornò a Roma. Ci proponiamo di mantenerci “in tema”, per cui il nostro primo impatto lo abbiamo con il vecchio quartiere medievale di S. Pellegrino; qui si incontrano numerose case, ben conservate, dotate di profferlo, ossia la scala a vista tipica dell’architettura viterbese. Attraversano vicoli e viuzze tortuose ci ritroviamo nella suggestiva piazza della Fontana Grande; prendiamo, poi, per via Cavour, nucleo della movida viterbese, dove si affacciano eleganti attività commerciali. Al termine si raggiunge Piazza del Plebiscito o Piazza del Comune, sede del Municipio e della Prefettura. Ci è consentito l’accesso al Palazzo del Podestà (sede del Comune) dove è possibile visitare la sala del Consiglio, la sala dei Paesaggi, la sala della Madonna. Per la visita della sala Regia e della Cappella Platina, ci dicono, occorrono permessi particolari su prenotazione. La visita degli interni del Palazzo ci ha preso un bel po’ di tempo ed abbiamo fame, ma non ci va di perdere del tempo prezioso da dedicare alla scoperta della città. Mangiamo, così, un panino veloce accompagnato da una birra presso un bar che si affaccia sulla piazza, gustandoci ancora un po’ la bellezza architettonica del complesso. Finito lo spuntino, prendiamo per via S. Lorenzo e giungiamo in Piazza della Morte, che è un angolo incantevole, aldilà del nome,che scopriamo derivare da una confraternita che aveva qui la sua sede. Via S. Lorenzo continua oltre la piazza e ci porta dritto in Piazza S. Lorenzo passando per Palazzo Farnese. Qui si erge imponente la Cattedrale del XII sec. In stile romanico, con bellissimi interni su tre navate; qui sono stati sepolti due papi, Clemente IV e, secondo la leggenda, Alessandro IV, spostato poi in un luogo segreto, sempre interno alla Cattedrale, per impedire violazioni della salma da parte dei nemici. Lateralmente sorge il palazzo dei Papi, costruito fra il 1255 e il 1266 sul colle di San Lorenzo per proteggere il pontefice, con la celebre loggia formata in un solo lato da sette archi sorretti da esili colonnine binate che si intrecciano formando una elegante trabeazione. Dalla loggia si entra nella grande Sala del Conclave, teatro della famosa elezione di papa Clemente X, precedentemente descritta. Dopo aver ammirato il panorama sulla città dalla terrazza del Palazzo papale, prendiamo per via S. Antonino e ci troviamo in via Ascenzi, quindi in Piazza della Repubblica, via Marconi e, poco prima di arrivare in Piazza Verdi, voltiamo a destra per il Santuario di S. Rosa , viterbese, vissuta nel XIII sec. E morta a 18 anni, che è patrona della città. Troviamo chiuso, ma sulla piazzetta antistante l’ingresso possiamo ammirare l’ultima macchina di S. Rosa, singolare e folkloristica torre che il 3 Settembre viene portata in giro per la città da un centinaio di facchini per onorare la Santa. Nei pressi la casa nataledi Rosa. Qui termina il nostro giro a Viterbo, ma vi segnaliamo anche La Chiesa di S. Maria Nuova e la Rocca Albornoz. Tornando verso il lago passiamo per Tuscania. La cittadina, di origine etrusca, sorge su 7 promontori di roccia tufacea solcati dai fiumi Marta e Capecchio. Come gli altri centri visitati, subì le devastazioni delle orde barbariche, ma ritornò al suo splendore nel medioevo grazie alla famiglia Aldobrandeschi, della quale fu feudo. Il centro storico conserva , infatti, il tipico aspetto di borgo medievale, cinto da possenti mura merlate, con accessi attraverso porte imponenti. Al termine ci dirigiamo verso il lago dove troviamo i graziosi paesini di Marta e Capodimonte. Marta, più piccolo, si sviluppa prevalentemente sul lungolago, dove è facile trovare pescatori che dipanano le reti utilizzate per la pesca del coregone. All’interno il Borgo medievale. Più arroccato ed imponente è Capodimonte grazie alla cinquecentesca Rocca Farnese, a pianta ottagonale, costruita su un promontorio, da cui domina tutto il lago: da un lato Marta, dall’altro il bellissimo porticciolo ricco di imbarcazioni, anche di pregio, di fronte le due isole Bisentina e Martana. Le isole non sono visitabili, ma avvicinabili attraverso tours del lago con motobarche che partono da Capodimonte o da Bolsena. Nelle stradine caratteristiche botteghe artigianali vendono soprattutto prodotti tipici come salumi, formaggi e vini. Da segnalare , vicinissima alla Rocca, la Chiesa Collegiata di S. Maria Assunta, e , sempre nel borgo medievale, Palazzo Borghese, attualmente sede comunale, e Palazzo Puniatowski del Valadier. Nella parte bassa, in prossimità del porto, si estende la parte nuova del paese, caratterizzata da lunghi viali alberati e da un lungo arenile attrezzato per la balneazione. Sul lungolago ristoranti e trattorie offrono gustosi menù a base di pesce di mare e di lago: pasta in brodo di Tinca, Sbroscia (zuppa di pesce locale), Acquacotta di verdure, Filetti di Persico, Frittura di Latterino, Anguilla marinata o alla vernaccia e Coregone al cartoccio. Si rientra a Bolsena che è quasi buio, stanchi ma soddisfatti della giornata trascorsa. Dopo una rapida rinfrescata ci concediamo una cenetta deliziosa a base di piatti tipici presso la Taverna Il tempio di Norzia, largo Mazziotti n. 4 a Bolsena. L’edificio dal sapore medievale, dove è ubicata la Taverna, sorge su un antico tempietto etrusco dedicato alla divinità minore Norzia. All’interno , attraverso una vetratura sul pavimento, è possibile apprezzare gli antichi mosaici ed i resti dei colonnati che costituivano il basamento del luogo di culto. Aldilà delle suggestioni dei resti del tempietto, il locale è molto ben arredato, luci soffuse, musica soft, sale con separé e salette comunicanti che rendono l’atmosfera molto intima. Il ristorante è anche pizzeria. Ottima selezione di birre e vini. Eccellenti proposte di vini da dessert (consiglio il muffato di vin santo) e wiskey , dai bourbon agli scotch. Impeccabile il servizio. Prezzi equi.
Terzo giorno. Il programma prevede in mattinata la visita di Orvieto, che dista circa 20 chilometri da Bolsena. Percorrendo la strada provinciale che collega i due centri, a circa 2 chilometri da Orvieto, fermatevi al Belvedere , un ampia terrazza sulla strada con annessi bar e ristorante al di sotto. Da qui è possibile ammirare una spettacolare veduta di insieme di Orvieto, costruita interamente su un blocco roccioso di tufo. Siamo in Umbria: Orvieto è in provincia di Terni. Anche se i primi insediamenti in questa zona risalgono all’età del ferro, l’origine della cittadina è etrusca, come testimoniano i numerosi pozzi presenti nella città, costruiti dagli etruschi “trivellando” il tufo, fino ad arrivare al basamento di argilla, dove si accumulava l’acqua. A proposito, aldilà delle bellezze architettoniche che si possono ammirare in “superficie”, vi consiglio la visita di Orvieto underground, un percorso con guida tra locali e cunicoli, scavati nel tufo, sotto la città, molti dei quali sono ancora utilizzati da abitazioni private come cantine. A parte i pozzi degli etruschi, i locali sotterranei vennero usati in epoca medievale per la spremitura delle olive e la conservazione dell’olio, probabilmente anche del vino, dati i livelli di temperatura e di umidità ottimali. In seguito questo tipo di attività nel sottosuolo non si rivelò così conveniente, per cui l’economia locale si orientò verso una diversa forma di sfruttamento della singolare geomorfologia : cave per estrazione di tufo e pozzolana. Col tempo ci fu una battuta d’arresto che si rese necessaria perché gli scavi massicci stavano compromettendo la stabilità del caseggiato che, nel frattempo, si era notevolmente espanso in superficie. Vicissitudini climatologiche e terremoti, che si sono succeduti nel corso del tempo, hanno provocato crolli della rupe e distruzione delle abitazioni costruite sull’area interessata. Opere di rinforzo da parte dello Stato sono a tutt’oggi in atto per preservare questo piccolo gioiello d’Italia. Un’altra curiosità : nel sottosuolo di Orvieto molti cunicoli tufacei erano utilizzati per l’allevamento dei piccioni, in appositi spazi scavati nella roccia (colombari), dove gli uccelli nidificavano. Il piccione è ancora oggi uno dei piatti tipici della città. Di Orvieto si pensa che sia la mitica città etrusca di Velzna, rasa pressoché al suolo dai Romani, alla quale dettero il nome di Urbs vetus (città vecchia) da cui Orvieto. Fu completamente ricostruita in epoca medievale. Anch’essa fu teatro di scontri tra Guelfi e Ghibellini attraverso le due famiglie rivali Monaldeschi (guelfa) e Filippeschi (ghibellina). Di qui passarono molti papi e, dopo varie contese, in epoca rinascimentale, tra potenti famiglie , tra cui gli Orsini, passò intorno al 1600 direttamente allo Stato pontificio. Nel 1860, liberata dai Cacciatori del Tevere, fu annessa al Regno d’Italia. Il monumento principale è il Duomo, bellissimo esempi di gotico italiano; colpisce la facciata decorata da una grande serie di bassorilievi e sculture realizzati dall’architetto senese Lorenzo Maitani. Di notevole pregio anche la Chiesa di S. Giovenale, risalente al 1004, la Chiesa di S. Andrea, costruita sulle rovine di un tempo pagano e di una chiesa paleocristiana , e la Chiesa di S. Domenico con il Mausoleo del Cardinale De Brave, realizzato da Arnolfo di Cambio. La città non è solo edifici religiosi; in piazza del Duomo si possono ammirare il Palazzo Papale sede del Museo Archeologico Nazionale, Palazzo Soliano che ospita il Museo Emilio Greco, Palazzo Faina con il Museo omonimo. Poco lontano, nel bel mezzo di corso Cavour (via principale della città, ricca di attività commerciali), si erge l’imponente Torre del Moro; alle spalle, sull’omonima piazza, splendido il Palazzo del Popolo. Nelle vicinanze, riportandosi in corso Cavour, il teatro Mancinelli. Proseguendo e percorrendo interamente il corso, si raggiunge il Pozzo di S. Patrizio (1528), fatto costruire , sull’esempio dei pozzi etruschi (vedi Pozzo della Cava), dai papi per l’estrazione dell’acqua. E’ impensabile arrivare con l’auto fino al centro storico della città. Consiglio di utilizzare il comodissimo parcheggio coperto di Campo alla Fiera, ai piedi della città, e di servirsi degli adiacenti ascensori e scale mobili per raggiungere la parte storica. Nelle vicinanze della città le necropoli del Crocifisso del Tufo e della Cannicella. Dimenticavo una cosa molto importante per gli appassionati di percorsi eno-gastronomici: in prossimità degli ascensori, nella parte alta della città, seguendo le indicazioni, si raggiunge il Palazzo del Gusto-Enoteca Nazionale, una vera delizia per gli amanti della buona tavola. Noi che non siamo così ricercati, abbiamo consumato presso il bar Montanucci, elegantissimo in piazza della Repubblica, inizio corso Cavour, un “tagliere” con salumi e formaggi tipici della zona , accompagnati dal classico Orvieto. Trattasi di un vino bianco, ma, data la situazione, abbiamo voluto fare un’eccezione alla regola. Consumato il pasto, riprendiamo la via del ritorno, ma ci concediamo un’ultima tappa, sempre nella terra dei tufi: Pitigliano, di nuovo in provincia di Grosseto. Il paese si eleva su un pianoro tufaceo formato dai corsi d’acqua Lente, Meleta e Prochio. Di origine etrusca, come testimoniano necropoli ed insediamenti intorno alla città, fu costruita nell’attuale sede solo in epoca medievale grazie alla famiglia Aldobrandeschi. Successivamente passò agli Orsini, fino ai Medici, intorno al 1600, che la inclusero nel Granducato di Toscana. Oltre alle splendide chiese di notevole interesse, tra cui la più importante è il Duomo, e i magnifici palazzi medievali e rinascimentali, quali Palazzo Orsini, con l’annesso pozzo , che vi consiglio di vedere, e relativi bastioni dominanti sulla città, nonché la Fontana delle 7 cannelle presso l’acquedotto mediceo, desidero segnalarvi ciò che resta della comunità ebraica di Pitigliano. Come la vicina Sorano, anche Pitigliano fu meta accogliente di ebrei in fuga che qui trovarono un modus vivendi con la pace di tutti, tant’è che ancora oggi il centro gode dell’appellativo di Piccola Gerusalemme. Infatti, nel centro storico della città, in via Zuccarelli, troviamo il quartiere del vecchio ghetto con la bella Sinagoga cinquecentesca, all’interno della quale spiccano l’Aron sulla parete di fondo e la Tevà al centro; sulle pareti sono conservate iscrizioni di versetti biblici, mentre in alto si trova il Matroneo riservato alle donne. Sotto il tempio ebraico si trovano i locali per il Bagno Rituale, il suggestivo Forno delle Azzime, la Macelleria kasher, la Cantina kasher e la Tintoria. Fuori dalle mura l’interessante cimitero ebraico sulla statale per Manciano. Sempre fuori le mura, presso porta Sovana, si ritrovano tratti di mura etrusche e numerose grotte scavate nel tufo, un tempo tombe etrusche che vennero in seguito trasformate nelle attuali cantine; tra esse è da ricordare anche il caratteristico Oratorio Rupestre, piccola grotta adibita a luogo di culto risalente al IV secoloa.C., che si apre nella rupe che costeggia la strada per Sovana. Sempre su questa strada, sotto il ponte del fiume Lente (ci sono le indicazioni), vi segnalo la via cava di Fratenuti, la “tagliata” più spettacolare nel tufo, lunga circa 1 chilometro e con pareti di altezza impressionante. Al termine della passeggiata, abbiamo preso d’assalto un negozietto in centro che vende prodotti eno-gastronomici locali : c’è l’imbarazzo della scelta tra i vini locali, i pecorini, i prosciutti e i salami, ma anche condimenti già pronti per i mitici pici, conserve, marmellate, mieli ; lasciatevi andare alle degustazioni che vi proporrà il proprietario e poi decidete. Un ultimo consiglio: non lasciatevi scappare le castagne al Vin Santo.