Madagascar concentrato
29.09
Alle 8,30 partiamo. In Antananarivo il traffico è caotico, costeggiamo un canale sulle cui sponde vive povera gente: un miscuglio di lavandaie, persone che cucinano, anatre, chiocce, baracche e cartelloni pubblicitari. In due riprese ci rendiamo conto di aver dimenticato in camera un gilet con in tasca il satellitare, Anicet (esperto autista che non disdegna di darci informazioni a 360 gradi sul suo Paese al pari di una guida) si prodiga in telefonate e ci assicura che ritroveremo tutto domani al ritorno. All’uscita della capitale incontriamo una miriade di fabbriche di mattoni, cumuli di mattoni fumanti con scalette su cui si inerpicano donne e ragazzi con pile impensabili di mattoni in testa, incontriamo assembramenti per funzioni religiose, vediamo donne nel fango piantare il riso in file perfettamente allineate, nei pressi dei villaggi file di sacchi con erba/fieno o legna in vendita, acquistiamo banane dai banchetti lungo la strada. Sostiamo alla riserva di Peyreras per i primi incontri con i graziosissimi lemuri: i gruppi sono 2 di 2 diverse specie, sono accoccolati sugli alberi come nelle fotografie più classiche con le code a penzoloni; richiamati dalla guida locale non tardano ad avvicinarsi, prendono i pezzi di banana direttamente dalle nostre mani, le loro zampette sono morbide come le mani dei lattanti, la loro pelliccia e sofficissima, si fanno accarezzare con un po’ di riserbo. Il pranzo è una abbuffata che si conclude con bellissimi piatti stracolmi di frutta squisita. Nel pomeriggio visita alla riserva di Vakona che ha come fulcro l’isola dei lemuri: è una festa, sono vari gruppi di diverse razze, vengono sulle spalle e sulla testa, danno la caccia allo zainetto con le banane, hanno atteggiamenti molto simpatici, per niente timidi ci prendono le mani alla ricerca di tracce di cibo, quando sono sazi si accovacciano a sonnecchiare su qualche ramo, sono momenti gradevolissimi!
30.09
Fuori dal nostro bungalow la vista spazia su scorci suggestivi fra la pianura coltivata, un languido fiume e il limitare della foresta; verso le 9 mentre si alza la bruna cominciano a sentirsi i lamentosi richiami degli Indri Indri. Raggiunta la riserva di Perinet, Anicet ci presenta la guida locale ed iniziamo il piccolo trekking. La foresta pluviale è fitta al punto che potremmo pensare di essere soli ma, quando raggiungiamo un gruppo di lemuri, ci ritroviamo in compagnia di parecchi altri gruppi di turisti. Camminiamo sempre con il naso in su, incontriamo alcune famiglie di lemuri di diverse specie, i lemuri sono tutti molto simpatici, assumono le pose più bizzarre e stanno sdraiati su rami sottilissimi. Ci ritroviamo nuovamente tra una folla di turisti, alzati gli occhi capiamo perché: una famiglia di babakoto, sono tanti, tranquilli, molto belli, difficili da riprendere perché sono nel folto dei rami contro il cielo ed il sole, dapprima sono silenziosi poi cominciano ad urlare, le urla sono impressionanti tanto più quando urlano tutti insieme, poi partono e con balzi incredibili si allontanano; incontriamo ancora altre famiglie di lemuri ed altri gruppi di indri , è un’esperienza molto suggestiva! La camminata piacevole continua fra alberi imponenti, fiori enormi ed un lemure notturno che ci osserva sonnacchioso. Nel pomeriggio il premuroso Anicet ci riporta a Tana, ci saluta con un gradito omaggio e si assicura che ritroviamo le cose dimenticate.
01.10
Ogni variazione di orario ci viene comunicata e programmata con tempestività così che alle 3 del mattino la sveglia arriva con la colazione in camera senza che noi ce ne fossimo occupati. Il nostro piccolo aereo (volo a vista senza radar e con un freddo pungente) dovrebbe partire alle 6 ma ci sono problemi di bagagli, così decolliamo quando la nebbia si dirada. A Morondava le valige arrivano con un altro volo costringendoci a partire con oltre mezz’ora di ritardo. Lolo, il nostro nuovo autista, prende subito contatto con l’agenzia per eventuali cambi di programma perché la pista è brutta e non vorrebbe viaggiare troppe ore al buio. Percorsi alcuni kilometri ecco il grande spettacolo dell’avenue du baobab, ci siamo solo noi con la gente del posto e la natura, ci sono i classici carretti trainati dagli zebù, i bambini che pescano/giocano con la rete stando direttamente dentro al laghetto, i bellissimi fiori negli stagni vicini, ci sentiamo piccolissimi in questo immenso viale con i giganteschi baobab; poi lo scorrere della vita nei villaggi che attraversiamo, il rifornimento di acqua ad una grande fontana in un villaggio, la vegetazione brulla, alta e fitta che fiancheggia costantemente la strada. Quando arriviamo al fiume Tsiribihina Lolo si preoccupa di farci attraversare il fiume con una barca che è strapiena (esclusivamente malgasci). Per salire e ancor più per scendere bisogna essere atletici (o si va in acqua fino al ginocchio), la traversata è lunga,siamo seduti ma pigiati e senza possibilità di movimento; il fiume gonfio d’acqua con correnti possenti incute timore (ma è l’unico modo per ottimizzare i tempi); è bello farci accompagnare fino al ristorante dal ragazzo a cui Lolo ci ha affidati (che con orgoglio ci illustra la sua cittadina sottolineando i vari alberghi “dotati di tutti i comfort”), strada facendo assistiamo a scenette suggestive come l’allegria dei ragazzi che con piroette degne dei campioni si tuffano nel fiume. Mentre noi pranziamo (pasto semplice ma buono) Lolo, per traghettare il fuoristrada, deve attendere che la chiatta raggiunga il carico (4 auto). Arriva soddisfatto perché la traversata è stata più veloce del solito quindi possiamo ripartire: restano 4 ore di viaggio. La pista continua a peggiorare e diventa davvero pessima (pur essendo una strada nazionale), i villaggi si fanno sempre più rari e piccoli, non ci sono più neanche i carretti, durante una sosta viene a salutarci un anziano con tanto di lancia “tipo guerriero”; quando cala la notte Lolo ci rassicura dicendoci che con lui è “sans soucis”: ora capiamo perché gli autisti preferiscono non avventurarsi di notte in queste lande così sperdute! E’ notte fonda quando arriviamo di fronte al fiume Manambolo ed è un enorme sollievo vederlo piccolo e calmo, al primo suono di clacson la chiatta accende i riflettori e viene a prenderci: pochi minuti e siamo a Bekopaka in albergo.
02.10
Di buon mattino inizia una giornata fantastica! Le 3 escursioni nel parco degli Tsingy di Bemarah sono incastonate in modo perfetto (solitamente si svolgono in almeno 2 intere giornate)e la successione è decisamente azzeccata . Siamo fortunati come guida locale ci tocca un ragazzo entusiasta della sua attività. Cominciamo con il giro in canoa delle gorge del Manabolo è molto piacevole solcare queste calme acque e osservare piante ed uccelli che vivono sulle scogliere fiancheggianti il fiume, il sole non è ancora cocente e la temperatura è molto gradevole, scendiamo a visitare alcune grotte, la quiete è assoluta. Segue l’esplorazione dei piccoli Tsingy. Sono un insieme di tanti labirinti con passaggi ora stretti, ora strettissimi, in alcuni punti agevolati da scale, mini ponti o altri supporti, le rocce sono taglienti e pungenti, è un continuo saliscendi con diversi belvedere, è impressionante lo sviluppo delle piante dalle radici lunghissime, spesso in fondo agli affranti c’è acqua, dai picchi più alti le vedute sono curiose e le forme delle rocce lasciano ampio spazio all’immaginazione,particolari sono le piante bottiglia, simpaticissima una civetta ci osserva furbescamente con gli occhietti socchiusi. Quando arriviamo al punto di partenza per il trekking dei grandi tsingy cerchiamo un pò di riparo per pranzare. Il pic-nic è costituito da un panino stopposo che” ha visto da lontano il formaggio” , qualche dolcetto e un paio di banane: il pane finisce in gran parte ai cani (arrivati dal vicino villaggio assieme ai loro padroni che vengono a vendere oggetti di artigianato) i dolcetti e le banane le condividiamo con bambini, autista e guida (in verità molto golosi di cioccolato). Mentre pranziamo tutti i gruppi di turisti rientrano dalla escursione, questo significa che saremo soli a fare il giro nei grandi tsingy nel pomeriggio. Indossate le imbragature ci avviamo, per fortuna il tratto sotto il sole cocente è breve poi ci si addentra nella boscaglia, i lemuri ci bersagliano con gli avanzi del loro pasto. La camminata è facile e varia, in men che non si dica ci ritroviamo all’imbocco dell’anello “clou” dell’escursione. Il percorso comincia con piccole arrampicate e discese, con grotte che in alcuni piccoli tratti si devono percorrere a carponi, oppure sui bordi a volte scivolosi di voragini; da subito si affaccia su grandi fresche fessure , imponenti “cattedrali, è molto bello dal profondo di una insenatura alzare gli occhi e vedere la luce filtrare tra le pareti di roccia altissime alle quali sono aggrappate le radici degli alberi che corrono in lungo e in largo per centinaia di metri (sulle quali capita di veder correre piccoli animali). Nei punti più esposti bisogna attaccare l’imbragatura alle corde fisse, il superamento dei dislivelli maggiori è facilitato da pezzi di roccia inchiodati come scalini, facciamo frequenti soste per le foto, per bere e per goderci intensamente questi bellissimi momenti . Le soste più lunghe ovviamente sono dal ponte sospeso! Sui sentieri del ritorno Richard ci fa fare una paio di piccole deviazioni per condurci da una famiglia di lemuri bianchi e da un lemure notturno che ci osserva da un buco nel tronco di un albero. Dalla macchina ad attenderci è rimasto solo Lolo (i venditori coi bambini e i cani sono tornati ai loro villaggi). Con un’ulteriore mini escursione a pochi passi da Bekopaca cerchiamo il piccolissimo microcebo epilemure notturno e, dopo averlo ben perseguitato con le foto, stanchi ma assolutamente contenti e soddisfatti ritorniamo all’albergo. Non abbiamo grandi pretese ma anche la cena è insufficiente; a questo grazioso albergo, visto il luogo dove si trova, non si può chiedere molto ma stona il direttore incompetente che si pavoneggia tra i tavoli del ristorante.
03.10
Ripercorriamo la pista per Morondava; l’attraversamento del fiume Manambolo è molto bello e la chiatta così agile è uno spettacolo da sola! Lungo le rive del fiume si ripetono le scene di chi si lava, chi lava i panni, chi prende l’acqua e (cosa che non avevamo ancora visto) ragazzini che si lavano i denti con le dita. Il percorso a ritroso fatto interamente di giorno, con più calma e molte soste, ci permette di ammirare meglio la varietà di paesaggi, gli alberi coperti di fiori gialli, rossi, rosa e i cespugli delle orchidee del Madagascar con i loro grappoli di piccoli fiori rosso fiammante. In ogni villaggio ci sono tanti bambini che gioiscono forse più per le bottiglie dell’acqua (anche se vuote) che per i piccoli dolci; Lolo fa scorta di pannocchie bollite e se le mangia con molto gusto. Lungo l’intero percorso i baobab sono migliaia, piccoli, giganteschi, di vario tipo, alcuni “abbracciati”, altri con i frutti e, anche se non è ancora stagione, un paio con già le foglie. Raggiunta la chiatta sullo Tsiribihina attendiamo la partenza al riparo di un capanno di frasche, arriva anche un gruppo di donne fra queste le più giovani hanno il classico volto “dipinto”. Completato il carico la chiatta inizia la lunga traversata controcorrente; ci “attacchiamo” alle auto per trovare un po’ d’ombra, una donna raccoglie l’acqua torbida del fiume in un bricco e tutte ne bevono, sono tutte sedute ai bordi della chiatta con i piedi che sfiorano l’acqua e tengono vicino i loro i secchi che portano in testa e usano come borse, una giovane mamma fa sedere letteralmente sotto un fuoristrada la sua bimba per ripararla da sole. Alcuni turisti spagnoli socializzano con le donne ma quando finiamo di bere l’acqua di una bottiglia l’attenzione si sposta, la bottiglia (anche se va alla bimba) viene contesa ad occhiate talmente eloquenti da far si che, nello spazio di qualche minuto, tutte le donne giovani abbiano rimediato una bottiglia. Nella zona dei baobab innamorati e dell’avenue du baobab aspettiamo il tramonto passeggiando in un ambiente da favola nonostante la numerosa presenza di turisti. A Morondava l’albergo è stupendo con le camere-bungalow direttamente sulla spiaggia, dopo l’ottima cena ci rilassiamo ai bordi della piscina anch’essa posta sulla spiaggia.
04.10
Seconda levataccia perché il volo è anticipato di 5 ore. Il piccolo aereo con 10 passeggeri parte puntuale alle 6, ancora un volo a vista ma questa volta non fa freddo. A Ranohira la pista è di erba secca, delimitata da pietre verniciate di bianco, costeggia per una parte una parete di rocce e non è proprio pianeggiante; l’aeroporto è nuovissimo in legno e ricorda molto i capanni prefabbricati che vengono usati per riporre gli attrezzi dei giardini. Dopo la sosta per le foto di rito alla regina dell’Isalo, Naina ci porta in albergo e ci istruisce su come trascorrere il maggior tempo a disposizione. L’albergo è davvero bello, la piscina molto panoramica e la camera è sontuosa con un bagno maestoso, la parete rivolta sulla terrazza è interamente in vetro apribile. Trascorriamo le ore più calde in relax ma non disdegniamo di salire su un belvedere (costellato dai baobab nani con i loro splendidi fiorellini gialli) e una passeggiata in un canyon il cui fondo è un’oasi verde lussureggiante con piccoli gorgoglianti ruscelli di acqua cristallina che scendono in una piscina naturale. Qui un gruppo di ragazzini sta giocando in acqua e superata la diffidenza iniziale ci attorniano esibendosi in acrobazie e piroette con chiassosa allegria. Il tramonto è previsto alla finestra dell’Isalo, il paesaggio suggestivo è un’immensa distesa brulla puntellata da palme verdi sparse. Mentre cala la notte, sotto un grande albero lontano dalla folla di turisti, Naina apparecchia per noi un gradito aperitivo.
05.10
Dalla cittadina di Ranohira partiamo per il trekking dell’Isalo, lungo la strada sterrata un carretto stracarico trainato da zebù non riesce a risalire da un piccolo guado. Caricati in spalla il pranzo e tanta acqua ci incamminiamo; il paesaggio è brullo, saliamo su un belvedere, ci sono di tanto in tanto gruppi di alberi sempreverdi endemici, dalla fessura in una roccia un gufo ci osserva sonnacchioso, si possono vedere alcune tombe; sostiamo nei pressi della piscina naturale dove incontriamo un nutrito gruppo di turisti italiani; riprendiamo il cammino per la traversata fra i due canyon, nonostante la vallata sia arsa dal sole ci sono belle piante grasse, i baobab nani fioriti e diversi fiori variopinti; fa molto caldo così ogni volta che incontriamo un albero sostiamo alla sua ombra per bere. Dall’area attrezzata per i pic-nic sostiamo per osservare un simpaticissimo gruppo di lemuri catta, poi proseguiamo fino alla cascata delle ninfe (rane): purtroppo la cascata non ha acqua ma c’è molta vegetazione con un bel fresco ed è un buon posto per mangiare. Il nostro pranzo è decisamente abbondante e vario. Il percorso del rientro è breve ed all’ombra di una fitta boscaglia; ci fermiamo a lungo nell’area pic-nic per dilettarci con la numerosa famiglia di lemuri catta (ci sono anche stravaganti insetti che sembrano fiori bianchi). Dal parcheggio offriamo il “di più” del nostro pranzo a ragazzini che corrono a dividerselo .
06.10
Si parte verso il sud. Nei pressi di Ilakaka ogni letto di fiumiciattolo (con poca acqua o addirittura secco) è affollato da cercatori di zaffiri, la strada principale è sovraffollata e variopinta, da notare il contrasto fra le case trascurate (dove si vendono povere cose come le pentole in alluminio o la stazione della benzina costituita da una serie di bidoni posti su un banchetto in legno a 2 piani) e i palazzotti (eleganti e sorvegliati) sedi delle compagnie di commercianti in zaffiri e preziosi . Oltre il paesaggio si appiattisce in sconfinate distese aride, la strada è perfettamente asfaltata, di tanto in tanto si vede qualche tomba dipinta, i tratti di strada più elevati sono molto panoramici e permettono di osservare come la zona diventi sempre più inospitale, qualche baobab in lontananza, qualche villaggio di capanne. Incontriamo molti carretti tirati o spinti a mano da gruppetti di ragazzi o uomini (carichi di grossi bidoni di plastica) che percorrono kilometri per fare rifornimento di acqua, i pozzi sono rari (a volte sono semplici buchi nel terreno senza il benché minimo bordo) ed è facile avvistarli perché sono molto affollati. Quando costeggiamo una riserva/parco (unica oasi verde fra distese riarse dal sole) sostiamo per dilettarci con le evoluzioni di un gruppo di lemuri. Altra breve sosta in un villaggio dove molti uomini sono impegnati nella fabbricazione artigianale della birra: è uno spettacolo! Lungo tutto il percorso ci sono bambini che chiedono bottiglie dell’acqua (per fortuna qualcuna l’avevamo riempita con acqua in albergo), in una delle zone più deserte Naina rallenta ed offre ad una donna che cammina sola sulla strada una bottiglia con acqua: sul suo volto si legge una infinita gratitudine! A Tulear girovaghiamo un po’ nel mercatino artigianale e ci stupiamo per l’enorme numero di carretti/taxi tirati a mano e di camion stracarichi di gente che attendono di partire. Lungo la pista sabbiosa costiera lo spettacolo cambia, i villaggi di pescatori, delimitati da siepi di fichi d’india e piante grasse o da staccionate fatte di rami secchi, sono alternati a piantagioni di sisal. Drink di benvenuto in albergo ed è già ora di pranzo su una bella terrazza direttamente sulla spiaggia, poi una piacevolissima lunga camminata sul bagnasciuga. Prima del tramonto attraversiamo l’allegro villaggio di Ifaty e raggiungiamo la piccola riserva di Reniala. La guida è ancora una volta un ragazzo, ci illustra le particolarità delle molte piante curiose; tra i tanti baobab ci fa notare quelli con forme bizzarre o che hanno largamente superato i mille anni di età, ci fa raccogliere e mangiare i frutti del baobab (leggermente più aspri del frutto acquistato a Morondava, forse perché meno maturi), incontriamo ancora molte piante grasse interamente ricoperte di fiori (ma che sembrano alberi secchi) e non manca il lemure notturno. Dopo cena ci viene fornita, da portare in camera, una abbondante e profumatissima colazione (per evitare levatacce a cuoco e cameriere).
07.10
Beviamo una grande tazza di caffè (che il termos h a conservato ben caldo) e infiliamo il resto della colazione in una borsa (abbiamo messo la sveglia pochi minuti prima dell’ora prevista per la partenza…). E’ ancora notte ma lungo la pista di tanto in tanto ci sono piccoli falò, ci sono già numerosi carretti trainati da zebù e camion carichi di gente, a volte per far salire le persone rallentano e non si fermano così una donna affida i suoi due bambini a chi è già sul camion e poi tribola non poco (impacciata dalla coperta con la quale si ripara dal freddo) per riuscire a salire. Lasciamo a Naina parecchie bottiglie che abbiamo riempito d’acqua in albergo affinchè le distribuisca lungo la strada durante il suo ritorno. Questa volta l’aereo è normale, viene servita una buona colazione e lo steward ci parla correntemente in italiano. A Tana ci attende Tovo; Naina lo ha avvisato della nostra necessità di acquistare della buona vaniglia così ci accompagna al supermercato dove facciamo incetta di tutte le confezioni medie e piccole di vaniglia “Taf” è sottovuoto ma lascia un profumo incantevole anche a distanza. Gironzoliamo un pò nel mercato artigianale di La Digue per fare gli ultimi acquisti; facciamo un giro in centro dalla stazione e nella av. De l’Independance; passeggiamo lungo il mercato dei fiori, quando giungiamo alla fine del mercato e stiamo per addentrarci in una strada bidonville una signora ci ferma e ci sconsiglia vivamente di proseguire ( pensare che abbiamo solo le macchine fotografiche, tutto il resto Tovo ce lo ha già fatto posare in auto dove lui è rimasto di guardia). Nei pochi passi percorsi in questa desolante strada restiamo colpiti da tanta misera, una delle immagini forti è una specie di “chiosco” dove in un fumante bidone cuoce una scura brodaglia e di fianco fa bella mostra di se un vassoio con (tutte ben sistemate a piramide) un mucchio di zampe di pollo bollite. La nostra visita di Tana continua con la cattedrale che viene riaperta per permetterci di visitarla (era appena stata chiusa al termine della messa domenicale) poi il Rova, il belvedere, altri palazzi sulla collina ed il pranzo in un localino con piccolo spettacolo di musica e danze. Abbiamo a disposizione la camera per un po’ di relax, visto la posizione centralissima del Carlton ne approfittiamo per una passeggiata in riva al Lac Anosy attorniato dagli alberi di jacaranda stupendamente fioriti; alcune ragazze vendono della frutta esposta sopra dei teli sul marciapiede, una vende le squisite more dei gelsi!, non proseguiamo perché c’è un forte puzzo (come se il lago non fosse di acqua ma di urina) e perché c’è troppa folla. Di fianco all’ingresso dell’albergo una giovane mamma sta accovacciata su un cartone con tre bimbi: un lattante, uno che gattona ed una bimbetta che saltellando gioiosamente avvicina le persone per chiedere l’elemosina (tutte le nostre scorte finiscono a loro in cambio di un dolce sorriso) poi all’imbrunire arriva un quarto bimbo che si carica sulle spalle i cartoni e tutti insieme vanno via. Dopo cena Tovo ci accompagna all’aeroporto, con molta gentilezza ci assiste nel disbrigo delle varie formalità e come tutti gli altri autisti si assicura della nostra soddisfazione ed attende il nostro decollo.
08.10
La nostra ricchissima esperienza in Madagascar si conclude come è iniziata con un volo tranquillo e la doppia veduta aerea delle nostre Alpi sempre stupende e… ricche d’acqua.