L’incontro/scontro tra oriente e occidente e il fascino orientalista…
Selçuk già si intravede in lontananza, grazie all’imponente sagoma del suo forte bizantino, ancora chiuso ai visitatori per lavori di restauro e sul quale volteggiano stormi di corvi.
Depositati i bagagli nell’accogliente pensione prenotata via email dall’Italia, iniziamo a familiarizzare con le strade ed i monumenti di quella che sarebbe stata la nostra base per le esplorazioni nei 3 giorni successivi.
Ai piedi della fortezza, un grandioso portale conduce ai resti della Basilica di San Giovanni, un tempo una delle maggiori al mondo per dimensioni. Colonne e mura perimetrali dell’edificio si estendono su una vasta altura, da cui spazia il panorama sulla verde vallata circostante e sugli altri monumenti della cittadina. A breve distanza dalla Basilica si raggiunge la moschea di Isa Bey con il cortile e le decorazioni di stile selgiuchide e poi il poco che resta del Tempio di Artemide: delle originarie 127, ormai resta in piedi un’unica colonna di quello che un tempo costituiva una delle 7 meraviglie del mondo antico.
Ad un paio di chilometri da Selçuk sorge Efeso, l’antica capitale romana della provincia d’Asia: le sue rovine sono probabilmente quelle più visitate dell’intera Turchia per la vicinanza a Kusadasi che rende agevole l’escursione in giornata per i molti croceristi. Grazie al tempo incerto con scrosci di pioggia, il sito era piuttosto tranquillo. Gli scavi hanno parzialmente riportato alla luce la città che un tempo doveva contare almeno 250.000 abitanti. La biblioteca di Celso è l’edificio più noto, con la sua facciata marmorea ricostruita con i frammenti originali, e nel passato costituì uno dei centri maggiori del sapere.
In questa zona della Turchia sono molte le antiche città dell’epoca classica che stupiscono per la grandiosità degli edifici in rovina e per la spettacolarità dei luoghi nei quali vennero edificate; rispetto ad Efeso sono decisamente meno frequentate e talvolta è possibile aggirarsi in piena solitudine tra i loro resti. Incrociamo sulla strada quanto rimane della città di Magnesia, dove le armate romane sconfissero Antioco III di Siria, e proseguiamo per Priene, città ellenistica edificata in posizione rialzata. Il tempio di Atena svetta tra verdeggianti picchi rocciosi, con cinque colonne sormontate da capitelli dalle eleganti volute: si tratta del cosiddetto stile ionico che caratterizza tutti gli edifici templari della costa egea meridionale. Le colonne restanti del tempio giacciono a terra ed i rocchi assomigliano ad immense ruote di un grande ingranaggio smontato. La vista spazia sulla sottostante pianura dove un tempo era visibile la linea di costa, ormai arretrata di parecchi chilometri. Anche Mileto, la nostra tappa successiva, era una volta una città portuale, oggi invece resta isolata con le sue rovine silenziose nel mezzo di campi coltivati. Spiccano i resti del grandioso teatro, molto ben conservato, sul quale svetta la torre di una fortezza bizantina. Mileto era la patria di Talete e Anassimandro, personalità che fecero di questo luogo una culla della cultura e della filosofia greca. Infine l’escursione si conclude contemplando il tempio di Apollo a Didima, un edificio colossale che custodiva un oracolo secondo per importanza solamente a quello di Delfi.
Il giorno successivo raggiungiamo il villaggio di Sirinçe a dieci chilometri da Selçuk, situato nel mezzo di verdeggianti colline. Gli edifici di stile tradizionale e quanto rimane della chiesa di San Giovanni Battista testimoniano come la cultura e la lingua greca fossero ancora vive in queste terre fino agli anni ‘20 del secolo scorso: dopo il primo conflitto mondiale e la sconfitta dell’impero ottomano, la Grecia tentò invano di realizzare il sogno (Megale Idea) di annettere i territori un tempo appartenuti ai bizantini scontrandosi con l’esercito della neonata repubblica turca guidata da Kemal Atatürk. Il risultato fu quello di determinare l’espulsione della popolazione greca che viveva in Asia Minore da millenni per permettere alla nuova Turchia di raggiungere l’omogeneità etnica sul suo territorio. E’ una storia poco nota dalle nostre parti ma che fa comprendere le radici del rancore che ancora oggi è assolutamente palpabile tra le due rive dell’Egeo. Raggiungiamo Smirne (Izmir), anche se le condizioni meteorologiche proibitive non ci avrebbero consentito di visitare tutti i luoghi di interesse. Parcheggiamo presso la piazza del Konak con la torre dell’orologio ottomana per poi inoltrarci nei vicoli del bazar. Ci fermiamo ad osservare un negozio di halvà, dolce tradizionale turco ed una donna ci aiuta ad acquistarlo esprimendosi in un buon italiano… le chiediamo dove ha imparato la nostra lingua e risponde di essere italiana anche lei, salutandoci con un sorriso… un’italiana di Smirne, probabilmente discendente da una delle famiglie di mercanti genovesi che si trasferirono ad abitare qui nel Medio Evo… è un retaggio di quella che era un tempo una città cosmopolita abitata da molti ebrei e da una maggioranza di popolazione greca anche qui costretta a sloggiare e a trasferirsi entro i confini della madrepatria ellenica. Oggi Smirne è la terza città turca per dimensioni, la più occidentalizzata nei costumi oltre che, politicamente, fiera sostenitrice della dottrina laica kemalista. Dopo una breve visita dell’antica Agorà, ancora oggetto di scavi, la pioggia battente ci fa tornare sui nostri passi.
Terminata l’esplorazione della costa ionica, lasciamo Selçuk e ci inoltriamo nell’entroterra anatolico dedicando un paio d’ore alle rovine di Afrodisia, capoluogo dell’antica provincia romana della Caria e lontana dalle rotte maggiormente battute dai turisti. Come il nome suggerisce, la città era dedicata al culto della dea dell’amore ed è forse la località archeologica più ricca di splendidi monumenti, tra i quali il Sebasteion (tempio dedicato al culto degli imperatori), ricostruito con gran parte degli elementi originali. I Bassorilievi sono conservati nel vicino museo che ospita anche le numerose statue che un tempo abbellivano i ninfei, le terme e gli spettacolari edifici della città. Oltre al tetrapylon (porta monumentale) ed i grandiosi colonnati delle agorà, è lo stadio la costruzione più impressionante per l’ottimo stato di conservazione. Afrodisia avrebbe sicuramente meritato una sosta più lunga, ma le distanze ci costringono a proseguire per raggiungere Pamukkale, il cosiddetto “castello di cotone”, annoverato dall’UNESCO tra i siti patrimonio dell’umanità.
La parete biancheggiante della collina ai piedi della quale sorge il moderno villaggio turco si scorge già in lontananza, essendo ricoperta di formazioni e vasche calcaree che degradano verso valle creando uno scenario unico al mondo.
Alcuni turisti recatisi a Pamukkale molti anni prima ricordavano le cascate d’acqua sulfurea che scendevano lungo i fianchi dell’intera collina, oggi invece sono state incanalate solamente in alcune vasche (pare per evitare la formazioni di alghe che altererebbero il candido aspetto delle formazioni). Malgrado questo e il notevole afflusso turistico, il castello di cotone con le rovine di Hierapolis sulla cima rimangono una delle attrazioni da non perdere della Turchia.
Il giorno seguente partiamo da Pamukkale in mattinata, dal momento che ci attende un trasferimento piuttosto lungo (più di sei ore) per raggiungere la città di Konya. Con una breve deviazione dalla strada principale, visitiamo la grotta di Kaklik, definita non a torto una specie di Pamukkale sotterranea e poi, lungo il percorso, la cittadina di Egirdir con il suo omonimo lago presso il quale sostiamo in uno dei ristoranti di pesce.
Dopo aver superato i tornanti della regione dei laghi e la cittadina di Aksehir, la strada attraversa una zona pianeggiante che conduce rapidamente a Konya. Arrivati in albergo nei pressi della piazza principale, ammiriamo dalla terrazza i minareti delle moschee e le cupole del Museo di Mevlâna mentre nel cielo serale si diffonde l’affascinante canto del muezzin: siamo nella città nella quale fu fondata la mistica setta dei dervisci che credevano con la loro vorticosa danza di raggiungere una maggiore vicinanza con Dio.
Konya appare da subito una città più conservatrice ma comunque molto accogliente nei confronti dei visitatori; numerosi sono i monumenti selgiuchidi il cui stile ricorda l’architettura tipica dell’Asia Centrale, per le caratteristiche costruzioni in mattoni e le decorazioni in piastrelle azzurre. Il Museo di Mevlâna era la sede della setta dei dervisci ed è così denominato per il soprannome attribuito al suo fondatore (detto anche Rumi). L’edificio principale ospita diverse tombe tra cui quelle dello stesso Mevlâna e della sua famiglia, oltre a preziosi arazzi ed antichi manoscritti. Nel cortile antistante si trovano le celle dei dervisci e dei novizi, oltre agli ambienti comuni. La setta, abolita da Atatürk, sarebbe sopravvissuta quale associazione culturale anche se oramai il “sema” (la danza dei dervisci) viene praticata per lo più quale richiamo turistico. Lasciamo il caldo sole di Konya ed il fascino delle sue strade e puntiamo verso la Cappadocia.
Ci inoltriamo nella steppa anatolica dove ha inizio la via della seta: non è difficile immaginare in questi panorami desolati lunghe carovane di cammelli dirette ad oriente. A Sultanhani sorge un maestoso caravanserraglio che un tempo offriva riparo ai mercanti nei suoi piani superiori, gli animali invece sostavano nell’ampio cortile durante l’estate o nei vasti spazi coperti in inverno situati al piano inferiore. Al centro del cortile, sorge una moschea rialzata di forma quadrata. La fisionomia del Sultanhani si ritrova, anche se in scala ridotta, in tutti gli altri caravanserragli che si incrociano lungo il percorso ed infine, sul far della sera, arriviamo in Cappadocia. Sostiamo brevemente ad ammirare il panorama su Göreme prima di raggiungere il nostro hotel.
La Cappadocia (la terra dei bei cavalli) è stata modellata nel corso del tempo dall’erosione e le incredibili formazioni dette “camini delle fate” caratterizzano i paesaggi e le vallate di quello che fu nei secoli passati un luogo di eremitaggio e di ritiro monastico. Nei pressi di Göreme si accede al famoso museo a cielo aperto, che permette di farsi un’idea dell’arte rupestre che si è sviluppata nel periodo bizantino con le chiese scavate nella roccia e splendidamente affrescate a cui si accede dopo interminabili file di visitatori. Negli immediati dintorni, si snodano i percorsi nella valle delle rose e nella valle dell’amore, con paesaggi incantati, talvolta dall’aspetto lunare, con pinnacoli di roccia simili ad obelischi o dalla forma conica, spesso scavati per realizzare chiese, abitazioni o piccionaie… difficile descrivere le emozioni ed i silenzi di luoghi così unici, che vale la pena di ammirare anche dall’alto delle mongolfiere che affollano i cieli alle prime ore del mattino.
Anche in Cappadocia vivevano fino agli anni ‘20 del secolo scorso comunità di lingua greca ma attualmente i villaggi sono stati ripopolati da turchi ed islamizzati. Ürgüp e Mustafapascia (la vecchia Sinassos) conservano ancora l’impronta ellenica e la traccia dei tristi eventi passati rivive nelle chiese annerite dagli incendi dagli affreschi sfregiati, che oggi però sono tutelati nella consapevolezza del loro valore artistico.
A sud di Göreme si raggiunge Soganli, un altro villaggio di paesaggi lunari e chiese rupestri affrescate che si visita in quasi completa solitudine e lontano dalle folle di turisti, e poi Kaymakli, una delle diverse città sotterranee nelle quali la popolazione cristiana si rifugiava, anche per mesi, durante le invasioni persiane e arabe. Altro posto da non perdere è la valle di Ihlara (a 50 km circa da Göreme) dove si snoda un fiume nel fondovalle di un canion nelle cui pareti sono state scavate chiese affrescate. Particolarmente meritevole è il monastero/cattedrale di Selime, ricavato dai monaci bizantini su un imponente sperone roccioso, dove tunnel scavati nella roccia conducono a vasti ambienti comuni che costituivano cucine o chiese con grandi pilastri. Dopo aver ammirato i panorami dal castello di Uçhisar ed il villaggio di Avanos, noto per la produzione di ceramiche (se non si è condotti dalle guide di gruppi organizzati, i prezzi scendono automaticamente della metà…), arriviamo in mezz’ora a Kayseri, l’antica Cesarea di Cappadocia. Kayseri non è una città con vocazione turistica nonostante i numerosi monumenti selgiuchidi sparsi nel centro. Lungo la strada principale, sorgono le imponenti mura di basalto nero della cittadella dove lateralmente si accede al bazar coperto. Diverse sono le madrase (scuole coraniche), oggi riutilizzate per la rivendita di abiti o libri usati oltre alle moschee in stile ottomano. Visitiamo il piccolo museo etnografico ricavato in un vecchio edificio ottomano, l’ingresso è gratuito ed il custode apre per noi l’accesso alle varie sale dove sono ricostruite le scene di vita quotidiana della ricca famiglia che un tempo abitava il palazzo. Lasciamo la Cappadocia ed il nostro volo da Kayseri ci riporta ad Istanbul dove trascorreremo i nostri ultimi giorni di viaggio.
Avendo già visitato la città qualche anno prima, dedichiamo il nostro tempo per esplorare i quartieri occidentali che avevamo tralasciato la volta scorsa, raggiungendo San Salvatore in Chora, la chiesa/moschea trasformata in museo e nota per i mosaici di epoca bizantina. Nei pressi delle mura Teodosiane, fa bella mostra di sé la moschea di Mirimmah, figlia di Solimano: gli interni si caratterizzano per le vetrate istoriate ma il cortile è chiuso per restauri e dunque inaccessibile. Nella passeggiata in questa zona tra le più popolari (e conservatrici) di Istanbul, incrociamo il museo di Fethiye (anche questa un’antica chiesa bizantina convertita in moschea dopo la conquista turca ed oggi museo) e la moschea Sultan Selim, che regala una meravigliosa vista sul braccio di mare che la separa dai quartieri di Galata. Si ammirano gli aguzzi minareti a forma di matita spuntare dalle case e palazzi tradizionali ed i gabbiani che volteggiano sul Corno d’Oro… doveva essere questo lo scenario che incantava i viaggiatori che si recavano nella decadente capitale ottomana verso la fine dell’800, non è un caso se nei pressi della moschea si trova un caffè dedicato a Pierre Loti, noto scrittore ed accademico francese affascinato dalle esotiche atmosfere orientali.
Il percorso prosegue nei vicoli del Fenar, quartiere popolare caratterizzato dai colorati edifici decadenti, dai panni stesi al sole e dalle ripide discese che degradano verso il mare. Si incrociano moschee e chiese, in particolare s’impone la facciata (simile ad un castello di mattoni rossi) della grande scuola ortodossa, non lontano dalla quale ha sede il Patriarcato di Costantinopoli. E’ il volto della Istanbul più vera, spesso utilizzata quale scenario ideale per le produzioni cinematografiche… non è un caso se incrociamo delle comparse con abbigliamento anni ’30 durante delle riprese.
Lasciato il Fenar, ci immergiamo nella folla del Bazar Egizio risalendo fino al Capali Carsi (o Gran Bazar) per poi rientrare nel nostro albergo nel quartiere Beyoglu.
Ha riaperto i battenti il Pera Palace Hotel che la volta scorsa avevamo trovato circondato da impalcature per i lavori di ristrutturazione… per un soffio, il destino non volle consentirci di vedere questa vecchia gloria della città che accoglieva i viaggiatori dell’Orient Express e che – quasi per miracolo – era sopravvissuto con le sue originali suppellettili fino al 2008… oggi è un albergo a 5 stelle con tutte le moderne comodità, ma l’atmosfera ne risulta in parte compromessa… L’intero quartiere che un tempo ospitava le ambasciate (oggi trasformate in consolati generali) si caratterizza per gli edifici di inizio novecento in stile Liberty o di gusto europeo ed il suo cuore è l’Istiklal Caddesi, un lungo e vivace viale pedonale attraversato dal caratteristico tram rosso che conduce alla piazza Taksim. E’ questa la zona più animata della città durante la sera, grazie alla presenza di numerosissimi ristoranti e locali alla moda e che contrasta notevolmente con il quartiere di Sultanhamet che – affollatissimo di turisti durante il giorno – è immerso nella più completa tranquillità dopo il tramonto.
Dopo il museo di Pera ed i suoi romanci dipinti orientalisti, torniamo ad Aya Sofya, che questa volta si lascia ammirare senza le ingombranti impalcature che sorreggevano la cupola, e alla Cisterna Basilica; ci rechiamo invece per la prima volta la museo delle arti Turche ed Islamiche ospitato in un sontuoso palazzo affacciato sugli obelischi dell’antico ippodromo e quasi del tutto trascurato dalle masse di visitatori… è una bella e soleggiata giornata d’ottobre e Sultanhamet si lascia ammirare dall’altro delle terrazze dei caffè all’aperto dove la vista spazia sui minareti dell’Aya Sofya e della moschea blu sullo sfondo scintillante del mare e lo stridio dei gabbiani.
L’ultima giornata la dedichiamo alla torre di Galata con il suo quartiere e, scendendo fino a Karaköy, raggiungiamo la parte asiatica di Scutari con il traghetto per poi preparare il nostro trasferimento in aeroporto dove ci attende il volo serale che ci riporterà in Italia.
Lasciamo un paese ospitale dove il nostro itinerario tra rovine classiche, sontuosi edifici ottomani, moschee e panorami si è svolto in piena tranquillità, senza particolari problemi di comunicazione: l’inglese è piuttosto diffuso nelle località turistiche ma sembrerebbe che il tedesco lo sia ancora di più… siamo stati sorpresi dalla notevole diffusione della lingua teutonica anche tra le persone più anziane che la utilizzano per riuscire a comunicare con i visitatori occidentali (indipendentemente dalla nazionalità dichiarata). Il nostro secondo viaggio in questo paese termina qui… ma essendo così numerose le attrazioni, come poter escludere in futuro un terzo capitolo?