L’arrivo a Mont-Saint-Michel e divagazioni cronologiche
Diario di viaggio in Francia
Ascolta i podcast
AGOSTO 2009 Piccolo come un modellino, abbozzato in maniera imprecisa al fondo della baia, avvolto dalla foschia: ecco come ci appare il Mont-Saint-Michel per la prima volta. Poco a poco, però, diventa una visione sempre più nitida che si staglia incredibilmente contro lo sfondo di una campagna piatta con colture non dissimili da quelle della pianura padana: mais, bietole, ortaggi (carote, rape, etc.). Terra sabbiosa, di bonifica. Terreno strappato al mare e alle paludi, che sicuramente non vedevano i pellegrini, secoli fa, quando si avvicinavano al monte. Un camion ci supera: decisamente i tempi sono cambiati… Ci avvisiamo l’un l’altro con i campanelli delle bici del suo arrivo. Trasporta carote e ne semina alcune lungo la strada. Beati i conigli e le lepri che stanno in questa zona! Se non ci fosse l’accompagnatore in testa al gruppo di noi “ciclisti per caso” ci saremmo sicuramente già persi per queste stradine di campagna (per una volta tanto si tratta di sentieri senza salite né discese), che costeggiano la baia di Mont-Saint-Michel. E’ vero che qui, almeno, il monte svetta da lontano e ci fa da faro e stella per conoscere la direzione da seguire, ma gli incroci sono tanti e manca la segnaletica. Per rallegrare la pedalata i ragazzi di Cuneo e il dodicenne Jacopo inventano gare a perdifiato in un rettilineo o attorno a una rotonda con commento “in diretta” dell’andamento della gara (mutuato, però, dalla Formula 1 o dal calcio e non dal Giro d’Italia) oppure cantano l’Inno di Mameli o la Canzone degli Alpini, coro a cui ci uniamo anche la guida ed io. Questo solo perché il caldo, oggi, ci ha dato una tregua, perché ieri e l’altro ieri, primi due giorni di pedalata, di cantare non ne avevo proprio voglia. Infatti le salite strappacuore (per me abituata alla Bassa Ferrarese e con bici dotata di soli 6 cambi) e l’afa mi avevano tolto anche il desiderio di sorridere. Le prime fermate alla scoperta della Costa di Smeraldo della Bretagna erano state Cap Fréhel, un bellissimo promontorio dominato da un faro e circondato da brughiere, Fort La Latte, un castello che si trova fra due precipizi sul mare, St-Cast-le-Guildo, una stazione balneare dove abbiamo dormito la prima notte, e il castello diroccato di Guildo, sosta sulla strada per Saint Malo. Per arrivare a Mont-Saint-Michel abbiamo cominciato a pedalare stamattina alle 8.40 dalla spiaggia di Saint Malo. Il nostro hotel a Saint Malo, pur essendo un due stelle, era piuttosto caro, forse perché aveva la vista sul mare (nonché sul lungomare, estremamente trafficato) ma non ce lo siamo goduto poi molto quel panorama (a parte che non puoi stare davanti alla finestra in mutande ad ammirare il mare con tutti quelli che passano di sotto) dato che siamo arrivati verso le sette di sera dopo una giornata estenuante che includeva la discesa di tre rampe di scale con bici sollevata a mano. Pare che questo fosse il sistema più veloce per raggiungere il ponte sul fiume che ci avrebbe consentito, più tardi, di arrivare a Saint Malo. Insomma, una volta messo piede in albergo c’è stato appena il tempo di una doccia e di aprire i bagagli (che ahimè vanno disfatti e rifatti ogni giorno per via della variazione quotidiana dell’alloggio) ed era già ora di cena, una cena consumata in un ristorante a pochi passi dall’hotel, pure lui con vista sul mare e con la ovvia degustazione di ostriche e menù di pesce. Il servizio è stato così lento che al dessert erano già le 22.40. Fuori, ormai, era calata la notte (anche se in Bretagna faceva buio verso le 10 e non alle 9 come da noi). Proposta di passeggiata sugli spalti delle mura di Saint Malo accolta all’unanimità. Ora, sulle mura, c’era buio pesto e soffiava un vento gelido che faceva da ottimo contrappunto alla giornata piuttosto calda. Dopo cinque minuti di sofferenze da “sbattuta di ali di Lucifero” Leo ed io abbiamo fatto dietro-front. Così abbiamo trascorso la giornata precedente all’arrivo a Mont-Saint-Michel, tappa fondamentale del nostro tour. Leo, però, non la pensava così, cioè non considerava quell’abbazia attorniata da mura, edifici, parcheggi e sabbie mobili, gremita di turisti, un luogo degno della sua ammirazione. Però si può comprendere il suo stato d’animo dopo la faticaccia che ha fatto da preludio alla visita al monte … Per farla breve, in seguito al giro circolare ai piedi del monte e dopo aver visto una foca stesa sulla melma in attesa dell’alta marea e fotografata come una star dai turisti di passaggio, Leo si è dissociato dal gruppo ed è andato a “cronicare” in hotel. Io, intrepida, sono andata ad ingrossare le fila dei turisti che si sono addentrati fin nel cuore di Mont-Saint-Michel, la Merveille. Be’ mi sono aggregata al primo tour guidato che ho trovato: una visita guidata in spagnolo. Questo mi ha permesso di conoscere in dettaglio i segreti (perché ignoravo quasi tutto) della costruzione e della vita che un tempo si svolgeva nell’abbazia. La guida era una studentessa francese giovane e carina, dagli occhi azzurro chiaro che parlava spagnolo con ottima pronuncia. Sono rimasta molto impressionata dal chiostro, rappresentazione del paradiso terrestre, e dall’ossario o cimitero, un ambiente oscuro dove si trovava un’enorme ruota in legno usata come carrucola per il montacarichi. Presa da un eccesso di zelo e desiderio di conoscenza avrei seguito volentieri anche il tour in francese o in inglese, ma quello delle 16.45 era l’ultimo tour guidato. Sicché mi sono dovuta rassegnare a comprare un libro in francese “Le Mont-Saint-Michel pierre à pierre” e a far rotta verso l’hotel dove, come di consueto, ci siamo riuniti a cena per le otto. C’erano galette, pentole piene di cozze, piatti di vitello e patate, ciotole di formaggio e infine una fetta di torta di mele col gelato (per fortuna che di giorno avevamo smaltito!!!). Ah, ho dimenticato di dire che le notti erano movimentate per via della digestione faticosa… A questo punto era già giovedì (ci attendevano solo due giorni di pedalata). Prima tappa della giornata al Mehir du Champ Dolent, uno di quei dolmen di cui è costellata la campagna bretone (somigliava molto al pietrone che si porta sulle spalle Obelix). Seconda tappa (pausa pranzo) nella cittadina di Dol de Bretagne. Lì sono stata l’unica, a parte l’accompagnatore, a visitare il museo “Cathédraloscope”, un percorso alla scoperta dei segreti delle cattedrali con modellini in legno di varie cattedrali francesi, oggetti antichi che servivano alla costruzione delle cattedrali e una proiezione che illuminava, commentandole, le vetrate di tre cattedrali francesi. Siamo arrivati nel paesino di Le Tronchet verso le quattro di pomeriggio e stavolta ne ho approfittato anch’io per riposarmi, tanto non c’era nulla da visitare a Le Tronchet, anche se ammetto che la piscina dell’hotel tentava parecchio (l’acqua, ovviamente, sarà stata gelida). La stanza dell’hotel “Abbatiale” era enorme e antica, con travi in legno, armadi a muro e letto confortevole. Leo ed io siamo rimasti inchiodati nell’alcova fino a ora di cena. Dopo cena è scesa una nebbia piuttosto fitta, sembrava ottobre da noi. Dotata di golfino mi sono accodata alla passeggiata collettiva attorno a un laghetto nei pressi dell’albergo. C’era un gattino nero che ci seguiva e uno dei gemelli di Cuneo ha avuto un’idea geniale: usare il gattino per fare un arcano rito di “Macumba” attorno a l’accompagnatore. Si trattava di attirare forze malefiche su di lui per… far piovere!!! Comunque non ha funzionato, per lo meno non durante il nostro tour, perché non s’è vista nemmeno una goccia. Del resto, ormai, si era all’ultimo giorno, trascorso, quasi per intero, prima lungo il fiume Rance e poi a Dinan. Venerdì: prima tappa in un boschetto con menhir. Leo ed io siamo entrati all’interno di un probabile monumento funebre, dentro a un corridoio di pietre. Nei pressi del dolmen c’era un’iscrizione con una leggenda che parlava di un pane, donato a un contadino dalle fate del bosco, che non induriva mai, a patto, però, che non venisse rivelata la sua origine fatata. Come al solito quello stron…. Del contadino non ce l’ha fatta a tenere la lingua a posto e il pane magico è diventato una pietra. Uno dei nostri colleghi ciclisti voleva portarsi a casa una delle pietre del luogo per vedere se tramite qualche processo alchemico era possibile riportare il masso allo stato di pagnotta “sempretenera” ed “eternocommestibile”. Alla fine ha desistito perché il pietrone era pesante da portare in bici. Purtroppo dopo la foschia mattutina il sole ha ricominciato a splendere impietoso. L’acqua corrente del fiume Rance, che scorre alla nostra sinistra, aumenta il desiderio di introdurre liquidi in corpo. Ed ecco il porto fluviale di Dinan, città medievale circondata da mura. Il porto è in basso, la città si sviluppa su un altopiano. Ci apprestiamo a salire la rampa acciottolata che conduce in centro. Neanche a dirlo, la bici va spinta a mano perché la pendenza è eccessiva. Oh, pittoresco!!!! Ma giunti in cima siamo zuppi di sudore. L’accompagnatore ci sguinzaglia in città per 3 ore. Ci sono le case a graticcio, la torre dell’orologio, la cattedrale e altre chiese la basilica di “St-Sauveur”, un giardino con panorama sul fiume Rance, una fortezza, un trenino che fa il giro della città, un numero inaudito di negozi di souvenir e un numero altrettanto cospicuo di turisti. Stavolta sono proprio l’unica a visitare il castello-museo di Dinan, che risale all’epoca della guerra dei cent’anni. Nel torrione centrale, al secondo piano c’è una mostra di pizzi, cuffie e merletti bretoni con macchine per tessere e filare, al terzo piano una collezione di quadri con paesaggi della zona di Dinan, infine dalla terrazza si gode una vista panoramica della città. In un’altra torre sono esposte delle sculture medievali e, scendendo le scale a chiocciola fino al piano interrato arrivo alla sala dei “giacenti”: nella semioscurità distinguo le sculture distese che dovevano trovarsi sul sarcofago di importanti personaggi medievali. L’ambiente è una sorta di cripta, con pozzanghere qua e là sul pavimento formato da pietre sconnesse. Esco dal castello dopo aver ringraziato i custodi. Leo, nel frattempo, si è andato a fare un giro in trenino per risparmiare energie. Lo ritrovo nel punto dove abbiamo lasciato le bici e insieme ci mangiamo un rinfrescante gelato al cocco e frutto della passione. Inforchiamo nuovamente i nostri mezzi di trasporto fino a Plancoët, luogo in cui il nostro tour era iniziato. Il cerchio si chiude. Come nel giorno del mio arrivo mi rituffo nella piscina che consente poco più di una dozzina di bracciate prima di arrivare in fondo e continuo a nuotare avanti e indietro per un’oretta. Il rito della cena si ripete, puntualmente, alle otto. Sono d’obbligo i saluti. Ricarichiamo le nostre bici sul furgone. Domani dovremo affrontare altri 1600 km senza aria condizionata, Plancoët-Ferrara, per chiudere definitivamente il cerchio che ci ha portato in questa avventura “auto-ciclo-pedo” e per Leo anche “ferro” turistica (be’ il trenino non andava sulle rotaie). E l’anno prossimo? Forse è ancora presto per pensarci. Leo sta già sognando una vacanza meno “attiva” e più “distensiva”…