Isole Faroe: 10 giorni nell’ultimo paradiso conosciuto

Dieci giorni nell'ultimo paradiso conosciuto
Scritto da: LupoSolitario
isole faroe: 10 giorni nell'ultimo paradiso conosciuto
Partenza il: 30/07/2012
Ritorno il: 09/08/2012
Viaggiatori: 1
Spesa: Fino a €250 €
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Fabrizio de Andrė ė nato a Genova, ma ha scelto, per viverci, la Sardegna; quando gliene chiedevano il motivo rispondeva: “Non siamo noi a scegliere la terra dove vivere, ma è la terra a scegliere noi”. Ecco, io vorrei dire la stessa cosa per le isole Faroe, penso di amarle così tanto perché mi assomigliano: solitarie, remote e quindi difficili da raggiungere, aspre e al primo contatto quasi scorbutiche, così come i loro abitanti, ma se fai lo sforzo di volerle comprendere, di non volerti fermare alla prima impressione, allora ti svelano il loro segreto, e diventano le tue migliori amiche. Proverò nelle righe che seguono a raccontarvele, sperando che anche voi possiate amarle, magari senza esserci mai stati, o forse chissà, facendo nascere in voi la voglia di vederle con i vostri occhi. Tutte le foto dei luoghi descritti in questo diario le trovate, oltre che nella pagina Facebook del gruppo TPC, in questo video, della durata di 10 minuti.

Introduzione alle isole Faroe

In lingua locale l’arcipelago si chiama Føroyar, isole delle pecore, e assicuro che il nome non è fuori luogo. Sono in totale 18 isole di cui due completamente disabitate, per un totale di 49.000 abitanti. Sono in regime di autogoverno, cioè hanno un parlamento, una moneta e una lingua proprie, fanno parte del Regno di Danimarca (ma non della Unione Europea), che rimane responsabile della sola difesa internazionale.

La capitale si chiama Tòrshavn, cioè il porto di Tòr, il Dio vichingo, e già questo basterebbe a comprendere quanto forte sia il legame con le tradizioni, e l’orgoglio di questa gente. Gli abitanti nella capitale sono circa 20.000, e questo mette in luce il problema dello spopolamento delle aree periferiche; la gente, soprattutto i giovani, preferisce vivere in una cittadina che, per quanto piccola, offra tutti i servizi e qualche possibilità di svago, un cinema, un paio di pizzerie, qualche ristorante. Già Klaksvik, 5000 abitanti, non offre quasi nulla di tutto questo, e allora la gente se ne va. Per non parlare di Fugloy, scesa a 40 abitanti, di Svinoy, 50 anime, e altre in questa condizione. Il governo sta facendo di tutto per evitare l’abbandono di queste isole, ad esempio a Skùgvoy, 70 abitanti, ha costruito una piscina. Certo, la gente la si può comprendere, è difficile vivere in un’isola di 50 abitanti, dove se il mare è brutto il traghetto non arriva e l’elicottero non atterra quando c’è vento forte.

Giorno 1 – come arrivare alle Faroe

Le isole Faroe si possono raggiungere in due modi: via mare, con una lunga traversata dalla Danimarca, della durata di oltre 30 ore, o via aereo, con l’unica compagnia che serve l’arcipelago, la Atlantic Airways. Le partenze sono dagli aeroporti danesi di Copenhagen e Billund, durante tutto l’anno, e da Londra unicamente per il periodo giugno/settembre. La mia scelta questa volta ricade su Billund, vuoi perché Londra quest’anno è inavvicinabile per via dei Giochi Olimpici, vuoi perché Billund è la sede della Lego, e voglio tornare bambino, visitando Legoland. E così, molto per tempo prenoto la tratta Orio al Serio – Billund; nulla da dire sulla puntualità e sull’efficienza del volo Ryanair; certo che volare con loro è diventato un po’ stressante, durante tutto il volo cercano di rifilarti qualsiasi cosa: profumi, carte per il parcheggio, gratta e vinci… Mi ricorda molto le gite alle quali mi obbligava a partecipare mia madre da bambino, splendide giornate al lago di Garda, a prezzi stracciati, con dimostrazione di pentole durante tutto il viaggio e pure dopo il pranzo, che meraviglia che erano. Visti i i tempi ristretti della coincidenza per le Faroe decido di fermarmi a dormire allo Zleep Hotel; è a tre minuti a piedi dall’aeroporto e ha tariffe abbordabili, circa 30 euro a notte se si prenota almeno sessanta giornii prima, veramente nulla se raffrontato alle tariffe stellari degli Hotel Danesi.

Giorno 2 – Legoland e arrivo a Tòrshavn

Ormai sulla soglia degli anta, non sarò un tantino fuori posto a Legoland? Questo mi chiedo mentre l’autobus gratuito (eh si, pure questo è la Scandinavia) mi porta all’ingresso. Mi guardo attorno e vedo giovani coppie con un nugolo di bambini biondissimi al seguito. Al modico costo dell’equivalente di 40 euro entro e sono subito circondato da castelli medioevali, guerrieri e draghi, principesse e damigelle, tutti costruiti con migliaia di mattoncini Lego. Sono veramente fatti bene e mi chiedo se chi li ha costruiti abbia avuto in dono la biblica pazienza di Giobbe, io giá facevo fatica a costruire una micro-casetta di due piani con i Lego. Ci sono poi un’infinità di giostrine, di aeroplani, di trenini, di tronchi che scendono cascate, tutte rigorosamente a misura di bimbo, decisamente off-limits per il metro e novantacinque che mi porto dietro! La visita vale assolutamente il costo se avete bimbi al seguito adoreranno questo posto, per i soli adulti può meritare ma solo se avete voglia di tornare bambini per qualche ora. Torno in aeroporto, in tempo per vedere il Boeing con i colori di Atlantic Airways, arrivare e subito pronto a ripartire. Per me è un momento importante, fisso il monitor che indica il gate di imbarco come ipnotizzato e vorrei che durasse più a lungo, sto per rivedere un luogo che amo enormemente e la gioia e l’emozione si scavalcano a vicenda.

Incredibilmente, viste le condizioni metereologiche spesso difficili, partiamo e arriviamo in perfetto orario, e all’aeroporto di Vàgar non ho bisogno di controllare il nastro che mi restituirà lo zaino, la scelta è obbligata. Di controlli passaporti neanche l’ombra, così come non c’è l’ombra di un ufficio cambio, solo uno sportello bancomat è presente, tenetene conto se arrivate da Londra. Dalla Danimarca invece nessun problema, in quanto le corone danesi sono accettate: le isole Faroe hanno la propria valuta, le corone faroesi, che sono cambiate 1:1 con quelle danesi, in pratica sono la stessa moneta chiamata in due modi differenti. Arrivo all’Hotel Torshavn, la mia casa per i prossimi quattro giorni. Questo albergo è decisamente quello che offre il miglior rapporto qualità prezzo tra i quattro (pochini, vero?) della capitale (gli altri si chiamano Foroyar, Hafnia, Streym). A meno di 100 euro a notte si dorme di fronte al porto, nel cuore della piccola capitale faroese Dormire all’Hafnia o allo Streym costa circa 120 euro, mentre al Foroyar, il più costoso, circa 170 euro (tutti i prezzi si riferiscono alla camera singola, colazione inclusa). In alternativa sono disponibili un paio di ostelli, che offrono il pernottamento a partire da 40 euro, e sistemazioni a casa di privati, con la formula B&B, a circa 70 euro a persona.

Giorno 3 – Tòrshavn

Oggi, come prima giornata effettiva di vacanza, non ho pianificato alcuna attività; ho bisogno di qualche ora per riadattarmi al ritmo rilassato delle Isole Faroe; così dopo l’abbondante colazione dell’hotel Tórshavn, vado in banca a cambiare i soldi, me la posso prendere molto comoda, aprono alle 9.30.

Piccola annotazione pratica, ogni volta che cambiate vi chiedono se volete corone danesi o faroes, come ho detto prima, sono la stessa moneta, ma una differenza c’è: le corone danesi possono essere convertite in Danimarca nuovamente in Euro e spese alle isole Faroe, mentre le corone faroesi possono essere spese unicamente alle Faroe e riconvertite in Euro solo alle Faroe, quindi occhio a fare bene i conti.

Dopo una passeggiata al porto salto su un autobus rosso del trasporto urbano di Tòrshavn, sono gratuiti e le 5 linee raggiungono ogni angolo della capitale e i sobborghi vicini. Arriva l’ora di pranzo e opto per il Cafè Natur, al porto; è il più antico della capitale e uno dei più frequentati dalla popolazione locale. Con circa 20 mangio un burger enorme con contorno di patarine e una birra faroese, che vi assicuro è davvero ottima.

Nel pomeriggio giro senza una meta precisa tra il porto e la Niels Finsen Gota, la via principale, che comprende l’isola pedonale, lunga ben duecento metri, che collega appunto il porto allo Steinatùn, niente molto di più di uno slargo che rappresenta il principale snodo della viabilità cittadina, dal momento che tutte e cinque le linee urbane vi transitano. Ho ancora tempo per la raggiungere la chiesetta cattolica, dedicata a Maria, a cinque minuti di cammino dallo Steinatùn; la comunità cattolica di qui è veramente esigua, circa un centinaio di persone. La parrocchia dipende dalla Diocesi di Copenhagen, distante oltre mille chilometri, il parroco viene sostituito ogni quattro mesi, ma la comunità è molto attiva, organizza veglie di preghiera e ogni domenica si ritrova alle 11 per la messa.

Viene così ora di cena, e decido che per oggi ho camminato abbastanza, così mangio alla brasserie Hvonn, situata al piano terra dell’hotel Tòrshavn, tagliatelle alla panna buone come in Italia, lo dico alla cameriera, che sorride e ringrazia. Vado in camera presto a vedere le Olimpiadi, così riesco a vedere un emozionante incontro di Badminton (!) femminile tra le ragazze danesi e quelle giapponesi, già le Olimpiadi, le sto molto trascurando, ma, del resto, lo spettacolo vero ce l’ho tutto attorno a me, ed è da medaglia d’oro.

Giorno 4 – Vestmanna bird cliff tour

L’attrazione più famosa delle isole Faroe è probabilmente la vestmanna bird cliff tour, che ho in programma per oggi. Vestmanna è un paesino di circa 1000 abitanti a 40 Km da Tòrshavn, ed è circondata da scogliere altissime abitate da un numero impressionante di uccelli marini, praticamente è il paradiso dei bird watchers. Il centro visitatori è una piccola costruzione a sinistra della strada che arriva da Tòrshavn, ospita anche un bar/ristorante e un museo delle cere ispirato alla vita locale di qualche secolo fa. La visita al museo costa 75 Dkk (11 euro) e mi sento di consigliarla solo a chi è veramente appassionato di storia locale e non è facilmente impressionabile, per i seguenti motivi: il museo è piccolissimo (ho contato 12 scene di vita quotidiana) ma le statue sono realizzate magnificamente, senz’altro al livello di quelle di Madame Tussaud a Londra. Le scene ritratte ci fanno capire quanto drammatica e dura era la vita da queste parti secoli fa, c’è una scena che ritrae un omicidio tra marinai, un’altra che riprende un uomo che accoltella la moglie, un povero marinaio pende dal soffitto, impiccatosi con una corda al collo, una moglie giovane stringe la mano della figlia, forse cercando di dirle che suo padre non tornerà dal mare, le espressioni sul volto delle statue sono veramente commoventi, fanno venire le lacrime agli occhi, vi assicuro, sembra di vivere i loro dolori e il loro dramma (specialmente l’espressione sul volto della moglie/ mamma mi ha toccato). È difficile uscire senza una sensazione di tristezza addosso.

La piccola lancia ci aspetta attraccata di fronte al centro visitatori, l’escursione costa 275 Dkk (37 euro) e dura due ore, certo è cara, ma non potete lasciare le isole Faroe senza averla fatta. Si costeggiano scogliere e faraglioni, si entra in grotte scure e fredde, sempre accompagnati dal volo e dallo strepitio di mille e mille gabbiani e altri uccelli dei quali non conosco il nome. Ho pensato che nella mia prossima vita vorrei rinascere gabbiano e volare su quelle scogliere. Le due ore volano, si torna a terra. Consiglio a chi farà l’escursione di coprirsi con maglia e giacca a vento anche a luglio, il vento ê forte al largo.

Al pomeriggio vado in giro con Ernst, che mi fa vedere alcuni punti spettacolari, e mi insegna la corretta pronuncia delle località faroesi, tutta diversa da come si legge e da come pensavo io. Tòrshavn si pronuncia qualcosa tipo toursciaunn, il resto, beh lasciamo perdere, mi sa che questa lingua non la imparerò mai. Anche oggi è andata, come passa in fretta il tempo quando si è in vacanza, torno in albergo, domani è il giorno più importante della mia vacanza: sarà davvero emozionante!

Giorno 5 – Isola di Fugloy

La mia vacanza potrebbe finire oggi; cercavo la bellezza, e quale posto più bello dell’isola di Fugloy potrei trovare? Cercavo la solitudine, la sensazione di essere fuori dal mondo, e quale posto potrebbe darmi queste cose più dell’isola che ho visitato oggi? Ma andiamo per ordine. Una delle cose che sanno solo gli espertissimi delle Isole Faroe è la gestione dei viaggi in elicottero, operata da Atlantic Airways. Ogni domenica, mercoledì e venerdì l’elicottero si alza in volo partendo dall’aeroporto di Vágar e toccando tutti i villaggi più sperduti, situati sulle isole più remote. Così, molto per tempo in quanto l’elicottero ha solo 8 posti, ho prenotato il volo Tòrshavn Hattarvik, isola di Fugloy. Il volo in elicottero è un vero affare, costa solo 215 Dkk (30 euro), è pero importantissimo sapere una cosa, non è possibile prenotare andata e ritorno nello stesso giorno, quindi se si va in elicottero, bisogna tornare con i mezzi pubblici, traghetto e bus e viceversa. L’elicottero arriva puntuale alle 11.23, l’interno è molto spartano, due panchette in tela in cui ci sediamo in otto, dobbiamo indossare le cuffie antirumore, visto il fracasso che c’è a bordo. Il viaggio è indescrivibile, si scavalcano montagne si sorvolano laghi e fiordi, e in un attimo siamo a Klaksvik. Giusto il tempo di toccare terra e si risale in direzione Svinoy, il nome significa isola dei maiali e nemmeno i locali sanno spiegarne bene la ragione, dal momento che qui, di maiali, non se ne sono mai visti. Il villaggio è minuscolo, una manciata di case attorno alla chiesa e nient’altro. Noto che usano un sistema tanto intelligente quanto banale per far capire a chi non è pratico la località in cui si atterra, l’addetto, che è un abitante del villaggio, indossa un giubbotto con il nome del paese stampato sopra.

I miei compagni di viaggio scendono tutti qui, e così resto solo nel raggiungere il villaggio di Hattarsvik, isola di Fugloy. Fugloy significa isola degli uccelli, e il motivo è evidente appena si atterra. Per quanto abituato alle dimensioni minuscole dei villaggi faroesi, questa volta resto stupito. Ho contato otto casette colorate attorno alla chiesetta. Chiedo all’addetto all’atterraggio dell’elicottero in quanti sono ad abitare qui, mi fa cenno che non capisce, e infatti non parla una sola parola di inglese. Ripeto la domanda cercando di farmi capire e lui allarga le dita della mano. Qui abitano in cinque. Vedo una bambina bionda che gioca con due cani e rimango a fissarla a lungo. Cosa penserà dell’abitare in questo posto? Senza amici della sua età, senza nulla che non sia cielo e mare e due cani come compagni di gioco? A me questo posto sembra il paradiso, ma a lei? Resto con i miei dubbi e le mie domande, mentre mi allontano lungo la stradina che collega Hattarvik a Kirkja, l’altro villaggio di Fugloy, distante cinque chilometri. Mi accorgo di non essere solo a camminare, uno dei due cani mi sta seguendo, gli dico di tornare a casa, ma poi lo capirà l’italiano? E allora sono contento di camminare con lui e mi sento felice. Il cielo, il verde della collina, le pecore che incontro, per la strada e un cane che mi cammina al fianco. Ho tutto quello che voglio.

Mentre sto per arrivare a Kirkja il mio amico se ne va e torna a casa. Lo guardo correre nel prato e lo invidio. Resterei qui se potessi. Kirkja non è molto più grande di Hattarvik, e all’unica persona che incontro ripeto la mia domanda. Trovo un cinquantenne che parla perfettamente inglese e mi dice che qui sono in dieci, mi parla della vita sull’isola, mi dice che il negozio ha chiuso quattro anni fa, e che chi è rimasto è anziano. Questa isola morirà, mi dice, nessuno vuole più vivere qui. D’inverno, mi racconta, può capitare che il traghetto non arrivi per diversi giorni, che l’elicottero non voli. E allora perché tu ci vivi? Gli chiedo. Semplicemente mi risponde “i love loneliness”, mi piace la solitudine.

Vedo il traghetto in lontananza arrivare, devo lasciare questo luogo incantato, fuori dal tempo e dallo spazio. Saluto il mio amico, gli dico che tornerò un giorno, “ti troverò ancora qui?” gli domando. Probably, risponde e lo vedo salutarmi con la mano, mentre Fugloy sparisce in fretta all’orizzonte. Di certo non sparirà dai miei ricordi e dal mio cuore. Un’ora di traghetto e due autobus mi riportano a Tòrshavn, la vedo già con altri occhi, mi sembra diventata di colpo più grande, più trafficata, più caotica. Capisco come mai per la gente di qui non sia un paese di 20.000 abitanti, ma sia Tokyo, New York, Parigi. Per chi è abituato a vivere nei microscopici paesini che sto vedendo, avere a disposizione un pub e due pizzerie è roba incredibile.

Giorno 6 – Isola di Suduroy

Lascio Tòrshavn, anche se dovrò necessariamente tornarci, alle 7 in punto ho il traghetto che mi porta all’isola di Suduroy, come dice il nome, la più meridionale dell’arcipelago, che ospita circa 5000 abitanti. Ci vogliono due ore per raggiungerla, arrivato con il pulmino locale raggiungo la stazione di servizio Magn, che noleggia una macchina per 300 dkk al giorno (40 euro). È l’unica macchina a noleggio dell’isola, una Toyota Avensis automatica di 10 anni e 150.000 km (mi domando perplesso come si possa percorrere così tanta strada alle isole Faroe). Le stazioni di servizio da queste parti fanno un po’ di tutto: vendono carburanti, fanno da supermercato, da bar, da piccolo ristorante, da farmacia, da edicola. Saluto la ragazza bionda al banco, le dico della prenotazione, lei controlla su un registro e mi consegna la chiave, niente da firmare? chiedo. Non vuoi neanche vedere la mia patente? It’s ok, mi risponde sorridendo. Resto senza parole. Va bene, non posso scappare con la macchina, va bene la macchina è vecchia e segnata dal tempo, ma neanche una firmetta? Certo, qui controlli non ce ne sono, in tre viaggi non ho mai visto una macchina della polizia, e le piccole caserme sembrano chiuse (quella di Tvoroyri, il paese principale di Suduroy, mi sembra proprio abbandonata).

Ve beh, salgo in macchina e cerco il mio B&B, ho l’indirizzo e chiedo, lo trovo senza difficoltà, la Signora Vigdis, la proprietaria mi accoglie sorridendo, mi fa vedere la camera, e mi lascia la chiave, io le do le 900 corone (120 euro) per le tre notti e mi sistemo. Il posto è incantevole, dalla mia camera vedo il fiordo di Trongisvagur. Esco a vedere il paese di Tvoroyri, con i suoi 1300 abitanti è il centro principale dell’isola. Mi sarei aspettato di vedere un centro, ma scopro che non esiste. Il paese si stende lungo il fiordo, e la cosa che assomiglia di più alla nostra idea di centro, è uno slargo della via, su si affaccia il municipio con annesso ufficio turistico, il distributore di benzina, il supermercato Bonus e l’ufficio postale. Praticamente gli svaghi si limitano al ristorante dell’Hotel Tvoroyri, l’unico del paese, e al pub Thomsen, l’unico pub dell’isola, affacciato sul porto, così per la cena mi accontento di fare un po’ di spesa.

Oggi è sabato, quindi esco per andare al pub e a vedere la vita sociale di qui. Sono le 9.00 e l’unica stanza del locale è già affollata di persone di ogni età: dall’adolescente fino all’anziano sono tutti seduti o al bancone con una birra davanti. Ordino e la notizia che c’è uno straniero, forse un turista, si diffonde, in poco tempo divento l’attrazione della serata. Mi chiedono di dove sono, dove dormo in paese, cosa ci faccio lì, qualcuno, saputo che sono un turista, mi chiede perché ho scelto le Isole Faroe, e in particolare l’isola di Suduroy. In breve mi ritrovo seduto al tavolo, e tutti vogliono pagarmi la birra. Parlo soprattutto con David, che insegna fisica alla scuola media del Paese. Discutiamo di politica, di tasse, di pensioni. Si lamenta che dovrà lavorare fino a 68 anni, e che continuano ad aumentargli l’età dell’abbandono del lavoro, e se la prende con il governo, mi suona familiare.

Giorno 6 – da Sandvik a capo Akraberg

Oggi, con la mia macchina, esplorerò per intero l‘isola di Suduroy da nord a sud, dal villaggio più settentrionale, Sandvik, a capo Akraberg, il punto più meridionale dell’isola, e quindi di tutte le Faroe. In tutto sono circa 50 chilometri, e ho tutto il tempo di fare le cose con calma. Parto dalla mia camera di Tvoroyri, in direzione nord, per raggiungere prima il villaggio di Hvalba, e poi quello di Sandvik. Devo percorrere i due tunnel più antichi delle isole Faroe, fino a non molti decenni fa i villaggi erano collegati tra loro solo da sentieri da percorrere a piedi, poi, con il tempo, sono stati tutti collegati alla rete stradale. Ma tra i villaggi ci sono alte montagne, e così si è scavato per creare tunnel artificiali, percorrerli in macchina è un’esperienza un po’ paurosa, sono scavati nella roccia, e non rivestiti come le nostre gallerie, sono completamente bui, molto lunghi, e, cosa più caratteristica, sono a corsia unica. Circa ogni 100 metri è presente una rientranza nella roccia, in questo caso a destra, viaggiando verso nord, e subito prima della rientranza è presente un cartello con la lettera M, significa che bisogna accostare nella rientranza, quando si incrocia un veicolo che arriva in senso opposto, farlo passare, e quindi ripartire, e così via fino alla fine del tunnel. È importantissimo conoscere questa regola, altrimenti si crea un problema grosso, i due veicoli si trovano di fronte, e la retromarcia, al buio e con gli spuntoni di roccia del tunnel è molto difficoltosa. Di conseguenza, quando si viaggia verso sud, si può procedere più tranquilli, avendo la precedenza.

Dopo questa difficile prova, raggiungo il villaggio di Hvalba, disposto lunga una bellissima spiaggia sabbiosa, che assomiglia molto alle nostre, ci si potrebbe persino fare il bagno, se non fosse che qui, pure ad agosto, fa freddo e tira sempre un vento gelido, e che l’Atlantico del nord non è certo caldo come il mare Mediterraneo. Per il resto il villaggio è piccolo e piuttosto anonimo, è presente il solito negozietto, che fa da ufficio postale, e da tutto il resto.

Riparto per Sandvik, altro tunnel pauroso, e sono arrivato, pure questo villaggio non offre molto, ma vale la pena di arrivare fino a quassù per godere di una vista meravigliosa dell’isola di Litla Dimun, completamente disabitata e verdissima, che si erge solitaria ed orgogliosa.

Comincia il viaggio verso il sud dell’isola e incontro villaggi sonnacchiosi e tutto sommato, anonimi: Oravik, Hov (che però ha una chiesa tradizionale, con il tetto ricoperto di erba, davvero molto bella), Vàgar. Vàgar è il secondo centro più importante dell’isola di Suduroy, con i suoi 1000 abitanti, ma non offre poi molto: un unico albergo (l’hotel Bakkin, situato sulla via principale), una stazione di rifornimento/ minimarket e niente altro. Per curiosità cronometro il tempo che impiego ad attraversarlo, in macchina, dal principio alla fine, meno di quattro minuti, certo non è una metropoli.

Lasciato anche Vágar arrivo a Sumba, paese più a sud dell’isola. Mi basta attraversarlo in macchina per capire che non ho motivi per fermarmi qui, e così raggiungo capo Akraberg, situato due km più a sud. È presente solo il faro, è da qui si gode una vista meravigliosa, c’è un vento forte e gelido, ma quando lo sguardo supera il faro bianco ci si dimentica di tutto, da qui in poi è solo oceano per tantissimi chilometri. Si ha veramente il senso di infinito, e contemporaneamente, la gradevole (per me), sensazione di essere ai confini del mondo, lontano da tutto e da tutti. Non so quanto tempo resto qui, in completa solitudine, forse un’ora, forse di più. Quando me ne vado ho la certezza di poter tornare qui, con il pensiero e con il ricordo, ogni volta che ne avrò bisogno.

Posso tornare alla base, a Tvoroyri, passando però per la vecchia strada di montagna, che collega Sumba a Vàgur, l’unica disponibile tra i due paesi, prima che costruissero il tunnel. Oramai di qui non passa più nessuno, anche se un motivo per percorrerla è rimasto, soprattutto per i viaggiatori e i turisti. Permette infatti di raggiungere un punto chiamato Beinisvørð: si tratta delle scogliere più alte di Suduroy, le seconde più alte delle isole Faroe, e presentano uno strapiombo sul mare di oltre 450 metri. I cartelli avvisano che è pericoloso avvicinarsi al margine, in quanto mancano le protezioni, e il vento è sempre forte, anche da qui il panorama è davvero impagabile, ci si sente sul tetto del mondo, ci si sente liberi. Posso davvero tornare in camera, so già che per la serata c’è ad attendermi il pub Thomsen, e qualche nuovo amico con cui potrò condividere le emozioni di una giornata speciale.

Giorno 7 – Famjin

Mi sveglio volentieri pensando alla colazione che la signora Vigdis mi ha preparato: affettati e uova, te e caffe, yougurt e cereali… non faccio complimenti e ripulisco tutto. Mi sono tenuto da parte, per oggi, il paese di Famjin, l’unico dell’isola di Suduroy ad essere posto sulla costa orientale. Il paese di Famjin è famoso perché ospita all’interno della sua chiesa la prima bandiera faroese, risalente al 1919, ed ideata da uno studente del posto. Il paese, sai che novità, è minuscolo, e la chiesa sempre chiusa, per cui bisogna avere l’accortezza di passare dall’ufficio turistico e farsi dare il numero della Sig.ra Nielsen, che abita a pochi passi dalla chiesa e farsi aprire. Veramente mi sarei aspettato che fosse la Signora dell’ufficio a telefonare, ma mi spiega, è meglio che lo faccia io quando sono sul posto, così non vengo aspettato inutilmente all’aperto. Ascolto un po’ divertito le minuziose indicazioni stradali per raggiungere il paesino: dopo la galleria vedrai una strada a destra, prendila, io vorrei rispondere che la strada di cui parla è l’unica di tutta l’isola a girare a destra, e che perdersi, pure impegnandosi molto, è davvero impossibile. Si prende la strada per Vágur e, all’altezza di Oravik, si svolta a destra, la strada è lunga 9 km ed è molto panoramica, come sempre, del resto, da queste parti, si scavalcano torrenti, si è circondati da piccole cascate, si è avvolti da un verde soffice e delicato presente ovunque.

Effettivamente il paese di Famjin è incantevole, sembra dipinto e tirato fuori da un acquerello tanto è grazioso. Le casette colorate, le cascate, la spiaggia sabbiosa, ma è vero, mi chiedo? Chiamo il numero datomi dall’ufficio turistico e chi mi risponde non parla inglese, quindi mette giù. Rimango un po’ male e salgo in macchina, pensando il da farsi. Ma dopo qualche minuto arriva una vecchina che mi fa segno di seguirla, mi apre la porta della chiesa e io posso fotografare la famosa bandiera. Dico takk fyri alla signora, che mi sorride e risponde qualcosa di incomprensibile, spero fosse qualcosa tipo prego.

Sono le 11.00 e in tre giorni ho esplorato l’isola da cima a fondo, in effetti bastano due giorni e io non so bene cosa fare, quindi torno in camera, a scrivere questo diario, e nel pomeriggio torno al pub Thomsen a bere birra Fòroja e a guardare le olimpiadi alla tv. Questa sera sono solo, nessuna delle persone che ho conosciuto nei giorni scorsi si è fatta vedere, e del resto siamo in due nel locale, io e un tale che sembra troppo impegnato a bere una birra dopo l’altra per avere voglia di fare conversazione.

Giorno 7 – rientro a Tòrshavn

Ultima ottima colazione qui a Suduroy; saluto la Sig.ra Vigdis, la ringrazio per l’ospitalitá, e le dico che spero di tornare un giorno. Intanto aspetto che apra la banca, alle 9.30, per cambiare altri 200 euro. Entro e nel locale è presente un unico impiegato, che mi chiede, anche lui, se voglio corone danesi o faroesi, ricordandomi che è possibile spendere le corone danesi alle isole Faroe, ma non le corone faroesi in Danimarca. Questa volto prendo corone danesi, ormai vedo, con un po’ di tristezza, la fine del mio viaggio vicina. Vado a fare il pieno alla macchina e prendo una batosta che non mi aspettavo, sono quasi 600 corone, circa 80 euro! Riporto l’auto alla stazione di servizio Magn di Trongisvagur, e chiedo alla ragazza bionda dov’è la fermata dell’autobus per il porto del traghetto e mi risponde che non lo sa, ma abiti qui, le chiedo, e mi risponde di si. Credo che mi stia prendendo in giro, anzi ne sono sicuro. Io son qui da tre giorni e conosco ogni strada, lei abita qui e non sa dirmi dove prendere l’autobus? Mi rassegno a farmela a piedi, non che sia lontanissimo, ma tre chilometri, con lo zaino e la borsa a tracolla me li sarei risparmiati. Puntuale alle 15.00 arriva il traghetto da Tòrshavn, che riparte alle 15.30, la nave Smiryl è grande e comoda e due ore passano in fretta. Una piccola nota tecnica: il biglietto del traghetto a/r costa 90 Dkk (12 euro) e il biglietto si fa solo al ritorno, presso il minimarket che c’è a bordo della nave. Guardo la cassiera e mi stupisco, è la prima faroese con i capelli scurissimi che vedo, gli occhi no, sono chiarissimi, ma immagino che da queste parti sia considerata una gran bellezza, una vera rarità. Quando rivedo la cittadina dalla finestra della nave mi sembra quasi di non riconoscerla, mi sembra molto più grande, molto più caotica, molto più trafficata, con i suoi semafori e i suoi autobus rossi.

Dopo tre giorni passati a Suduroy, sembra anche a me di sbarcare a Manhattan, e quasi mi aspetto di trovare la Statua della libertà a salutarmi. Mi torna alla mente la conversazione al pub Thomsen di Tvoroyri, c’era un faroese di Tòrshavn seduto al tavolo e gli dicevano (parlavano tutti in inglese, anche tra loro, affinché io capissi). Ma tu sei un cittadino, non puoi capire la vita di qua, io veramente pensavano scherzassero o fossero molto ironici sulla condizione delle isole Faroe, e invece mi rendo conto, solo ora, che erano serissimi. Davvero Tòrshavn, con i suoi 20000 abitanti, i suoi quattro alberghi, i suoi (pochi) bar e ristoranti, è per loro una grande città.

Le ultime due notti del mio viaggio le passerò all’Hotel Streym, il Tòrshavn era al completo e mi è dispiaciuto. lo Streym è un ottimo albergo, ma è più caro (circa 120 euro a notte), e più periferico del Tòrshavn, ha però il grande vantaggio di offrire ai propri ospiti macchine a noleggio a un prezzo abbordabile (circa 45 euro al giorno), cosa di cui approfitterò domani. Avevo prenotato la macchina per due giorni, ma arrivando alle sei ho provato a farmi lo sconto, a dire che mi serviva solo per domani,  niente da fare, la macchina, mi dicono, è rimasta ferma, per me, ma se l’albergo è mezzo vuoto? Economicamente parlando queste vacanze sono un bagno di sangue. Almeno la macchina è piccolina ma seminuova, beh non è che ci debba fare tanta strada è una Kia Picanto. Va beh proverò a consolarmi andando a cena alla brasserie Hvonn con le sue fantastiche fettuccine alla panna, il locale è pieno di gente e mi sembra rumoroso, già rimpiango i piccolissimi villaggi che ho visto in questi giorni.

Giorno 8 – Kirkijbour e isola di Sandoy

Oggi termino questo intenso tour delle Isole Faroe. Colazione alle 7.00 molto meno ricca di quella dell’hotel Tòrshavn, ad esempio mancano il porridge e il bacon e parto per Kirkijbour.

C’è una nebbia fittissima, pioviggina e fa freddo, in realtà non avevo in programma questa visita, ma siccome il complesso si trova vicino all’imbarco traghetti di Gamlaraett, e il mio battello parte solo alle 9.45 decido di approfittarne. In realtà questo è il primo luogo che tutti turisti che arrivano quassù visitano, si tratta del luogo più sacro per i faroesi, ed è da sempre il centro della loro vita spirituale. In pratica si tratta della Chiesa di Sant’Olav, e della cattedrale di Magnus, risalente al XIII secolo, iniziata e mai terminata, in quanto, racconta la storia, la gente del posto si stancò di finanziarne la costruzione con le proprie tasse, si ribello al vescovo e lo uccise. È senz’altro un luogo da vedere, anche perché è a due passi da Tòrshavn e si raggiunge facilmente. Inoltre, al di là della chiesa e della cattedrale da l’idea fedele di un tipico villaggio delle Faroe, con le casette dai tetti ricoperti in erba, per cui, se avete poco tempo e potete fare un’escursione sola, fate questa.

È ora di avvicinarsi all’imbarco; so già che l’isola di Sandoy non potrà aggiungere nulla alle bellezze naturali che ho visto in questi giorni, ma, anche per darmi un senso di completezza nell’esplorazione delle isole, ho pianificato la sua visita. Nel programma originale avrei incluso anche l’isola di Skúvoy, distante 35 minuti di traghetto da Sandur, il centro principale di Sandoy, ma non so se avrò il tempo e la voglia di andarci. Mi pare che di isole e isolette in questi giorni ne ho viste abbastanza. Il piccolo traghetto è quasi pieno, il viaggio dura 30 minuti, e grazie anche alla presenza del bar a bordo siamo subito arrivati. A Sandoy vivono circa 1500 persone, divise, come dice qualsiasi guida turistica, in sette villaggi, ma bisogna sapere che alle Faroe due o tre case vicine vengono chiamate villaggi, in realtà i paesi veri e propri dell’isola sono solo due, Skopun e Sandur. Il traghetto attracca per l’appunto a Skopun, paese alquanto anonimo. Sapendo che su Sandoy non esistono ne alberghi ne ristoranti, faccio un po’ di spesa al minimarket locale, della catena Samkeip, l’ unica alternativa alla spesa sono le due stazioni di servizio presenti a Sandur, nelle quali si possono ordinare i soliti hot dog. Se Skopun è un paese anonimo, Sandur non è meglio… e già mi preparo a scrivere che Sandoy può essere tranquillamente evitata senza rimorsi, anche dopo aver visto Djupidalur, paese composto da due fattorie, e Skarvanes poche di più. Prendo la deviazione per Skalavik, e a parte la bellissima chiesa tradizionale, non si notano progressi per Sandoy; mi rimane solo la deviazione per Husavìk, e Dalur, e poi posso tornare ad aspettare il traghetto.

Arrivo a Skalavik, e non so più se sogno o sono sveglio, sta di fatto che sono dentro a un quadro di Renoir, o di qualche altro maestro impressionista. Di nuovo mi chiedo se il paesino che sto vedendo è vero, circondato da montagne verdissime con le pecore che pascolano, con le piccole cascate a fare da sfondo, con davanti una spiaggia sabbiosa a mezzaluna e i prati cosparsi di fiorellini gialli. Se un pittore, scusate se mi ripeto, volesse dipingere il paese delle fiabe, potrebbe solo copiare Husavik, più bello non potrebbe farlo. Parcheggio e passeggio, la gente, evidentemente, è stata dipinta dallo stesso pittore del quadro. Tutti sorridono, tutti mi salutano, del resto chi potrebbe non essere felice in un luogo del genere? Provo la stessa, fortissima, emozione che ho provato ad Hattarvik, e proprio Hattarvik, e Husavik sono i due paesi più belle delle Isole Faroe, secondo la mia opinione.

A malincuore devo tornare al traghetto, cerco di imprimere nella mia mente e nel mio cuore la pace e la serenità che questo luogo mi trasmette, ne avrò bisogno. Vedo di fronte a me l’isola di Skùvoy, ma decido di non andarci, sono ormai stanco, e ho troppa bellezza negli occhi e nel cuore, e come ultimo fotogramma di questa giornata, e forse dell’intera vacanza, decido di tenermi Husavik. Anche questa volta il traghetto si paga soltanto al ritorno (160 Dkk, circa 20 euro per macchina e guidatore, ogni passeggero paga 45 Dkk, 6 euro, in più). Se venite a Sandoy, lasciate tutto il resto, e passate più tempo che potete a Husavik.

Torno a Tòrshavn, in camera, ho ancora tutto il pomeriggio libero, ma non ho voglia di andare in giro, sto a guardare le Olimpiadi in Tv, esco solo per andare a cenare con un amico di qui al cafè Kaspar, un piatto tipico faroese, in pratica diversi tipi di pesce, tra cui la famosa pilot whale, accompagnati da pane nero e burro salato, un degno arrivederci alla cucina faroese.

Giorno 9 – rientro in Italia

Fine delle trasmissioni; alle 10 ho l’autobus per l’aeroporto, alle 15.10 l’aereo per Billund, Danimarca. In un altro momento sarei stato felice di avere a disposizione una serata in uno stato straniero. Questa volta invece passo dal bar ristorante del terminal a comprare due panini e una coca cola; uscirò dalla mia camera dello Zleep Hotel solo per tornare in aeroporto, dove un volo Ryanair delle 14.15 mi riporterà in una calda e affollata Italia, della quale non ho sentito per nulla la mancanza. Piego il pile e la giacca a vento che ho usato in questi giorni, per almeno due mesi non ne avrò bisogno, a casa.

È stata una grande vacanza, tutto ha girato alla perfezione, ho preso aerei, elicotteri, bus grandi e piccoli, piccoli battelli e grandi traghetti, ho guidato due macchine diverse. Ho visto queste isole dal cielo, dal mare, dalla terra. Ripenso alla bambina di Hattarvik, a David di Tvoroyri, alla magia di Husavik, ed è già ora di far posto alla malinconia. Mi consolo pensando che potrò tornare, con il pensiero, a queste isole tutte le volte che vorrò. Fisicamente ci tornerò un giorno? Non lo so, è una domanda alla quale è troppo difficile rispondere in questo momento. Comunque oltre all’inevitabile tristezza, c’è la gioia per avere visto un posto magico, bellissimo e mi dico che sono stato davvero fortunato ad averne la possibilità. Ho cominciato questo resoconto citando Fabrizio de André, non posso che terminare citandolo di nuovo: “è stato meglio lasciarci, che non esserci mai incontrati”.



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