IL MEDOC DELLE MERAVIGLIE

Un'avventura sorprendente a contatto con lo spettacolo impressionante delle immense dune d'Aquitania, e l'elegante lusso di una delle cantine più prestigiose
Scritto da: Abha
il medoc delle meraviglie
Partenza il: 05/06/2021
Ritorno il: 19/06/2021
Spesa: Fino a €250 €
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Non ero mai stata in Médoc e l’occasione giunge andando a trovare un amico innamorato delle sue foreste e del suo oceano. Ho vissuto così un’avventura sorprendente e bifronte tra vita nei boschi, a contatto con lo spettacolo impressionante delle immense dune d’Aquitania, e l’elegante lusso di una delle cantine più prestigiose della regione: Château Lagrange. Godendo della raffinata proposta franco-nipponica servita nell’esclusiva Orangerie dallo chef Taichi Sato, che cucina per non più di otto persone al giorno.

PROLOGO

Finalmente libertà, finalmente viaggio di nuovo: all’estero. Dopo alcuni intensi anni spesi a camminare l’Italia, con una media di 4/5 mesi dedicati a raccontare il Belpaese a piedi (media che non ho nessuna intenzione di abbassare), qualche settimana fa – devo confessare – mi ha assalito un irresistibile desiderio di andare altrove, di sentire il profumo di una lingua straniera, di provare nuovamente l’ebbrezza del “take off” dalla pista di decollo di un qualsivoglia aeroporto. E così è stato. Grazie a un amico viaggiatore quanto me e persino più pazzo di me, che ha scelto di lasciare un posto da ingegnere – e con esso tutto della sua identità precedente – per abbracciare il viaggio come stile di vita, attraversando luoghi ed esperienze in bicicletta, piantando una tenda lungo un destino che Neo scrive giorno per giorno. Il mio amico si chiama proprio così, almeno da quando è diventato un wanderer, e si trova attualmente in Médoc, a lavorare nelle vigne. Malgrado la frugalità delle sue esigenze quotidiane, di tanto in tanto le riserve si esauriscono e va a raggranellare qualche soldo prestando servizio a contatto con la terra, nel paradiso dei vini di Francia: per l’esattezza presso la sontuosa tenuta di Chateau Lagrange, in località Saint Julien.

Con Neo ci sentiamo intensamente nelle scorse settimane, mi parla dello Chateau e dei suoi weekend nei boschi, riparato dalle dune più spettacolari d’Europa oltre alle quali sferza vigoroso l’Oceano Atlantico, e così mi decido: lo vado a trovare. Mi fa capire che si tratta di un posto davvero speciale e poco conosciuto in Italia, malgrado sia molto popolare a livello internazionale, soprattutto per un evento fuori dal comune: ogni settembre, dal 1985, è teatro della Marathon du Médoc, che attraversa le vigne più prestigiose di questa penisola e di altre aree del dipartimento della Gironda. Una gara accompagnata dalla musica di una cinquantina di orchestre, intervallata da 23 degustazioni lungo i 42 e rotti canonici chilometri, con assaggio di ostriche al trentottesimo e di bistecca al trentanovesimo. Una follia supportata da circa 3000 volontari, per accogliere ogni anno 8500 partecipanti provenienti da una cinquantina di Paesi diversi. Che stanno già scaldando scarpette e papille gustative per il 2022, visto che quest’anno la Marathon è sospesa causa Covid.

E così non vedo l’ora di scoprire questo angolo di Francia, nell’estrema propaggine ovest dell’Aquitania, e le sue contrastanti meraviglie: il lato selvaggio della sua natura in cui – letteralmente – penetrerò, insinuandomi con Neo fin nel cuore di boschi inaccessibili, a contatto con il tutto e con il niente. Ma anche il lusso elegante delle sue vigne, soffermandomi proprio presso Chateau Lagrange, per una degustazione esclusiva dove assaggerò anche la cucina nippo-giapponese dello chef in residenza Taichi Sato. D’altronde l’ho sempre detto, e qui lo confermo: il bello di essere totalmente aderente alla dimensione del viaggio come metafora perennemente cangiante di meraviglia significa saper apprezzare il cinque stelle e la tenda, con la stessa gioia, curiosità ed emozione. E così sia.

LA VITA A SAINT LAURENT, IL LAGO DI HOURTIN-CARCANS, UN PRIMO AFFACCIO SUGLI CHATEAU

Parto da Ciampino sabato 5 giugno, felice come una pupa, mai fila per l’imbarco è stata così piacevole. Malgrado i tamponi molecolari, i fogli da riempire, le cautele da includere nel bagaglio a mano finalmente ci sono, e dopo due ore mi ritrovo in macchina con Neo, fuori dall’aeroporto di Bordeaux. L’ebbrezza catturata dal mio sguardo nel misurare le forme straniere del paesaggio circostante sarà il propellente per le esplorazioni dei prossimi giorni, ma intanto mi lascio cullare dal colore verde di una natura generosa, fotogrammi di boschi che si faranno più definiti in un lungo weekend, prossimo a venire. In quaranta minuti di strada siamo a Saint Laurent, delizioso paesino di origini medioevali, come testimoniato da monumenti molto ben conservati, situato alla base dei colli che ospitano decine (scoprirò poi, centinaia) di château. Tra essi, la mia meta finale: il Lagrange.

Neo mi ha prenotato un alloggio – Gîtes, come si dice da queste parti – delizioso, un appartamento a due piani frutto della ristrutturazione di questo antico borgo, per secoli adibito a mulino diffuso, capace di sfamare gli abitanti del circondario. Ad accogliermi ci sono Marie ed Hervé, e con loro è amicizia a prima vista. Lei è una naturopata dolcissima e molto preparata, lui un pompiere che coltiva la passione per la bicicletta, ma fa anche il trainer per corridori più e meno esperti: insomma, da loro il benessere è certamente assicurato! Grazie alla nostra immediata sintonia, con Marie ci organizziamo per condividere delle piacevoli attività nelle ore in cui Neo è alla vigna. E così, dopo aver preso familiarizzato con gli spazi della mia nuova casetta, con i negozi del vicinato tra cui il fornitissimo Super U, e soprattutto il delizioso Petit Local che offre un’eccellente varietà di prodotti bio e dai nomi impronunciabili, proprio come piacciono a me, con Marie ci regaliamo una lunga camminata lungo il vicino Lago di Hourtin-Carcans. E qui già mi sorprende un nuovo spunto di unicità della piccola e remota penisola del Médoc: circondate da una meravigliosa riserva naturale, ci troviamo di fronte al più esteso lago di Francia. Non grandissimo, con i suoi 56 chilometri quadrati, 18 di lunghezza e 6 di larghezza, ma l’Hourtin-Carcans – caspita, e chi lo sapeva? – è pur sempre il maggiore di questa magnifica nazione. Mentre percorriamo di buon passo i 17 chilometri della nostra passeggiata lungo riva, d’un tratto un cartello segnaletico cattura la mia attenzione: Santiago è qui! Scopro così che la via Turonensis, uno dei bracci francesi che porta all’epilogo del più celebre cammino del mondo, e da cui la mia inesauribile passione per i cammini è nata, passa esattamente dove stiamo appoggiando i nostri piedi…

Tra passeggiate sul lago o nei boschi irrorati di corsi d’acqua che circondano Saint Laurent, i giorni scorrono leggeri e persino veloci: decido quindi, senza sensi di colpa da viaggiatrice sprecona, di vivere questa vacanza in modo più rilassante di come sono solita fare. In fondo avevo proprio bisogno di fermarmi un po’ e per questo mi prenoto alcune rigeneranti sedute presso lo studio di Marie, situato proprio al piano terra del mio alloggio. Sperimento di tutto: riflessologia, il massaggio Tuina, soprattutto provo per la prima volta il meraviglioso Chi Nei Tsang, un trattamento taoista capace di donarmi un benessere rigenerante, molto speciale.
Negli orari in cui Neo ed Hervé tornano dal lavoro, organizziamo delle uscite in bicicletta. Il bello di essere ospiti da Marie Cardoso ed Hervé Arrouyas è anche di poter contare sulla loro grande disponibilità, le bici sono sempre pronte per noi clienti. Il pomeriggio è fresco, la temperatura è ideale per una sgambata d’un paio di ore, giusto per farmi una prima idea panoramica dei numerosissimi château concentrati in un territorio tanto piccolo. I numeri sono davvero impressionanti: 8000 aziende, tra minuscole e sontuose, che hanno dato vita alla celebre tradizione dei vini bordolesi. Tra tutte, 61 sono considerate di eccellenza assoluta sin dal 1855 quando, per volere di Napoleone, fu stilato un sistema di classificazione per i migliori vini di Bordeaux, che sarebbero stato poi esposti al pubblico mondiale durante l’Esposizione universale di Parigi. I vini furono classificati in ordine di importanza dal primo al quinto cru, e tutti i vini rossi sulla lista provengono proprio dal Médoc. Ed ecco dunque che, fatto unico al mondo, le aziende vinicole da queste parti hanno mantenuto l’aspetto grandioso dei castelli, proseguendo quest’antica tradizione in cui il fronte produttivo-commerciale è associato allo charme di un’eleganza di origine nobiliare, risalente ad antiche casate e alla magnificenza architettonica di preziosi poderi.

CHATEAU LAGRANGE: L’EMOZIONE IN UN BICCHIERE

Finalmente è arrivato il momento! Sono pronta a visitare la più estesa singola vigna tra le classificate in Médoc, Château Lagrange: 157 ettari di cui 118 consacrati alla produzione del vino, con un’alta percentuale di Cabernet Sauvignon, seguito da Merlot e da una piccola porzione di Petit Verdot. Una parte minore del terreno è dedicato poi ai vitigni bianchi (Sauvignon bianco, Sémillon e Muscadelle), mentre i restanti 39 ettari sono impiegati a tutela dell’ambiente al punto da aver realizzato un inventario faunistico-floristico inserito in un ampio progetto quinquennale, per favorire lo sviluppo di specie animali e vegetali all’interno della proprietà. A bordo lago, mentre arriva a salutarmi un maestoso cigno, catturo con uno sguardo e un profondo respiro la bellezza di questo progetto ambientalista così come mi appare intorno, una visione voluta fortemente dalla famiglia Suntori, i giapponesi che dal 1983 detengono la proprietà di questa azienda e che vedono in Keizo Saji il loro presidente. Ma il nome Lagrange ha in realtà origini molto più antiche, la proprietà terriera pare risalga al 1631, come testimoniato dalle grandi botti contenenti vino datato 1635 che mi porta a visitare, con mio sommo stupore, l’attuale direttore generale, Matthieu Bordes. Il mio giro a Château Lagrange è dunque iniziato, insieme a Justine Memmi, responsabile della comunicazione, Bordes appunto, ma anche con una carissima amica, grande fisarmonicista e appassionata enologa, Marie-Andrée Joerger, che appena ha saputo della mia visita al Lagrange ha preso un aereo dalla sua Alsazia per essere qui con me oggi! A passo lento, Matthieu ci racconta l’affascinante storia di questo luogo, che porta tutti i segni di un tempo nobile, rivitalizzato dalla visione moderna dei Suntori, al punto che nella cura dei giardini è facile ravvisare una chiara mano giapponese. Il lago e il disegno del verde hanno molto di zen non dimenticando, al tempo stesso, la grazia dell’eleganza francese. Bordes tiene a farci capire la rilevanza di questa eredità e ci spiega infatti che, già negli anni Venti del Ottocento, la viticultura Lagrange comincia ad avere un ruolo molto rilevante in Francia, al punto da essere posizionato 3ème Grand Cru Classé nella classificazione ufficiale del 1855. Proprio nel 1820, a conferma del rilievo crescente assunto da questo Château in quel periodo, viene convocato il celebre architetto parigino, di origini italiane, Louis Tullius Joachim Visconti, famoso per esser stato figlio di Ennio Quirino Visconti e aver progettato la tomba di Napoleone a Les Invalides: i segni dell’opera di Visconti sono qui visibili nella bellissima torre, in stile toscano, divenuta il simbolo stesso di Château Lagrange.
Un altro aspetto di grande fascino è dato dall’equilibrio tra forza produttiva e standard qualitativo. Qui a Lagrange ci tengono a produrre non più di 600.000 bottiglie l’anno, per non forzare la qualità a favore della quantità. Stesso ragionamento riguarda la possibilità di venire in visita allo Château: i visitatori sono ammessi, ma a piccole dosi. Vengono ricevute tra le 7000 e le 8000 persone l’anno, professionisti del vino o semplici appassionati, per un tour degustato in tutta comodità e in totale privacy, alloggiando nelle deliziose stanze predisposte per gli ospiti (in una di queste dormirà Marie-Andrée stanotte). I visitatori avranno inoltre la possibilità di assaggiare la cugina franco-nipponica dello chef Taichi Sato (già secondo chef di un due stelle Michelin a Kyoto) che realizza una cucina di straordinario fascino, emblematica di questo incontro culturale, nell’esclusiva Orangerie situata all’interno del corpo centrale dello Château, dove un massimo di 8 commensali potrà sedere di fronte al teppanyaki su cui Sato cucina pietanze rigorosamente espresse. Viviamo così il momento culminante della nostra esperienza: dopo essere state introdotte nelle sontuose sale dello Château, ecco Taichi ad accoglierci con il suo menu di vini e di piatti leggeri e gustosi: dall’anguilla della Gironda grigliata in salsa giapponese, sino al cannéle bordolese, che ci attende immancabile come dessert. Ecco, l’esperienzanella più grande vigna del Médoc si conclude qui, ma basta gettare l’occhio oltre l’orizzonte per farsi un’idea che a Saint Julien si potrebbero spendere settimane a visitare i castelli del vino.

NATURA SELVAGGIA

Con Marie-Andrée ci regaliamo poi un pomeriggio a passeggio nei villaggi che costeggiano l’estuario della Gironda, che si apre imponente davanti ai nostri occhi, in attesa di una nuova avventura che non possiamo ancora immaginare quanto ci avrebbe sorprese l’indomani. Il giorno successivo, infatti, ci dirigiamo dritte verso la Dune du Pilat, premessa ideale al contatto con la natura potente di questi luoghi che avrei condiviso nei miei giorni finali in Médoc insieme a Neo. Decidiamo di partire ai primi chiarori dell’alba, la temperatura è già molto alta e questa si rivela la scelta giusta. Arriviamo ai piedi della duna e, cominciandola a scalare, iniziamo a farci una vaga idea dello spettacolo che, dalla sua cima, ci avrebbe tolto il fiato di bocca: eccola la duna più alta d’Europa con i suoi 102 metri messi dietro le spalle, ed eccolo lì in fondo il bacino di Arcachon, fermamente dominato da quassù. Seicento imponenti metri di larghezza a separare la fitta foresta dietro di noi – al punto da ricordami la vista tropicale su Tikal, in Guatemala – dall’Oceano Atlantico, che giace placido di fronte. Una gita che da sola merita il viaggio in Francia, uno spettacolo della natura impensabile, di origine tuttavia relativamente recente: nel 1855, anno della celebre classificazione per i migliori vini bordolesi, misurava solo 35 metri di altezza e la sua origine è probabilmente legata alla distruzione di un enorme banco di sabbia che fino al XVIII secolo si estendeva davanti alla costa attuale.

Ammutolite e al tempo stesso eccitate da questo spettacolo, che vale la pena percorrere lungo tutta la sua estensione per rimirarlo da diversi punti di osservazione, ci dirigiamo verso l’ultima parte della nostra giornata insieme. Ci vien voglia di visitare qualche altro villaggio costiero, questa volta affacciato sull’Atlantico, ma invece di raggiungere la più nota Archachon ci soffermiamo nel delizioso porto che dà il nome al villaggio di pescatori di Port de Larros.
Una volta a Saint Laurent e prima di ripartire per Strasburgo, anche Marie-Andrée si concede un rilassante trattamento di Chi Nei Tsang, coccolata dalle amorevoli mani di Marie. Nel salutarci, so che ci risentiremo nel giro appena di qualche ora, per lavorare insieme alle pillole video che abbiamo già proposto a tutti gli amici di Turisti per Caso, per farvi innamorare ancor di più di questi luoghi sorprendenti!

C’è un ultimo capitolo di questo viaggio di scoperta da raccontare, un capitolo più privato, nascosto, su cui è difficile persino per me trovare parole adeguate: i miei giorni lontano da tutto e da tutti nel bosco con Neo. È un capitolo che più di un racconto rappresenta un invito, a sperimentare anche voi l’abbraccio estremo della natura, la fiducia totale nella sua benevolenza. Certo, prima di imbarcarvi in un’esperienza simile, il consiglio è di affidarvi a una persona esperta com’è stato nel mio caso. Neo vive abitualmente nei boschi, sa come non perdersi anche quando il cellulare non prende, sa orientarsi grazie ai movimenti del sole, sa cosa portare in bicicletta, come scegliere il luogo più adatto a montare una tenda per assicurarsi una notte decente. Insomma…non avventuratevi mai da soli. Io stessa, che da anni vivo tante esperienze a contatto con la natura selvaggia il più delle volte da sola, non mi ero mai addentrata in un bosco senza segnaletica, e perdersi è facile anche se ci si trova a pochi minuti a piedi dalla civiltà. Così, con fiducia totale riposta nella mia guida, salgo sulla bici di Marie e ci dirigiamo verso Hourtin-Plage. L’oceano ci aspetta dopo una quarantina di piacevoli chilometri e una volta arrivati ci dedichiamo immediatamente a preparare la tenda e tutto quanto sarebbe complicato predisporre al buio. Poi prendiamo confidenza con l’ambiente circostante, attraversiamo un altro versante del bosco e sbuchiamo, all’ora del tramonto, sull’oceano: non sarà la Dune du Pilat ma, ladies & gentleman, potete credermi: lo spettacolo da quassù è commovente!
Fatta una doccia veloce al vicino stabilimento, torniamo nel cuore verde di un bosco molto particolare, dove gli alberi hanno assunto assurde posizioni ricurve: la sensazione è di trovarci in una sorta di “foresta storta” come a Gryfino, in Polonia, è che qui, pur stando a una breve distanza dalle viuzze piene di locali di Hourtin-Plage, nessuno si sia preso del tempo per venire ad ammirarli, questi alberi.
Mentre sono lì a contemplarli, mi assale uno strano senso di melanconia: non so definirlo bene, è un misto di ammirazione per Neo, per il coraggio di aver lasciato tutto valso l’abbraccio a tutto questo, e il desiderio di avere anche io questo coraggio. Un coraggio che mi costerebbe la rinuncia a una parte di me che pure amo, che dovrei salutare per girarmi e guardare solo avanti, a piedi o in bicicletta. La rinuncia a quella parte di me che ogni tanto torna a casa, sarebbe davvero possibile? Nella tenda, crollo in un sonno strano fatto di pensieri silenziosi, avvolta nella pace arresa del nostro accampamento minimale, l’armonia con la natura risuona nel canto invisibile della notte.

L’indomani mi sveglio prestissimo, probabilmente eccitata dal desiderio di vivere un’altra intensa giornata a contatto con questa dimensione radicale. Come mi sento bene qui! Cerco di non svegliare Neo, so quanto conti per lui un riposo rigenerante, dopo una settimana di sveglie prima dell’alba per i lavori nelle vigne. Decido di fargli una sorpresa e di andare a prendere una tazza di caffè al bar. Capisco però che sarà necessario segnare bene la strada e quindi, memore della lezione di Pollicino, lascio una meticolosa fila di pigne tenendo bene aperti gli occhi a ogni mio cambio di direzione. Di ritorno dal caffè, mi rendo conto che quei segnali apparentemente evidenti, visti da un’altra prospettiva tanto chiari non sono: perdersi è davvero un gioco da ragazzi e senza rete al cellulare il gioco diventa facilmente pericoloso. Farò un corso di orienting il prima possibile, anche se per stavolta mi è andata bene e il caffè arriva in tenda ancora tiepido.
La giornata è magnifica, il paesaggio dell’oceano così maestoso da ricordarmi le bianche spiagge di Zanzibar. Dalla nostra tenda, passati gli alberi curvi, Neo mi porta prima su, poi giù a precipizio per la duna: è rotolando come sulla neve osservo formarsi, dentro di me, un sentimento che risponde alla definizione di felicità! Prendiamo possesso di un rettangolo di spiaggia, intorno a noi non si vede nessuno: costruiamo un riparo con la sua amaca trascinando alcuni legni portati a secco dal mare. Sono tanti e variegati, capaci di composizioni sulla sabbia di astratta bellezza, quindi ci spogliamo integralmente nella certezza che non incontreremo sguardi nel raggio di centinaia di metri. L’acqua è molto fresca, ma questo bagno assomiglia a un rituale di purificazione, e non posso sottrarmi. Le onde mi spostano di qualche metro ma resto in riva a godermi il loro potente andirivieni, mentre noto con sorprendente tranquillità le meduse che, numerose, punteggiano il bagnasciuga: ce ne sono di enormi, trasparenti, e di piccole, probabilmente più aggressive, di colore violaceo. L’immensa spiaggia a nostra disposizione diventa teatro di sfide a racchettoni (Marie, perdonaci se te li abbiamo sfondati!), mentre il giorno dopo compriamo un pallone così, tra pallavolo e calcio-tennis, la sensazione è che non manchi nulla alla gioia dell’infanzia. Poi però arriva il pomeriggio di domenica, con il suo ritorno alla civiltà. Sulla via di casa pedalo molto più lentamente, sento il peso dei pensieri. Comprendo che questa innocente vacanza in Médoc ha mosso emozioni più grandi del previsto: che forma daranno al mio futuro, più delle mie mani, lo diranno i miei piedi.

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