Il Giappone in shinkansen
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Per avere qualche informazione pratica, la compagnia aerea Alitalia vola diretta su Tokyo e in bassa/media stagione applica delle promozioni davvero vantaggiose (anche questo in realtà è stato un fattore determinante per la mia scelta..). Alitalia a/r diretto sull’aeroporto di Narita, Tokyo, a € 500. I voli bisogna tenerli controllati spesso perchè il prezzo si alza e abbassa continuamente. Per gli italiani in viaggio di piacere in Giappone, se per un periodo che non supera i 90 giorni, il visto non è necessario.
Ora che ho prenotato i voli, devo capire come muovermi all’interno del paese, dove dormire, che città vedere. Leggo diversi blog, la guida turistica a cui sono affezionata, la Lonely Planet, e chiedo consiglio a qualche amico che è già stato nel paese degli imperatori dagli occhi a mandorla. Decido di pianificare l’intero viaggio, tappa per tappa, calcolando il più possibile i tempi di percorrenza e le attrazioni principali da vedere: ho due settimane a disposizione, ma calcolando che i primi due giorni sono spesi per il viaggio (il fuso orario Italia – Giappone è di 9 ore), e che un altro giorno lo devo calcolare per il rientro, e considerando che il Giappone è un vasto arcipelago costellato da meraviglie da visitare, il tempo non è molto. Informandomi un po’ su internet scopro che il miglior modo di viaggiare attraverso il Giappone è con i treni ad altissima velocità, comprando un Japan Railway Pass. Il pass va acquistato su internet al sito http://www.japan-rail-pass.it/ prima dell’arrivo in Giappone e può essere facilmente spedito a casa prima della partenza; la sua durata è variabile e solitamente va di settimana in settimana; il suo prezzo è piuttosto alto ma permette di viaggiare su treni comodissimi ad altissima velocità, raggiungendo località remote in poche ore: io ho speso € 336 per 14 giorni. I treni giapponesi sono chiamati Shinkansen o “bullet trains”, per la loro forma: sono estremamente puntuali e vanno veloci come dei “bullet”. Esistono tuttavia delle linee ferroviarie non coperte dal JR Pass per cui è bene stare attenti. A tal proposito, sempre informandomi via internet, ho scoperto un App gratuita scaricabile su Smartphone che dà indicazioni molto dettagliate su orari dei treni, binari, percorrenze: si chiama Hyperdia ed è uno strumento estremamente utile.
Siccome vagherò solitaria per le vie del Giappone, e siccome di senso dell’orientamento, con o senza cartine, ne ho davvero poco, inizio a informarmi sulla connessione internet portatile. Su internet trovo diverse opinioni: c’è chi afferma che il Wifi in Giappone non sia facilmente usufruibile, c’è chi dice che invece lo sia. Vista l’esperienza australiana in termini di Wifi, inizio a informarmi sul Pocket Wifi e mi sembra una buona idea visto che avrò sicuramente bisogno delle mappe. Mappe a parte, posso anche rimanere spesso in contatto con chi in Italia si preoccupa per me e controllare sempre gli orari dei treni. Prenoto il dispositivo con la compagnia Emobile; lo noleggio per un paio di settimane con ritiro e spedizione presso il terminal dell’aeroporto di Narita (per maggiori info si veda il sito http://japan-wireless.com/).
Il bagaglio che uso è quello che ha percorso anche le strade australiane: il mio backpack; lo riempio poco perchè questa volta mi toccherà portarmelo spesso sulle spalle visto i numerosi spostamenti previsti: due paia di jeans, molte magliette sia a maniche corte che a maniche lunghe, qualche felpa, una giacca più leggera e una più pesante, la biancheria, ma soprattutto macchina fotografica, guida turistica e passaporto. Ah sì, porto anche un costume, perchè non si sa mai che magari capito in uno di quegli Onsen di cui si sente tanto parlare.
Infine, l’itinerario: partenza da Milano Malpensa il giorno 10 Novembre e arrivo a Narita, Tokyo, il giorno 11. Trasferimento immediato a Kyoto e pernottamento per 4 notti. La tappa successiva sarà Nara, poi Hiroshima e Miyajima. Breve stop ad Hakone e ritorno a Tokyo dove rimarrò per 3 notti per poi ripartire alla volta di Milano il 22 Novembre. Le tappe le ho decise in base alle attrazioni da visitare, cercando di vedere i diversi volti del Giappone: la città moderna (Tokyo), la città antica e ricca di cultura e tradizione (Kyoto e Nara), la sua storia tangibile (Hiroshima), e la sua variegata natura (Miyajima e Hakone). Ho uno zaino sulle spalle, il passaporto, la macchina fotografica e un viaggio di una decina di giorni lungo le strade giapponesi; sto andando alla ricerca di luoghi, di volti, di storie. Il timore di questo viaggio mi rimane fino a quando mi metto lo zaino in spalla. Da quel momento in poi mi sento pervadere da un’energia e un entusiasmo unico. Che figata, è l’ora del Giappone! Prima di partire decido anche di cambiare una piccola parte dei miei risparmi in Yen, in quanto leggo che in molti alberghi e ostelli non accettano pagamenti con carte di credito o bancomat e, tanto per facilitare le cose, non abbondano neanche gli sportelli bancomat per poter prelevare in città. Faccio più o meno una stima di quanto possa venire a costarmi il tutto, tra pernottamenti e pasti e cambio circa €1000 che equivalgono più o meno 120.000 yen… Che poi, quando vedo tutti quegli Yen, mi sembra di essere Paperon de Paperoni.
Oltre ai soldi, una volta deciso l’itinerario, decido di prenotare i vari ostelli. All’inizio questa idea non mi piace molto. Dopo l’Australia on the road e una parte di viaggio negli States vissuto nello stesso modo, sono un po’ restia a pianificare anche tutti i pernottamenti, ma decido di farlo per due ragioni: la prima è che dopotutto non ho così tanto tempo a disposizione per visitare il paese, e la seconda è che siamo in autunno e in questa stagione, particolarmente bella per i colori di cui si tingono gli alberi, molti giapponesi viaggiano e visitano i luoghi di maggiore attrazione del paese. Insomma, dopo aver passsato settimane a controllare la disponibilità di posti letto negli ostelli, e aver notato la loro diminuzione giorno dopo giorno, decido di prenotare per non trovarmi a dover perdere in loco troppo tempo alla ricerca di un posto per dormire o capitare in bettole o hotel 5 stelle dove dover sborsare un patrimonio per un materasso.
L’autunno, così come la primavera, è una stagione bellissima per visitare il paese del Sol Levante: la prima per i colori di cui si tingono gli alberi e i manti erbosi, per il loro riflesso nei laghetti abitati da carpe, la seconda per la fioritura dei suoi ciliegi, conosciuti in ogni parte del mondo. Il Giappone ha 4 stagioni, proporio come l’Italia, con inverni freddi ed estati calde. Il suo paesaggio è davvero molto vario.. é un arcipelago costituito da circa 6.500 isole, le cui principali sono: Honshu, Hokkaido, Kyushu e Shikoku. Molte isole sono montagne, alcune di origine vulcanica (il vulcano Fuji è ancora in attività). E’ uno dei paesi più popolosi del mondo, con 128 milioni di abitanti con Tokyo, la sua capitale, che risulta essere l’area metropolitana più grande al mondo, con 30 milioni di residenti.
Altro aspetto importante da valutare prima di partire: la lingua. Molti giapponesi parlano giapponese e basta (se volete sentirvi più sicuri compratevi, come ho fatto io, il dizionario da viaggio). Qualche giapponese parla anche inglese. Spesso capita di farsi capire a gesti. Spesso capita di non riuscire a comunicare… Insomma, non è detto che i giapponesi parlino inglese, soprattutto nelle periferie, ma anche nelle metropoli. Una chicca che dò in anticipo: una delle ultime sere a Tokyo vado a mangiare con due ragazzi francesi in un ristorante dove ci dicono di avere il menù in inglese (sì perchè non tutti ce l’hanno!) in zona Rappongi. Ci fanno accomodare in una stanzetta molto carina con tavolo basso, senza sedute e con i separè che permettono di origliare i discorsi dagli altri ospiti. La cameriera che serve il nostro tavolo è molto carina e disponibile MA non parla inglese. Quando ordiniamo le portate gliele indichiamo direttamente dal menù in modo che possa capire. E qui siamo a Tokyo.. Provate a pensare in periferia.. Ma non spaventatevi. I giapponesi sono estremamente gentili e farebbero qualsiasi cosa pur di aiutarvi, anche parlare tramite un traduttore istantaneo sul telefonino (mi è capitato anche questo).. Voi però salutateli con un inchino, accompagnato da un entusiasta “Konnichua” se volete dargli il buongiorno o un sentito “Harigato gozaimas” se volete ringraziarli calorosamente. La mia conoscenza del giapponese finisce qua, ma devo dire che mi è bastata!
MILAN – KYOTO, A LONG JOURNEY
Parto da malpensa il 10 Novembre per arrivare all’aeroporto di Tokyo Narita il giorno seguente alle ore 10.50 locali, calcolando che il Giappone è 9 ore avanti a noi. Parto già nervosa perchè mi accorgo che sul volo Alitalia non ci sono prese per ricaricare il telefono e io ce l’ho già scarico. Non bene, ma il volo trascorre piuttosto sereno e, senza turbolenze indesiderate, arriva a destinazione che io neanche me ne accorgo perchè tra letture, film e qualcosa da mangiare, mi perdo via completamente. Durante il volo conosco un uomo sulla cinquantina che è accomodato a qualche sedile di distanza da me: sta andando a Tokyo per lavoro. Lavora per una compagnia italiana che esporta l’energia pulita a Tokyo: dopo la disgrazia dello ztunami e del disastro di Fukushima i giapponesi stanno investendo maggiormente in energie rinnovabili. Va a Tokyo due settimane al mese.. quindi in pratica vive tra Tokyo e l’Italia, dividendo il suo tempo tra questi due paesi. Mi spiega che i giapponesi sono un popolo strano, molto riservato, e che non perdono occasione per farlo sentire uno straniero, un gaijin. Scopriamo che saremo sullo stesso volo di ritorno, mi lascia il suo biglietto da visita e mi dice di contattarlo quando tornerò a Tokyo. Biglietto che perdo nel giro di qualche minuto, per poi ritrovarlo una volta rientrata in Italia. Mi chiede dove sono diretta e mi dà qualche indicazione per prendere lo shinkansen che mi porterà a Kyoto. Poi lo perdo tra la folla che si accinge trafelata a passare la dogana e così eccomi sola in Giappone. Ritiro il mio zaino, passo i controlli e vado a ritirare il dispositivo Wifi mobile che avevo ordinato giorni prima su internet. Riesco facilmente a trovare l’ufficio postale, dove in effetti mi consegnano il pacco desiderato e a me destinato. Lo apro giusto per controllare che non abbiano mandato un pupazzo di stoffa e poi mi dirigo verso la stazione dei treni. L’aeroporto di Narita dista almeno un’ora dal centro di Tokyo. Io sono provvista di Japan rail pass, ma per poterlo usare, bisogna convalidare l’abbonamento: esiste un ufficio preposto per questo tipo di pratiche, dove mi indicano anche i treni da prendere e i loro orari; infatti mi suggeriscono di evitare l’affollamento della stazione centrale di Tokyo e quindi di cambiare il treno per Kyoto alla stazione di Shibuya. Ed è così che faccio. Sul Narita express ho modo di ricaricare il telefono e mandare, usando il wifi del treno, qualche what’s up rassicurante ad amici e parenti. Già il Narita express è un gran treno.. con sedili mobili (si girano a seconda della direzione del treno) e una pulizia impeccabile, ma lo shinkansen è qualcosa fuori dal normale. Gli Shinkansen, o bullet train, viaggiano a una volocità supersonica, sono estremamente comodi e clinicamente puntuali e trasportano migliaia di lavoratori pendolari ogni giorno, che possono lavorare e vivere anche a 200 Km di distanza l’uno dall’altro. Proprio come in Italia eh?!?
Il mio viaggio fino a Kyoto dura 3 ore. Ora devo “solo” raggiungere l’ostello. L’ostello che ho prenotato si chiama Santiago Guesthouse Kyoto e si trova in una posizione strategica, tra la stazione e la parte più storica della città. Sapevo già di dover prendere il bus num 206 o 100, ma una volta a bordo, mi accorgo effettivamente che ho qualche difficoltà a capire quale sia la fermata dove devo scendere. Sono lì che guardo e riguardo la cartina e la strada, tutta trafelata per lo zaino e i vari annessi, ed ecco che il ragazzo seduto vicino a me, impietosito probabilmente, mi chiede se ho bisogno di aiuto.. Io gli mostro la cartina e la meta finale, ma nemmeno lui è di Kyoto ed è solo lì per lavoro, ma ne sta approfittando per vedere il Kiyomizu-dera Temple nel poco tempo che lo separa dallo shinkansen che lo riporterà a Tokyo. Scopriamo infine di dover scendere alla stessa fermata ma mi rendo conto che il biglietto per la tratta percorsa si paga quando si scende. Io sono piena di cose e non ho monete giapponesi, e così, per evitare di far aspettare passeggeri e autista, il mio nuovo amico paga il mio viaggio. Non vuole i soldi, nonostante io insista ripetutamente. Mi augura di fare buon viaggio in Giappone e si allontana.
L’ostello è a poca distanza dalla fermata del bus. Faccio il check-in e vengo accompagnata alla mia stanza, che non è solo mia ma di altre 11 persone. Quando si prenota un posto letto in un ostello, è possibile scegliere la camera dove dormire: se in camera mista o solo femminile, se da 8 o da 10, 12 o 14, quello poi dipende dalle singole strutture. Io in momento di prenotazione avevo preferito una camerata di sole donne e lì mi ritrovo, nel letto sopra di una struttura a castello. Ogni letto è dotato di tendina e luce per garantire a ciascuno una certa intimità. Mi mostrano i bagni e il cafè, dove poter fare colazione e una saletta dove potersi accomodare per chiacchierare o utilizzare il pc. Ho davvero un’ottima impressione di questo posto: semplice ma pulito, tutto quello che cerco.
Lascio i miei bagagli in stanza e, entusiasta ed esausta allo stesso tempo, vado ad esplorare la città di Kyoto. E’ già piuttosto tardi e il sole sembra aver già abbandonato il suo posto nel cielo. Vago per le viuzze strette di Higashiyama fino ad arrivare a Gion, il quartiere delle Geishe. Sono estasiata: sembro una bambina con un gioccattolino nuovo in mano.. Continuo a guardarmi intorno, fare foto, sorridere.. Tutto quello che avevo visto in tv o che avevo letto sui libri era lì, ed io lo stavo vivendo. Tutto mi sembra così irreale. Il mio stupore addirittura aumenta quando arrivo a Gion, un quartiere tipicamente giapponese, perfettamente conservato, di cui avevo tanto letto sul libro “memoria di una geisha”.. le case da tè e i ristorantini tradizionali del XVII secolo si susseguono uno dopo l’altro e il suono dolce degli strumenti musicali delle belle accompagnatrici esce dalle loro finestre per allietare la camminata dei passanti.
Al mio stomaco però l’estasi per il Giappone non basta. La mia vista è anche stata appagata, ma la mia fame ancora no. Ed ecco che quindi mi metto alla ricerca di un ristorante dove mangiare. Gion purtroppo rimane troppo cara e quindi mi allontano leggermente dal quartiere.. Mi ferma una piccola signora dagli occhi a mandorla per invitarmi nel suo ristorante che, essendo al piano inferiore, non è visibile ai passanti. Mi faccio convincere e la seguo, temendo che questa possa essere la prima grossa fregatura del viaggio. Il locale ricalca lo stile della signora: è piccolo ma molto carino. C’è suo marito che cucina ma che non sa l’inglese e c’è lei che non cucina ma sa l’inglese e quindi intrattiene gli ospiti stranieri.. Mi racconta che ha viaggiato molto ed è stata in Italia più volte, mi racconta di sua figlia che arriva dopo un po’ e mi riempie di complimenti dicendomi che sono molto bella. Io?!? Molto bella?!? Dopo tutte quelle ore di viaggio?!? Vi assicuro, ero sfatta e brutta; ma per lei rappresentavo la bellezza bianca, occidentale. Non ricordo nemmeno troppo bene ciò che ho mangiato .. sicuramente una zuppa al miso, poi credo delle fettine di manzo alla piastra, qualche altra verdurina e una ciotola di riso; il tutto accompagnato da un ottimo tè verde.
Saluto la simpaticissima signora e mi dirigo verso l’ostello perchè ormai ho gli occhi che mi si chiudono da soli.
MY FIRST DAY IN KYOTO
Se si è in Giappone non si può non passare da Kyoto. Con i suoi circa 1.600 templi buddisti e 400 santuari shintoisti, racchiude in sè bellezza, spiritualità, tradizione e modernità. Esprime un po’ l’essenza del Giappone ed è a parer mio una meta assolutamente imperdibile. Spostarsi per la città è semplicissimo grazie a un efficente servizio di autobus che permette di raggiungere capillarmente qualsiasi punto della città. Il suo costo è di ¥220/230 a tratta ma è possibile acquistare il “one-day ticket” per ¥500. Le attrazioni turistiche a Kyoto sono davvero molte.
Decido per prima cosa di visitare il palazzo imperiale, per il quale è necessario uno speciale permesso rilasciato dall’agenzia della Casa Imperiale poco distante. Sono lì per le 10 circa perchè so che per quell’ora è possibile visitare il palazzo accompagnati dalle spiegazioni inglesi e gratuite di una preparata guida. La residenza imperiale è immensa e composta da diversi edifici tipici circondati da parchi e laghetti da fiaba dove si riflettono alberi dai mille colori. Io sono in estasi, anche se gli edifici dall’esterno sembrano quasi tutti uguali, bassi e coperti da spessi tetti dalle eleganti forme. Finita la visita decido di visitare il quartiere vicino, dove si trova il Centro tessile di Nishijin, e dove con un po’ di fortuna è possibile assistere a una sfilata di kimono e ammirare le loro tecniche di confezionamento. Il kimono è l’abito tradizionale giapponese e ancora oggi per le sue vie è possibile scorgere qualcuno che lo indossa. Anzi, sono molte le donne o le ragazze che lo indossano: esistono dei negozi dove è possibile noleggiarlo per qualche ora e sfoggiarlo camminando per le vie della città. A me sembra scomodissimo: con un cuscino voluminoso sulla schiena, le infradito di legno ai piedi e la gonna stretta al punto di far fatica a camminare liberamente; ma ho come la sensazione che le ragazze vestite con il kimono siano bellissime e sembra che anche loro si sentano così… bellissime.
Anche gli uomini indossano il kimono ma è molto più raro vederne qualcuno. Passeggiando tra le vie del quartiere avvisto dei ragazzi vestiti con quel curioso abito e li seguo fino a un piccolo tempio shintoista.. il primo di una lunghissima serie.
Shintoismo e buddhismo sono le religioni principali del paese, ma mentre la prima è originaria giapponese, la seconda è di importazione indiana. Gli shintoisti credono che i “kami”, cioè le divinità, animino il mondo naturale. Solitamente l’ingresso dei templi shintoisti si riconosce dal Tori, la grande porta rossa posta all’ingresso del tempio. Quando si recano al tempio per pregare il “kami” del santuario, i giapponesi si purificano: si lavano le mani e si sciacquano la bocca presso il “chozuya”, poi si spostano davanti all’edificio dove è racchiuso il “kami”, gettano una monetina nella scatola delle offerte e poi suonano il gong tirando la corda che gli sta davanti (che serve per attirare l’attenzione della divinità), pregano, battono le mani due volte, si inchinano e abbandonano il santuario. Una pratica davvero curiosa e insolita per noi stranieri.
Riprendo il bus e mi dirigo verso il tempio buddhista di Ginkaku-ji detto anche “silver pavilion”, nella parte settentrionale di Higashiyama. Anche se il nome potesse far pensare a una costruzione che ha a che fare con l’argento, non createvi erronee illusioni. Il progetto iniziale lo prevedeva ma la sua copertura argentea non fu mai realizzata. I suoi giardini sono meravigliosi: in autunno i suoi alberi si tingono di mille colori e regalano uno spettacolo unico agli occhi dei suoi visitatori. Decido di scendere verso Higashiyama sud percorrendo il “sentiero della filosofia” o Tetsugaku-no-Michi, un sentiero pedonale che si snoda lungo un canale, ombreggiato da alberi da fiore. Il suo nome deriva da un filosofo del Novecento che era solito passeggiare da queste parti.
Filosofeggio un po’ anche io da quelle parti ammirando i meravigliosi colori che la natura ci regala e scendo verso l’Eikan-do, l’altro tempio buddhista che visito e che è anch’esso un’opera d’arte, fatta per mano degli Dei e dell’uomo. E’ uno dei templi più popolari della città per ammirare i colori dell’autunno ed è quindi anche piuttosto affollato. Oltre al suo giardino, è possibile ammirare anche gli interni del tempio togliendosi rigorosamente le scarpe. Non perdetevi la vista dalla pagoda che offre un bel panorama della città.
All’ufficio turistico di Kyoto è possibile chiedere la guida pratica della città con i City Walks, che indicano tutti i sentieri percorribili a piedi più belli e i luoghi di interesse maggiori della città.
Ritorno verso l’ostello, dove esausta per il troppo cammino (non mi sono fermata nemmeno per pranzare..), crollo. Mi faccio una doccia calda e mi rilasso a letto, leggendo la guida e decidendo le tappe del giorno dopo. Sono talmente stanca che non ho voglia di uscire a mangiare. Crollo così, all’alba delle 20.00.. Probabilmente per colpa anche del bastardo jet lag.
SECOND DAY IN KYOTO
La nottata non trascorre troppo bene.. una delle occupanti della stanza russa. Maledizione. Avevo scelto la camerata femminile apposta per evitare questo tipo di situazioni. Mi sveglio ripetutamente finchè non decido di alzarmi e iniziare la giornata esplorativa. Oggi è il giorno del Fushimiinari-taisya Shrine. Faccio colazione al piccolo caffè dell’ostello con pancake e una tazza di black coffee. Ci sono due ragazze sedute a qualche tavolo di distanza da me.. Incrociamo gli sguardi, ci scambiamo qualche sorriso e iniziamo a chiacchierare. Sono due ragazze indonesiane anche loro in visita a Kyoto per qualche giorno. Sembrano estremamente simpatiche. Ci scambiamo qualche informazione sulla città e ci diamo appuntamento per la sera, per andare insieme al famosissimo Onsen dopo aver mangiato qualcosa insieme.
Per andare al Fushimiinari-taisya Shrine è necessario prendere il bus o il treno JR Nara e scendere alla stazione Inari. Scendo dal bus e seguo la fiumana di gente che, credo io, si sta recando al tempio. Vedo delle signore dalla parvenza giapponese che scendono alla mia stessa fermata e chiedo loro conferma sulla destinazione. Non parlano molto inglese, anzi, quasi per niente. Ma a gesti e paroline riusciamo a capirci e finisce che le signore mi prendono in simpatia e trascorriamo gran parte della giornata insieme visitando il tempio. Il complesso shintoista fu dedicato alle divinità del riso e del sakè ed è uno dei più frequentati del Giappone. Si estende lungo il versante del monte Inari-yama: un percorso lungo 4 Km si inoltra per la montagna, racchiuso per tutta la sua lunghezza da centinaia di Torii rossi. E’ un percorso davvero lungo e piuttosto faticoso, non adatto a chi non è fisicamente troppo preparato. Le mie nuove amiche sono spesso in difficoltà e quindi ci fermiamo di tanto in tanto per riprendere un po’ fiato. Il tempio ha un qualcosa di magico: così immerso nella natura, emana una spiritualità unica. C’è chi per fare esercizio fisico, sale e scende gli scalini di corsa. Io apprezzo tantissimo la passeggiata stando spesso in silenzio e ascoltando i rumori della foresta, pensando a che cosa pazzesca i giapponesi hanno costruito su questo monte. La vetta finale non offre chissà quale vista: è ovviamente occupata da un piccolo tempietto con un altare dove i vari visitatori si fermano a pregare. Prego anche io. A tratti, risalendo e scendendo la montagna è però possibile ammirare il bellissimo panorama della città. Abbandono il tempio in compagnia delle mie amiche e mi dirigo con loro alla fermata del bus dove pare che nessun pullman passi per ore.. Ci dirigiamo perciò alla stazione dei treni, dove grazie al mio JR pass, non pago la tratta. Arriviamo in stazione e cerchiamo un ristorantino dove poter mangiare. Entriamo in uno di quei posti con il rullo: mangiamo in abbondanza accompagnando il tutto con un ottimo the verde. Sushi soprattutto, maki, sashimi. Le mie amiche mi pagano il pranzo e hanno pure il coraggio di ringraziarmi per la bella giornata passata: io cerco di oppormi ma non c’è modo di convincerle. Sto viaggiando per il Giappone e questo è il minimo che possano fare per me. Incredibile. Mi inchino ripetutamente verso di loro con le mani giunte e ripetendo all’infinito “Harigato Gozaimas”. Loro stanno tornando a casa, chi verso Hiroshima e chi verso Tokyo. Io, ancora basita per questo gesto, riprendo il bus per andare a visitare altri templi.. il Chion-in Temple è chiuso per lavori di ristrutturazione, ed è circondato da brutte impalcature. Ammiro la grandezza del Heian-jingu Shrine e mi perdo ancora tra le vie dell’antica Higashiyama, dirigendomi verso l’altro grande tempio di oggi: il Kiyomizu-dera. Continuo a pensare a quelle giapponesi.. Come è possibile che mi abbiano offerto il pranzo solo per il fatto che io sia in viaggio?!? Gli italiani si comporterebbero nello stesso modo nei confronti dei viaggiatori stranieri?!? Higashiyama è una zona magica, che emana tradizione e storia, con le sue case basse in legno, le ragazze in kimono che percorrono le sue vie e i suoi negozietti che vendono prodotti artigianali giapponesi.
Il Kiyomizu-dera è un tempio buddhista ed è talmente maestoso e imponente che impressiona. L’edificio principale è contornato da un vasto portico che si affaccia sulla collina, sostenuto da centinaia di colonne di legno massiccio. Poco più in basso, dove scorre la cascata Otowa-no-taki i visitatori possono bere le sue acque per garantirsi salute e longevità. Sparsi nel complesso vi sono altri padiglioni e santuari: al Jishu-jinja ci si può assicurare successo in amore percorrendo a occhi chiusi i circa 18 metri che separano una coppia di pietre, mentre girare intorno alla roccia del Tainai-meguri permette di esprimere un desiderio. L’esperienza di visitare un tempio buddista è unica. Anche qui è possibile percepire la sacralità e solennità del luogo. Il rituale di un tempio buddista non è molto diverso da quello shintoista solo che qui non si battono le mani prima di pregare. È possibile che vi siano dei bastoncini d’incenso nel tempio come offerta: aspergere corpo e testa del suo fumo ha virtù terapeutiche e purificatrici. Vedere questa imponente costruzione all’imbrunire è meraviglioso, ma vederla illuminata di notte è una vera e propria emozione. In particolari serate primaverili e autunnali viene infatti illuminato in modo suggestivo. Ma di questo ve ne parlerò in seguito.
E’ arrivata l’ora dell’appuntamento con le simpatiche ragazze indonesiane: mi dirigo verso l’ostello e preparo asciugamano, ciabatte e costume per andare all’onsen. Cos’è un onsen?!? L’onsen è una stazione termale. Normalmente sono strutture costruite all’aperto, riempite di acqua termale naturale. Solitamente esistono vasche per le donne e per gli uomini e ci si immerge completamente nudi. I tatuati in realtà non sarebbero ammessi: il tatuaggio è infatti prerogativa degli appartenenti alla mafia giapponese (Yakuza).
Dopo aver cenato in un piccolo ristorantino dalla cucina asiatica e non solo giapponese, ecco che ci dirigiamo a rilassarci nelle acque calde di un onsen.. Non proprio conosciutissimo ma indicatoci dall’ostello. Dio mio, non so per quanto tempo camminiamo nel freddo alla ricerca di questo minuscolo posto. Quando lo troviamo rimaniamo piuttosto sconvolte: non è di certo quello che ci aspettavamo. Più che una stazione termale sembra un bagno pubblico, piccolo e squallido, con una sala sola e 4 tinozze piene di acqua calda. Anche per l’onsen esiste un vero e proprio rituale: innanzitutto ci si spoglia completamente, si prende shampoo e doccia schiuma e ci si insapona completamente seduti su uno sgabellino plasticoso. Poi si riempie un catino e ci si risciacqua completamente dal sapone. Tutto ciò prima di entrare nelle calde vasche dell’onsen. Ci sono 4 vasche grandi come la doccia del mio bagno: minuscole. In pratica siamo ognuna in una piscinetta diversa. Per lo meno ci riscaldiamo e chiacchieriamo un po’. Diciamo non l’esperienza che ci aspettavamo, ma in ogni caso un’esperienza singolare e che sicuramente tutte e tre ricorderemo.
LAST DAY IN MAGIC KYOTO
Il mio terzo giorno prevede una visita ad Arashiyama dove si trova la suggestiva foresta di bambù e una capatina al Kinkakuji Temple, chiamato anche Golden Pavillion, nel pomeriggio. Saluto le mie amiche indonesiane dopo la colazione, dandoci appuntamento all’ostello prima di cena. Prendo il bus per Arashiyama e scendo nei pressi del fiume dove inizio a guardarmi intorno spaesata e alla ricerca della famosa foresta. Chiedo indicazioni in continuazione e finalmente eccomi lì, con l’immagine vista ripetutamente su copertine di guide e riviste turistiche, davanti a me. La foresta di bambù è un luogo estremamente suggestivo.. ci si inoltra tra i suoi alberi seguendo un sentiero ben tracciato. I suoi alberi sono talmente alti e forti e fitti, che il sole fatica a penetrare tra le sue foglie. Percorro il sentiero tracciato tra queste alte e robuste piante, continuando a guardarle affascinata e scattando decine di fotografie cercando così di portare a casa un po’ dell’atmosfera del posto. Al termine della foresta si trova Okoshi Sanso, la casa di un attore giapponese che interpreta film in costume da samurai. Fortemente consigliata dalla carissima Lonley, decido di visitarla e non me ne pento: il giardino della casa è un tripudio di colori incorniciati da un bellissimo cielo azzurro e da scorci della città. Al termine della visita vengono serviti un thè e una buona fetta di torta che ripagano almeno in parte l’elevato costo del biglietto. Una visita che sento di consigliare a chi, come me, si trova in Giappone in questa magnifica stagione. Pranzo in zona e cerco di ritornare verso il fiume da dove poter prendere il bus per rientrare in città. Sulla strada mi si avvicina un signore piuttosto anziano che parla un buonissimo inglese. Mi racconta della sua vita, che l’inglese l’ha imparato dagli americani quando hanno occupato il Giappone, che dipinge. Mi mostra i suoi disegni che sono davvero molto belli. Ha del talento quell’omino simpatico. Mi accompagna fino alla fermata del bus e prima di salutarci definitivamente mi chiede se può farmi un ritratto. Ed eccomi lì, in posa, mentre lui ritrae e molti curiosi osservano la scena. Il disegno poi me lo regala.
Non capisco se sto vivendo in un sogno o che cosa.. Il giorno prima le signore giapponesi mi offrono il pranzo, il giorno dopo incontro quest’uomo incredibile che mi fa un ritratto e me lo regala. Sono quasi commossa ed estremamente felice, mai mi sarei aspettata un simile calore.
Lo vedo scomparire tra la folla mentre aspetto il bus. Non passa molto tempo che si ferma un motorino a poca distanza da me e scende un ragazzo che mi chiede dove sto andando… Vuole darmi un passaggio e venire con me al Golden Pavillion. Dice che sono bellissima e che mi vuole sposare, ma quando gli rispondo che sono fidanzata, non finisce più di chiedermi scusa inchinandosi. Continuo a ripetergli che non c’è problema ma lui si rimette il casco in fretta e riparte.Che simpatico siparietto.
Il bus non arriva più. Vedo tornare il mio amico del ritratto che mi consiglia di andare a prendere il treno perchè essendoci tantissima gente, il bus fa fatica ad arrivare. Viene con me e prende il mio stesso treno. Mi fa un altro ritratto mentre aspettiamo di scendere alla nostra fermata, ma questa volta lo tiene per sè, per ricordo. Ci salutiamo, questa volta definitivamente. Quanta gioia e quanto calore mi ha dimostrato quell’uomo.
Nel pomeriggio decido di visitare il Golden Pavilion o Kinkakuji Temple: un tempio interamente ricoperto da un finissimo strato d’oro intorno al quale si sviluppa un giardino con un laghetto dove il Kinkakuji si riflette quasi come per ammirare con presunzione la sua maestosità.
Torno verso l’ostello ma prima di incontrarmi con le amiche indonesiane, decido di andare alla ricerca di qualche piccolo souvenir: in realtà vorrei comprarmi tutto.. bacchette, bicchieri da the, da sakè, calzette con due dita, infradito in legno. Ma consapevole di avere lo zaino e ancora una settimana di spostamenti, desisto. Prendo solo qualche souvenir. Sono nella zona di Higashiyama e noto che si sta formando una coda incredibile per entrare Kiyomizudera, che per la prima notte verrà illuminato. Torno all’ostello e propongo alle ragazze di entrare a vedere il tempio illuminato e non ce ne pentiamo. I templi, si sa, hanno sempre qualcosa di mistico e magico, ma devo dire che vedere questa enorme costruzione di legno illuminata, supera qualsiasi aspettativa. E’ magia. Meraviglia. Peccato per la gente. Davvero troppa.
Decidiamo di andare a mangiare qualcosa insieme nella zona di Gion. Percorriamo le sue vie ma i ristoranti qui sono un po’ cari. Ci allontaniamo un po’ e riusciamo a trovare un ristorantino carino sulla via di casa: ordiniamo pesce e carne alla griglia, fatta al momento, davanti ai nostri occhi. Stiamo mangiando e degustando una buona Asahi quand’ecco che vediamo passare due Geishe che si siedono nel tavolo proprio accanto al nostro. Sfrutto le doti linguistiche di Padma, che parla un buon giapponese, per chiedere alle due ragazze se possiamo scattare una foto insieme ma ci dicono di no. Inizio a dirne un sacco e una sporta sulle geishe e, con un po’ di disappunto ma soddisfatta dell’ottima cena, finalmente vado a coricarmi in ostello. Ultima notte nella superba Kyoto, mi è davvero rimasta nel cuore oltre che per i suoi posti, per le persone incontrate. E’ una città moderna ma molto antica e ricca di tradizione allo stesso tempo. Lo ripeto ancora: una meta imperdibile.
2ND STOP: NARA, THE OLD CAPITAL CITY
La seconda tappa dopo Kyoto è Nara, dove non decido di fare una semplice escursione, che forse sarebbe stata più semplice, ma mi ci reco proprio con lo zaino e tutta l’attrezzatua al seguito. Da Kyoto ci vuole poco più di un’ora di treno per arrivarci. Avevo prenotato l’ostello proprio vicino alla stazione per essere più comoda negli spostamenti. L’ostello si chiama Ugaya Guesthouse ed è veramente minuscolo ma ha una bellissima sala comune arredata con una libreria piena zeppa di manga, una cartina enorme del planisfero dove mi chiedono di segnare con uno spillo da dove vengo, tavolini bassi e comodi cuscinoni. Mi mostrano tutto, dalla cucina alla lavanderia. L’edificio sembra un labirinto di camerate. La camerata femminile da 4 letti che ho prenotato è carina. Piccola e un po’ buia perchè non ha finestre, ma carina. Sgancio il bagaglio e munita di cartina fornitami dal centro informazioni della stazione, mi dirigo verso il centro principale della città. Giusto per dare qualche informazione..
Nara è stata capitale imperiale del Giappone dal 710 al 794. Gli imperatori che vi regnarono erano di fede buddista e fecero perciò costruire molti templi dedicati a questo culto. Uno dei più grandi e più conosciuti è il Todai-ji, letteralmente “grande tempio dell’est”, che è anche l’edificio in legno più grande al mondo… Ed è davvero enorme. Non c’è fotografia che possa rendere l’idea. Io rimango letteralmente a bocca aperta. Al suo interno vi sono statue gigantesche che rappresentano il Buddha e i suoi guardiani. La statua del Buddha (“Daibutsu” cioè Grande Buddha), realizzata in oro e bronzo, è alta 16 m e pesa oltre 500 tonnellate. It’s astonishing! E’ davvero imponente questo Buddha. Di fronte a simili opere ci si sente sempre davvero molto piccoli. E pensare che sono state fatte dalle mani dell’uomo! Incredibile!
Questo bellissimo tempio, attrazione principale della città, è circondato da un vastissimo parco, abitato da circa 1200 cervi: animali che, prima dell’avvento dell buddismo, erano considerati messaggeri degli dei. I cervi vagabondano indisturbati in tutto il parco alla ricerca di cibo offerto dai turisti. Volendo si possono acquistare biscotti per sfamare gli animali dai venditori ambulanti.
All’interno del vastissimo e variopinto parco c’è gente che fa ginnastica e famiglie con bambini vestiti in kimono (le femmine) o hakama (i mashietti), che si recano al tempio dove vengono compiute cerimonie di purificazione chiamate harai e vengono recitate preghiere chiamate norito: tradizioni molto antiche che vennero istituite negli anni 800 circa per celebrare la crescita dei bambini in un periodo nel quale la mortalità infantile era altissima. Questa ricorrenza cade proprio il 15 novembre o nei weekend immediatamente predecenti o successivi. E’ davvero singolare vedere bambini di 3-5-7 anni calzare delle piccolissime infradito e indossare abitini coloratissimi.
Todai-ji a parte, il parco ospita altri templi buddisti più piccoli da visitare che sicuramente meritano di essere visti. Io decido di seguire i consigli della gentile signorina dell’ufficio turistico e mi reco al Nigatsudo Hall dove ammiro estasiata il tramonto che cala sui tetti della vecchia città imperiale. Incantevole. Salutato ormai il sole torno verso l’ostello perdendomi tra lei vie che portano ad esso (diciamo pure che il senso dell’orientamento non è il mio forte).
RECENT HISTORY: HIROSHIMA
Dopo Nara mi aspetta un’altra importante meta: Hiroshima. Importante non tanto dal punto di vista delle tradizioni, perchè si sa che Hiroshima è una città completamente nuova, quanto dal punto di vista storico. Perchè quando si arriva al parco della pace la storia ti assale; è lì, così presente, così tangibile. Ero in cerca di questo anche: di storia recente. Io che alle medie avevo fatto all’esame l’approfondimento proprio sul Giappone. Sapevo ovviamente cosa era accaduto, ma volevo cercare di rivivere in un certo senso quel momento, di immedesimarmi nei suoi protagonisti.
Prendo il treno che da Nara mi riconduce a Kyoto e poi da lì prendo lo Shinkansen che mi porta fino a Hiroshima. Mi ci vogliono circa 3 ore. La stazione di Hiroshima è piuttosto complicata. Almeno per me. Mi ci vogliono 5 min a piedi per raggiungere l’ostello con il mio pesante zaino. Trovo anche il passaggio a livello chiuso e mi tocca aspettare che passi il treno. Oddio, io sarei passata sotto le sbarre e stando un po’ attenta avrei anche attraversato i binari. Ma i giapponesi in attesa a piedi o in bicicletta, aspettano tutti e rigorosamente in fila, il passaggio del treno. E così faccio anch’io. Una gentile signora mi fa appoggiare lo zaino sul portapacchi della sua bicicletta e cerca di parlare con me, in giapponese. Io non capisco una mazza ma lei insiste con il giapponese e io con il mio inglese finchè stufa, decide di andare per la sua strada che è diversa dalla mia. Arrivo in ostello e parcheggio subito il pesante bagaglio nella stanza adibita ai bagagli. Chiedo una cartina alla reception e mi metto in marcia: voglio andare alla A-bomb Dome e per farlo devo prendere il bus. L’A-bomb Dome è il simbolo più toccante della devastazione di Hiroshima. L’edificio aveva la funzione di centro espositivo industriale prima che la bomba atomica cadesse a pochi metri di distanza. Tutti gli edifici intorno all’epicentro furono distrutti, solo lo scheletro di quell’edificio e la sua cupola sono rimasti in piedi. Fortunatamente l’amministrazione locale decise di conservare i resti dell’edificio come monito alle generazioni future.
Voglio visitare il museo della pace, ma prima decido di andare a mangiare. La specialità di Hiroshima è l’Okonomiyaki e decido di provarlo al piccolo ristorante Nagata-ya, dove gente affamata attende pazientemente il proprio turno in fila indiana (anche se più che indiana quella della fila mi sembra una prerogativa giapponese). Mentre aspetto inizio a scambiare due chiacchiere con una bella ragazza russa anche lei sola e in coda. Ci mettiamo a chiacchierare e poi chiacchieriamo mentre mangiamo.
Tornando all’Okonomiyaki, viene preparato al momento su una piastra, al bancone, o seduti ai tavoli; consiste in un miscuglio di noodles o soba, uovo, fettine di verza, un impasto di acqua e farina, gamberetti e chi più ne ha più ne metta. La storia dice che il piatto nacque dopo la seconda guerra mondiale: una merenda economica che veniva preparata ai bambini con gli ingredienti degli aiuti umanitari. Altro che merenda. E’ anche più di un pasto. Ne esco un po’ provata ma estremamente soddisfatta.
Nel pomeriggio ho un appuntamento con la figlia di Rikko, la simpatica giapponese incontrata a Kyoto. Ma prima di vederla, vado in visita al museo della pace. Mi munisco di audioguida che, per chi capisce bene l’inglese, non è così necessaria perchè le spiegazioni in inglese nel museo sono ovunque. Il museo con i suoi strazianti reperti (fotografie e resti di abiti, giocattoli, testimonianze) è un’occasione per riflettere sugli orrori commessi dall’uomo, all’assurdità a cui il genere umano è arrivato. Le guerre, le conquiste, le bombe: perchè esistono ancora?!? Pensiero completamente utopistico il mio, ma sentito. Uscendo dal museo firmo una petizione, affinchè vengano distrutte tutte le bombe atomiche. Impossibile, lo so. All’interno del parco circostante il museo, si trovano diversi monumenti commemorativi, tra cui il cenotafio che riporta i nomi delle vittime accertate della bomba. Il cenotafio incornicia la fiamma della pace, che verrà spenta solo quando sarà distrutta l’ultima arma nucleare esistente al mondo. Nel parco si trova anche il monumento per la pace dei bambini, dedicato a Sasaki Sadako, una bambina che scoprì di essere malata di leucemia all’età di 11 anni, nel 1955. In Giappone la gru è simbolo di longevità e felicità e la bimba era convinta che se fosse riuscita a fare 1000 gru di carta, sarebbe guarita. Purtroppo morì prima di compiere l’impresa, che fu portata a termine dai suoi compagni di classe.
Incontro Rikko, una ragazzina giovanissima che mi ricorda tanto i personaggi dei cartoni che guardavo da bambina. Mi rendo conto quanto sia diverso il modo di approciare tra di noi: io le vado incontro cercando di salutarla con i canonici 2 bacini all’occidentale, lei quasi si scansa intimorita. Ai giapponesi non piace molto il contatto fisico. Non che non lo sapessi, ma viverlo fa certamente un altro effetto. Parliamo un po’ di tutto e camminiamo per la parte più moderna della città: mi porta nei negozietti dove tutto costa pochissimo, convinta della mia intenzione di fare shopping: io non compro niente, ma siccome mi sembra un po’ scortese mi giustifico dicendo che ho ancora Km da percorrere e un grosso zaino sulle spalle. Ci fermiamo in una piazza dove delle ragazzine giovanissime e in abitini a dir poco provocanti si esibiscono sul palco. Le chiedo cosa fa nel tempo libero: shopping, amici. Nessun’altra passione, no sport. Le piacerebbe tornare in Europa e ovviamente le dico che in Italia posso farle da guida. Ci salutiamo. Inizialmente penso di tornare all’ostello a piedi ma è veramente troppo lontano e decido di prendere il tram. Una volta in ostello (Hybrid Inn Hiroshima) vengo coinvolta in una degustazione di sakè. Ne provo di tre tipi diversi, tutti freddi ma con gradazioni diverse; intanto converso con una simpatica ragazza tailandese che vive in Australia. Mi faccio sistemare nella sua stanza, dove c’è un letto libero. La stanza è molto carina, c’è anche il bagno ed è anche perfettamente pulito.
MIYAJIMA
La mattina mi sveglio presto. Oggi è giunto il tempo per la bella Miyajima, dichiarata patrimonio dell’umanità dall’UNESCO. Per raggiungere la meta, devo prendere il treno locale della JR Sanyo Line dalla stazione di Hiroshima e scendere alla fermata Miyajima-guchi per poi imbarcarmi sul traghetto. Per i possessori del Japan Rail Pass sia la tratta del treno che quella del traghetto sono già incluse. Ci si impiega circa un paio di ore per mettere piede sulla piccola isola partendo da Hiroshima. Già dal traghetto lo si può vedere: il famosissimo Torii rosso che emerge dalle acque e che rimane una delle immagini più famose di Miyajima. Mi dirigo al ryokan prenotato da casa che si chiama Miyajima Guest House Mikuniya, e che dista una decina di minuti a piedi dal porto. Il ryokan è un albergo tradizionale giapponese il cui stile è rimasto immutato nel tempo. Alloggiare in una di queste strutture permette di respirare l’atmosfera del Giappone, quello più classico e tradizionale. Vengo accolta molto calorosamente da un uomo sulla mezza età, che mi spiega le regole della struttura e mi mostra la stanza: come da tradizione la stanza è spoglia e sul tatami che fa da pavimento è adagiato il mio futon con accanto un foglio con le istruzioni per poterlo comporre. E’ la prima volta da quando sono qui che decido di dormire da giapponese. Accanto al mio futon ne noto un altro che però rimane in ordine in quanto nessuno viene a dormire nella mia stanza. Le porte sono di carta e a scorrimento. Le ciabatte si lasciano rigorosamente al di fuori della stanza per non rovinare il tatami. L’ostello è davvero molto carino: la sala comune è ampissima e ben arredata, con televisore e pianoforte. La cucina è rifornita di qualsiasi cosa. La colazione la si può fare da soli, servendosi direttamente dal frigorifero e dalle varie dispense. C’è anche la l’Okonomiyaki surgelato in freezer. Il giardino ordinato sul retro rende tutto molto zen.
Lascio il mio zaino e armata di macchina fotografica parto alla scoperta di questa singolare isola. Anche se il tempo non è dei migliori e dei nuvoloni grigi minacciano pioggia, decido di salire sul monte Misen (530m) a piedi (c’è la possibilità di prendere la funivia che arriva quasi fino alla sua cima). La montagna è ammantata da una foresta antichissima, che in questa stagione è anche ricchissima di colori e perciò imperdibile. Sono diverse le vie percorribili a piedi per arrivare alla vetta. Io decido di arrivarci attraversando il Momijidani Park. La scalata del monte è cosa ardua e a volte mi devo fermare per recuperare fiato, ma è assolutamente imperdibile, soprattutto in questo periodo dell’anno. La vista dell’isola dal suo punto più alto è meravigliosa. Il cielo non è limpido, tutt’altro, ma la vista è sensazionale e ripaga del grande sforzo fatto. Salendo per la montagna, soprattutto lungo l’ultimo tratto di salita, incrocio compagnie di giapponesi che, muniti di scarponi e bacchette, salgono e scendono. Anche in Giappone tra amanti della montagna, ci si saluta e così i “Konnichua” cantalenanti si susseguono a ritmo incalzante.
Mi riposo un po’ alla Resthouse e osservo incantata il panorama. Nel percorrere la via del ritorno decido di cambiare sentiero per giungere il Daishoin Temple. Il tempio è buddista ed è una piacevole sosta durante l’escursione sul monte, incorniciato da maestosi alberi dai colori vivaci e un calmo mare che fa da sfondo.
La passeggiata è piuttosto lunga e mi occupa gran bella fetta di giornata. Quando torno verso i piedi della montagna è già pomeriggio inoltrato. Decido di assaggiare qualche delizia del posto fra cui delle buonissime ostriche grigliate e i Momijimanjiu (dei biscotti a forma di maple leaf) e mi inoltro per la via principale del centro abitato, che sembra essere rimasto immutato negli anni. Dopo aver passeggiato per i suoi negozietti, decido di tornare all’ostello per fare una doccia calda e rilassarmi un po’ prima di cena. Sulla via del ritorno mi fermo ad osservare il magnifico tramonto che colora il Torii e il suo santuario: il Itsukushima-jinja. Costruito nel 1168, la sua struttura ricorda quella di un molo: si dice che per la gente comune non fosse possibile mettere piede sul santuario a meno che si giungesse in barca, attraversando il Torii fluttuante. Faccio anche una rapidissima visita al santuario (anche perchè chiude alle 17.30): dalla struttura capisco subito che si tratta di un tempio shintoista; circondato dall’acqua e sovrastato dalle montagne, ha un fascino e una sacralità unica.
La sera quasi tutti i ristoranti di Miyajima chiudono piuttosto presto. Mi vengono tuttavia indicati dei posti che rimangono aperti fino a un po’ più tardi.. Ed ecco che mi ci dirigo.. Percorrendo la Omotesando Shopping Arcade, trovo il ristorante prescelto chiamato Memetanuki. Come sempre sono al bancone, sola. Seduto vicino a me trovo un simpatico giapponese che scopro essere il proprietario del locale. Chiacchieriamo molto e mi fa assaggiare il Sakè di Hiroshima (che credo essere il sakè di Saijo, i cui stabilimenti dove viene prodotto sono visitabili) che dice essere buonissimo (così bevo due piccole bottiglie di sakè). Mi regala delle cartoline dell’isola e mi saluta calorosamente. Esco dal ristorante che dopo il sakè che ho bevuto mi sembra di camminare un po’ storta. Mi soffermo nuovamente ad ammirare il grande Torii illuminato che sorge dalle acque nere prima di andare a dormire nel mio futon.
ON THE WAY TO HAKONE
Faccio colazione nell’ampia cucina dell’ostello e dopo aver salutato il proprietario, ripercorro la strada del giorno prima, prendendo il traghetto e il treno per Hiroshima e ammirando sempre esterrefatta la bellezza di quest’isola. Come al solito una volta giunta alla stazione, chiedo conferma sulla direzione del treno. Mi risponde una signora anziana sulla settantina in un perfetto inglese, che non si limita a una semplice risposta ma che comincia a massacrarmi di domande. Chiacchieriamo per tutto il viaggio fino a Hiroshima, mi lascia il suo biglietto da visita (che sembra essere una cosa piuttosto normale per un giapponese) e mi dà appuntamento qualche giorno più tardi a Tokyo, dove vive e tiene dei corsi di cucina. Una volta arrivata a Hiroshima prendo lo Shinkansen per Tokyo, dal quale vedo il sacro e imponente monte Fuji, e che si ferma ad Odawara; prendo poi il treno che giunge fino alla Hakone-Yumoto station, il capolinea (per cui serve un biglietto particolare non rientrando nel JR pass). Prendo un taxi per cui non devo nemmeno aprire la porta, perché la porta me la aprono loro. In pochi minuti mi ritrovo davanti al ryokan prenotato: Fukuzumiro. Entro e come al solito tolgo le scarpe che lascio come altri ospiti della struttura all’entrata, per calzare delle infradito da loro procurate. Una minuta signora mi accoglie con un caloroso “Konnichua”, mi accompagna alla reception dove compilo formulari con i miei dati personali e dove scelgo gli orari della cena e della colazione. Si occupa lei di me, e si occupa anche del mio zaino: se lo carica in spalla e lo porta fino alla mia camera. Mi sento estremamente a disagio: come on, I am young and stronger than you, I can carry my own bag! La stanza è spettacolare.. Tipicissima giapponese, mi dice di essere una delle camere più belle dell’intera struttura: è composta da un’ampia sala dove si trova un tavolino con delle sedie/schienali ricoperte da cuscini, la tv. Una stanza adiacente è provvista di un mobile dove c’è un armadio e un grande specchio, e un’ulteriore con tavolino e sedie adibita ai fumatori. Le pareti della stanza, così come le porte, sono fatte di carta, il tatami è meraviglioso e mi dà un’idea di calore, le finestre si affacciano su un corso d’acqua incorniciato da alberi dai mille colori.
Mi viene preparato del tè verde e fatto leggere il regolamento dell’hotel. C’è l’onsen che voglio assolutamente usare. La signora che si occupa di me mi mostra l’intera struttura, mi spiega in un inglese un po’ affaticato l’utilizzo dell’onsen e mi insegna come indossare lo yukata, che è l’abito che anche lei indossa e che è tipico giapponese: non è il kimono e solitamente si usa per stare in casa ma mi dice che volendo posso anche farci una passeggiata all’aperto, nessuno mi guarderà stralunato. Appena la signora mi lascia, ne approfitto per girovagare per la locanda che sembra deserta oltre che fredda e per recarmi all’onsen, anche quello inizialmente deserto. Mi rilasso per qualche ora. Poi incontro una donna cinese che si immerge nuda nella mia stessa vasca e iniziamo così a chiacchierare. E’ una sensazione strana, stare a parlare con una sconosciuta nuda in una vasca. Cos’è? Vergogna? Forse sì.. Ma perché dovrei provare vergogna? Mi sento effettivamente un po’ in imbarazzo ma non ci faccio troppo caso. Chiacchieriamo ed è anche piacevole.
L’ora della cena arriva in men che non si dica e la signora che si occupa di me provvede a riempirmi il tavolo di prelibatezze giapponesi: provo di tutto. Tutto quello che più di distante c’è dai ristoranti giapponesi che si trovano in Italia: zuppe, carne, pesce, udon. Il tutto viene presentato in modo molto raffinato e ricercato. Una volta finita la cena viene tolto il tavolino e viene preparato il tatami che mi accoglierà per la notte. Fa sempre tutto la signora (di cui non ricordo il nome) che prima di lasciarmi dormire, mi chiede gentilmente a che ora vorrò essere svegliata la mattina seguente. Mi augura una buona notte e la vedo scomparire dietro la porta di carta della mia spaziosa camera. Il lungo viaggio prima e il relax dell’onsen poi mi hanno completamente steso: sono talmente stanca che appena tocco il materasso crollo in un sonno profondo.
La mattina mi risveglio facendo colazione con un ottimo pesce fresco, come da usanza giapponese. Saldo il mio debito prima della dipartita ma, prima di uscire dalla porta della locanda, lascio una piccola mancia alla tenera signora che si è presa cura di me in questi giorni. Per ricambiare la gentilezza (come se quella mostrata finora non fosse abbastanza), vengo accompagnata in giro per l’intera struttura, per vedere le stanze di una locanda davvero molto antica e tradizionale, e mi sembra di entrare nella storia.. Quelle pareti e porte a scorrimento mi evocano gesta passate di samurai e geishe. A visita conclusa, saluto la mia signora, e mi inchino profondamente davanti a lei: anche questo gesto è parte della cultura giapponese e vuole dire GRAZIE.
MY LAST STOP: TOKYO
Tokyo, letteralmente “capitale d’oriente” non può definirsi città: è una megalopoli a tutti gli effetti, con i suoi 13 370 198 abitanti e un’estensione pari a 2 187,66 Km quadrati. Quando ci si sta all’interno ci si sente piccoli e un po’ confusi. Confusa ad esempio sono io fin dall’inizio quando arrivo alla stazione di Tokyo, dove trovo una fittissima rete di metropolitane di diverse compagnie private che si intersecano e che dovrebbero portarmi alla mia nuova meta. Bisogna prepararsi psicologicamente perchè l’impatto è piuttosto forte. Mi ci vuole un’ora, e non scherzo, per riuscire a districarmi in quel groviglio.. e solo grazie all’aiuto di più persone che mi indicano gentilmente i treni che devo prendere. L’ostello che ho scelto si chiama Tokyo Hutte e si trova a poca distanza dallo Skytree. L’area comune è piuttosto accogliente: sembra una vecchia fabbrica riconvertita e riadattata con una mobilia minimal ma piuttosto moderna. Approfitto subito del piccolo bar che trovo all’ingresso dell’ostello e bevo un caffè americano che vuole essere una bevanda di benvenuto. Lascio momentaneamente il mio bagaglio e inizio una conversazione con una ragazza taiwanese che come me è appena arrivata. Scambiamo giusto due parole e usciamo insieme a mangiare un boccone per pranzo. Ci separiamo subito dopo e ci diamo appuntamento per vedere insieme il mercato del pesce la mattina successiva. Decido di visitare la zona di Asakusa con il suo tempio Sensoji. Rispetto ai tanti templi visitati, soprattutto a Kyoto, questo non cattura più di tanto il mio stupore anche se senza dubbio rimane un bel tempio: attraversando il portone principale, si apre un viale contornato da bancarelle vendi-tutto e una folla che si accalca per ammirare le migliaia di cianfrusaglie. Il tempio è buddista e frequentato da molti fedeli che accendono i loro incensi e donano i propri yen.
Dopo aver dato una rapida occhiata a questo piccolo angolo di Tokyo, a piedi, mi dirigo verso la stazione metropolitana di Tawaramachi. Percorro quelli che mi sembrano Km senza scorgere neanche l’ombra di una metropolitana. Decido così di fermare un ragazzo per chiedere informazioni: non parla inglese ma gli mostro la cartina e sembra aver capito da che parte devo andare. Il problema è che non riesce a rispondermi, ma inizia a camminare e io gli vado dietro. Parla con il suo smartphone, che mi traduce in inglese le parole precedentemente dette in giapponese.. io rispondo in inglese, e così via. In circa 10 minuti di cammino riusciamo così a “scambiarci” qualche informazione. Una volta giunti alla stazione, mi ringrazia, si inchina e se ne va. Sono esterrefatta, un’altra volta.. Tanta gentilezza gratuita, non sono abituata.
Prendo la metro per tornare verso lo skytree, dove voglio salire per vedere Tokyo al tramonto. Purtroppo c’è una coda infinita e penso che questa attesa mi permetta di arrivare in cima solo con il buio. Decido perciò di tornare in ostello, rilassarmi un po’ e dirigermi verso Akihabara, l’electric town, una delle mete imperdibili di Tokyo. Akihabara è un gran casino, di persone, di negozietti, di luci e di colori. Negozi di elettronica si alternano a venditori di fumetti anche un po’ pornografici, sale dove giocare a Pakino, karaoke. Uomini in giacca e cravatta, turisti incuriositi e ragazzine giovanissime in minigonne da capogiro popolano questa zona moderna della città. I giapponesi sembrano un popolo estremamente controllato, preciso, rispettoso, che vive in modo moderato e senza eccessi, che lavora molto e si diverte poco… E invece non è affatto così.. A dimostrarlo sono i bar colmi di gente e di alcol, i manga pieni di immagini poco ortodosse, le ragazzine vestite, o meglio, svestite, le sale di pakino stracolme di giocatori. C’è un gruppo famosissimo ora in Giappone.. si chiama AKB48 ed è proprio ad Akihabara che si esibisce ogni sera: è formato da un numero improbabile di giovani ragazzine che in abiti da scolarette e in età pre-adolescenziale si esibisce in più formazioni. Il gruppo ha un ampio seguito soprattutto degli uomini ed è al momento il gruppo pop più famoso di tutto il Giappone.
Giro tra i negozi di elettronica che vendono anche cianfrusaglie elettroniche, nella speranza di poter fare qualche buon affare. Ma a furia di girare mi viene fame e decido di rimandare l’ora del mio acquisto elettronico.
Ceno in uno dei ristorantini vicino al teatro delle AKB48. C’è molta gente che cena sola per cui non mi sento per niente a disagio. A dire la verità, non mi sento quasi mai a disagio nell’essere da sola: i ristoranti sono concepiti anche per persone sole e che possono quindi accomodarsi al bancone. Mangio del sushi e del sashimi e mi dirigo verso l’ostello. C’è un’ampia terrazza sul suo tetto con sedute e tavoli per potersi accomodare e per ammirare lo skytree illuminato: un gran bello spettacolo. Faccio due chiacchiere con un cinese che è lì per lavoro e vado a letto pronta per affrontare la giornata itinerante del giorno dopo.
TOKYO
Il mercato del pesce di Tsukiji non è solo una delle attrazioni principali della città è il mercato del pesce più grande al mondo, da cui ogni giorno transitano circa 2400 tonnellate di pescato. Vi si trovano pesci e molluschi di qualsiasi colore e dimensione anche se il pesce più famoso è senza dubbio il maguro (tonno rosso). La vendita dei tonni è soggetta ad una vera e propria asta a cui partecipano i ristoratori dei più importanti ristoranti di Tokio (un tonno può venire a costare fino a $10.000). L’asta inizia alle 5 di mattina ma non è possibile accedervi se non per un centinaio di curiosi turisti.. Se volete assistere all’evento dovete perciò recarvi presso il mercato all’alba, anzi, a notte fonda sarebbe meglio. Il mercato termina la sua frenetica attività verso le 10 di mattina, quindi è bene, se non volete arrivare all’alba, arrivate almeno per le 8. Il mercato è enorme (all’entrata viene fornita un’utile cartina) e molto frenetico ed è bene stare attenti perchè carrelli e muletti sfrecciano da e per qualsiasi direzione. Io e Lee giriamo il mercato affascinate da questo luogo incredibile di scambi commerciali e decidiamo di fare colazione con un fresco maguro acquistato per pochi yen direttamente da una delle sue bancarelle. Ci sono anche diversi ristorantini all’interno del mercato stesso dove una lunghissima fila di clienti aspetta il proprio turno per gustare il freschissimo pescato del giorno. Vicino al mercato di Tsukiji si trova Ginza, che è per Tokyo quello che la Fifth Avenue è per New York: passeggio guardando le costose vetrine degli alti centri commerciali che si susseguono a perdita d’occhio. Non amo particolarmente lo shopping, quindi dopo una breve passeggiata decido di dirigermi verso il palazzo imperiale che so essere circondato da un meraviglioso e curato giardino. Scorgo il palazzo da lontano ma decido di non inoltrarmi nel suo parco perchè inizia a piovere a catinelle e io ho appena comprato un ombrellino che però non mi permette di proteggermi completamente e tempo 10 minuti ho già i piedi completamente fradici. Modifico perciò il mio itinerario e a sorpresa decido di salire su un alto palazzo, il Tokyo Metropolitan Government Offices alla cui sommità si trovano delle terrazze panoramiche che permettono la vista gratuita di Shinjuku da un’altezza di 200m circa. Attendo che cali il buio nella sala fumatori notando che la pioggia non dà alcuna tregua. C’è un ragazzo francese, anche lui fumatore, anche lui in attesa che cali il buio. Iniziamo a chiacchierare e sembra simpatico. Mi presenta l’amico con cui è lì e anche lui mi sembra simpatico. Io probabilmente risulto essere simpatica e quindi decidiamo di passare insieme e simpaticamente questa uggiosa serata autunnale. Prima ci dirigiamo in una delle sale di Pakino dove la comprensione del gioco (il pakino appunto) mi riesce particolarmente difficile.. Abbandoniamo il pakino e concentriamo la nostra attenzione su altri videogiochi. Vediamo la copia palese della Tour Eiffel parigina e andiamo alla ricerca di un posticino dove poter cenare. La zona prescelta è quella di Rappongi e il nostro ristorante sembra carino e non troppo caro, con menù anche in inglese. La cameriera ahimè non capisce molto la lingua internazionalmente riconosciuta e abbiamo qualche difficoltà nell’ordinare. Siamo in una salettina con le solite pareti e porte di carta che ci separano dagli altri ospiti del ristorante. Fumiamo talmente tanto che a stento riusciamo a scorgerci tra tutta quella nebbia: in Giappone si può fumare nei ristoranti ma non si può fumare per strada: cose bizzarre. Ci scambiamo storie, esperienze, conoscenze: viaggiare e conoscere persone nuove è una grossissima opportunità di riflessione e di arricchimento, ed è ciò che amo di più del viaggio. Di questo viaggio.
3RD AND LAST DAY IN TOKYO
Ultimo giorno a Tokyo, ultimo giorno in Giappone. Vado diretta verso lo Sky Tree per salire sulla sua cima e ammirare il panorama: oggi il cielo è piuttosto limpido e se ho fortuna forse riesco anche a vedere il monte Fuji. La torre ha appena aperto e infatti non trovo coda e in men che non si dica mi trovo a un’altezza di 450m. La torre delle comunicazioni, che raggiunge i 634m di altezza, è il secondo edificio più alto al mondo dopo il Burj Kalifa con i suoi 830m. E’ una meraviglia ingegneristica, una metamorfosi di forme, avviluppato in una spessa rete di acciaio. Ha due piattaforme panoramiche: una a 350 e la più alta a 450m. La vista da entrambe è ovviamente breathtaking. C’è anche una piccola zona con pavimento dai pannelli trasparenti da cui è possibile vedere fino a terra. Sconsigliata per chi soffre di vertigini. Lo Sky Tree non tradisce le mie aspettative e mi dà la possibilità di vedere, oltre al panorama mozzafiato della città in movimento, il famoso e sacro monte Fuji. Mi vizio un po’ e mi concedo una colazione fatta di caffè e cheese cake nel bar della torre, con l’immensa Tokyo ai miei piedi.
Tornata a un’altezza normale, decido di dirigermi verso Shibuya. Shibuya è famosa per il suo incrocio, l’attraversamento pedonale più trafficato al mondo. Appena il semaforo verde lo concede, i pedoni scattano in tutte le direzioni riuscendo miracolosamente a schivarsi a vicenda. L’incrocio è circondato da centinaia di schermi luminosi che trasmettono pubblicità di ogni tipo. Il quartiere pullula di negozi di importanti brand, ristoranti, bar karaoke, hotel, capsule hotel (come dice la parola “capsule” si dorme in vere e proprie capsule.. senza finestre, senza poter stare in piedi: mi sembrano più macchinari per la tac che posti dove riposarsi). Ammiro l’andirivieni dei pedoni che attraversano l’incrocio più famoso al mondo dallo Starbucks all’angolo. Mi riprometto di tornare in zona in serata, quando i neon e i cartelloni pubblicitari si illuminano, e mi incammino verso un’altra zona: Harajuku, dove Takeshita-dori è il famoso bazar della subcultura giovanile dove sfilano gli adolescenti giapponesi vestiti in maniera eclettica (soprattutto goth-loli: ragazzine che vestono uno stile che è una via di mezzo tra moda romantic goth e Lolita) e dove negozietti d’abbigliamento si susseguono a perdita d’occhio, soddisfacendo chi è in cerca di qualcosa di originale. A pochi passi da questo eclettico quartiere, si trova il tempio shintoista Meiji-jingu, dedicato all’imperatore Meiji. Un altro bel tempio che però non ha niente a che vedere con quelli già visti in tutto il Giappone, ma che tuttavia è circondato da un affascinante e ampio parco dove si respira un’atmosfera mistica.
Vi ricordate la signora incontrata sul treno che da Miyajima mi portava a Hiroshima? Ecco, grazie alle ragazze proprietarie dell’ostello dove pernotto riusciamo a sentirci e fissare un appuntamento per bere un tè. Mi sembra di incontrare la mia nonnina, così dolce e amorevole ma fisicamente un po’ affaticata (e infatti è accompagnata da una signora che la aiuta). Mi regala un servizio di sottobicchieri dipinti a mano “made in Japan” e mi vuole offrire anche la cena. Mi racconta della sua vita, che le è morta la figlia e che ora deve prendersi cura dei ragazzi, a cui prepara colazione, pranzo e cena. Gli lava i panni che sporcano di continuo perché sono degli sportivi. Una donnina (è piuttosto bassa) super-impegnata che ha viaggiato ovunque nel mondo e che comunica una gran voglia di vivere e conoscere. Mangiamo in un grazioso posticino vicino all’ostello, un ristorante molto tradizionale e distante dai locali alla moda del centro. La TV trasmette un incontro di sumo. Lascio che siano loro a ordinare.. prendono un po’ di tutto: sushi, sashimi, zuppe con funghi, verdure, pesce. Una cena deliziosa che mi viene ancora una volta offerta. Ringrazio infinitamente la signora inchinandomi ripetutamente e dicendole che le scriverò una mail quando tornerò in Italia mandandole anche le foto scattate insieme. Sono quasi commossa dalla gentilezza delle persone che ho conosciuto in questo viaggio. Non so, forse sono stata fortunata. Forse, invece, i giapponesi sono fatti così, estremamente ospitali e gentili con i visitatori. A distanza di tempo, penso ancora a quella signora, il cui sorriso mi è rimasto impresso nella mente e nel cuore. Mi spiace salutarla. Sono consapevole del fatto che probabilmente non la vedrò mai più, così come tutte le altre persone conosciute finora, e la cosa mi rattrista. Il viaggio è già finito. Cazzo. Torno a Shibuya per salutare Lee e osservare ancora una volta la pazzesca attività del famoso incrocio a questa ora della notte. La notte non sembra notte, sembra giorno. Un giorno artificiale.
TIPS FOR PLANNING A TRIP TO JAPAN
Il Giappone è un paese meraviglioso, ricco di contrasti. Se avete voglia di modernità ed efficienza ma anche di tradizione e di storia allora questa è la vostra meta. I giapponesi sono un popolo estremamente ospitale e gentile, si fanno in quattro, anzi in otto, pur di aiutarti. Il rispetto è uno di quei principi su cui si basa l’intera società giapponese e permea in ogni aspetto della vita quotidiana. I giapponesi sembrano essere un popolo di grandissimi lavoratori, religiosi, noiosi conformisti, chiusi, ordinati, impostati. In realtà nascondono un lato molto diverso, perché appena possono si lasciano andare agli eccessi più sfrenati: un altro grande contrasto di questo paese. Il Giappone è un paese estremamente sicuro: pur essendo da sola non mi sono mai sentita in pericolo. Il mio itinerario: da Tokyo a Tokyo passando per Kyoto, Nara, Hiroshima, Miyajima, Hakone per una durata di circa due settimane e una spesa totale di €1.800 (volo diretto a/r incluso con alitalia).
Non c’è bisogno del visto (se starete in Giappone per meno di 90 giorni) ma del contante. A meno che non pernottiate in hotel a 3 o 4 stelle, se come me sarete dei budget traveler, vi consiglio di portarvi dietro il contante perchè in molti ostelli o ristorantini non è possibile pagare con bancomat o carta di credito. Comprate prima di partire il Japan Rail Pass,https://www.japan-rail-pass.it/?currency-code=EUR&ap=b6021as&gclid=CPLVvPjHo8gCFSQHwwodto4O3w, (perchè non lo si può comprare all’interno del paese) che vi consentirà di spostarvi rapidamente in tutto il paese: i treni giapponesi sono una vera e propria esperienza da non perdere. E’ meglio se prenotate i vostri pernottamenti un po’ di tempo prima: i giapponesi non amano troppo le sorprese. Per quanto riguarda la connessione internet, sono riuscita a trovare il wifi in tutti gli ostelli dove ho pernottato, quindi secondo me non è per forza necessario prendere come ho fatto io il poket wifi (ma se vi interessa visitate questo sito http://www.globaladvancedcomm.com/pocketwifi.html).
Da non perdere quando siete in Giappone
La cucina giapponese (che non ha niente a che vedere con gli “all you can eat” aperti in Italia).
Se siete a Tokyo, non perdetevi il mercato ittico dove potete gustare del buonissimo e freschissimo pesce e ammirare pesci di varie forme e dimensioni.
Gli onsen: sono stazioni termali (quelle all’aperto si chiamano “rotemburo”) gestite privatamente o pubblicamente, dove si incontrano persone nuove mostrando le proprie nudità.
I ryokan: sono locande tradizionali dove avrete la possibilità di vestire tipici abiti giapponesi (yukata) e dormire su veri e propri letti giapponesi (tatami).
Concedetevi una cena o una colazione tipica a base di zuppe, pesce, carne.
I templi shintoisti dove fare offerte e inginocchiarsi pregando per l’intervento degli dei dopo aver suonato la campana.
I templi buddisti dove la solfa non cambia di tanto.
Se siete a Kyoto e avete tempo non mancate di visitare il maestoso Todai-ji di Nara.
Fatevi aiutare e interagite con i gentilissimi signori dagli occhi allungati.
Premete uno dei mille pulsanti che trovate sull’asse del cesso che trovate nelle toilette: è possibile riscaldarlo!
L’asse.. ascoltate le delicate note che suonano le Geishe nella zona di Gion a Kyoto.
Ammirate i bellissimi giardini zen e i laghetti abitati da decine di carpe colorate.
Ubriacatevi facendo una degustazione di sakè. Se siete a Miyajima non perdetevi le ostriche alla griglia, una delizia!
Ci sarebbero forse altre decine di cose non perdere in Giappone.
Io di questo paese mi sono innamorata. Sono sicura che se deciderete di andarci capiterà anche a voi, di innamorarvi.