Giappone in 3d
Siamo arrivati, puntualissimi, alle 10 di mattina, dopo le 11 ore di volo diretto da Roma dove eravamo partiti il giorno prima. L’aeroporto di Narita sembrava un salotto, silenzioso e pulito; il controllo passaporti è durato un attimo, compreso il prelievo delle impronte digitali, dopodichè abbiamo recuperato, integri, i bagagli. Ci siamo subito recati al piano di sotto dove c’è l’ufficio della JR (Japan Railways) per ottenere il JR Pass cambiando gli ordini di acquisto presi a Roma: la signorina ci ha anche prenotato due posti sul Narita Express che di lì a poco (11.45) ci avrebbe portato a Tokyo Station in 54 minuti, attraversando risaie verdissime, fitte foreste di cipressi e cittadine disordinate, il tutto sotto una terribile cappa di umidità e il cielo grigio. Una volta arrivati a Tokyo Station abbiamo seguito le indicazioni (a fianco delle scritte in giapponese per fortuna ci sono anche quelle in inglese) e siamo andati a prendere un’altra delle linee JR, la Yamanote, un anello ferroviario che serve l’area urbana centrale di Tokyo, che ci avrebbe portato a Ueno distante 4 fermate e, come spiegato dai pannelli all’interno delle carrozze, 8 minuti. Se per leggere non abbiamo avuto problemi, questi sono sorti quando si è trattato di chiedere indicazioni su dove fosse il nostro hotel, che sapevamo essere vicinissimo alla stazione ma non esattamente dove: nessuno capiva una sola sillaba di inglese e ci venivano rivolte spiegazioni in giapponese; ma la gentilezza è stata tale che non abbiamo avuto grosse difficoltà a localizzare il Tourist Hotel che avevamo prenotato dall’Italia e che si trova esattamente a 1 minuto a piedi dall’uscita della stazione di Ueno, in un posto alquanto singolare dove la sopraelevata e le scale mobili si mischiano a tranquille e silenziose viuzze costellate di insegne esclusivamente giapponesi. L’Hotel, per quanto triste e piccolo, si è rivelato comodissimo, sennonchè abbiamo dovuto aspettare le 3 del pomeriggio per avere la nostra stanza (eravamo attesi per quell’ora, ergo a quell’ora la stanza ci sarebbe stata data…): ne abbiamo approfittato per pranzare in una bettola cinese lì accanto (serviti da ragazze alquanto divertite) dove per fortuna c’erano le foto dei piatti sul menù, prassi del tutto comune qui, come avremmo presto scoperto. Ho fatto quindi la prima esperienza con le bacchette e con la locale birra Asahi (buona), e ci siamo resi conto che i prezzi per mangiare forse non sarebbero stati così alti: per il pranzo abbiamo speso circa 7 euri in due. Dopo pranzo ci siamo riposati in albergo, poi verso le 7 abbiamo deciso di andare a farci un giretto, scoprendo però con sorpresa che già aveva fatto buio: qui non c’è l’ora legale e comunque hanno un fuso orario molto anticipato. Inoltre, nubi nerissime si stavano addensando…A ogni modo, siamo andati a fare una passeggiata per le viuzze accanto alla stazione di Ueno Station, strapiene di negozi, ristoranti e sale di Pachinko/Slot Machine, una vera mania dei giapponesi. Sopra le stradine corre la ferrovia e il quartiere ha un po’ l’aspetto di un suk mediorientale. Quando ha cominciato a fare il temporale siamo entrati in un kaiten sushi (sushi bar con nastro trasportatore) dove ci siamo fatti una grandissima mangiata: ogni piatto costava 136 yen (un sesto di quanto costa a Roma) ed abbiamo cominciato a capire che in Giappone non saremmo certo morti di fame. L’unico problema era ricordare il nome del locale per eventualmente ritornarci (insegna solo giapponese), ma ce ne erano talmente tanti che ci sarebbe stato solo l’imbarazzo della scelta. Visto il temporale, la stanchezza e che le strade si andavano svuotando, alle 8 ce ne siamo tornati in albergo.
MARTEDI 5 AGOSTO – TOKYO Dopo un’ampia dormita ci siamo svegliati alle 8.15: il tempo era brutto, pioveva e faceva caldo. Abbiamo fatto colazione in stile occidentale: uova e pancetta, toast e succo di frutta più caffè, serviti da un vecchietto gentilissimo che metteva la testa praticamente in orizzontale quando ci porgeva le cose, facendoci l’inchino. La sala della colazione era nel seminterrato ed era veramente microscopica; siamo usciti sotto la pioggia e abbiamo deciso di andarci a far fare la traduzione della patente nell’ufficio della JAF, di cui conoscevamo l’indirizzo (anche se ciò a Tokyo è scarsamente rilevante…): ottenute spiegazioni (a gesti) dal vecchietto abbiamo preso la Yamanote e siamo scesi 6 fermate più a sud. Abbiamo cominciato così a renderci conto del livello qualitativo dei trasporti qui: il treno spacca il secondo e fornisce l’ora esatta in cui si potrà scendere alla fermata desiderata. Ci siamo ritrovati in un quartiere fatto di viuzze e casette (Shiba) dove però non siamo riusciti ad orientarci. Abbiamo incontrato un tizio che, sempre a gesti, ci ha detto di attenderlo mentre risaliva in ufficio per prendere la piantina: poco dopo abbiamo ottenuto l’indicazione e in breve siamo arrivati alla JAF: un primo esempio della disponibilità e gentilezza dei giapponesi. Abbiamo consegnato patente e modulo per la richiesta: saremmo dovuti tornare dopo 2 ore per ritirare la traduzione, necessaria per poter guidare in Giappone. Abbiamo dunque deciso di sperimentare la metropolitana, che conta circa 14 linee e serve veramente ogni angolo della città: saremmo andati al palazzo imperiale. Anche nella metro una gentilissima signora ci ha aiutato (in inglese!) a fare il biglietto: per la verità è facile, in quanto ci sono le macchinette automatiche e l’importo è segnato sulla mappa delle stazioni: si sceglie la stazione di destinazione e si ricava il prezzo da pagare. E’ importante indovinare il prezzo perché altrimenti all’uscita non si passa e tocca pagare la differenza. In circa 15 minuti siamo arrivati alla spianata davanti al palazzo imperiale, con dei prati bellissimi e pini giapponesi. Abbiamo fatto appena in tempo ad intravedere il palazzo nel verde quando dal cielo nero si è scatenato il finimondo, che ci ha costretto a riparare prima sotto una lontanissima tettoia, poi in una vicina “rest house”, una specie di ristorante/centro informazioni. Verificato sulla mappa che le distanze non sono così grandi, siamo andati a riprendere la Yamanote per tornare allo JAF dove nel frattempo avevano fatto la traduzione. Siccome pioveva, per oggi abbiamo rinunziato agli spazi aperti e abbiamo puntato su Ginza, il quartiere dei negozi di lusso e dove si trovano il Sony Building e altre attrattive. Abbiamo pranzato alla stazione del treno ad un sushi bar (anche oggi 9 euro a testa, anche se abbiamo mangiato un po’ meno), buonissimo: c’era perfino il sushi di calamaro. In metro abbiamo raggiunto Ginza: per fortuna qui c’è una vera e propria città sotterranea che collega i vari negozi/grandi magazzini, visto che fuori continuava a piovere. Abbiamo visitato il Sony Building con le ultime trovate della casa (fra cui una radio che balla) e un acquario realizzato con schermi ad altissima definizione. Dopo una breve passeggiata in strada e una visita ad un grande magazzino (dove abbiamo imparato che nei piani seminterrati vendono ogni ben di Dio di roba da mangiare: noi ci siamo limitati a due ottimi frullati di frutta), abbiamo deciso di tornare in albergo a riposare. Verso le 7,15 siamo usciti di nuovo: aveva smesso di piovere, così ci siamo fatti una passeggiata per Ueno, con le sue viuzze strapiene di negozi, ristoranti e gente variopinta, sotto i binari della ferrovia che domina il paesaggio. Ci hanno veramente impressionato le sale pachinko con le slot machines, affollatissime di uomini che giocano con un frastuono assordante: allucinanti. Abbiamo cenato in un tipico ristorante giapponese di carne: sul tavolo c’è un buco nel quale viene messa la carbonella con sopra la griglia; si scelgono i piatti di carne cruda sul menù fotografico e poi ci si cucina da soli la carne, che è morbidissima e molto buona: una cena abbondante ed economica. Dopo cena siamo andati in giro al di là della ferrovia, verso il parco (che è la caratteristica principale di questo quartiere), scoprendo una via di locali hard dove distinte ragazze invitavano gli uomini ad entrare, in modo oserei dire abbastanza discreto. Dopo un po’, vinti dalla stanchezza, ce ne siamo finalmente andati a dormire.
MERCOLEDI 6 AGOSTO TOKYO Con grossa sorpresa al nostro risveglio abbiamo intravisto nella fessura che fungeva da finestra ciò che sembrava somigliare alla luce solare. Fatta colazione, abbiamo deciso di approfittare della fortuna andando a visitare il giardino orientale del parco imperiale, ossia l’unica parte aperta al pubblico dei giardini imperiali. Fatto il biglietto giornaliero per la metro (1000 yen) alla stazione di Ueno, in pochi minuti siamo arrivati a Takebashi, proprio nei pressi di uno degli ingressi del parco. Siamo entrati (ci hanno dato un gettone da restituire all’uscita) e ci siamo fatti una lunga passeggiata in quello che è il sito del vecchio castello di Edo, sotto un sole cocente e un’afa non trascurabile ma, almeno, con il cielo azzurro. Il giardino è bellissimo (ci sono i pini giapponesi, i cipressi e una quantità di alberi differenti, sui quali una popolazione di animali misteriosi emette dei suoni assordanti e stranissimi, tanto da sembrare finti) e ci siamo rimasti un bel po’. Poi, anche per il gran caldo, abbiamo deciso di andare a visitare un luogo chiuso con l’aria condizionata e ci siamo spinti verso il vicino Museo delle Scienze, che si è rivelato essere più che altro un luna-park per centinaia di bambini che giocavano con i vari esperimenti di fisica, meccanica, eccetera, peraltro spiegati solo da cartelli in giapponese con qualche sottotitolo in inglese. Alla fine ci siamo stufati e abbiamo deciso di sfruttare la bella giornata (si era alzato pure uno spiraglio di vento) andando vicino a Shibuya a visitare il più bel tempio scintoista di Tokyo, il MEJI JINGU, che si trova al centro di un vasto parco. Ci siamo resi conto di aver assunto ormai una certa pratica della città e della sua metro: siamo arrivati infatti dalla parte opposta della città in poco tempo e, dopo una breve passeggiata nel parco ombreggiato passando davanti a strani cosi dipinti simili a botti (e in effetti dalla parte opposta del viale sono allineate botti di champagne…) e sotto un enorme torii di legno, siamo arrivati al tempio, molto suggestivo. Abbiamo fatto in tempo a vedere un monaco suonare il gong e a vedere come si usi appendere tavolette di legno votive intorno ad un grande albero sacro: poi siamo tornati verso la stazione della metro con l’intenzione di pranzare. Faceva veramente caldo: superata la stazione, ci siamo infilati in una stradina a destra, Takeshita Dori dove siamo stati letteralmente sommersi da una fiumana di giovani e giovanissimi, al 90% ragazze che intasavano il luogo facendo shopping, vestite nelle maniere più assurde e imbarazzanti. Ci siamo infilati in un ristorantino ibrido dove abbiamo mangiato minestra, riso e pollo fritto, dopodichè, ripreso il treno Yamanote per Ueno, in mezz’ora siamo tornati in albergo, dove Francesca ha deciso di pisolare, mentre io ho fatto un giro per il quartiere (ho cercato anche di avere informazioni per affittare una macchina a Takayama, ma all’ufficio turistico non c’è stato verso di farsi capire quindi ho ripiegato su un funzionale ed efficiente internet point) dove ho osservato la folla di gente variopinta che ho capito essere una caratteristica peculiare e interessante delle città giapponesi: uomini che tornano dal lavoro con la borsa da donna e si infilano in un ristorante a cenare velocemente, studentesse con la gonnellina a pieghe, il fiocco sulla camicia bianca e i calzini al ginocchio, signori di mezza età che sciamano in una sala pachinko, ragazze con i capelli dipinti, pantaloncini ascellari e tacchi altissimi, gente che si ferma a fumare nelle apposite aree all’aperto, tutti comunque con il cellulare in mano o una valigia appresso. Dopo 4 passi nell’arcade sotto la ferrovia, dove ci sono anche i negozi di pesce, ho fatto un salto al parco di Ueno che, come effettivamente la Lonely Planet preannunciava, pullula di barboni e senzatetto, cosa sorprendente per la verità. Unito al fatto che il cielo era di nuovo diventato plumbeo, tutto ciò mi ha dato un immagine del parco piuttosto tetra. Dopo la cena all’ennesimo sushi-bar, abbiamo dichiarato conclusa la nostra prima parte a Tokyo: l’indomani saremmo partiti per Kyoto con lo shinkansen (avevamo avuto difficoltà a prenotare i posti a sedere, fra l’altro) dove finalmente avremmo incontrato gli altri amici.
GIOVEDI 7 AGOSTO Abbiamo raggiunto Tokyo Station con la Yamanote con un’ora di anticipo sull’orario del treno, precauzione che qui in Giappone è semplicemente ridicola, anzi dannosa: la scarsità di sale d’aspetto (dovuta al fatto che la gente arriva sempre a ridosso dell’orario di partenza) ci ha fatto aspettare l’arrivo dell’HIKARI 411 in piedi, in mezzo ad una folla frenetica. Siamo partiti alle 11.33 e durante il tragitto abbiamo intravisto pure, fra le nuvole, l’agognata vetta del Fuji: saremmo riusciti a salirci prima della fine delle vacanze? Quando il controllore entrava e usciva dal vagone si produceva in un profondo inchino: questo è accaduto spessissimo, per tutta la durata del viaggio di 2 ore e 41 minuti, fino al nostro ingresso nella Kyoto Station, che avevamo pensato essere un edificio avveniristico con pensiline nel vuoto e vetrate spaziali: ci sembra tuttavia una normalissima stazione, piena di negozi, pulitissima, ma pur sempre normale. Abbiamo subito raggiunto tramite sottopassaggio il KEIHAN HOTEL proprio di fronte alla stazione e ci siamo dati appuntamento con gli altri compagni di viaggio, che erano nel frattempo arrivati e che alloggiavano in un albergo lì vicino, per un sushi nei pressi del McDonald della stazione. Abbiamo però girovagato per la stazione senza capire dove fossero, arrivando così nella gigantesca hall, capendo così che questa non era una stazione normale: una volta di vetro sovrasta a 50 metri di altezza l’atrio con scale mobili lunghissime e pensiline sospese nel vuoto, oltre a centinaia di negozi e ristoranti, alberghi e grandi magazzini. Non siamo riusciti a trovare i nostri amici, tanto che ad un certo punto io e Francesca abbiamo deciso di pranzare in uno dei centomila ristorantini (piatto unico: oudon, riso con condimenti vari, sashimi, tofu). Alla fine comunque siamo riusciti ad incontrarci e, dopo i convenevoli di rito, abbiamo deciso di andare subito a visitare il più vicino dei templi della città, il Toji-ji distante pochi isolati e famoso per la pagoda a 5 piani più alta del Giappone e per una serie di statue di Buddha conservate nelle altre due sale tutte di legno. Il tempio è suggestivo e la breve visita è terminata mezz’ora dopo, quando alle 5,30 i custodi ci hanno cacciato via. Siamo dunque tornati alla Kyoto Station che è essa stessa un grosso monumento della città, per quanto controverso: abbiamo fatto un giro più dettagliato sino alla terrazza panoramica sul tetto da cui si vede tutta la città, percorrendo pure la pensilina sospesa nel vuoto. Abbiamo poi deciso di andare a cena in centro, per cui abbiamo preso la metropolitana (esistono due linee della subway e altre linee per le quali occorre un biglietto separato) con l’intenzione di fare una passeggiata per il quartiere caratteristico di Ponto-cho, sulle rive del fiume. Dopo aver camminato per Kosumari Dori (la via più commerciale della città) ci siamo intrufolati in una stretta viuzza fiancheggiata da piccole case di legno: molto carino ma anche molto turistico: sono in realtà tutti ristoranti, in uno dei quali ci siamo fermati per cena: l’ambiente era molto carino, tutto di legno e molto preciso; il menù era un po’ scarso (sembrava più un posto da aperitivi): abbiamo mangiato microspiedini di pollo, una specie di tartare a base sempre di pollo e sashimi idem. Tutto sommato siamo rimasti soddisfatti e abbiamo proseguito la passeggiata notando come una gran quantità di ragazzetti stazionasse a bere davanti ai bar: buona parte erano completamente ubriachi e riversi al suolo, scena inaspettata in Giappone. Stanchi morti, siamo tornati in albergo dove ci aspettava una bellissima stanza grande e comoda al dodicesimo e ultimo piano.
VENERDI 8 AGOSTO – KYOTO Ci siamo dati appuntamento con gli altri, già colazionati, alle 9 da McDonald, che era diventato una sorta di punto di riferimento (nel quale mi sono peraltro ben guardato di entrare). Noi potevamo scegliere se fare colazione in stile europeo o giapponese nei due ristoranti del tredicesimo piano: abbiamo scelto l’occidentale che si è rivelata buona e abbondante tanto che ci siamo presentati all’appuntamento con 10 minuti di ritardo. La giornata era velata e caldissima: abbiamo attraversato la stazione e sul piazzale abbiamo fatto il biglietto giornaliero per i bus. Non ci siamo fatti scoraggiare dalle lunghe file per prendere l’autobus (qui le file sono rigorosamente due a due) e poco dopo siamo saliti sul 206 diretti alla zona dei templi a ridosso delle montagne nella parte est della città, che costituisce un itinerario molto battuto. Dopo un quarto d’ora di strada trafficata l’autobus si è fermato nei pressi di una stradina in salita che conduceva al primo tempio che avremmo visitato, il KIYOMIZU DERA. L’insieme dei templi di Kyoto è patrimonio dell’Umanità, e questo tempio è uno dei più significativi. Abbiamo preso la stradina salendo fra basse casette di legno caratteristiche della vecchia Kyoto, piene di negozi di vario genere: i distributori automatici, onnipresenti in tutto il Giappone, si sono rivelati indispensabili per prendere l’acqua, oggi più che mai necessaria. Dopo circa 500 metri siamo arrivati al cospetto del San-Mo (portale) colorato che dà accesso al tempio. Il posto è bellissimo: parecchi edifici completamente di legno costituiscono il tempio, abbarbicato su un lato della verdissima montagna in posizione dominante sulla città. L’unico problema era la folla indescrivibile che come un fiume in piena affluiva all’ingresso, dove si pagava il biglietto: migliaia di bambini quasi tutti giapponesi che seppur in modo educato affollavano il luogo privandolo un po’ del fascino che avrebbe avuto se fosse stato deserto. Saremmo dovuti arrivare molto prima, anche per scampare al caldo terribile (35°) prodotto dal sole attraverso la lente di nubi velate. Il posto comunque è eccezionale, con tantissimi scorci per le foto e parecchi ambienti sacri, ordinatissimi e pulitissimi, comprese due pietre sacre dedicate alle coppie. In circa mezz’ora abbiamo completato il percorso, in mezzo ai ciliegi e ai pini, giungendo alla cascata (o meglio, alla fontana) la cui acqua se bevuta si dice che guarisca da numerosi mali. Francesca ha fatto la fila e ha bevuto con un mestolo (sterilizzato con i raggi ultravioletti!) mentre noi l’aspettavamo tra la folla. Dopodichè abbiamo abbandonato lo splendido tempio e abbiamo ripreso in discesa la stradina dei negozi: ad un certo punto abbiamo girato a destra scendendo per un’altra stradina (Sannenzaka), pure fiancheggiata da casette di legno, proseguendo poi per l’analoga Nonnenzaka, fino ad arrivare ad un grande parcheggio alla cui destra svettava un Buddha gigante circondato da un recinto: si trattava del monumento al Milite Ignoto giapponese… Attraverso un vialetto fiancheggiato da cilindri bianchi con delle scritte siamo entrati nel secondo tempio della giornata, il KODAI-JI, splendido e finalmente silenzioso, costituito da vari edifici circondati da un bellissimo giardino giapponese e collegati fra loro da passerelle, alcuni abbarbicati sul fianco verde della montagna. Per accedere ai pulitissimi interni, i cui pavimenti sono di legno e tatami, occorre togliersi le scarpe. L’edificio più alto, al di là di una foresta di enormi canne di bambù, è la casa del Maestro della Cerimonia del Te, in piedi da 500 anni. Questo tempio ci ha fatto un’ottima impressione: peccato che la velatura del cielo fosse andata aumentando di spessore (senza che tuttavia il caldo diminuisse). Dopo essere usciti, abbiamo deciso di andare a pranzo e riprenderci dall’afa terribile: siamo entrati, lungo la stradina, in un ristorante che in realtà era una casa privata (dove la padrona ci ha fatto togliere le scarpe) e il pranzo era servito in una sala dalle pareti vetrate (con le serrande di carta) su tavoli alti 30 cm. Peccato che ci fosse puzza di fumo: qui in Giappone infatti è ancora consentito fumare nei locali… Abbiamo mangiato lì in 4: siamo riusciti ad intenderci con la signora su quale birra volessimo e su quale cibo prendere: nessuna speranza di avere un menù in inglese, per fortuna c’erano un paio di foto; l’aria condizionata inoltre è stata una vera mano santa. Dopo pranzo abbiamo proseguito andando in cerca degli altri e del tempio CHION-IN che però non siamo riusciti a trovare subito. Prima ci siamo imbattuti in un ampio viale alberato che saliva sulla destra e che ci ha condotto all’HIGASHI OTANI, un tempietto dove era in corso una funzione, poi ci siamo persi nel giardino pubblico MARUYAMA KOEN, con ruscelletti e ponticelli, esageratamente magnificato dalla Lonely Planet. Infine siamo riusciti a pervenire al gigantesco Chion-In (la difficoltà era che non vi era alcuna scritta o indicazione differente dal giapponese, quindi era complicato capire dove si trovassero anche i monumenti più importanti) dove abbiamo incontrato gli altri. Abbiamo visitato il tempio, inclusa la campana più grande del Giappone, sotto un cielo diventato grigio piombo, poi ce ne siamo andati scendendo la ripida e maestosa scalinata, attraversando l’enorme portale (che distingue il tempio da un santuario al cui ingresso invece c’e’ un torii). Proseguendo sulla destra, abbiamo deciso di visitare l’ultimo tempio della giornata (fra l’altro si avvicinava l’orario di chiusura, dato che erano le 4 passate): lo SHOREN-IN, che dapprima ci ha lasciato diffidenti (sembrava di entrare in una casa privata) e poi ci ha sorpreso per la varietà e l’ampiezza degli ambienti in stile ovviamente giapponese (proprio quello che uno si immagina: porte di carta di riso scorrevoli, lampade, tatami, legno…), per il numero di edifici tutti collegati fra loro e circondati da uno spettacolare giardino zen. Peccato che il cielo fosse scuro, ma la visita è stata lunghissima e bellissima, con tanto di contemplazione del giardino da una delle verande. Terminata la visita abbiamo ripreso l’autobus, il 100, verso Kyoto Station: l’autobus era strapieno ma il viaggio è stato breve. Dopo una meritata pausa di un paio d’ore in albergo ci siamo incontrati di nuovo per la cena: abbiamo deciso di non privarci dell’aria condizionata così siamo andati a mangiare in uno dei numerosi ristoranti all’11° piano dove con qualche difficoltà abbiamo ordinato un piatto doppio costituito da 6 vassoietti che includevano fritti e carne (oltre che addirittura prosciutto, a testimoniare la non perfetta peculiarità del ristorante) e che abbiamo apprezzato moltissimo, spendendo al solito molto poco. Con i lampi e i tuoni in cielo siamo tornati in albergo: qui in Giappone alle 9,30 chiude tutto: si direbbe che siano circa due ore avanti rispetto al nostro modo di vivere… 9 AGOSTO 2008 – SABATO – KYOTO Oggi ci saremmo dedicati alla parte nord-ovest della città. Il tempo più o meno era come il giorno prima, ossia si moriva di caldo: abbiamo preso intorno alle 9 l’autobus che ci ha portato alla prima delle mete odierne: il celeberrimo Tempio d’Oro nel KINKAKU-JI, un fantastico giardino con lo stagno e i pini sulle rive del quale si staglia il padiglione dorato (ricostruito negli anni ’50 dopo che era stato bruciato da un monaco esaurito). La passeggiata per i sentieri e intorno al padiglione è stata bellissima ed è una delle perle di un viaggio in Giappone: dopo un’oretta siamo tornati alla fermata dell’autobus (il 59, stavolta) per raggiungere il non lontano RYOAN-JI dove oltre un laghetto coperto di ninfee c’era il monastero vero e proprio, sempre in legno e carta, all’esterno del quale c’e’ il più celebre giardino zen del Giappone: 15 massi sparsi su un mare di sabbia arata. La guida dice che ciò ha infiniti significati e che è il posto ideale per meditare… Visitato anche questo secondo tempio, con l’aria sempre più calda e sempre maggiore la somiglianza ad una sauna, abbiamo ripreso l’autobus per andare a visitare il complesso del DAITOKU-JI, all’interno del quale c’e’ una serie di templi zen di cui noi ne abbiamo visitato due: il DAISEN-IN e il RYOGEN-IN notevoli per i giardini al loro interno, molto suggestivi. Nel secondo tempio c’era pure un monaco mattacchione che sapeva la poesia tipica del meditatore zen in tutte le lingue del mondo. Vista l’ora e il caldo io e Francesca abbiamo deciso di pranzare in un ristorantino appena fuori il portale nord mentre gli altri si procacciavano il cibo in un vicino supermercato. Abbiamo mangiato soba e tempura (buonissima, anche se ci ha un po’ meravigliato il fritto immerso nella zuppa) e poi con gli altri abbiamo ripreso l’autobus verso il celeberrimo GINKAKU-JI o Padiglione d’Argento, uno dei luoghi-immagine del Giappone e di Kyoto in particolare. Purtroppo il padiglione in quanto tale era in restauro, ma il giardino era veramente spettacolare, tanto più che siamo riusciti a vedere anche un po’ di sole. Appena usciti, nel vialetto fiancheggiato da negozi e bancarelle che conduceva alla fermata dell’autobus, Fra si è presa una “tornado potato”, ossia un’intera patata tagliata a spirale, infilata in uno stecchino e fritta: eccellente. Prima di tornare in hotel, siamo arrivati alla stazione e siamo andati a prenotare i posti a sedere per i viaggi in treno successivi, perlopiù sovraffollati. Ho fatto visita anche ad un vicino internet point per avere la conferma che effettivamente la macchina a Takayama era stata prenotata per il giorno 17. Per cena abbiamo optato per il sushi a nastro sotto la stazione: eccellente! Io e Fra ci siamo mangiati 26 piattini e una zuppa…Dopodichè, esausti, ce ne siamo andati a dormire mentre gli altri indefessi nonostante l’ora tarda si sono avviati per una visita al quartiere di GION.
10 AGOSTO Oggi la giornata dal punto di vista meteorologico pareva migliore: sempre caldissimo, ma il cielo era sereno e il clima leggermente meno umido. All’appuntamento dopo colazione siamo arrivati tardi a causa della gran fila per fare colazione dovuta per la verità anche alla scarsa razionalità nell’assegnare i tavoli alla gente. Quando però siamo arrivati una delle coppie di nostri amici non c’era, in quanto lei aveva accusato problemi di salute. Ci siamo ulteriormente divisi e noi siamo andati con Alessandro e Francesca a vedere anzitutto il Giardino del Palazzo Imperiale, nei pressi di Kyoto centro, che si è rivelato essere un enorme parco intorno al palazzo che però era chiuso al pubblico: nel complesso, un po’ una fregatura. Abbiamo così deciso di spostarci subito (sempre in metro) al castello NIJO-JO, che si trova all’interno di un parco circondato da bastioni e fossato. Il posto è molto bello: siamo entrati nel palazzo di NINOMARU, patrimonio dell’Umanità, veramente eccezionale: un dedalo di corridoi con pavimenti di legno “a usignolo” (tali cioè per cui quando ci si passa sopra scricchiolano ricordando il canto di un usignolo e servivano ad avvertire gli shogun della presenza di intrusi) si affacciano attraverso separè su varie stanze le cui pareti sono affrescate con molteplici motivi perlopiù naturalistici: gli affreschi, della scuola di Kano hanno più di 400 anni e sono bellissimi. Peccato che fosse proibito fare fotografie. Una volta usciti dal palazzo abbiamo fatto il giro del parco (finalmente con una luce decente) e del giardino HINMARU, fino a raggiungere un bastione da cui si ha un bel panorama. Prima di tornare dagli altri in albergo abbiamo deciso di visitare un ultimo tempio: di nuovo con la metro abbiamo raggiunto la zona nord-est, alle pendici delle montagne e siamo andati a visitare il NANZEN-JI. Siamo saliti a piedi scalzi sul grande portale di legno da cui si godevano un bel panorama e una bella arietta, poi su suggerimento della Lonely Planet ci siamo diretti oltre l’acquedotto a cercare il OKU-NO-IN, ma dopo una breve passeggiata nel bosco umido, siamo tornati indietro anche perché si stava facendo tardi. Arrivati di nuovo alla stazione (lisciando per l’ennesima volta l’appuntamento con gli altri) abbiamo pranzato: io sono tornato al sushi a nastro moderandomi (solo 10 piattini), le Francesche, indegnamente, al McDonalds. Nel tardo pomeriggio ci siamo incontrati nei pressi di Ponto-cho: dopo una breve passeggiata per il quartiere delle geishe (Gion) al di là del fiume, con belle stradine con case di legno, siamo andati a cena dove in precedenza avevamo prenotato: il Tagoto Restaurant su Sanjo Dori, segnalata dalla Lonely Planet per sperimentare una cena kaiseki, ossia tradizionale giapponese con numerose portate ordinate con cura e raffinate anche dal punto di vista estetico. Molto importante è stato tenere a mente che in Giappone mangiare oltre le 8 di sera è invero complicato, quindi avevamo prenotato per le 7,30. Il ristorante era molto carino: ci hanno fatto mangiare in una stanza tutta per noi e ci hanno servito almeno in 4 cameriere, portando 7 pietanze in sequenza del menù che avevamo scelto. Alla fine abbiamo speso circa 45 euro a testa, ma ne è valsa la pena: l’esperienza è da fare almeno una volta anche perché la quantità, pur non abbondante, è quella giusta e la varietà dei piatti (c’erano tofu, minestre, sashimi, pesce arrosto, melanzane giapponesi, gelato al tè verde e altro) è validissima.
11 AGOSTO – LUNEDI- NARA Avevamo appuntamento la mattina al binario 10 per prendere il treno rapido per Nara, l’antica capitale del Giappone nell’VIII secolo, ad una trentina di km da Kyoto. Il treno era abbastanza vuoto ed è partito naturalmente spaccando il secondo. La giornata era bella e calda come al solito: abbiamo percorso a lungo i sobborghi di Kyoto fermandoci in alcune stazioni: in realtà il Giappone qui sembra un intero conglomerato di case e casette a perdita d’occhio con montagne verdissime a fare da sfondo: meno peggio, tuttavia, di quanto immaginassi. Certo, il concetto di campagna è molto vago, perlomeno lungo la linea ferroviaria, e mi immagino che questo potrà essere il futuro prossimo dell’Europa, purtroppo. Siamo arrivati a Nara alle 10 e la città si è presentata come una grossa distesa di palazzi in una valle ai piedi delle montagne ricoperte di verde. Faceva molto caldo: siamo scesi dal treno e ci siamo incamminati verso est attraversando un quartiere piuttosto anonimo lungo una strada molto turistica con negozi, negozietti e perfino la musica e gli annunci diffusi da altoparlanti piazzati su ogni palo della luce. Anche qui, come nelle altre città, i cavi elettrici formavano un inestricabile dedalo sopra le nostre teste, e ciò contrastava un po’ con la modernità del Giappone, soprattutto con il suo concetto di ordine e pulizia. Dopo circa 20 minuti siamo arrivati in una grandissima area verde che di fatto racchiude tutti i maggiori punti di interesse della città, popolata da una miriade di cervi e cerbiatti che circolano con la massima libertà e tranquillità, facendosi avvicinare e carezzare da tutti (e conferendo al luogo una puzza non trascurabile). Il primo monumento è stato il KOFUKU-JI, costituito da vari edifici fra cui spiccava la grande pagoda a 5 piani (seconda, e di pochissimo, solo a quella di Kyoto), con a fianco la grande sala contenente un certo numero di statue. Io e Francesca siamo andati al tempietto di fronte (l’area fra l’altro era parzialmente in fase di restauro) dove c’era gente che suonava il piccolo gong sul timpano per mezzo di un drappo multicolore e c’era la possibilità di timbrare con delle preghiere (almeno credo fossero tali) un pezzo di carta, tipicamente, per i turisti, la guida. Abbiamo poi visitato la sala museo contenente altre numerose statue recuperate in altri edifici vicini. Dopodichè abbiamo percorso nel verde, lungo la via principale, il parco per circa un km e, svoltati a sinistra, lungo una via strapiena di negozietti (e di cervi) abbiamo visto l’ingresso del TODAI-JI, il monumento più insigne (nonché uno degli 8 siti patrimonio dell’umanità) di Nara, all’interno del quale c’è il DAIBUTSU-DEN, l’edificio in legno più grande del mondo dove è racchiusa una gigantesca statua in bronzo di Buddha. Il monumento era meritevole e ci siamo rimasti per un po’, anche qui timbrando la guida. Siamo poi saliti fino al poco distante NIGATSU-DO, un bellissimo tempio cui si accede attraverso una scalinata delimitata da lanterne in pietra e dalla cui terrazza si gode un bellissimo panorama della città e della valle, con l’enorme tetto del Daibutsu-Den in primo piano. Siamo stati anche avvantaggiati dal tempo buono, oltretutto molto meno umido dei giorni precedenti, non abbastanza secco tuttavia per impedirci di sudare e di stancarci al punto di decidere di fermarci a pranzo proprio lì davanti, in una locanda dove abbiamo mangiato soba (spaghetti di grano saraceno in minestra: la mia era buonissima, al curry) e oudon (spaghettoni bianchi tipo strozzapreti un po’ viscidi, sempre in minestra). Dopo pranzo abbiamo fatto rotta per NARAMACHI, quartiere caratteristico con negozietti, case di legno e artigiani. In realtà si è rivelata una fregatura in quanto ci è parso parecchio squallido: se non altro io e Francesca abbiamo trovato i bicchieri per il nostro servizio rustico… Abbiamo ripreso il treno per Kyoto al volo, alle 16,09 e alle 17,15 eravamo di nuovo in albergo. A cena abbiamo provato, all’ultimo piano della Kyoto Station, un ristorante di okonomaky, ossia una specie di frittatone alla piastra guarnito con varie cose (carne, pesce, calamaretti, gamberi, eccetera) il che ci ha fornito l’ulteriore prova di quanto sia variegata la cucina giapponese, oltretutto spendendo pochissimo. Era finita così l’ultima giornata a Kyoto-Nara: due posti indubbiamente bellissimi, con monumenti straordinari, ma che da cui personalmente forse mi sarei aspettato di più, dato che non hanno quasi nulla di mistico nel loro complesso, ma sono caotiche città con qualche isola (nel caso di Kyoto, moltissime isole) di incredibile bellezza.
12 AGOSTO – MARTEDI – KYOTO-HIMEJI-HIROSHIMA Oggi era il compleanno di Francesca e per l’ennesima volta l’avremmo trascorso in un posto lontanissimo da casa…Abbiamo lasciato il nostro hotel di Kyoto non senza qualche rimpianto e siamo andati a prendere lo shinkansen delle 9,49, destinazione Himeji. Purtroppo non avevamo trovato posto nella carrozza non fumatori e ci è toccata quella fumatori, nella parte posteriore del treno. Per fortuna il viaggio è stato breve: dopo 55 minuti siamo scesi alla stazione di Himeji, dove abbiamo depositato i bagagli negli appositi scomparti prima di imboccare il vialone che dalla stazione conduceva, in 20 minuti, al castello: il vialone era alberato e decorato con varie sculture. Il tempo oggi era bellissimo: il cielo azzurro e l’aria calda ma non troppo umida ci hanno ricordato l’estate mediterranea. Il castello si stagliava bianco sullo sfondo e in posizione dominante sulla città. E’ un grande edificio a più piani con tetti spioventi circondato da bastioni e da un numero imprecisato di ciliegi. Per accedervi, alla fine del vialone abbiamo attraversato un ponticello e percorso un prato assolato, proprio sotto la fortezza che è veramente spettacolare. Abbiamo fatto il biglietto cumulativo per il castello e i vicini giardini Koen e siamo entrati seguendo il percorso indicato dalle frecce. Abbiamo percorso il bastione e il suo meraviglioso camminamento: un corridoio lunghissimo tutto di legno con ambienti vari e feritoie per respingere i nemici a suon di olio bollente. Siamo poi saliti sul castello vero e proprio: dapprima sul piazzale (dove c’era anche un curioso sistema rinfrescante che spruzzava aria vaporizzata) e poi fino al 6° piano della costruzione di legno, veramente bellissima e dalla quale si aveva un panorama totale di Himeji, fino al mare. Questo sito, patrimonio dell’umanità, è stato uno dei posti più belli visti in Giappone. Usciti dal castello, abbiamo visitato i giardini Koen, costruiti nel 1992 sulle rovine di antiche case secondo canoni dell’epoca Edo: molto affascinanti con laghetti, cascatelle, sassi e piante di ogni tipo. Siamo poi tornati alla stazione, fermandoci al piano seminterrato di un grande magazzino dove, come è costume qui, si vende ogni sorta di generi alimentari: qui era veramente uno spettacolo, con tutte le specialità gastronomiche giapponesi a portar via (i Bento) e anche ottimi frullati di frutta. Personalmente ho preso un bento di sushi che ho mangiato poi sulla banchina del treno in attesa dello shinkansen per Hiroshima delle 15.49. Non avevamo i posti prenotati sicchè siamo entrati nelle carrozze “libere”, piene all’inverosimile, facendo tutto il viaggio in piedi (1 ora circa) fino ad Hiroshima. Per fortuna avevamo prenotato un hotel piuttosto vicino alla stazione (5 minuti a piedi) e quindi ci siamo arrivati facilmente, stanchi morti e sudati come non mai, vogliosi solo di lavarci e riposarci. Il Grand Intellingent Hotel (omen nomen) era un albergo all’apparenza lussuoso, con la hall in legno; la stanza era buona e siamo stati molto soddisfatti. Alla sera abbiamo preso il tram n. 6 alla vicina fermata per andare a cena con gli altri al palazzo degli okonomaky, cioè 5 piani di chioschi dove si mangia questa specialità, simile per la verità ad un girone dantesco. Abbiamo invece cenato in un tranquillo locale al piano terra dove servivano zuppe di miso, riso e spiedini di manzo e pollo. Veramente validissimo, tanto che gli abbiamo svuotato completamente la dispensa attirandoci la simpatia dei gestori che ci hanno pure offerto un ottimo sake. Dopo cena per festeggiare il compleanno di Francesca siamo andati a bere in un baretto poco distante, pieno di giovani (militari americani e ragazzotte che giocavano alla botte del pirata). Le ordinazioni sono state alquanto difficoltose: io per non sbagliare ho preso il sake, Francesca si è invece vista portare un caffellatte col ghiaccio…
13 AGOSTO – MERCOLEDI’ – HIROSHIMA/MIYAJIMA Verificato che la colazione dell’Intelligent Hotel servita oggi all’ultimo piano panoramico, non era all’altezza di quella di Kyoto, (forse a causa dell’ora tarda, intorno alle 9, in cui ci eravamo presentati), ci siamo diretti a piedi alla stazione per prendere il treno per Miyajima-Guchi, il porticciolo da dove parte il traghetto per Miyajima. Abbiamo chiesto lumi al personale che ci ha indicato la banchina 4, alle 9,48 (il problema è stato che la destinazione del treno aveva un altro nome). In 25 minuti siamo arrivati a Miyajima Guchi, dopo aver attraversato i sobborghi di Hiroshima che si estendono a perdita d’occhio senza soluzione di continuità, caratteristica peculiare di tutte le zone pianeggianti del Giappone. Qui abbiamo fatto pochi passi e poi abbiamo preso il traghetto (compreso nell’abbonamento JR) verso la vicinissima isola di Miyajima, che si presenta come un profilo seghettato verdissimo con alla base, proprio di fronte al porto, l’abitato principale con il celeberrimo torii arancione galleggiante. Nel canale abbiamo visto enormi allevamenti di ostriche, specialità della zona. In 10 minuti siamo sbarcati in quello che sembra l’equivalente di Ponza per i locali: un lungomare affollatissimo, poche macchine, casette basse, infiniti negozi di souvenir e cibo, e i templi: quello principale, Itsukushima-jima, arancione, a palafitte sul mare e col torii galleggiante che avremmo visitato nel pomeriggio; SENJO-KAKU, un grosso padiglione di legno col soffitto pieno di dipinti, superarieggiato (sta sopra una collinetta) e con una pagoda rossa a 5 livelli proprio lì accanto, che abbiamo visitato subito, con grande sollievo data la frescura. La giornata infatti, pur essendo ventilata, era calda e umida. Abbiamo deciso di approfittare del bel tempo (le previsioni davano nuvole nel pomeriggio) per salire al Monte Misen, la massima (530 metri) altura dell’isola. Abbiamo dunque preso la navetta gratuita per la base della funivia; in un primo momento c’era un sinistro cartello che affermava che la funivia fosse chiusa: per fortuna è stato rimosso, forse perché si erano accorti che le previsioni non erano del tutto esatte, e noi siamo stati i primi a salire. La funivia ha 2 tronconi: il primo percorre una valle verdissima e silenziosa, il secondo è spettacolare perché è esposto su un panorama fantastico quasi a picco sul mare, verso la costa e le altre migliaia di isole del mare interno. L’arrivo è a 430 metri e la stazione è circondata da cervi e scimmie. Con 20 minuti di cammino siamo arrivati Poi in prossimità di un tempio, quasi in cima, molto suggestivo (c’è anche un pentolone in perenne ebollizione) dopodichè io in altri 5 minuti ho raggiunto la vetta da dove il panorama è a 360° su Hiroshima, la costa, le montagne e le miriadi di isole: veramente stupendo. Il tempo sembrava guastarsi quindi abbiamo ripreso la via del ritorno e in 40 minuti siamo di nuovo tornati in paese, dove abbiamo pranzato a base di spiedini di pollo presso una bancarella nei paraggi dell’ITSUKUSHIMA-JINIA che poi abbiamo visitato, mentre il tempo inaspettatamente era migliorato di nuovo. In realtà sia il tempio che il torii, anziché “galleggiare”, erano praticamente all’asciutto a causa della bassa marea, e una folla immensa si trovava a passeggiare sulla battigia: ignoravamo peraltro che l’indomani ci sarebbe stata una grandissima festa con migliaia e migliaia di persone sull’isola. Dopo la visita del tempio abbiamo fatto ritorno al terminal dei traghetti, non senza però aver assaggiato le ostriche locali, servite in strada scottate alla brace: buonissime! Ci siamo anche resi conto una volta di più come in Giappone i cestini per la spazzatura siano una rarità nonostante la generale estrema pulizia, e come sia necessario portarsi a lungo appresso i rifiuti…Una volta ripreso il traghetto (ce ne è uno ogni 15 minuti) e il treno siamo tornati in albergo verso le 5 dove ci siamo adeguatamente riposati. La sera poi siamo andati a cena in uno dei ristoranti del 6° piano della stazione: niente di che (era un ristorante abbastanza “ibrido”), ma ho assaggiato di nuovo le ostriche… 14 AGOSTO – GIOVEDI – HIROSHIMA Oggi faceva più caldo e il clima era decisamente più afoso. Dopo la colazione abbiamo preso il tram n. 2 che ci ha portati in breve, lungo lo Aioi Dori, al più famoso monumento di Hiroshima: l’A-Bomb Dome, cioè quel che è rimasto, esattamente come quel 6 agosto 1945, degli uffici della Prefettura, che negli anni ’30 era stato uno degli edifici più rappresentativi, architettonicamente parlando, della città. La bomba esplose a 600 metri di altezza proprio qui sopra, così l’ondata tremenda di calore uccise all’istante tutti gli occupanti (oltre naturalmente a buona parte degli abitanti della città) ma la struttura rimase in piedi, pur gravemente danneggiata, sormontata dallo scheletro della cupola, divenuto così il simbolo della tragedia e reso patrimonio dell’umanità nel 1996. L’edificio si trova in riva al fiume, con davanti l’isola ora trasformata per intero nel Parco della Pace, con il Monumento ai Bambini (con le gru di carta legate alla storia della bambina Sadako, morta di leucemia 10 anni dopo la bomba), la Fiamma della Pace, il Cenotafio e soprattutto il museo (Peace Memorial Museum), uno dei musei più affollati che abbia mai visto (c’è da dire che oggi in Giappone era la ricorrenza dei morti, festa nazionale e tradizionale giorno di massima vacanza) e più toccanti in assoluto: la rievocazione dello scoppio della bomba non lascia assolutamente indifferenti, specialmente raccontata in maniera così imparziale, asciutta e obbiettiva, semplicemente descrivendo cosa successe e sottolineando quanta sciagura sia legata alla guerra, quella nucleare in particolare. Dopo la visita al Museo e al Mausoleo dei Caduti, abbiamo fatto una passeggiata per la strada coperta dello shopping (Hondori) simbolo della nuova Hiroshima, con tantissima gente, ragazzi punk, ragazze cotonate in mutande e stivaloni, negozi (a proposito: i prezzi in Giappone sono decisamente bassi, specialmente per quanto riguarda scarpe, abbigliamento e profumi), luci e rumori: il contrasto con quanto rappresentato nel parco è veramente notevole. Dopo aver girovagato un po’ alla ricerca del pranzo (non siamo riusciti a trovare il solito mitico piano seminterrato dei grandi magazzini, purtroppo) anche nel quartiere di Nagarewaka, quello della vita notturna, dove era tutto chiuso, alla fine ci siamo accontentati di un miserrimo piatto di carne e riso e di un frullato di frutta. La giornata pareva orientata al bel tempo, ma abbiamo optato per un pomeriggio di riposo e siamo tornati in albergo per uscirne solo alle 7 per andare a cena, sempre alla stazione, a mangiare un piatto di soba (fatta al modo di qui, con brodo e spaghetti separati), melanzane fritte, sushi e dolce, il tutto concluso con un buon sakè. Eravamo decisamente stanchi! 15 AGOSTO – VENERDI – HIROSHIMA-TAKAYAMA Ferragosto può essere considerato lo spartiacque della nostra vacanza, e non solo in senso figurato: con il viaggio in treno da Hiroshima a Takayama siamo passati sul versante occidentale delle montagne di Honshu, verso il Mar del Giappone, abbandonando l’afa, il caldo e la congestione urbana per atmosfere idilliache (o quantomeno più idilliache) e montane a Takayama, nella prefettura di Gifu, famosa per le case di legno e per il manzo di Hida, secondo solo a quello di Kobe per prelibatezza. Il viaggio è cominciato alle 9,50 da Hiroshima, abbiamo cambiato prima a Shin-Osaka e poi a Nagoya, dove abbiamo preso il treno diesel per Toyama che ha cominciato ad inerpicarsi sulle montagne seguendo il corso di una splendida valle verdissima nella quale scorre il fiume, più volte sbarrato da dighe. Il tempo poco nuvoloso ha contribuito ad esaltare il paesaggio, decisamente diverso da quanto visto sino ad ora: un Giappone simile al nostro Trentino con montagne, pini e abeti. Siamo arrivati a Takayama alle 15.17, puntualissimi (manco a dirlo). La piccola stazione era sovraffollata di gente: siamo subito andati alla ricerca del nostro alloggio, il Tanabe Ryokan, che prometteva di essere un’esperienza: stanza in stile giapponese, cena kaiseki in camera ed onsen privato. Per fortuna era segnato sulla cartina della Lonely Planet e ci siamo arrivati facilmente, proprio al centro della cittadina, a due passi dal fiume che la divide in due. Se una vacanza si misura soprattutto dalle esperienze, la nostra in Giappone sarà segnata senza dubbio dal nostro ryokan: tutto di legno, con divisori di carta, luce soffusa, personale gentilissimo e con un dedalo di corridoi dove si poteva camminare solo dopo aver lasciato le scarpe all’ingresso. La nostra stanza era bellissima: 8 tatami (sui quali dopo cena ci avrebbero sistemato il futon, cioè il materasso che avrebbe funto da letto), bagno, doccia e salottino. La padrona ci ha illustrato come funzionavano i due onsen del ryokan, uno in pietra e l’altro in legno, aperti alternativamente agli uomini e alle donne: nel pomeriggio quello in pietra era per gli uomini. Fissata la cena in camera per le 7 (massimo orario possibile) siamo usciti per una passeggiata apprezzando l’aria più fresca, il bel sole e le viuzze strapiene di gente, affiancate da bellissime case di legno e molti negozi di artigianato. Francesca si è presa pure una specie di ghiacciolo al mandarino giapponese: dopo un’oretta, fatti alla stazione i biglietti Niigata-Ueno del 20 agosto e dopo essere riusciti a prelevare col bancomat all’ufficio postale, siamo tornati al ryokan dove abbiamo indossato i kimono (anzi, lo yukata, cioè il kimono da casa) e ci siamo fatti apparecchiare l’incredibile cena in camera: fra le numerose portate, c’era il manzo da cuocere al fornelletto (di cui avremmo comprato un esemplare da portare a Roma), uno sformato misto, una soba, un maiale in agrodolce, un piattino di tempura, uno di sashimi (buonissimo), oltre ad altre svariate cose, compreso un dolcissimo sakè. Abbiamo anche bevuto la birra Korikori che avevamo comprato in un negozio: eravamo al colmo della soddisfazione. Dopo cotanta cena, le signore hanno sparecchiato e ci hanno fatto il letto: prima di andare a dormire, io sono sceso all’onsen dove ho fatto un eccellente bagno bollente, prima di tornare in stanza per una sana ronfata.
16 AGOSTO – SABATO – TAKAYAMA La sveglia alle 7,40 con le signore del ryokan a bussarci per disfarci il letto e apparecchiarci la colazione non è stata mitigata (per Francesca, perlomeno) dalla tipologia di cibo: colazione prettamente giapponese, con tanto di pesce alla griglia ed altre amenità, che io peraltro ho molto apprezzato. Siamo usciti intorno alle 9,00 e ci siamo subito diretti sulla riva del fiume lì a due passi per vedere i mercatini del mattino, tanto declamati dalla Lonely Planet. Con tutto il rispetto, anche ad Anzio qualcosa del genere c’è, anche se è stato curioso vedere che genere soprattutto di cibo fossero soliti vendere alla tantissima gente in giro. Ci siamo poi diretti al SAKURAYAMA-NIKKO-KAN, un bel tempio ai margini del bosco con accanto le sale espositive dei modellini dei templi di Nikko (impressionanti: c’era anche l’effetto giorno/notte, anche se non ho capito perché mai qui a Takayama ci fosse tale museo…) e quella dei carri allegorici che sono usati per le due feste che si tengono annualmente a Takayama, una in primavera ed una in autunno. Alcuni dei carri (un po’ tutti uguali, per la verità) erano veramente imponenti e in giro per la città si potevano incontrare gli speciali garage dove sono riposti quando non esposti nella sala del museo. Passeggiando poi per le viuzze dalle case di legno siamo arrivati alla KUSAKABE MINGEIKAN, una dimora di un ricco mercante dell’epoca Edo, molto interessante (le case giapponesi sono veramente stupende, anche se a dire il vero dopo un po’ si assomigliano tutte). Abbiamo continuato la nostra passeggiata sino alla stazione (dove ci siamo informati per gli autobus verso HIDA-NO-SATO) e Francesca si è presa il suo agognato cheesecake con il succo di mela. Io naturalmente ho optato per andare a mangiare la carne (il famoso manzo di Hida), nel vicino ristorante Shizuya, un po’ più caro rispetto alle nostre abitudini, ma eccellente. Il manzo di Hida appare morbidissimo ed è secondo solo a quello di Kobe per qualità: le bestie vengono massaggiate con cura per tutta la vita per ottenere delle carni morbide e con il grasso perfettamente distribuito. Dopo pranzo abbiamo preso l’autobus al gate 6 della stazione (ne parte uno ogni 30 minuti) e in 10 minuti abbiamo raggiunto Hida-No-Sato, un villaggio rurale medioevale ricostruito trasportando qui antiche case della zona di Hida, fra le quali quelle costruite con il tetto detto “gosshu”, che vuol dire “mani giunte”, perché ne ricorda la forma. Il posto è molto suggestivo, anche se sembra il villaggio di Asterix e suona un po’ finto, ma le case di legno sono veramente bellissime e l’ambiente è ottimo per una visita di un’oretta abbondante. Una volta tornati in città (incredibilmente l’autobus, a causa del traffico terribile di Takayama in certi orari, si è presentato con ben 7 minuti di ritardo: non so se l’autista si sia poi risparmiato la vita a seguito di cio’) ci siamo incontrati con gli altri, nel frattempo giunti in città: breve giro per la parte vecchia con visite a bellissimi negozi poi, anche per la pioggia che è cominciata a cadere dopo una giornata grigia, ce ne siamo tornati al ryokan per la seconda cena kaiseki e il secondo mitico bagno.
17 AGOSTO – DOMENICA – TAKAYAMA-MATSUMOTO-TAKAYAMA Oggi era il gran giorno della macchina a noleggio: trovato, dopo enormi difficoltà, l’autonoleggio Nissan (era l’unico con la scritta solo in giapponese, per di più all’interno di un benzinaio), dopo aver comprato bento per pranzo al supermarket, ci è stata fornita una stranissima vettura Nissan Cube nera, una specie appunto di cubo con le ruote. Dopo aver pagato (col vecchio sistema della carta di credito a matrice) siamo partiti alla volta di Matsumoto, distante 85 km, al di là delle montagne sulle quali la strada dapprima si è inerpicata, poi ha cominciato ad attraversare una serie di tunnel (il primo a pagamento) sempre più stretti, discendendo lungo la gola di un fiume sbarrato da ben 3 dighe, veramente spettacolare. Il cielo era piuttosto chiuso quindi abbiamo scartato per il momento l’ipotesi di salire sul M. NORIKURA, un vulcano di 3026 metri su cui arriva una spettacolare strada percorribile però solo dagli autobus. Siamo dunque arrivati a Matsumoto dove, anche grazie al navigatore (seppure solo in giapponese, è stato un valido aiuto) siamo arrivati subito al famoso castello di legno, più piccolo di quello di Himeji ma parimenti bello. Parcheggiata la macchina (dopo essere riusciti a gesti a farci capire dal posteggiatore) siamo entrati nei giardini valicando il fossato e poi nel castello dove c’era una spaventosa quantità di gente, praticamente una fila ininterrotta fino al sesto piano e ritorno. Il castello è molto bello, ma così stipato di gente, similmente ad un gallinaro, è alle soglie dell’invisitabilità. Così siamo ripartiti e, visto che era già l’una, abbiamo ripreso la strada per le montagne: il cielo sembrava stesse aprendosi sempre di più così, dopo aver pranzato in una piazzola con panorama sul verde della vallata e l’azzurro del fiume, abbiamo imboccato una strada che saliva a Norikura Heights, di fatto la stazione sciistica ai piedi del Norikura. Siamo saliti fino a 1800 metri dove, ad un parcheggio, siamo stati fermati: oltre si poteva salire solo con l’autobus, purtroppo. Peccato, perché ora il tempo era bellissimo, ma data l’ora siamo tornati indietro. Poco sotto abbiamo fatto una breve passeggiata alle ZONGERO FALLS, una bella cascata di 30 metri, e poi abbiamo ripreso la via per Takayama, dove siamo arrivati in tempo per restituire (in anticipo) la macchina, farci un’ultima passeggiata in città prima della consueta cena delle 7, l’ultima in stile kaiseki.
18 AGOSTO – LUNEDI – TAKAYAMA-NIIGATA Stamattina il bagno caldo l’ho fatto alle 7, prima di colazione: ho così doverosamente sperimentato l’onsen di legno più vecchio, all’apparenza, di quell’altro, ma ugualmente valido. Dopo la solita colazione giapponese abbiamo fatto i bagagli e, nell’attesa che si facesse l’ora del treno (10,57) abbiamo fatto un’ultima passeggiata per una deserta Takayama, prelevando altri 30mila yen e comprando il minifornelletto locale. Siamo partiti puntuali e la bella giornata ha messo in risalto lo splendore della valle, verdissima, solcata da un fiume sbarrato più volte dalle dighe, in un panorama del tutto simile a quello del nostro Trentino, a parte le risaie verdissime, caratteristiche del Giappone. Siamo arrivati a Toyama alle 12,20 e subito abbiamo avuto l’impressione di trovarci in un altro Giappone: quasi scomparse le scritte in inglese (in compenso ne abbiamo viste in russo), stazione vecchia e sporca e piena di vagabondi. Comprato in un supermercato il bento per il pranzo abbiamo atteso le 14.16 il treno per Niigata, mentre il cielo cominciava a velarsi. Tre ore di viaggio attraverso un paesaggio molto meno costruito dell’area Tokyo-Kansai, verdissimo per le risaie e pieno di case di legno, stazioni vecchie e nessun occidentale in vista. Siamo arrivati a Niigata dove in pochi minuti abbiamo preso possesso della nostra stanza al 10° e ultimo piano del Leopalace Hotel (vista su tutta la – bruttissima – città, fino al mare), modernissimo e comodo. Siamo poi usciti a prendere gli orari dei traghetti per Sado dell’indomani (al tourist office però non parlavano inglese…) e poi a cena in un fantastico posto dove i camerieri urlavano servendo varie prelibatezze (frutti di mare in primis: io ho comunque preso la carne alla griglia), e abbiamo assaggiato uno degli innumerevoli sakè prodotti a Niigata, vera capitale della specialità. Alle 9, eravamo in camera pronti a dormire, vista l’alzataccia decisa per il giorno dopo.
19 AGOSTO – MARTEDI – NIIGATA-SADO-GA-SHIMA Ci siamo svegliati intorno alle 6 con la pioggia che batteva alle finestre della nostra stanza d’angolo. Il tempo era veramente pessimo: non si vedeva che una muraglia nera di pioggia e nuvole, nonostante ciò abbiamo fatto colazione con dolci alla cioccolata e succo d’arancia comprati la sera prima al supermercato Lawson, e abbiamo lasciato l’hotel: l’obiettivo era prendere l’aliscafo per Sado delle 8: per fare ciò avremmo dovuto prendere l’autobus delle 7,10 in partenza dalla stazione. Depositati i bagagli più ingombranti al deposito della stazione siamo riusciti a prendere al gate 5 sotto un diluvio terrificante l’autobus che in 15 minuti ci ha portato al terminal dei traghetti: per fortuna era tutto al coperto per cui il diluvio non ha disturbato l’acquisto dei biglietti (9700 yen a/r) dell’aliscafo e l’attesa del medesimo. Alle 8, puntualissimi, siamo partiti: cielo plumbeo, pioggia torrenziale e l’interrogativo “ma dove stiamo andando?” ci hanno accompagnato lungo tutta l’ora di percorrenza fino al porto di Ryotsu dove siamo sbarcati allorquando timidi squarci nelle nuvole hanno fatto sperare in un imprevisto miglioramento. Siamo subito andati alla ricerca di una macchina: la tizia della Nippon rent a car, non parlando una sillaba di inglese ci ha indirizzato alla Toyota lì accanto che, per mezzo di una addetta isterica, ci ha rifilato una macchina di categoria superiore che ci sarebbe costata purtroppo molto più del previsto (alla fine oltre 20mila yen per due giorni). Presa la macchina, abbiamo fatto rotta verso la zona del nostro hotel, mentre il tempo sembrava aprirsi svelando la morfologia dell’isola: una piana fra due catene parallele di montagne. Vista l’ora presta abbiamo fatto visita alla miniera d’oro vicino Aigawa, molto impressionante (robot riproducono la vita lavorativa all’interno dei tunnel sotterranei che si percorrono lungamente) e interessante: la miniera di Sado è stata una delle più importanti fonti auree del Giappone dell’epoca Edo. Dopodichè, in un clima afosissimo ma non piovoso abbiamo trovato il nostro hotel: un edificio anni ’70 alquanto vetusto nei pressi di un villaggio di case di legno più o meno diroccate, in un paesaggio di scogli e mare impetuoso. Visto che non c’era un’anima alla reception (il nostro arrivo era in effetti previsto per le 15) abbiamo deciso di fare un giro in macchina per la costa ovest dell’isola, punteggiata da villaggi di legno su baie comunque protette da frangiflutti di cemento e da scorci via via sempre più impressionanti, con costa a strapiombo sul mare. Abbiamo cercato un posto per mangiare e alla fine abbiamo individuato un locale con dei tavolini (non si capiva se le scritte potessero essere un’insegna) e ci siamo fatti portare ciò che stavano mangiando due ragazzi (fortunatamente presenti: altrimenti chissà come avremmo fatto ad ordinare): tempura, pesce fritto e conchiglioni sbollentati, sempre con la birra Asahi. E’ stato impressionante vedere come qui non abbiano la più pallida idea di cosa sia una lingua straniera, ma ce la siamo cavata bene: e dire che questo è uno dei posti più turistici di Sado, dato che qui organizzano una gita con la barca dal fondo di vetro per ammirare i fondali… Abbiamo poi continuato il periplo della parte nord dell’isola (stupenda la costa a picco sul mare, i villaggi di legno e la spettacolare strada tortuosa e strettissima) e siamo infine tornati al nostro Meoto Hotel, a picco su una costa punteggiata da faraglioni: un decrepito hotel anni ’70 dove però abbiamo avuto una splendida stanza in stile giapponese (10 tatami) con finestra direttamente sul mare e il tramonto. Alle 6 (!) siamo andati a cena a base di frutti di mare (ottima! granchione in primis…) annaffiata con birra Asahi e sakè, dopodichè ci siamo ritirati, stanchi morti, nella nostra stanza, mentre il tempo sembrava ormai migliorato in modo abbastanza convincente.
20 AGOSTO – SADO-NIIGATA-TOKYO Quando ci siamo svegliati, il cielo era azzurro e il tempo bellissimo: fatta colazione (giapponese: Francesca ormai non ne poteva più, per fortuna oggi era riuscita a trovare del latte) in albergo siamo partiti per un giro dell’isola che sarebbe durato sino a mezzogiorno, quando avremmo dovuto restituire la macchina e imbarcarci. Abbiamo fatto la O-Sado Skyway, una strada che supera la miniera d’oro (e da cui se ne vede la parte a cielo aperto, che vogliono candidare a sito patrimonio dell’umanità) e sale fino in cima alle montagne, da cui il panorama dovrebbe essere favoloso. Purtroppo, sui monti c’erano invece delle nuvole, quindi il panorama l’abbiamo visto solo parzialmente. Siamo poi tornati a percorrere quasi tutta la costa ovest, come il giorno prima, contando poi di fare la strada che conduceva a Ryutsu passando per il Monte Donden, massima elevazione dell’isola (più di 1100 metri), che però era chiusa: siamo dunque tornati indietro, godendoci ancora una volta il paesaggio della costa frastagliata, dei villaggi di legno e i campi di girasoli, e abbiamo ripreso la O-Sado Skyway per attraversare l’isola, percorrendola per intero: veramente spettacolare, con panorami eccezionali (rovinati dalle nuvole) e una parte in discesa che sembrava non finire mai. Riconsegnata la macchina (dopo aver percorso complessivamente 270 km) abbiamo fatto compere al terminal dei traghetti: vino di cachi e vino di kiwi, di cui offrivano una degustazione. Alle 12,35 siamo ripartiti con l’aliscafo per Niigata dove, una volta raggiunta la stazione e recuperati i bagagli, abbiamo anticipato di un’ora il treno per Tokyo, dove siamo finalmente arrivati alle 17,20. Abbiamo dovuto attraversare a piedi, con tutti i bagagli, il parco di Ueno per raggiungere l’Hotel Ohgaisou (che non aveva nemmeno l’insegna in inglese, pur essendo un buon albergo con l’onsen privato e la navetta per la stazione idem), fatica che ci saremmo certamente potuti risparmiare…
21 AGOSTO – TOKYO-MONTE FUJI La mattina siamo andati a Shinjuku per vedere dove fosse il terminal degli autobus Keio che effettuano il servizio diretto per il Monte Fuji e per girare un po’ il quartiere, uno dei più dinamici di Tokyo. La ricerca del terminal era un po’ un pretesto, perché sinceramente non credevo che ci sarebbe stata la possibilità di partire, dato il tempo incerto ma, rendendomi conto che era senza dubbio l’ultima occasione per provarci, un po’ alla cieca ho comprato il biglietto per quella sera alle 7,50, confidando in vaghe previsioni del tempo che davano bello sulla montagna la mattina dopo. Girando i grandi magazzini Keio abbiamo comprato pure una bella borsa a un ottimo prezzo (ci è stata pure restituita la tassa del 5%); poi abbiamo visitato Yodabashi Camera (un enorme negozio di elettronica e fotografia a 7 piani, dove ho visto una cosa fenomenale: la pianola avvolgibile) e siamo saliti al 53° piano del palazzo degli Uffici della Prefettura di Tokyo, da dove si poteva vedere la città (almeno parte di essa) dall’alto. Shinjuku è un classico quartiere di grattacieli con accanto alcune frenetiche viuzze piene di insegni, negozi e di gente: abbiamo visitato peraltro solamente la parte ad ovest della stazione (la più trafficata del mondo), dove poi abbiamo ripreso la Yamanote per tornare a Ueno dove io ho pranzato al nastro sushi. Dopo un pomeriggio di riposo in camera alle 6 siamo usciti per la cena (di nuovo al ristorante di carne alla brace), presto dato che alle 7 io avrei dovuto prendere la Yamanote per Shinjuku per salire sul pullman del Fuji-San. Cenato e fatta una sobria spesa (acqua, biscotti e cioccolata), sotto un violento temporale ci siamo salutati. Francesca ha ripreso la navetta per tornare in albergo, io il treno. Lampi, tuoni e diluvio universale: le condizioni meno adatte per partire alla volta della scalata, per di più notturna, del Fuji-san di quasi 4000 metri. Tuttavia, arrivato al terminal dei bus ho visto che c’era un sacco di gente che, come me, era pronta a sfidare la sorte. Al massimo, mi dicevo, me ne sarei tornato indietro senza aver lasciato alcunchè di intentato. Le due ore e mezza di viaggio verso la quinta stazione di Kawaguchiko, base di partenza per l’ascesa, sono passate guardando speranzosi il cielo dai finestrini: ma si vedevano solo nuvole e pioggia, almeno sino a quando il pullman ha cominciato a salire per la strada verso la quinta stazione, sul fianco del cono del Fuji: qui abbiamo incontrato le nuvole e, all’arrivo, ci siamo resi conto che eravamo arrivati sopra lo strato nuvoloso: il cielo era sgombro e c’erano la luna e le stelle. Pieno di speranza, mi sono preparato in un negozio ancora aperto e, insieme a molta altra gente, alle 10,30 ho cominciato la camminata: il sole sarebbe sorto alle 5.03 e il tempo di percorrenza previsto era di 5 ore: mi sarei magari fermato a riposare un po’ in uno degli oltre 10 rifugi disseminati lungo la strada. All’inizio il sentiero scende: dai 2305 metri della quinta stazione sono arrivato a circa 2250 quando finalmente abbiamo cominciato a salire in modo sempre più ripido, mentre lo strato di nuvole era appena sotto di noi, la luna e le stelle sopra e una lunga fila di lumini faceva capire che molta gente, armata di torcia, stava salendo.
22 AGOSTO – VENERDI – FUJI-SAN A mezzanotte ero arrivato a circa 2700 metri: avevo incontrato la sesta stazione (dove mi avevano dato una mappa del percorso) e la strada era stata discreta: un sentiero largo a tornanti non troppo ripido. Ma dai 2700 metri iniziava un tratto terribile in mezzo alle rocce, ripidissimo: il pensiero che mancassero ancora più di 1000 metri mi ha fatto temere di non farcela, inoltre la quota si faceva sentire (non avevo fatto alcun acclimatamento: da Tokyo, sul mare: in tre ore ero arrivato lassù). Quello che mi consolava era il tempo perfetto e il fatto che fossi avanti con la tabella di marcia. Sono arrivato a 3100 metri distrutto: cominciava a fare anche un certo freddo, nei rifugi si poteva entrare solo a pagamento e nei bagni idem. Inoltre l’indicazione delle quote era un po’ vaga: non si capiva bene quanto effettivamente mancasse. Però da qui il sentiero sembrava migliorare parecchio: niente più roccette e scalini su cui inerpicarsi ma una stradina ripida, ma regolare. Sono arrivato a 3450 metri alle 2,30: qui il freddo si è improvvisamente fatto intensissimo tanto che ho deciso di sborsare i 1000 yen richiesti per sedersi a riposare su una panca all’interno del rifugio: ne ho approfittato anche per prendere una cioccolata calda. Secondo i calcoli, mancava un’ora di cammino alla vetta quindi aveva senso rimanere lì sino alle 3.30. Il rifugio era pieno di gente stanca morta che provava a dormire seduta, inoltre non c’era riscaldamento: era tuttavia un efficace riparo dal vento. Mai sosta fu più opportuna, sia per riscaldarmi che riposarmi e abituarmi alla quota. Alle 3,30 sono ripartito quando all’orizzonte cominciava ad intravedersi l’aurora; con grande sorpresa il sentiero era letteralmente intasato di gente e si stentava a camminare, in alcuni punti ci si fermava proprio. Da una parte ciò era positivo perché il sentiero qui era tornato ad essere molto ripido e su roccette, dall’altra rischiavo incredibilmente di non arrivare in tempo in cima. Quasi a spinta comunque, fra gente seduta ad aspettare l’alba, alcuni proprio a dormire o vomitare stremati, sono passato sotto i due torii situati poco prima della vetta, o meglio dal bordo orientale del cratere, dove si era assiepata una folla enorme per vedere l’alba. Sono arrivato su esattamente 30 secondi prima che il sole spuntasse dal tappeto di nuvole grigie investendo tutto di luce rossastra: era il Sol Levante, Nippon in persona. E’ stato un momento favoloso, in cui mi sono venute in mente tantissime cose tutte insieme, e il cui unico neo era l’assenza, perlomeno fisica, di Francesca. Anche la folla, una volta tanto, era qualcosa che rendeva quel momento particolare: c’era la sensazione di aver fatto tutti insieme una cosa meravigliosa. Subito dopo ho intrapreso il giro del bordo del cratere (la caldera è una voragine oscura e minacciosa), accorgendomi adesso dell’immane fatica che costava camminare a 3750 metri di altezza senza aver dormito per quasi 24 ore. In breve, illuminato dalla luce radente, ho raggiunto la vetta (3776 m) su cui è installato un osservatorio: qua e là chiazze di neve, residui dell’inverno, a valle una distesa bianca di nuvole su cui era proiettata l’ombra conica del vulcano e dalla quale in lontananza emergevano le montagne delle Alpi Giapponesi, che sembravano basse pur superando i 3000 metri. Favoloso, non si può descrivere a parole quella che è stata l’apoteosi del viaggio. Avendo il pullman di ritorno alle 11, alle 7 ho cominciato la discesa, lungo una strada diversa da quella in salita: un ripido e largo sentiero a tornanti di sabbia vulcanica e sassi che sembrava non finire mai e che conduceva in basso dove lo strato di nuvole sembrava stesse alzandosi. Comunque, dopo 2 ore e 15 minuti di faticosa (e velocissima) discesa sono tornato alla quinta stazione, dove ho aspettato più di un’ora sdraiato sulla piazza del posto insieme a migliaia di persone che stavano arrivando o ripartendo dopo la scalata notturna per riprendere alle 11 il pullman che mi ha riportato stanco e soddisfatto a Tokyo. Non credevo che fosse vero quello che era successo: mi pareva incredibile che il tempo fosse stato così bello e che quasi si fosse organizzato per consentirmi di vivere una delle esperienze più esaltanti: evidentemente lo spirito della montagna, sacra per i giapponesi, mi ha trovato simpatico. Sono arrivato in albergo alle 2: Francesca era nel frattempo andata a pranzo con gli altri e quando è tornata abbiamo passato tutto il resto della giornata a riposare, con l’unico intervallo per la cena, ultima visita al nastro sushi, per il quale avrei senz’altro sentito una grandissima nostalgia.
23 AGOSTO – SABATO – NIKKO, TOKYO Per oggi avevamo, viste le circostanze, pensato di rinunziare alla prevista gita a Nikko: oltretutto il tempo faceva schifo: cielo grigio e temperatura improvvisamente quasi autunnale. Ma visto che Francesca si sentiva benino, abbiamo deciso comunque di partire, seppure un po’ più tardi: sarebbe stato un vero peccato non andare. Nonostante un errore (udite udite!) della tizia della biglietteria JR (che ci ha fatto perdere la coincidenza ad Utsunomiya), alla fine siamo arrivati a Nikko intorno alle 12,30, dove pioveva e faceva freddo: pareva quasi impossibile che stessimo ancora in Giappone in agosto. Incredibilmente, qui abbiamo trovato una totale latitanza di istruzioni/indicazioni in inglese per cui è stato quasi un caso se abbiamo preso l’autobus giusto (il World Heritage Bus) e soprattutto siamo scesi nel posto giusto. Sotto una pioggerella autunnale abbiamo cominciato la visita del complesso dei templi, veramente favolosi, superiori a qualsiasi altro avessimo sino a quel momento visto: immersi nel verde, alle pendici delle montagne, decorati in modo impressionante. Peccato che il tempo fosse pessimo, anche se la nebbiolina che avvolgeva tutto aveva il suo fascino; ci siamo incontrati con gli altri, che erano arrivati prima, giusto il tempo per darci appuntamento per la cena a Tokyo quella sera, dopodichè abbiamo completato la visita del complesso, che si articola fondamentalmente in 5 monumenti dislocati in un’area non eccessivamente vasta e comunque contigui, in mezzo al verde. Dopo aver ripreso l’autobus siamo tornati alla stazione dove alle 3,20 il treno è ripartito per riportarci a Ueno alle 15,15. Mentre Francesca è andata a riposare io ne ho approfittato per fare un giro alla vicina Akhihabara, la “città elettronica” con insegne sfavillanti, innumerevoli negozi di fotografia, elettronica, di tutto e tantissima gente in giro, nonostante la pioggerella fastidiosa. Qui ho pure trovato in uno dei numerosi “duty free shop” a più piani (non ho capito perché fossero duty free, ma vabbè) i coltelli di ceramica. Per cena infine, abbiamo preso la Yamanote fino a Ginza dove, sotto il Sony Building avevamo appuntamento con gli altri per cenare in un ristorante vicino che loro avevano prenotato, specializzato in tempura, il Ten Ichi Deux. Abbiamo fatto così l’ultima cena del viaggio in questo ristorante più raffinato e internazionale della media (spendendo addirittura 3150 yen a testa…), mangiando tempura mista che mi è alquanto piaciuta. Alla fine, dopo il commiato con gli altri, è giunto il momento di tornare in albergo. Il viaggio era finito: l’indomani alle 13,20 avremmo avuto l’aereo per Roma (siamo arrivati in aeroporto senza alcun problema né fila) e la vita occidentale sarebbe ricominciata, lasciando spazio comunque al ricordo di un paese strano, bellissimo e meno distante di quanto si possa immaginare.
Il resoconto completo con le fotografie è in www.Decano.It.