El Canal de Nicaragua

Un'immersione nella giungla e in una delle tematiche economiche e politiche più calde del centro America, la costruzione di un canale che unisce i due oceani
Scritto da: Micca66
el canal de nicaragua
Partenza il: 02/06/2012
Ritorno il: 16/06/2012
Viaggiatori: 1
Spesa: 2000 €
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Un racconto tra passato e presente che corre lungo le rive del Rio San Juan, attraversa le rapide, e il Lago Nicaragua, il Mar Dulce per i conquistadores. Il viaggio è stato organizzato da Le Indie Viaggi, il nuovo tour operator specializzato in viaggi nel continente americano e nel sud est asiatico. Ho apprezzato molto il rispetto di questo to per la cultura locale, per l’ambiente e per la storia di questo Paese. Abbiamo vissuto momenti emozionanti, di vero contatto con quella terra. Senza rinunciare a una perfetta organizzazione. Ero già stato in Nicaragua, nel 1990. Oggi ho provato le stesse, grandi, emozioni di allora. Un paese forte. Per la natura, per la gente, per la sua storia politica. Un viaggio che consiglierei a tutti.

La notizia è di pochi giorni fa: il congresso del Nicaragua ha deliberato di costruire un canale, vagheggiato da secoli dai cercatori d’oro, da fantasiosi imprenditori dell’ ‘800, da giapponesi solo 20 anni fa. Il costo dell’operazione è stimato in 30.000 miliardi di dollari e si stima che siano necessari tra i cinque e i sei anni per completare l’opera. Se la notizia verrà confermata il canale potrebbe essere inaugurato nel 2019. Tutto questo mi ha scosso e proiettato nel mondo dei ricordi personali. Nel 1990 ho fatto il primo di una serie di viaggi in Centro America e da allora, con frequenza sempre crescente, ho continuato ad andarci. Il primo viaggio me ne ha fatto innamorare, un po’ come mi sono innamorato di quasi tutti i posti che ho visitato. Perché quando viaggi poi ti rimane dentro sempre qualcosa di bello, e questo è il motivo per cui il viaggio vale di per sé, indipendentemente dalla meta. Quando l’aereo apre le porte, ora lo so, l’impatto con il caldo umido è lo stesso, ma quella volta è stato violento. Pensavo fosse il calore dei motori. Anche questa è una prima volta. Quella volta di molti anni fa ho anche avuto un incontro da vicino con le elezioni che si sarebbero svolte di lì a qualche giorno. L’importanza anche internazionale dell’evento e la passione con cui erano seguite dalla cittadinanza, dopo 11 anni di rivoluzione sandinista, hanno cancellato qualunque altro progetto turistico o giornalistico. Alla fine, forse dietro finanziamenti occulti e brogli, forse perché il governo in carica desiderava tirare fuori se stesso e il paese dalla strada senza uscita in cui era finito, l’opposizione di Violeta Chamorro vinse. Il Nicaragua, come ho potuto verificare nei miei viaggi successivi, lentamente si è normalizzato e dopo poco è diventato felicemente uguale agli altri paesi centroamericani, con i grandi centri commerciali, le guardie private equipaggiate di fucili a pompa, bimbi ai semafori, colorite strade notturne e ogni altro bene della modernità.

Allora come oggi qualcuno progettava di costruire un canale che, passando per il Rio San Juan e l’enorme Lago Nicaragua, unisse commercialmente i due oceani. Allora si trattava di giapponesi, oggi non si sa chi sarà in grado e quali interessi smuoverà una simile opera. Fatto sta che questo era il motivo del mio primo viaggio: vedere, fotografare e scrivere di questo progetto che appariva bizzarro come tutti i grandi progetti, nel bene e nel male, non ancora compiuti.

Dopo qualche anno mi sono divertito a ripercorrere il viaggio che, a suo tempo e passati i fumi roventi delle elezioni, mi stavo accingendo a intraprendere. Un viaggio che, seppur perfettamente organizzato (www.leindie.com) ha conservato tutto il suo gusto avventuroso, proprio come allora. Certo, non c’è più la guerra: ora c’è un servizio di ferry “quasi” regolare e a San Juan de Nicaragua, già San Juan del Norte, già Greytown, hanno costruito oggi un moderno aeroporto. Se andate con il Ferry prendetevela comoda: qualche giorno in più per ammortizzare eventuali cambi di orario è da mettere in conto. Ma allora, trovandosi il fiume in zona di confine, siamo andati con due lance dell’agenzia Onu per i rifugiati (Unhcr), scortati da soldati armati e con un’attrezzatura da campeggio stile Fitzcarraldo Oggi le scaramucce con il Costarica continuano, e sono legate proprio alla proprietà del fiume che con il suo corso segna il confine con il vicino, ma che per antichi accordi diplomatici, appartiene interamente al Nicaragua. Sarebbe un dettaglio da niente senza il progetto, evidentemente non inverosimile, di un canale destinato ad agitare gli equilibri politici ed economici dell’area. Per non dire di quelli ambientali, che passano in ultimo piano di fronte alla prospettiva di un po’ di benessere per molti, ed enormi guadagni per pochi. Oggi il Canale di Panama non regge più il traffico delle grandi navi mercantili che fanno la spola tra i due oceani. Le ho viste dall’hotel, in una lunghissima fila attendere il proprio turno.

Mi abbandono per un po’ al ricordo: la partenza è fissata da San Carlos, dove il Rio San Juan inizia il sua cammino verso l’Atlantico alimentato dalle acque del Lago Nicaragua. Il Mar Dulce, come lo chiamarono i conquistadores, è enorme, quando tira vento si alzano le onde proprio come se fosse un mare ed è abitato da una razza endemica di squali di acqua dolce, prova di un suo antico legame con l’oceano. A nord c’è Granada, deliziosa cittadina che ha conservato intatto il suo sonnolento stile coloniale. Di fronte a Granada, come pietre lanciate da un vulcano arrabbiato, le Isletas, poco più che scogli, giardini delle case o ville che ospitano. Più a sud, e vicino all’unico presunto grande scavo necessario alla realizzazione del canale, Rivas, di fronte all’isola di Ometepe, costituita da due vulcani gemelli, e dove si possono trovare, se accompagnati da guide locali, preziosi graffiti lasciati a testimonianza dagli antichi abitanti. Infine, a sud del lago, l’arcipelago di Solentiname che ospita una comunità di artisti naif. Le lunghe ore di discesa fino a San Juan del Norte, o Greytown secondo il vecchio nome inglese, o San Juan de Nicaragua secondo il nuovo nome, rendono l’idea del fiume come unica via di comunicazione fiancheggiata, sul lato nicaraguense, da un muro di vegetazione apparentemente inestricabile. Avvicinandoci alla barra, la laguna che si crea fra il fiume e il mare, appaiono gli alligatori, che mangiano le loro prede sulle rive. Arriviamo al luogo designato per il campo e possiamo finalmente scoprire a cosa servono i lunghi pali che ci portiamo dietro da stamattina. Sono i montanti delle pesanti tende da campo, probabilmente residuato bellico sovietico. Noi preferiamo la nostra tendina a igloo, ma solo fino a poco dopo la cena, quando i rumori che provengono dalla giungla ci suggeriscono un più rassicurante sonno insieme a tutti gli altri. La cena, come si può immaginare, non è il massimo: il riso con i fagioli va anche bene, ma abbiamo una certa pena per il povero garropo arrostito sul fuoco. Ci spetta ancora qualche verdura bollita e l’acqua verdastra del fiume. Noi l’abbiamo potabilizzata con le pasticchine di argento, ma non beviamo sereni. Per festeggiare, l’immancabile rum, che il Nicaragua produce con grande orgoglio. La notte passa tranquilla sotto le zanzariere, e il giorno dopo si visita Greytown. Le case, di legno e lamiera, sono state inghiottite dalla vegetazione, quindi crollate. Oggi la cittadina è stata ricostruita, insieme al moderno aeroporto. E insieme alle case di lamiera si possono vedere le caratteristiche palafitte che gli indios Rama ancora costruiscono nella giungla. Alle comunità Rama Le Indie viaggi si rivolge per organizzare visite guidate alla Riserva Indio Maiz.

Il nostro viaggio è a metà, dobbiamo ancora risalire il fiume e andare a Rivas, a vedere dove i giapponesi immaginano di tagliare la striscia di terra di pochi chilometri che divide il Pacifico dal Mar Dulce. Mi piace pensare che il nome attribuito dagli spagnoli al lago sia venuto in mente mentre guardavano il tramonto da Ometepe e non già per l’acqua dolce. Torniamo ad oggi e a alla notizia della decisione del congresso del Nicaragua di costruire il famoso canale, sognato e vagheggiato da secoli dai cercatori d’oro, da fantasiosi imprenditori dell’ ‘800, da giapponesi nel 1990. Non posso fare a meno di pensare a quel grande parco transfrontaliero che negli anni ’80 fu chiamato Siapaz, la riserva Indio Maiz, che dalla grande foresta del Rio San Juan doveva arrivare al Tortuguero e alla riserva del Cano Negro, in Costarica. Tornandoci molti anni dopo mi domando: vedremo, anche qui, bambini ai semafori?

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