Costa Rica zaino in spalla
Atterrati, cambiato soldi, ritirato i bagagli, abbiamo subito trovato il taxi che ci ha portato all’albergo prenotato, una bella casa ex coloniale. Dopo la nostra prima cena locale (immancabili riso, fagioli, carne, banane fritte…), alle 21,30 sveniamo nel letto.
Al mattino il fuso orario ci sveglia alle 6, e dopo colazione un taxi ci porta al terminal dei bus per la località Manuel Antonio. Nelle 4 ore di viaggio cominciamo a conoscere il paese: un vero e proprio immenso giardino, un incredibile continuo verde senza sosta: tra una foresta ed un bosco (difficile la distinzione) si distendono immense praterie… Facciamo anche conoscenza del caldo del paese: man mano che viaggiamo la temperatura segnata dal termometro del bus aumenta a vista d’occhio: all’arrivo a Manuel Antonio segna 41 gradi! Sapevamo che era la tappa più calda, ma non pensavamo a tal punto. Troviamo sistemazione in un ostello: il paese non ha molte possibilità, ma e’ comodo per accedere al Parco omonimo. Siamo sull’oceano pacifico, con spiagge da cartolina, sabbia bianca, palme da cocco… qualche iguana… uno spettacolo! Nel pomeriggio ci riposiamo in spiaggia, riuscendo però a rimanere molto poco al sole, cena al ristorantino e a nanna presto.
Al mattino visitiamo lo stupendo Parco, fatto di fitta foresta sul mare, con 4 spiagge bianche ed un grande promontorio. La giornata è da ricordare: dopo aver camminato poco più di un’oretta, raggiungiamo la prima spiaggia, dove facciamo l’incontro MOLTO ravvicinato con numerose scimmie, iguana e procioni. E proprio quest’ultimi non ci lasciano riposare: appena ci si corica sulla sabbia si avvicinano a gruppetti, cercando di portare via gli zaini alla ricerca di cibo. A nulla valgono i tentativi di mandarli via. Appesi gli zaini sugli alberi, armatici di bastone, cerchiamo di tenerli lontani. Facciamo ovviamente il bagno, e proseguiamo la giornata, camminando nella foresta, visitando un’altra spiaggia, avvistando anche tapiri, colibrì e grosse farfalle…
Il giorno dopo lungo trasferimento a La Fortuna, raggiunta solo alle 6 di sera. La situazione climatica cambia decisamente: siamo al centro del paese, in mezzo alla foresta pluviale… oggi ha piovuto tutto il giorno. Il giorno dopo, con una guida facciamo un’escursione sulle pendici del Vulcano Arenal. Il Vulcano si è visto poco a causa della continua pioggia, ma la foresta pluviale vale lo sforzo. Per due ore camminiamo con keeway e scarponcini su sentieri di fango e su colate di lava, avvistando piante, fiori, orchidee, erbe medicinali a noi sconosciute. Pure un piccolo serpente velenoso che si è fatto fotografare. Scesi giù dalle pendici, ci siamo immersi in un torrente di acqua calda (che alimenta le numerose terme della zona) per un’ora e mezza…
Il giorno dopo, sempre sotto la pioggia, abbiamo preso un taxi per dirigerci in una piccola riserva creata per la Catarata de la fortuna, una grossa cascata a cui ci si arriva dopo 30 minuti di ripida discesa in mezzo alla foresta. Lo scorcio e incantevole, ma non vale I 10 dollari del biglietto. Qui avremmo dovuto fare il bagno, ma le forti piogge degli ultimi giorni non ce lo permettono… il gettito è più impetuoso del normale. Rientrati a La Fortuna, nel pomeriggio dobbiamo spostarci alla Riserva Monteverde, la più famosa Foresta Pluviale del continente americano. Per evitare le otto ore di bus, decidiamo di concordare un trasporto combinato di tre ore (o almeno che avrebbe dovuto durare tre ore) con taxi fino alle rive del lago Arenal, ferry per attraversare il lago, jeep fino a Monteverde. Nei primi due tratti tutto bene; nel terzo tratto, ecco la nostra prima disavventura. Saliamo su un pulmino stracarico di gente, e dopo poca strada sterrata, rimaniamo piantati su una salita… neanche un secondo tentativo con rincorsa ha i suoi frutti: la pioggia copiosa non lo rende possibile. Pertanto il tragitto si allunga di un paio di ore e dopo 3 ore di strade impantanate e nebbia, arriviamo a Monteverde, dove troviamo fortunatamente subito una sistemazione. Qui siamo in mezzo alla foresta pluviale, fittissima… e qua il sole è raro: un perenne forte vento accompagna una continua pioggia. Anche quando compare il sole, il forte vento porta da nuvole vicine la pioggia, creando un effetto di acqua nebulizzata… cioè pioviggina anche nei rari momenti di sole cocente. I nostri pochi vestiti pesanti vengono estratti dal fondo dei nostri zaini.
Il giorno successivo prendiamo un bus che ci porta all’ingresso della Riserva, dove ci addentriamo su sentieri tracciati per circa 3 ore. Ma le nostra aspettative vengono disattese: la vastità della Riserva, e la pioggia incessante non rendono possibile alcun avvistamento di animali, se non dei colibrì… La foresta è comunque piacevole, con una vegetazione varia e fittissima, e con alberi secolari.
Il giorno successivo facciamo il famoso Canopy Tour nella foresta. Ci portano con un pulmino ad una decina di km da qua, dove passiamo 3 ore dentro la giungla, imbragati da scalatori, percorrendo 4 km in totale su una quindicina di cavi sospesi sulla vegetazione e fra gli alberi, ad altezze fino a 100 metri, che percorriamo spesso fra le basse nuvole! Gran bella esperienza, che finiamo bagnati marci e sporchi di fango. Finiamo con il cosiddetto Salto di Tarzan, dove ci buttiamo in corda doppia da una piattaforma per dondolare alcune volte…
Conclusa la nostra esperienza a Monteverde, partiamo alla volta dell’isola di Ometepe in Nicaragua, raggiunta dopo un trasferimento lungo e faticoso. Alla sera siamo riusciti ad arrivare, con 3 bus, a mezz’ora dal confine, a La Cruz, dove abbiamo faticato a trovare una sistemazione decente ed un pasto accettabile. Al mattino, bus per il confine, ma dopo 200 metri il bus rompe il cambio: troviamo un taxi in comune con un paio di nicaraguensi, ed arriviamo al confine. Qui le procedure durano quasi 2 ore, ma finalmente approdiamo in Nicaragua. Altro bus, altro taxi e finalmente ci imbarchiamo per l’Isla Ometepe. Decidiamo di prendere una lancia privata, perché per il ferry dovremmo aspettare un’ora: non l’avessimo mai fatto… l’ora di attesa, ma la scelta si rivela non giusta: la lancia è una carretta vera e propria di legno, dove siamo stivati circa 200 persone con due camion di roba e ad ogni onda (e ce ne sono tante…) balliamo da paura e imbarchiamo acqua. Comunque… arrivati all’isola ci troviamo in un altro mondo… tutto molto più povero… ma l’isola, nata con il materiale eruttivo di due vulcani, ha il suo fascino. Ci sistemiamo nel miglior hotel dell’isola, dove affittiamo un mini appartamento nel giardino per essere più’ tranquilli di notte, concordiamo moto enduro per due giorni, ceniamo e sveniamo a letto. Qui passiamo due giorni girando l’isola in moto (unico mezzo possibile, considerate le strade sterrate e alcuni tratti di strade piastrellate con roccia vulcanica), incrociando una miriade di cavalli e mucche tutti liberi per le strade… passando alcune ore in un laghetto di acqua vulcanica, e riposandoci in alcune spiaggette…
Il ritorno alla “terra ferma” questa volta lo effettuiamo in ferry e, sfruttando un paio di fortunose coincidenze, arriviamo dopo taxi, altre lunghe procedure di frontiera e 3 bus a Playa Samara dopo un giorno di trasferimento. Qua il mare è di nuovo da cartolina, il posto è moderno, con un sacco di turisti americani… La nostra sistemazione è ottima, a 100 metri dalla spiaggia bianca… Qui facciamo snorkelling e passiamo tre giorni di puro relax. Poi attraversiamo il paese da costa a costa, raggiungendo il mare dei Caraibi, dopo 12 ore di viaggio e due bus. Arrivati a notte fonda, considerato che qua alle sei è buio, abbiamo trovato una sistemazione provvisoria, poi cambiata il giorno dopo… e primo bagno nei Caraibi… Affittiamo due bici senza marce con cui percorriamo ben 27 km, approdando in più spiagge e aggiungendo altri animali all’elenco dei nostri avvistamenti… altri tipi di scimmie, scoiattoli, un tucano ed altri volatili. L’ultimo giorno prima del ritorno alla capitale per volare in Italia lo passiamo al Parque Cahuita: assolutamente da non perdere.