Dall’Auvergne al Perigord e all’Atlantico
Depredato il buffet della colazione, ripartiamo per la nostra prima vera tappa vacanziera: lasciata l’autostrada poco prima di Issoire, ci avviamo in direzione di S.Nectaire, tra le valli del Parco regionale dei Vulcani di Auvergne. Si tratta infatti di una regione ricca di picchi montuosi di origine vulcanica, il più alto supera i 1500 m., l’agricoltura è molto estensiva (molti bovini al pascolo, girasoli, cereali ancora da raccogliere) e passano km e km da una casa all’altra. A S.Nectaire visitiamo le “fontaines petrifiantes” (4 €), dove una sorgente di acqua molto calcarea viene utilizzata da più di un secolo per creare bassorilievi su stampi in caucciù. Passato il colle montano della Croix Morande, da cui il paesaggio è davvero splendido, scendiamo a Le Mont Dore, oggi stazione sciistica ma luogo di villeggiatura rinomato già nella belle epoque, come testimoniamo le molte villette liberty. Riprendiamo l’autostrada verso Brive, capoluogo del Perigord (o Dordogna, che sarebbe il suo nome ufficiale). Pranzato velocemente in autogrill, dopo Brive l’autostrada finisce (…Anche i francesi hanno autostrade in costruzione!) ma ormai siamo arrivati, ci sono già le indicazioni per Sarlat-Le Canedà, dove ci fermeremo alcuni gg. Ci eravamo segnati alcuni campeggi che parevano carini e in posizione centrale rispetto a ciò che volevamo visitare, unico punto imprescindibile: la piscina! Continuano infatti ad esserci 33-34°, ma la regione sembra essere ricchissima di boschi e fiumi, e ci piace subito molto.
Aggiriamo Sarlat, dal traffico decisamente caotico a causa del mercato (che si tiene mercoledì e sabato) e dirigiamo verso La Roque Gageac, che è pochi km più a sud. Decidiamo per il camping Beau Rivage, in riva alla Dordogne, molto molto ombroso, ben tenuto, con una grande piscina. Spenderemo circa 33 € a notte, allaccio elettrico compreso (occhio, le prese nei campeggi sono tutte “tedesche”, tonde). Alla reception la signora ci dà altri depliant (tra cui una guida, che si rivelerà ottima, con gli itinerari storici, artistici, naturali e gastronomici della zona), le istruzioni per la raccolta differenziata dei rifiuti (…Ebbene si!) e ci informa che siamo gli unici italiani. Ci sono molti francesi, olandesi e inglesi, alcuni tedeschi, ma in generale di italiani lì ne vedono pochissimi… la cosa ci riempie di gioia. In una mezz’oretta le tende sono piazzate, la povera Samantha è finalmente scarica e riposa all’ombra e noi…Possiamo tuffarci in piscina! Ora si che la vacanza si fa sentire! Dopo una buona spaghettata, dopo cena andiamo a La Roque Gageac per un giretto e un gelato: è splendida! Il paesino, di 10 o 15 case, è appiccicato ad una falesia altissima in riva al fiume, le case e la falesia stessa sono molto ben illuminate e l’insieme è davvero affascinante. Torneremo di giorno per qualche foto. La mattina dopo, colazione e un buon caffè (portatevi la moka, il caffè francese è persino peggiore di quello americano!) e poi scegliamo di seguire uno degli itinerari consigliati dalla guida, a nord-est di Sarlat. Visitiamo il giardino storico del castello di Eyrignac, un parco privato (8 €) davvero splendido (gestito da 14 giardinieri a tempo pieno!), il giardino di Cadiot, con una ricca collezione di rose antiche (purtroppo non è la stagione giusta. Ingresso 5 €) e la bastide di Domme, un villaggio fortificato arroccato su una collina poco distante dal nostro campeggio (parcheggio: 2 €). Il fiume è affollato di canoe, tutti qui vanno in canoa, dagli 0 ai 99 anni, e ovunque si affittano canoe, organizzando poi il recupero dei turisti un po’ di km più a valle e il rientro al punto di partenza. Il caldo però ormai ci ha sfiancato, e ci concediamo il resto del pomeriggio a mollo in piscina. Per cena scommettiamo su una paella presso il ristorante del campeggio, ma… era meglio farsi una spaghettata! L’indomani ci rechiamo subito a La Roque Gageac perché abbiamo letto che è possibile scendere per un tratto lungo la Dordogne (8 € a persona), a bordo di barconi molto caratteristici, simili a quelli con cui nel ‘600 si trasportavano a valle le merci. Il barcone veniva poi venduto insieme al carico, perché alcune gole rocciose sul percorso impedivano di trainare di nuovo a monte le barche con i buoi. Dal fiume lo spettacolo di villaggi e castelli (ce ne sono 1200, in tutta la regione, perché qui passava il confine tra Francia e Inghilterra durante la Guerra dei Cent’Anni) lungo le rive è davvero bello, e la guida a bordo (volendo ci sono le audioguide gratuite in inglese) approfondisce molto anche gli aspetti naturalistici. L’acqua è limpidissima, molta gente a riva fa il bagno e pesca, oppure fa passeggiate a cavallo, e il quadro è davvero idilliaco. Sbarcati di nuovo a La Roque, ci avviamo verso la valle del Vézere, detta “la valle della preistoria” per la grande concentrazioni di siti trogloditici e di pitture rupestri, tra cui la famosissima Lascaux. La grotta di Lascaux, con rarissime pitture policrome, non è però più visitabile, perché l’umidità prodotta dai visitatori stava rovinando i colori delle pitture rupestri. Ne esiste una copia perfetta (Lascaux II) a poche centinaia di metri, ma noi preferiamo visitare qualcosa di meno spettacolare ma… originale! Scegliamo la grotta di Rouffignac (7 €), dove un trenino su rotaia porta i visitatori in fondo alle gallerie (lunghe più di 1 km) facendo via via ammirare mammuth, cavalli, bovidi, capre… disegnati con un tratto così semplice e stilizzato, da essere modernissimo! CI sono poi le unghiate lasciate dagli orsi delle caverne, e un’ultima sala in fondo dove la volta è interamente ricoperta di disegni! Davvero affascinante! Attenzione, però: nella grotta ci sono 13°, una maglia è più che indispensabile! Sulla strada del ritorno visitiamo anche il sito di Roque S.Cristophe, una falesia colonizzata in epoca trogloditica e poi abitata ancora nel medioevo, dopo essere stata fortificata. La visita (anche qui 7 €) è molto piacevole: il sito è all’ombra (…Importante!), alcuni riallestimenti fanno capire bene come era organizzata la vita, un depliant in italiano (in prestito alla cassa) spiega tutti i dettagli. Rientrando, commentiamo ammirati la precisione nella segnaletica stradale, che non ci ha mai fatto sbagliare strada, né ci ha impedito di trovare ciò che cercavamo, nemmeno nel cuore più sperduto della foresta. Proprio come da noi…Vero?? Anche per oggi la giornata è stata piena, e un’oretta di relax in piscina ci rimette in sesto. Dopo cena decidiamo per un giro a Sarlat. Scopriamo che è una cittadina molto viva la sera, ricca di ristoranti e locali, con un centro storico medioevale molto ben conservato e, come al solito, molto ben illuminato. Passeggiamo in lungo e in largo, e decidiamo di cenare qui la sera successiva.
L’indomani è sabato, e siamo pronti per una puntata nel Lot, a sud-est di Sarlat. Questa regione è molto più siccitosa del Perigord: boschi radi di lecci, molto simili alla macchia mediterranea, colline brulle e gole rocciose scavate dai fiumi. Il nostro itinerario prevede di dirigerci verso Rocamadour, ma sul percorso ci fermiamo a visitare il mulino fortificato di Courgnagnet, solitario in una valle laterale in cui non si scorgono né persone né animali: affascinante. Il mulino è ancora attivo, anche se solo per fini didattici, ed è abitato dall’ultimo mugnaio della famiglia che da più di un secolo lo possiede. La moglie del mugnaio siede alla cassa (3€ a testa) sotto una pergola di vite, il marito spiega il funzionamento delle paratoie e delle macine, mostra i setacci della crusca e racconta la storia del mulino (che venne fortificato nel tardo medioevo per sfuggire agli assalti della popolazione durante le carestie), il cane sdraiato all’ombra agita la coda senza alzarsi. Che posto fuori del tempo.
Arrivati a Rocamadour ripiombiamo nel nostro secolo: i parcheggi per gli autobus sono numerosi ed enormi, deve essere un luogo molto frequentato, ma per fortuna noi lo troviamo deserto o quasi. Questa è una delle tappe dei pellegrini lungo il Camino de Santiago, che si fermavano qui prima di riprendere la via. Il paese è sviluppato in verticale lungo il fianco di una falesia di roccia: in alto (dove si arriva con la strada) un castelluccio, che però ci pare vuoto, a mezza costa il complesso del santuario, in basso il paese vero e proprio. Una scalinata lunghissima sale dal paese, i pellegrini la percorrevano a ginocchioni come penitenza. Vista la temperatura, noi scendiamo e risaliamo con una specie di cremagliera scavata nella roccia (4€ A/R). Il complesso del santuario è molto bello, in pietra bianca incastonato nella roccia, nella chiesa c’è una madonna nera (molto frequente da queste parti) e si vede un bel panorama. Non visitiamo il paese perché abbiamo letto sia solo un insieme di negozietti di souvenir. Ci rechiamo invece a visitare il Rocher des Aigles, alle spalle del castello. Si tratta di un centro rapaci (8.50€ a testa) che si occupa di riabilitazione di rapaci feriti, allevamento di quelli in via d’estinzione e ovviamente attività didattiche di educazione ambientale. Ogni ora c’è una dimostrazione di falconeria, durante la quale vengono mostrati in volo i principali rapaci europei e anche alcuni del continente americano. Sono animali nati presso il centro, che per motivi diversi non hanno potuto essere reintrodotti nell’ambiente naturale. Tre falconieri li mostrano in volo sopra la gola del fiume, e li richiamano facendoli passare a pochi metri dalle teste degli spettatori… davvero belli. La nostra iniziale titubanza nei confronti dell’uso di animali per una dimostrazione di volo che è comunque uno spettacolo a pagamento, si attenua alle spiegazioni dei falconieri e all’affascinante volo di questi splendidi animali. Peccato il caldo soffocante, sono le due del pomeriggio e ci saranno 35 o 36°C.
Dopo una lunga pausa di ristoro all’ombra, riprendiamo l’auto (che ci attendeva all’ombra in un bel parcheggio gratuito) e ci dirigiamo verso la Gouffre de Padirac. Lungo la strada incrociamo la prima (e terz’ultima!!) auto italiana da quando siamo partiti. Arrivati a Padirac, anche qui l’ampiezza dei parcheggi ci fa capire che si tratta di un posto molto turistico, e qua c’è anche la coda. Mentre aspettiamo di fare il biglietto, leggiamo che alla grotta sotterranea si accede attraverso un vasto inghiottitoio carsico, dal diametro di almeno 50 m e dalla profondità di circa 120 m. La particolarità di questa grotta è il corso d’acqua sotterraneo che viene superato a bordo di barche spinte a mano dai battellieri, fino a raggiungere la parte di grotta visitabile a piedi, lungo un percorso circolare che sale e poi scende tra stalattiti e stalagmiti molto suggestive.
Un ascensore ci porta alla base dell’inghiottitoio (volendo si possono usare …I 300 gradini della scala metallica), poi si scende a piedi fino all’imbarcadero. Le barchette portano 11 persone alla volta, e il battelliere spiega l’origine della grotta e la sua scoperta, a inizio secolo. Sicuramente esistono grotte più belle, quanto a concrezioni e aspetti geologici, ma di certo questa gita in battello sottoterra ci fa pensare a Dante e allo Stige! Anche qui, munitevi di maglia pesante, e magari di un k-way perché dalle volte gocciola molta acqua. Usciti dalla gouffre (attenzione, chiude alle 18) è ormai ora di rientrare verso La Roque Gageac; un bel temporale si profila all’orizzonte, e noi facciamo mentalmente l’appello di tutto ciò che abbiamo lasciato allo scoperto, in campeggio. Per fortuna, pare che il temporale sia altrove. Sulla strada ci fermiamo per una rapida visita a Carennac, un paesino davvero delizioso, quattro case un castello e tanti fiori. E’ indicato come “uno dei più bei villaggi di Francia”…Ma quanti saranno?! Un villaggio su tre ha questa denominazione! In campeggio, saltiamo la fase-piscina perché ormai è tardi, e dopo una doccia andiamo a Sarlat a cena. Ceniamo (bene) al Restaurant du Commerce, dove assaggiamo alcune specialità del posto come il patè d’oca, l’olio di noci e il petto d’anatra. E’ il 14 luglio, una gran folla di gente si aggira per Sarlat affollando i dehors. Alle 23 ci sono i fuochi d’artificio.
L’indomani è ora di riprendere la strada. Dopo colazione smontiamo le tende, carichiamo Samantha e ci dirigiamo verso l’Atlantico. Prima tappa, pochi km prima di entrare in autostrada, al castello di Hautefort. Viene descritto come “un castello della Loira in Dordogna”, con splendidi giardini alla francese, quindi facciamo una deviazione apposta per vederlo. Si vede già da distante, in posizione splendida su una collina all’interno di un altipiano leggermente ondulato. L’ingresso costa caro (8 € mi pare, ma se si ha il ticket di Eyrignac c’è un po’ di sconto) e alla fine non ci pare che ne valesse la pena… il castello è andato semi-distrutto durante un incendio negli anni ‘60, e gli interni sono stati pesantemente restaurati. Le spiegazioni sono scarne e lacunose. I giardini, dopo quelli di Eyrignac, ci paiono poca cosa, e sono anche piccoli. In definitiva, sono più che sufficienti la vista che si ha dalla strada che arriva da Sarlat, e quella più ravvicinata dallo spiazzo della biglietteria del castello. Poi si può tornare indietro.
Entriamo in autostrada a Perigueux, che per motivi di tempo non visitiamo, e passiamo Bordeaux seguendo le indicazioni per il Bassin d’Arcachon. Il traffico nell’altra direzione è intenso, è domenica pomeriggio e tutti i bordolesi tornano dal mare, ma noi viaggiamo tranquilli in senso opposto. Il paesaggio è abbastanza monotono, immense foreste di pini marittimi alternate a poche zone agricole. I pini sono stati piantati in questo secolo per contrastare l’avanzata delle dune di sabbia, e oggi sono un Parco regionale al cui interno si fanno passeggiate, gite in bici e a cavallo. Dopo le verdissime foreste del Perigord, queste pinete non riescono ad entusiasmarci. Un altro temporale provvede a tirare a lucido Samantha, ma sul mare sembra sereno. Difficile per noi abituarsi a questi cambi repentini di condizioni meteo…Qua l’assenza di montagne fa sì che le nuvole arrivino rapidissime, e rapidissime se ne vadano.
Aggiriamo, senza entrarci, Arcachon, la vedremo poi con calma, e ci dirigiamo verso la Dune de Pyla, una grande duna di sabbia (la più alta d’Europa) lungo la costa. In zona abbiamo letto di alcuni bei campeggi e pensiamo di pernottare lì. La zona campeggi si trova tra Pyla e Biscarrosse, ci sono 5 o 6 campeggi uno in fila all’altro. Entriamo nel primo, che ha due piazzole libere, ma decisamente troppo assolate. Il secondo campeggio ha solo più una piazzola, praticamente all’ingresso, e il posto è troppo caotico. Del terzo campeggio abbiamo letto sul sito internet che ha prezzi altissimi rispetto agli altri, e lo saltiamo. Cominciamo a temere di dover andare altrove, ma al camping Petite Nice finalmente il posto c’è, è molto ombroso, il campeggio pare molto più tranquillo e silenzioso e la piscina è molto carina. Certo le dimensioni ci fanno rimpiangere quella del Beau Rivage, ma tutti i campeggi qui hanno una piscina piccola, e in fondo qua… c’è il mare! Spenderemo circa 42 € a notte, allaccio elettrico compreso. Anche qui alla reception ci guardano come bestie rare: italiani pochissimi, più frequenti gli spagnoli (i paesi baschi sono a 200 km da qui). Sudando copiosamente montiamo le tende (l’umidità è forte e ci sono 34°C) poi come tradizione ci tuffiamo in piscina finchè non viene l’ora di cena.
Nella notte il caldo si fa ancora sentire, sul giornale leggiamo che sono attesi due giorni di “canicule”, come la chiamano qua, con punte di 38-39°, poi da mercoledì dovrebbe rinfrescare. Per fortuna la scelta della piazzola è stata perfetta: ombra per 24/24h! Oggi mare, davanti al campeggio: si scende lungo la collina fino in fondo alla pineta, le ultime mobil-home sono completamente al sole (!!!) sulle propaggini della duna. Un sentiero aggira il fianco della duna e porta a un tappetino di velcro (ebbene si) che scende vertiginosamente in spiaggia. Tra la nostra tenda e il mare ci sono perlomeno 130 m di dislivello, ce ne accorgeremo quando sarà ora di risalire, sotto il sole! Il fianco della duna è talmente ripido che il tappetino di velcro è indispensabile per non perdere aderenza e riuscire a risalire. Assolutamente sconsigliati gli infradito. E il mare? E’ splendido! Azzurrissimo, trasparente, pulito, perfettamente calmo per la presenza davanti alle dune di un banco di sabbia (Banc d’Arguin), presso cui si allevano le ostriche, che emerge anche con l’alta marea. Un tuffo si impone subito: l’acqua è leggermente freddina, ma molto meno di quello che temevamo. E con le temperature che ci sono, meno male che è freddina! Restiamo in spiaggia fino alle 16, poi l’ombra dei nostri due ombrelloncini non basta più (domani porteremo anche un lenzuolo, da stendere con l’aiuto di qualche molletta tra i due ombrelloni) e rientriamo. La risalita come detto è a dir poco ardua. Senza fiato, in cima corriamo alle docce, e così ci riprendiamo un po’. Per cena vogliamo darci al pesce, e così andiamo ad Arcachon. Troviamo parcheggio nella via parallela al lungomare, c’è gente ma non quanta temevamo. Arcachon si affaccia sul bacino omonimo, un tratto di mare quasi chiuso patria degli ostricoltori. Il caldo è soffocante, il lungomare piastrellato riverbera tutto il sole della giornata, qui è molto meno ventilato che nella nostra pineta… finalmente il sole inizia ad abbassarsi (essendo questa la costa ovest, il tramonto inizia verso le 21.30) e noi ci sediamo per cenare. I locali sono più o meno tutti simili, ne scegliamo uno che ci ispira e ci concediamo un piattone di coquillage misti, compresi ostriche, granchi e un’aragostina… si vive una volta sola! Il prezzo del menù è più che onesto, il vino in compenso è pessimo, caldo e caro per la sua (scarsa) qualità. In generale, comunque, noi abbiamo sempre mangiato con un buon rapporto qualità-prezzo, molto migliore che in Italia. Soprattutto per pranzo, è facile trovare un mini-menu completo di bevenda e caffè (se proprio ci si tiene a berlo) a 7-8€, quando da noi un paio di panini al bar costano la medesima cifra. A cena, poi, c’è un’ampia offerta di menu a prezzo fisso, intorno ai 20€, con 2-3 opzioni tra cui scegliere per ciascuna portata. Per chi ha bambini, poi, i “menu enfant” ci sono ovunque, come anche i seggioloni nei ristoranti, i fasciatoi nei bagni, i microonde per le pappe in autogrill. Che invidia.
Avendo visto la sera prima le pubblicità dei battelli turistici che vanno in visita al bacino d’Arcachon, decidiamo di fare uno dei tour. Quello che scegliamo è il più lungo (Grand Tour del bacino, compresi la Ile des Oiseaux e il braccio di mare davanti alla duna di Pyla) e parte da Arcachon, ahimè …Alle 14.30! Sotto il solleone parcheggiamo nella solita via e poi andiamo a fare i biglietti (18.50€ a testa, 2.5 h). Il tour è abbastanza interessante, ma ci aspettavamo molto di più. Gli allevamenti di ostriche si vedono da distante, per fortuna c’è qualche barca da pesca al lavoro sennò si vedrebbe ben poco. Le spiegazioni dello speaker si sentono male (e sono solo in francese). I paesini lungo la costa del bacino non sono poi così caratteristici, e il caldo è soffocante. Lo spettacolo della duna vista dal mare, e del faro di Cap Ferret, però, ripagano abbastanza. Forse bastava un tour più breve (e anche meno costoso). Sbarcati di nuovo a riva, un mega-gelato ci riconcilia con il mondo.
L’indomani decidiamo per una giornata di mare a Lacanau-Ocean, 30 km a nord del bacino di Arcachon. Per arrivarci la strada è davvero lunga, in questa regione le strade sono poche (non esiste una strada costiera, ad esempio) e disposte pressappoco a maglia regolare, quindi capita di dover zigzagare parecchio per arrivare dove si vuole. Un’ora abbondante di strada e siamo a Lacanau-Ocean; seguiamo (a caso) le indicazioni per le spiagge a nord, e lasciata l’auto in un bel parcheggio (come al solito è grande, è gratuito, è molto ombroso, è ricco di tavolini da picnic e cestini dei rifiuti…Ma basta con i soliti polemici confronti) scendiamo in spiaggia. Le onde qua ci sono, eccome! I surfisti sono numerosissimi. All’ingresso della spiaggia, su una lavagna, sono indicate ora per ora le maree e la direzione delle correnti; si può fare il bagno solo dove è indicato da due bandiere blu issate su due pali altissimi, e ci sono i bagnini sui trespoli, proprio come nei film. Chi si azzarda pochi cm fuori delle bandiere, viene subito richiamato con una strombazzata (si, le stesse trombe che si usano allo stadio!). Le bandiere vengono periodicamente spostate in funzione dello spostamento delle maree e delle correnti. Nel giro di una mezza giornata, il mare si ritira anche di 60-80 m. (…E i bagnini gli vanno dietro con il loro trespolo). Effettivamente, la corrente è davvero forte e il risucchio delle onde, che nei tratti permessi è già abbastanza forte, nei tratti vietati può diventare davvero pericoloso. Un paio di volte arriva l’elicottero a portare a riva dei surfisti che non riescono più a rientrare; nessuno ci fa caso, quindi dev’essere una cosa molto frequente. L’atmosfera è davvero bella, però, e le onde sono divertentissime. Torniamo alla macchina solo perché ormai si fa tardi, e la strada è lunga.
Dopo il tappone in macchina fino a Lacanau, l’indomani decidiamo per il mare più vicino: anzichè salire, scendiamo a sud di pochi km, fino a Biscarrosse. Anche qui il mare è splendidamente mosso, ci sono i surfisti, i bagnini e le bandiere… ormai siamo dei professionisti dell’oceano e sappiamo già tutto! A posteriori, non valeva la pena di macinare tanti km fino a Lacanau, perché la spiaggia qua è davvero identica. A metà pomeriggio il cado ci convince a lasciare la spiaggia, e facciamo un giro in macchina a vedere uno dei numerosi laghi di acqua dolce che ci sono pochi km più all’interno. Sono molto frequentati dai bagnanti (in effetti l’oceano non è cosa per tutti) e da miriadi di windsurf e di barchette a vela. Dopo un gelato torniamo in campeggio, dove …Testiamo ripetutamente lo scivolo della piscina. Ceniamo presto (con una pessima pizza presa in campeggio) perché vogliamo andare a vedere la Dune di Pyla al tramonto. C’è un parcheggio a pagamento vicino alla duna (che però poi uscendo verso le 22 troveremo con la sbarra aperta). Una serie di chioschi e negozietti di souvenir ci accompagna fino alla base della duna, da cui parte una scala di 200 e passa gradini che sale fino in cima. Abbiamo fatto bene a venire al tramonto, chissà che caldo di giorno! Il panorama su è incomparabile: la duna lunghissima, che scende fino al mare, il mare e il banco di Arguin al largo, il sole che scende, Arcachon e il faro di Cap Ferret, la pineta fittissima alle spalle della duna. Restiamo seduti nella sabbia ormai fredda fino a che il sole scompare.
L’indomani, già stanchi della vita di solo mare, decidiamo di fare un tour a zonzo per vedere qualcosa di storico-artistico-natural-gastronomico. Decidiamo per il Medoc e la foce della Gironda. Andiamo in autostrada fino alla tangenziale di Bordeaux, poi ci dirigiamo verso la zona vinicola lungo il fiume. Zigzagando tranquilli, passiamo diversi villaggi carini e un sacco di “chateaux”. In realtà non sono sempre castelli veri e propri; per “chateaux” si intendono i produttori vinicoli con denominazione d’origine. C’è anche la vigna dello Chateaux Laffitte Rotschild (questo si che è anche un castello vero e proprio!). Il paesaggio è leggermente ondulato; vediamo le indicazioni del Forte di Medoc, una fortificazione difensiva disegnata da Vauban, il famoso architetto militare del 700, e decidiamo di visitarlo (2€ a testa). Il sito si affaccia sulla Gironda, da qui veniva difeso l’ingresso a Bordeaux via fiume. Il tutto è abbastanza all’abbandono, è stato utilizzato come fonte di pietrame nel secolo scorso e parte delle costruzioni difensive è diroccato. Oggi ha richiesto l’attribuzione di Patrimonio mondiale dell’Umanità, ma a noi è parsa una richiesta un po’ eccessiva. Lasciato il forte, pranziamo con qualche panino comprato al supermercato, poi raggiungiamo il faro di Richard, sulla riva della Gironda. Il fiume è larghissimo (12 km, alla foce!) e di un color marroncino abbastanza raccapricciante. La temperatura è tale che dopo due foto veloci galoppiamo di nuovo verso la macchina. Arriviamo fino alla foce, di fronte a La Rochelle, collegata con un servizio di traghetti (l’ultimo ponte sulla Gironda è a Bordeaux). Il famoso faro che si vede nelle cartoline è talmente al largo che si intravede solo. Passiamo da Souillac-sur-mer, cittadina balneare che ci pare carina, poi prendiamo la RN che torna verso Bordeaux. Ci vogliono quasi due ore a rientrare da Souillac alla Duna di Pyla, e forse non ne valeva la pena. Tra l’altro è venerdi sera, e tutta Bordeaux è in autostrada verso il mare. A un certo punto uno dei soliti temporali ci lava, ma poi in campeggio ceniamo all’asciutto.
L’indomani è l’ultimo giorno qua ad Arcachon, ed è nuvolo. Stanchi dal tour-de-force di ieri nel Medoc, ce ne stiamo in spiaggia vicino al campeggio, per il nostro ultimo assaggio di mare. Nella notte c’è stato vento forte, e a riva ci sono un po’ di alghe, ma l’acqua è comunque pulita. Per fortuna le nuvole ci proteggono dal sole…Tanto ormai l’abbronzatura c’è! Una folla di deltaplani e parapendio si lancia dalle dune e volteggia nella corrente ascensionale lungo il fianco della duna per delle mezz’ore intere. Uno a un certo punto piomba rovinosamente in spiaggia, ma senza farsi (troppo) male. Verso le 14 il sole rispunta, e fa subito di nuovo caldo, quindi affrontiamo la risalita (..Uno skilift sarebbe un’ottima idea!) e poi stiamo a rilassarci ancora un po’ in piscina, leggendo un libro. Verso le 17 prendiamo la macchina e andiamo a Bordeaux, dove vogliamo fare un giro e poi fermarci a cenare. Non possiamo ripartire senza averla vista! In 40 minuti scarsi siamo in città, cartina alla mano parcheggiamo in un parking sotterraneo vicino alla Esplanade. La città è carina, soprattutto i bei palazzi della Borsa lungo il fiume e la Cattedrale (chiude alle 18), ma ci sono moltissimi lavori in corso per la riqualificazione del lungofiume, che in effetti per ora è davvero desolato. Il centro si gira rapidamente in un’oretta; ceniamo in una piazzetta molto caratteristica affollata di gente e poi ritorniamo verso l’autostrada ammirando il lungofiume illuminato.
E’ domenica. Anche questa settimana sull’Atlantico è finita, e anche le vacanze. Con un po’ di tristezza carichiamo di nuovo Samantha con tutti i bagagli e diamo l’ultima occhiata alla duna di Pyla. Un pieno di benzina al centro commerciale, in cui compriamo anche qualche prodotto tipico da portare a casa, e poi ci dirigiamo verso Bordeaux. Usciamo vicino a Libourne per visitare S.Emilion, un paesino medievale molto caratteristico, famosissimo per i suoi Bordeaux. La guida dice che a S.Emilion ci sia un’enoteca ogni 8 abitanti…Secondo noi è vero! Il villaggio è davvero splendido, tutto in pietra bianca, arroccato sulla cima di una collinetta; in cielo mille nuvolette corrono veloci. Pranziamo e dopo qualche foto ci riavviamo. Una deviazione a causa di una festa paesana ci fa allungare di un’ora buona la strada, ma il paesaggio è davvero bello, colline vestite di vigne e di boschi, mucche al pascolo, radi villaggetti deserti. Finalmente ritroviamo l’autostrada, sono ormai le 16 e volendo arrivare a Clermont-Ferrand, allunghiamo il passo. All’ora di cena usciamo dall’autostrada a Ussel, per cenare da qualche parte. Il paese è assolutamente deserto, solo tre ragazzini maghrebini giocano a pallone in piazza e ci guardano sgranando gli occhi. I turisti non devono essere frequenti; eppure il centro storico è carino, non ha nulla da invidiare a tanti altri. In ogni caso è proprio tutto chiuso, quindi dopo due passi veloci per sgranchire le gambe ritorniamo in autostrada. Alle 20 siamo al nostro Formula 1 a Clermont. Visto che la città l’abbiamo già vista, e che siamo proprio stanchi, mangiamo (bene) al Grill che c’è alle spalle del motel, e dopo una doccia tutti a nanna.
L’indomani ci aspetta l’ultima tappa del viaggio. Dato che la strada da fare non è tantissima (circa 500 km, tutti in autostrada) votiamo per una deviazione verso Le Puy en Velay. I depliant mostrano una cittadina di origine medievale, tappa sul Camino de Santiago, con tre stranissimi pinnacoli vulcanici su cui ci sono una chiesa e una statua della Madonna; altri resoconti parlano di una tappa assolutamente da non perdere. Quindi.. Andiamo! Lasciamo l’autostrada a S. Etienne, e una trafficatissima superstrada a due corsie, con mille curve e duemila saliscendi, ci porta 90 km dopo a Le Puy. Con lo stomaco un po’ sottosopra, parcheggiamo e cerchiamo il centro storico… ovviamente in salita (ma ormai sappiamo che le cose più interessanti sono sempre in alto!). Alcune strade lastricate di pietra arrivano fino alla Cattedrale, da cui si vede anche uno dei pinnacoli (quello con la statua) da vicino. La Cattedrale è pesantemente restaurata, tanto da sembrarci proprio snaturata… Visitiamo anche il chiostro (…5 €!!! ulp!!) e anch’esso, per quanto carino, ha subito pesanti rifacimenti “nello stile di com’era prima”. Scendiamo lungo la via principale, da cui giungevano i pellegrini: ci sono molti negozi di pizzi (la specialità del luogo), una bella fontana gotica, alcune case antiche e poi… brasserie e negozi di souvenir. Molto molto delusi, lasciamo Le Puy. Pur di non rifare la superstrada-flipper, decidiamo per la statale che si dirige a ovest verso Valence. Sono più di 100 km, ma sembra che sia diritta. Alla fine ci metteremo quasi 3 h (compresa una bella sosta-gelato) per arrivare a Valence, ma il panorama ci avrà largamente premiato della pazienza: un vasto altopiano verde di pascoli, scarsamente abitato a parte pochi splendidi villaggi di pietra. E la strada… perfettamente rettilinea per due terzi abbondanti del percorso! A Valence riprendiamo l’autostrada verso Grenoble, dove arriviamo in piena ora di punta. Per giunta a causa dell’alto tasso di inquinamento atmosferico in autostrada c’è il limite a 70 km/h. Finalmente passiamo oltre, e verso il Frejus…Non c’è più nessuno. Oltre il Tunnel piove, anzi a Bardonecchia diluvia! Un caffè in autogrill (…Che attesa spasmodica per questo caffè!!) e alle 20 siamo a Torino. Il caldo è notevole, e un’intera giornata con l’aria condizionata ci fa patire anche di più. Toh, ma abbiamo fatto 3800 km! E brava Samantha! In conclusione, siamo rimasti (di nuovo) affascinati da quanto la Francia, così vicina ma così diversa, possa offrire: una varietà di paesaggi, di attività e di interessi che davvero soddisfa tutti i gusti! Splendida sorpresa di questo viaggio: il Perigord. Nato come tappa intermedia verso l’Atlantico, in realtà meriterebbe un’intera vacanza solo per sé, o perlomeno più gg di quanti gli abbiamo dedicato noi. Pensiamo che si presti molto bene tra l’altro anche a visite autunnali e a vacanze itineranti in camper. Altri pensieri sparsi: il turismo si crea (e si mantiene!) soprattutto con l’organizzazione (la cartellonistica stradale impeccabile, i parcheggi frequenti, puliti e ombreggiati, poche regole ma chiare e inderogabili), la buona promozione (i “più bei villaggi di Francia” saranno milioni, ma stimolano la curiosità; i depliant e le guide vengono prontamente e gratuitamente inviati, i siti sono aperti tutti i giorni, le spiegazioni in altre lingue sono quasi sempre disponibili, i luoghi turistici sono puliti, fioriti e ben curati) e il rispetto del turista, che è innanzitutto un cliente, qualsiasi tipo di turismo faccia (vedi quanto detto prima in merito ai servizi per l’infanzia, ma poi ci sono la pulizia e la frequenza delle toilettes, delle aree picnic lungo le autostrade e le RN, dei punti di carico e scarico per i camper). Speriamo di riuscire a imparare qualcosa per il nostro Bel Paese… chissà. Buon viaggio.
Monica, Luca, Konrad & Bì