Dai Wallabies ai Kiwi attraverso Sydney
il nostro viaggio inizia dalla bellissima città anglocinese, da quella che è chiamata ormai la capitale mondiale culinaria, la città dei grattacieli più alti ed arditi, della baia più bella del mondo. Dopo 5 giorni tra Hong Kong e Macao, il nostro viaggio prevede la partenza dal modernissimo aeroporto di Chep Lap Kok, raggiungibile con una metropolitana ad alta velocità, un bel volo notturno con la Ansett Australia (abbastanza scadente, infatti fallirà poche settimane dopo) e finalmente l’atterraggio il mattino dopo in Australia! a Sydney! un sogno lungo anni e anni. Il continente dei canguri, degli spazi infiniti, degli aborigeni e dei pazzi Australiani! l’arrivo è un netto contrasto con Hong Kong: là 35°, afa anche alle 2 di notte, un’umidità da far vomitare, ma anche una città dove il traffico e la vita urbana non ha diferenze tra le 6 del pomeriggio e le 4 del mattino, caos e vita frenetica ad ogni ora, modernità sfrenata, iperconsumismo.
l’Australia ci accoglie con un terminal aeroportuale uscito direttamente dagli anni 70 (il nuovo terminal per le Olimpiadi che sarebbero iniziate 2 mesi dopo era ancora in costruzione), moquette e arredo tipo Austin Power. usciamo dall’aeroporto che sono le 6.30 del mattino, anche il nuovo treno di collegamento tra l’aerostazione e il centro città non era ancora entrato in funzione, quindi l’unica soluzione è il taxi.
già, peccato che vi sia una coda infinita e per di più all’aperto. Siamo vestiti un pò leggeri, pantaloni di cotone, camicia e felpa.
peccato che ci siano 5°. Fa un freddo becco. E pioviggina pure.
nel gelo ci facciamo questa simpatica ora di attesa per un taxi. Primo contatto con un australiano: il tassinaro.
è un uomo enorme di colore, e per di più è inscatolato! infatti quasi tutti i taxi di Sydney hanno un guscio di plastica infrangibile trasparente che avvolge l’autista! per proteggerlo dalle rapine. Scoraggia qualsiasi tentativo di comunicazione. Gli diciamo l’indirizzo. L’Hotel si chiama Wentworth Sofitel. Noi pronunciamo “Wentworth Sofitel”. Sopratutto mia moglie sa l’Inglese molto bene, quasi bilingue.
il tassita ci guarda con occhio bollito. “what” “Wentworth Sofitel” “what” “WENTWORTH SOFITEL” “bloody hell…What?” gli passiamo la prenotazione attraverso una minuscola fessura del suo guscio.
“ahhh, WAWWAAAASOFTIIIL” ecco.
mentre attraversiamo la sterminata perfieria sud di Sydney, ci rendiamo conto che è sabato mattina, da 2 elementi: il traffico quasi inesistente e sopratutto, pur essendo le 7.30 abbondanti, dal non indifferente numero di ragazzi e ragazze ubriachi che tornano a casa camminando…Come ubriachi, da party e discoteche.
Dopo mezz’ora siamo nella nostra camera, doccia, ci vestiamo un pò più pesanti, ma non abbiamo maglioni, e ci prepariamo per scoprire la città.
l’uscita dall’albergo è traumatica. La temperatura è uguale a prima, ma in più c’è una simpatica brezza gelida che ci rincuora. Ancora zero traffico. La città sembra quasi deserta.
il nostro albergo è ai margini meridionali della zona centrale. Decidiamo di andare a piedi sino alla baia dove si trovano la famosa Opera e il ponte.
prima considerazione: pur avendo gli stesi abbitanti di Milano, Sydney è sterminata, infatti per tradizione britannica la maggiorparte delle case sono a 1 o 2 piani, tranne che in centro e in qualche slum periferico dove abbondano i grattacieli.
seconda considerazione: Sydney non è una città di pianura. È una città di collina. morale: ci smazziamo 6 chilometri a piedi in salita e discesa con una temperatura di 5°. Piove pure.
in effetti è inverno! percorriamo tutto l’asse Sud-Nord, Regent street, Lee street e l’infinita George street.
camminiamo in una situazione che sembra da post Fall-out. Sembra una città deserta.
sembra una città abbandonata. Tutti i negozi sono chiusi, passa un auto ogni 10 minuti, nessun passante. La zona è quella centrale, qualche bell’edificio Vittoriano (più o meno falso) e decine di altissimi grattacieli di cristallo con la Torre osservatoria che domina il tutto; dopo una lunga e gelida camminata ci fermiamo a fare la nostra prima colazione vera Australiana. Nell’unico posto aperto…Un DeliFrance…Croissant e pan au chocolat…Con un cappuccino che avrebbe fatto piangere anche un Tedesco.
ma finalmente iniziamo a vedere qualche essere umano…Turisti…Solo turisti.
arriviamo infine a Sydney Cove, una baia piccolina, abbstanza brutta dominata da una autostrada sopraelevata e dalla gigantesca stazione ferroviaria di Circular Quay. Ma alla sua destra troneggia la Sydney Opera House ed alla sua sinistra l’iponente Sydney Hrbour Bridge. In pratica i 2 monumenti più famosi dell’intera Australia. (un pò poco?).
l’Opera da lontano è meravigliosa, da vicino un pò meno, la struttura è comunque imprassionante, solo vedendola dal vivo ci si rende conto che ha le dimensini di una cattedrale. Inaugurata nel 1973, dopo dei lunghissimi lavori (venne iniziata nel 1959), dopo un disastro di programmazione. Il concorso Internazionale venne vinto da un ragazzo Danese (e già qui il governo Australiano storse la faccia), poi i costi di costruzione decuplicarono (non succede solo in Italia!), il Danese nauseato da tutto ciò abbandonò il progetto e subentrarono 3 architetti Aussie. Il Governo riniziò a finanziare l’Opera per finirla nel 1973. La prima recita nel teatro, solenne inaugurazione con Guerra e Pace di Tolstoji, venne funestata dalla presenza in scena di un Opossum, un simpatico marsupiale, che si aggirò per il palcoscenico! oggi però l’Opera con i suoi 4 auditorium, il suo teatro, il cinema multisala, la sala concerti è un gioiello culturale per tutta l’Australia.
ci facemmo la solita visitina di dovere, non capimmo quasi nulla delle spiegazioni della guida ed uscimmo felici e contenti, accolti da uno splendido cielo blu e da un tiepidino sole australe! almeno non porta sfiga l’Opera! il quartiere circostante il Sydney Cove è The Rocks, uno dei più antichi dell’intera Australia. Era la zona dei Docks, i magazzini costruiti uguali a quelli Londinesi, con mattoni rossi a vista. Oggi, dopo decenni di abbandono è stata restaurata ed è diventata la zona culturalmente più alla moda della città. Decine di caffè, pubs, ristoranti, musei, scuole d’arte e gallerie.
in più un temibile (per me) mercatino all’aperto, che di solito è Domenicale. Purtroppo, sfiga volle, che in vista delle Olimpiadi, diventasse giornaliero per il Luglio ed Agosto 2000. Cosa vendono? ciarpame, finte antichità, ninnoli, sassi colorati, magliette dipinte a mano, fintissime riproduzioni di lanterne marinare, e altre centinaia di oggetti prettamente inutili, ma che attraggono un essere umano di sesso femminile come la melassa per gli orsi.
2 ore di mercatino.
spossato da tale impresa, abbandono il campo poco dopo, e mi rifugio in uno dei bar che finalmente avevano aperto.
la cosa che invidio agli anglosassoni è la tradizione di avere in quasi ogni locale pubblico decine e decine di libri, riviste e quotidiani a disposizione degli avventori.
prendo il Sunday Telegraph…E cosa leggo?…Quella sera, il 29 luglio 2000, partita del Tri Nations tra Australia e Sud Africa, tra i Wallabies (un tipo di canguro simbolo del Rugby Aussie) e gli Springboks (una gazzella simbolo insieme alla Peonia del Rugby Afrikaans) partita di inaugurazione del torneo 2000! io sono malato di Rugby, adoro il Rugby, mi nutro di Rugby. Sono in Australia è c’è Australia – Sud Africa! del Tri Nations, il 2° torneo di Rugby più importante del mondo dopo i Mondiali! devo trovare i biglietti! immediatamente! chiedo al barista dove comprare i biglietti, ride, il cane,…Sono tutti esauriti da mesi! però il bagarinaggio in Australia, come in tutti i paesi anglosassoni è legale, fuori dallo stadio si trovano biglietti. A peso d’oro.
aspetto la moglie.
“senti, ti intereserebbe andare a visitare il parco Olimpico a Homebush Bay?” “no. Non me ne può fregare di meno” “ma è molto bello, è un area verde enorme, con tutti gli stadi, il villaggio olimpico, e decine di negozi…” prendiamo il treno e dopo 20 minuti siao ad Homebush Bay. È incredibile ma a 2 mesi scarsi dalle Olimpiadi è ancora tutto un cantiere.
ovviamente non c’è nessun negozio! ma fuori dallo stadio ci sono i bagarini! ne avvicino uno. 120 dollari australiani per un posto in piccionaia! “dove vorresti andare stasera?” quasi mi inginocchio.
ma la Santità della moglie prevale. Mi Benedice, mi Unge, mi Beatifica e acconsente all’acquisto! ora devo solo far passare quelle 8 ore che mi separano dalla partita! gironzoliamo per Homebuh Bay giusto 5 minuti e riprendiamo il trenino. Ritorniamo in centro; ora devo sdebitarmi. Visitiamo tutti i centri commerciali della città. un maratona epica.
l’unico degno di nota è il Queen Victoria Building, un edificio, ovviamente Vittoriano, su più piani con un centinaio di negozi di alto livello. Prezzi allucinanti. Ma almeno è al chiuso e non fa freddo.
mangiamo un untissimo Fish & Chips sui moli di Darling Harbour e riniziamo a girare la città per tutto il pomeriggio.
la zona di Darling Harbour, un’altra profonda baia è effettivamente molto bella. Un grande parco circonda la baia. Dentro ci sono il Centro di Esposizione, il Museo Marittimo, un inutile Museo dell’automobile, decine di ristoranti e l’Acquario. Che andiamo a visitare.
È molto bello, grosso con decine di enormi vasche, ma si vede che è ormai vecchiotto. Rispetto a quelli di Genova e di Monaco è un po’ inferiore. Tranne che nella vasca degli squali.
È un’enorme piscina di vetro, dove gironzolano tranquilli ed annoiati parecchi squali, Toro, Leopardo, Grigi, Mako…La cosa più bella è che vi sono 2 tunnel pedonali che attraversano tutta la vasca a metà della piscina. Gli squali passano attorno, sopra e sotto ai tunnel.
Fa comunque sempre tristezza vedere questi splendidi animali rinchiusi tra quattro muri. Ed avendoli visti decine di volte in immersione, fieri, liberi, veloci, maestosi, fa pena vederli girare costantemente lungo la stessa noiosissima rotta. Sembra di assistere alla scena di Fuga di Mezzanotte di Alan Parker, dove i reclusi della prigione/manicomio di Istanbul camminavano in circolo intorno ad un pilastro. Gli squali fanno lo stesso…Ma non c’è un protagonista che si oppone a tutto ciò come nel film.
Usciamo rattristati. Ma è quasi ora! Treno per Homebush Bay! In treno ci sono centinaia di tifosi Aussie, tutti con la maglietta della loro nazionale, con ridicoli cappellini da giullare, tutti abbastanza satolli di birra.
Ci sono anche parecchi Afrikaans, con la loro maglietta, gli sguardi truci e pure loro satolli di birra.
Lo Stadio Olimpico è enorme, e pur essendo abituato a San Siro che con i suoi quasi 90.000 spettatori non è un buco, questo pare gigantesco. Credo abbia quasi 150.000 posti (che verranno poi ridotti finite le olimpiadi). Ed è strapieno. Noi siamo in piccionaia, si vede pochino, anche perché lo stadio ha la pista di atletica, allontanado ancor di più il campo di gioco. Io sono tifoso della Nuova Zelanda, e quindi in teoria dovrei essere contro l’Australia, e tifare il Sud Africa. E così faccio…Tra me e me. Visto che sono circondato da circa 135.000 Aussi mezzi ubriachi! Fuochi d’artificio, tutti che cantano in piedi gli inni nazionali (dell’arbitro e delle 2 squadre), poi inizia la partita. Gli Australiani cantano ininterrottamente, la partita è bellissima, anche mia moglie si appassiona ed effettivamente è uno spettacolo unico. Bulldozer di 130 kg che corrono come lepri, scontri che ammazzerebbero sul colpo un essere umano normale, agonismo puro e nessuna protesta, nessuna simulazione, nessuna scorrettezza. Solo puro agonismo. Proprio come il nostro calcio! D’altra parte Winston Churchill amva dire che il Football è uno sport da Gentiluomini giocato da delinquenti, e il Rugby uno sport da delinquenti giocato da Gentiluomini. Ed aveva ragione.
Ovviamente il mio tifo per il Sud Africa è determinate! L’Australia vince 26 a 6! distrugge e massacra gli Afrikaans. Resisto alla tentazione di comprare le polo delle 2 nazionali, berretti, cappellini, sciarpe, spille …A fatica.
Lo spettacolo continua in treno. Cori, lattine di birra ovunque, australiani che ci abbracciano.
Cotti un po’ dal fuso orario ce ne torniamo felici in albergo.
Un gran primo giorno in Australia.
Il 30 luglio ci svegliamo con calma, siamo distrutti dalla giornata precedente. Decidiamo di regalarci solo relax. Con il treno andiamo a prendere un traghetto che ci porta a Manly, una cittadina dell’aera metroplitana di Sydney, dall’altra parte della baia. Lungo il tragitto vediamo diversi delfini. Siamo gli unici che restiamo sbalorditi. È una cosa normalissima.
Manly è una sorta di Brighton in miniatura. Casette all’inglese colorate, un lungo viale pedonale che collega le due spiagge della cittadina. Una quella dove arrivano i traghetti è abbastanza squallida, l’altra è una lunghissima spiaggia dorata. La giornata è splendida e anche se non fa caldo ci sono comunque una quindicina di gradi. E cosa fanno i giovani australiani la Domenica? Vanno in massa in spiaggia e cosa fanno in spiaggia…In Inverno? Surf e Rugby! Ci sdraiamo sulla sabbia e restiamo ad osservare la fauna umana che ci circonda. Ragazzi e ragazze in costume, noi con la felpa, ragazzi in muta sul surf, nell’acqua gelida del Pacifico (ad un Europeo, abituato al Mediterraneo, probabilmente cadrebbero tutte le unghie dei piedi solo ad entrare in acqua, e verrebbe colto da una letale forma di artrite fulminante). Surfano tranquilli, a piedi nudi, con sottili mute da 2 millimetri, altri giocano a Rugby-beach, come da noi si gioca a racchettoni.
Ci godiamo un paio di ore di sole, pranziamo in un chiosco con degli atroci panini ripieni di salse sconosciute e poi riprendiamo il traghetto per andare in un’altra vicina baia, quella dello Zoo.
Lo Zoo di Sydney, Taronga, si trova in una splendida posizione, esattamente di fronte al Sydney Cove, con vista sul ponte e sull’Opera, con tutti i grattacieli come sfondo.
È un normalissimo zoo, con poche gabbie e molte aree con fossati, ma con in più tutta la fauna autoctona del continente. Canguri, Opossum, Marsupiali che nemmeno sapevo esistere, strani volatili, enormi voliere con gli uccelli della Papua Nuova Guinea, bellissimi e coloratissimi, e tutti gli altri animali presenti in ogni zoo del mondo.
La cosa più “strana” è la zona della giraffe e degli elefanti, che sono rivolte verso la baia. Ci si trova una giraffa di 5 metri con sullo sfondo l’Opera House! Come sempre usciamo rattristati dallo Zoo e ci chiediamo perché diavolo andiamo a visitarlo ogni volta! L’area dei canguri era oltretutto di una tristezza infinita. Grossi canguri rossi ingobbiti e tristi, che quasi nemmeno saltellavano.
Torniamo in barca in centro, rivediamo i delfini, e andiamo a Darling Harbour a cercare un ristorante.
Ce ne sono parecchi, tutti alla moda e abbstanza cari. Andiamo in uno a caso. Si chiama Jo Jo’s, molto bello, high-tech, giovani fighetti e alla moda. Prezzi adeguati.
Apro il menù…E cosa trovo…Grigliata di Canguro…Mmmmhhh…”Paese che vai, usanze che trovi”…Dice così il detto. Ed io mi adeguo sempre, soprattutto sul lato culinario.
Arriva la nostra cameriera, una bellissima fanciulla locale. Blatera qualcosa in un inglese tremendo.
Ordiniamo. Io prendo la T-bone steak di Canguro. La principessa mi chiede come la voglio cotta.
…E compio l’errore…Non mi ricordo come si dice “al sangue” (si dice “rare”)…E preso dall’amnesia le sparo un bel “Bloody”. La donzella mi guarda maluccio. Già! “Bloody” è il re degli intercalari australiani. Letteralmente significa “sanguinario”…Ma specie in Australia significa “bastardo”, “fottuto”, e altre sei o sette brutte parole. Mi a moglie scoppia a ridere e corregge con un “well rare, sorry”. La cameriera, capisce l’equivoco, fa un sorrisetto di circostanza e se ne va.
Arriva il Canguro. Non saltella, poveraccio…Ma è buonissimo, tenero, sapore deciso, ottimo. E soprattutto una bistecca enorme. Ci beviamo un costosissimo Shiraz Cabernet (costa come il nettare Divino) e belli satolli usciamo a passeggiare lungo il Darling Harbour. Troviamo in mezzo al parco una strana costruzione. È il negozio dell’Ufficio del Turismo per l’artigianato Australiano.
Tonnellate di ciarpame. Si può entrare vestiti da cristiani e uscirne conciati come Crocodile Dundee, con tanto di cappello, stivali di coccodrillo, cintura di coccodrillo, portafoglio di coccodrillo, coltello da 40 cm, e altri oggetti inutili.
Vengo però attirato dai Didgeridoo. È lo strumento musicale degli aborigeni. Un tubo di legno di Eucalipto, che viene reso cavo dalle termiti. Lungo da 120 sino a 170 cm e più, viene usato dagli aborigeni da circa 15.000 anni. Rilascia un suono ipnotico, una vibrazione modulare particolarissima. Un mio amico ne aveva portato a casa uno un paio di anni prima.
Lì ce ne sono diverse centinaia, come anche diverse centinaia (di dollari)ne costa uno. Rinuncio quindi a comprarne uno, anche perché portarsi un tubo di legno di 1 metro e mezzo per il mese successive di ferie che abbiamo ancora da fae, non è il massimo della comodità (questa è la scusa che mi sono inventato, in realtà non volevo spendere 200 mila lire per un oggetto che sarebbe presto finito in cantina!).
In mezzo a questa foresta di Didgeridoo c’è un ragazzo Australiano che li prova uno a uno, come un esperto violinista prova dei Violini in una Liuteria di Cremona. Detto in parole povere sbava in tutti i Didgeriddo. Infatti per riuscire a suonarlo o anche ad emettere un solo suono, bisogna quasi sputarci dentro, fermandosi un attimo prima. La bravura sta nel riuscire a fermarsi prima! Con un po’ di schifo, pensando al numero enorme di turisti che ci deve aver scatarrato dentro, provo a suonare uno Didgeridoo a caso. Ci sputo dentro! Provo un secondo.
Ci risputo dentro.
Interviene il ragazzo. Mi spiega che devo inspirare con il naso e soffiare dentro il tubo, ma non tutta l’aria, solo una parte e intanto continuare a respirare e soffiare. Facendo un movimento colplicatissimo con le guance. Morale: ci sputo dentro per una decina di minuti, arrendendomi sconfitto. Nemmeno una singola vibrazione. In compenso sono stravolto e con il fiatone.
Stiamo per uscire dal negozio, quando un signore aborigeno ci chiama e ci fa cenno di raggiungerlo vicino all’esposizione di Didgeridoo. Ci spiega che è un musicista che fa 2 concerti al giorno per i turisti al centro esposizioni. E che ci farà vedere come funzione il famigerato tubo.
Ci sediamo vicino a lui e questo dopo avere fatto qualcosa di simile ad un training autogeno, inizia a suonare il Didgeridoo…Uno cosa splendida, ci dice che suonerà una musica che ricorda il vento. E dal tubo…Esce il vento, una vibrazione costante e melodica, ipnotica, che ricorda il vento.
Poi ci suona il fuoco, anche questa ipnotica, molto ipnotica. Talmente ipnotica che ci vende due suoi Compact Disc a 35 dollari l’uno! Felicemente ipnotizzati ed allegeriti di 70 dollari Australiani usciamo dal negozio. Abbiamo anche diverse orrende magliette che celebrano le Olimpiadi del 2000, i canguri e l’Opera House…Ma lì l’ipnosi non c’entra…E nemmeno io.
(i c.D. Dell’ipnotizzatore li ho ascoltati credo 2 volte. Per i primi 10 minuti sono molto belli, dall’11° minuto al 20° si prova una particolare sensazione di noia; dal 21° in poi si viene assaliti da un torpore deciso e inesorabile; se si arriva oltre il 30° minuto può apparire nei soggetti maschili una forma acuta di Orchite).
Con la nostra “spesa” ce ne andiamo a nanna.
È circa mezzanotte, prendiamo il treno, e nonostante vi siano alcune facce da tagliagola Sydney da l’idea di essere una città abbastanza sicura e vivibile.
31 luglio. Ci svegliamo tardi anche in questa occasione. Che fare? Musei! L’interessante Museum of Sydney, sulla nascita della città e le culture aborigene presenti nel South West Galles.
La Cattedrale di Sant’Andrea, niente di chè per un Europeo.
Il Museo della Powerhosue, sito dentro una vecchia centrale elettrica, con dentro di tutto e di più. Il quartiere di Chinatown e i Chinese Gardens, entrambi molto belli.
Poi andiamo ad ammazzare il pomeriggio e a riposarci alla spiaggia…Anzi LA spiaggia per anotonomasia. Bondi Beach. (si pronuncia Bondai…Non si bene per quale oscura regola della folle grammatica Inglese). È vicinissima al centro della città ed è una cosa inimmaginabile. Qualche chilometro di spiaggia, larga almeno 300 metri, a semicerchio, affollata. Mare blu scuro, onde adeguate per il surf. Un paradiso urbano.
Non c’è nulla da fare, se non dormire al sole. Intorno alla spiaggia ci sono i quartieri Italiano ed Ebraico. E in spiaggia circolano molte persone con i tratti somatici mediterranei, alcuni parlano anche italiano o oscuri dialetti del nostro paese. Alcuni fanno surf, altri giocano a Rugby, altri a beach volley, molti dormono…È Lunedì…Bella vita! Prima di cena andiamo a comprarci 2 maglioni pesanti per la gita del giorno dopo. Pare che dove andremo farà molto freddo.
A cena scegliamo sulla Lonely Planet un ristorante di cucina Jugoslava, il Balkan. Ci andiamo a piedi. Si trova in Oxford Street, una lunga strada con decine di minuscoli ristoranti di ogni cucina del mondo, uno a fianco all’altro. Mentre la percorriamo cercando il Balkan, incontriamo tantissimi ragazzi e anche meno giovani, con sacchetti con dentro bottiglie di vino e birra. Sembra la via degli alcoolisti! Troviamo il Balkan, minuscolo, 1 vetrina e 40 metri quadrati, tavoli affollati. Ci sediamo. Ordiniamo Cevapcici (era dal 1986 che non li mangiavo!), ottimi Raznici con una montagna di cipolle crude (per la gioia di mia moglie!), sfogliatine di formaggi…E…Ma il vino…Ma…Sul menù non c’è nessun alcoolico! Chiediamo alla cameriera, una matrona slava di un quintale abbondante. Ci spiega il mistero. In Australia ci sono 2 tipi di licenze separate, quella per servire cibo e quella per servire alcool. La maggiorparte dei ristoranti di livello non alto ha solo la licenza per il cibo, essendo quella per gli alcoolici molto costosa. Come risolvare il problema? Semplice, i ristoranti senza tale licenza vengono aperti tutti abbastanza vicini l’uno all’altro e nella stessa zona vengono aperte dei negozi che vendono solo alcoolici, dalla birra al vino sino ai liquori e le grappe. Prima di andare al ristorante si passa in una bottiglieria, si compra quello che si vuol bere e lo si porta al ristorante, dove il cameriere stapperà la bottiglia! Finita la cena ci si porta via l’eventuale vino o birra avanzata! Ecco perché ci sembrava di essere finiti ad Alcoolandia! Esco e vado a prendere un vino australiano in una bottiglieria lì vicino. C’è di tutto, enorme, affollata e anche economica.
Ci ammazziamo di delizie Slave, parlottiamo con alcuni vicini di tavolo Australiani (metà erano Croati e l’altra metà Russi…Gli Australiani da più di 2 generazioni non sono tantissimi, specie a Sydney) e ce ne torniamo felicemente in Hotel.
1 agosto. È il giorno dell’escursione.
Si va alle Blue Mountains, una serie di parchi nazionali che proteggono una catena montuosa che circonda Sydney.
Noleggiamo la nostra auto coreana all’Hotel e all’alba partiamo per Katoomba. Il viaggio è breve poco più di un’ora per arrivare alla cittadina. Che è una vera scoperta. Molto bella con edifici bellissimi del secolo passato. È da sempre uno dei luoghi di fuga e di Buen Retiro estivo per gli abitanti di Sydney. Il problema è che fa veramente freddo e i miei pantaloni di cotone sono ridicoli.
Alcune cime vicine sono innevate! Partiamo a piedi, con le mappe dell’ufficio del turismo per visitare i 3 Sisters, una formazione rocciosa di 3 pinnacoli che dominano la Valle dell’Eco. Passeggiata rapida, pochi minuti in salita, ma uno spettacolo molto bello, si dominano valli intere selvagge (a 100 km da Sydney!).
Ci facciamo il giretto con il treno delle miniere e con la cabinovia sorvoliamo le cascate di Katoomba. Entrambe molto belle. Mangiamo da cani in un ristorante Thailandese, e appesantiti da curry e noodles, in auto andiamo a Blackheath e da lì sempre in comoda auto si arriva a 2 incredibili punti panoramici , entrambi sulla Megalong Valley. Un’area che sarebbe da visitare con calma con tenda e sacco a pelo…Ma in Estate! Siamo infatti vicino a 0°, anche perché siamo in montagna! Invece al caldo della nostra utilitaria coreana ci giriamo le strette stradine montuose, perdendoci una decina di volte. Ovunque ci sono particolarissime formazioni rocciose, cascate, il tutto sommerso nella foresta dalla quale si alza una tenue nebbiolina invernale. Per fortuna che almeno c’è il sole! Visitiamo divrsi minuscoli villaggi, tutti turistici, ma in questa stagione poco frequentati, finchè a pomeriggio quasi finito ritorniamo in autostrada a Sydney.
Restiamo imbottigliati nel traffico dell 7 di sera nei suburbs della città e arriviamo tardi in Hotel. Decidiamo di visitare la zona di King Cross, una sorta di Khao San Road o di Bowery di Sydney. Ha una fama, immeritata, di quartiere malfamato e “pericoloso”. In realtà è un normalissimo quartiere notturno come ve ne sono decine in Europa! Affollatissimo, strapieno di hotel, pubs, locande, ristoranti, sale biliardo, negozi di dischi. Molto bello. Mangiamo in un ristorante a caso, Vietnamita, e mangiamo pure molto bene, spendendo pochissimo. Ci beviamo un paio di birre in un pub, dove assistiamo a continui litigi tra ubriachi che tentano di giocare a biliardo. Poi a nanna.
2 agosto, Sydney…Che fare? Potremmo fare una gita sul fiume Hawkesbury, discendendolo con il Postale o andare a visitare la zona vinicola a nord di Sydney, ma visto che è inverno è probabile che le cantine siano chiuse.
Decidiamo di restare in città a gironzolare nei Parchi che ancora non abbiamo visitato.
ci innoltriamo partendo dal Domain Park e finendo al Royal Botanic Garden. 2 parchi confinanti, giganteschi in pieno centro. Sterminati, tenuti alla perfezione e come tradizione inglese vuole…Si Deve cammiare sui prati! Ci sono decine di Padiglioni vittoriani con dentro “noiosi” giardini botanici (per amanti delle rose, delle orchidee…), ma soprattutto una calma irreale. Anche avvicinandosi alla trafficata Macquarie street che costeggia i parchi, il silenzio è incredibile. Tutto il lato occidentale è costeggiato da altissimi grattacieli, mentre la parte orientale finisce direttamente in mare. Al posto dei piccioni ci sono pappagalli bianchi, strani pennuti grossi come tacchini con il lungo becco adunco, altri simili ai polli con il becco tipo una spatola…E qua e là degli studenti sdraiati al sole che…Fingono di studiare (li abbiamo beccati…Dormivano quasi tutti!). Impieghiamo un paio di ore e sbuchiamo di fronte alla Sydney Opera House. Torniamo ai Rocks e ci infiliamo in una caffetteria. Apro il giornale…E..Cosa leggo…Il 5 agosto a Auckland in Nuova Zelanda c’è la seconda giornata del Tri Nations! Nuova zelanda – Australia! Gli All Blacks! La squadra di Jona Lomu, di Merthens, di Jeff Wilson, di Fitzpatrick…E noi…Destino vuole saremo a Auckland il 4 agosto. Ma solo per cambiare l’aereo e andare alle Isole Cook. Non è possibile. Spiego alla allibita moglie che non è possibile andare ad Auckland a 12 fusi orari da Milano e capitare per caso nel giorno di tale match! È un’occasione irripetibile! Bisogna spostare l’aereo per le Cook e partire il 6 sera! Mi guarda allibita…Ma sono sposato con una Santa. Acconsente. Recupero il numero della Air New Zealand.
…L’aereo per le Cook c’è solo ogni 4 gioni. Il 4 agosto e l’8 agosto.
“cara…Vuoi restare 4 splendidi giorni ad Auckland, ridente città Neozelandese?” apre il giornale, guarda la pagina della previsioni del tempo e legge le temprature di Auckland: 1° – 5°. Tempo previsto pioggia.
“no!” senza se e senza ma.
Accetto la sconfitta. E mestamente andiamo a gironzolare per il centro città. Saliamo alla Centrepoint Tower, la torre panoramica che domina l’intera baia, ed in effetti da lassù si ha una vista inimmaginabile sulla frastagliatissima baia di Sydney. Si vedono addirittura la Blue Mountains a 100 km di distanza. Poi visitiamo il quartiere di Glebe, e ci chiediamo perché diavoli siamo finiti lì, e ce ne troniamo a cena in un ristorante Giapponese a Darling Harbour, dove veniamo allegramente pelati della metà dei soldi che avevamo in tasca.
3 Agosto praticamente l’ultimo giorno, l’aereo sarà all’alba successiva.
Andiamo a visitare l’Australian Museum, interessante soprattutto per l’arte aborigena e la parte del museo si scienze Naturali dell’Australia. Poi in treno andiamo sino alla Brisbane Water, una baia a 50 km a nord della città, una baia molto bella, con un mare stupendo, ci rilassiamo al sole, giriamo la vicina cittadina e ce ne ritorniamo in albergo a fare mestamente le valige. Ceniamo in un ristorante Thailandese di King Cross, stavolta mangiamo bene, e poi andiamo a nanna presto data l’ora antelucana della sveglia.
4 agosto, alba, taxi, aeroporto, aereo. 2 ore dopo siamo ad Auckland. Abbiamo qualche ora da passare, andiamo in città. Un freddo atroce, un vento che ruggisce, diluvia. Il cielo è grigio scuro, sembra quasi notte. La città affacciata su una splendida baia è molto più anonima di Sydney, in giro vediamo parecchie persone di etnia Maori e solo allora ci rendiamo conto che in 5 giorni a Sydeny abbiamo visto invece solo 1 aborigeno…L’ipnotizzatore. Eppure la comunità più grossa di aborigeni australiani vive proprio a Sydney. Probabilmente quel che si sente raccontare riguardo al razzismo dei Governi Australiani e delle condizioni infime in cui vengono ridotti gli aborigeni che abbandonano la loro terra per finire negli Slums periferici delle grandi città…È la triste realtà. Sydney è abitata da decine di etnie, per strada si vedono Bianchi Anglosassoni, Neri, Cinesi, Thay, Vietnamiti, Mediterranei, mulatti, meticci…Ma non si vedono i veri figli dell’Australia. Il popolo vero. Gli autoctoni. Gli Aborigeni sono o banditi o autobanditi da tutte le zone centrali di Sydney.
Qualche ora dopo ripartiamo per le Cook. Arriveremo a notte fonda, albergo, nanna, risveglio. È Il 5 Agosto. Vicino alla spiaggia hanno montato un telone e trasmettono in diretta All Blacks- Australia. Ci sono circa 200 persone. Metà sono turisti (tutti neozelandesi), l’altra metà Maori delle Cook (che comunque sono formalmente indipendenti ma ancora controllate dalla Nuova Zelanda), e tifano anche loro per gli All Blacks. Poi ci sono io, unico Europeo, e tifo per gli All Blacks.
C’è anche un vecchietto, che scopriamo…Poi, essere Australiano. Partita tirata, tesa, i Kiwi cantano tutto il tempo, bevono ettolitri di birra, urlano gioiscono e si disperano. Tranne il vecchietto che è a pochi metri da me. Silenziosissimo ed accigliato; ogni tanto qualche kiwi urla qualche oscenità contro gli odiatissimi vicini di casa Australiani, tutti applaudono e ridono.
Utlimo minuto di recupero della partita. Gli All Blacks sono avanti di 2 punti grazie ad una partita straordinaria di Tana Umaga. Ma a pochi secondi dalla fine…:calcio di punizione per fallo per l’Australia. Alcuni Neozelandesi che se ne erano già andati ritornano di corsa con occhi impauriti.
John Eales, l’equivalente di Maradona per l’Australia di questi anni, calcia la punizione. Centra i pali. L’arbitro fischia la fine 24 a 23 per l’Australia! In casa dei Kiwi! Scende il silenzio. Totale.
Il vecchietto vicino a me si alza in piedi e urla squarcia gola: “Fuckyou bloody kiwis!”.