Crociera oltre le colonne d’ercole

In crociera oltre le colonne d'Ercole
Scritto da: serbet
crociera oltre le colonne d'ercole
Viaggiatori: in coppia
Crociera oltre le colonne d’Ercole, giugno 2008, nave Costa Europa Ottimo giudizio generale, con pensieri sparsi.

La nave fa la sua bella figura vista da terra, e si torna a bordo facilmente senza confonderla con l’ albergo o il centro commerciale vicino.

Avevamo la cabina 7093, ponte 7, lato destro, il migliore per la vista sia all’andata che al ritorno (anche se pare impossibile) poichè abbiamo costeggiato le Baleari tornando.

Buona cucina e varia: di giorno buffet sul ponte 11 o 9, di sera secondo turno a cena; risolto il problema degli spettacoli per il 1 turno erano dopo cena e per il 2 erano alle 20,15, cioè prima di cena. Elementare ma efficace.

Si festeggiano i 60 anni della Costa con torte e happening continui a cena, coinvolgendo il personale di bordo, lo chef , il Capitano, i pompieri, ma non ci sono iceberg, il mare è una tavola blu e la navigazione è tranquilla.

Animazione: chi vuole tranquillità va alla piscina di poppa, che vuole animazione al ponte 11.

La piccola biblioteca è un gioiellino: si sta seduti al tavolo a far finta di leggere, davanti una grande vetrata con il mare che scorre e in sottofondo la music del piano bar. Forse a tale scopo i libri in dotazione sono o finti o da bancarella di second’ordine.

Ottima pulizia, continua e discreta, a tavola camerieri pronti allo sparecchiamento e al servizio, molto eleganti decisamente più dei commensali. Solo nel cocktail di gala e alla cena elegante c’è un avvicinamento ma molte sono le signore assai eleganti, con compagno scamiciato a fianco.

A proposito di gente a bordo: in netta maggioranza over settanta o coppie di sposi. In comune l’appetito continuo e le taglie forti.

Non ci sono più le mezze stagioni ed evidentemente neppure le mezze età e le mezze misure.

Al momento non mi viene in mente nessuna critica, a meno che non si voglia parlare della difficoltà nel prendere gli ascensori, ma basta far le scale a piedi e dire che è ginnastica e tutto si risolve.

Descrivo le tappe ed eventuali escursioni.

Prima tappa Barcellona, escursione Costa per vedere Gaudì.

Forse non l’escursione più scelta e siamo solo un pullmann, che è un vantaggio. La guida mi lascia un po’ perplesso perché è un ometto che profuma di barbera, ma poi si rivela preparato e genuino. Iniziamo da casa Milà, la pedrera cioè la non finita. Si capisce subito perché Gaudì fu preso per matto, dalla facciata con le ringhiere in ferro battuto che sembrano onde del mare. Si fanno 6 piani a piedi (volendo c’è l’ascensore) per gustare le scale, le porte, le maniglie e si arriva al “sottotetto” con il famoso arco catenario. Sul tetto gli incredibili camini che brillano per il rivestimento a scaglie smaltate. Poi si può visitare un appartamento con ambiente e mobili di Gaudì e si capisce meglio quello che per noi è il Liberty e per i francesi l’art nouveau. Il tempo è sufficiente. Si prosegue per la Sagrada Famiglia che si vede solo dall’esterno. Dopo averla decantata per tutto il tragitto ci aspettavamo di entrare anche se dentro è un cantiere; delusione generale. Infine si va in collina a parc Guell. Affascinante, primo esempio di riciclaggio di materiali usati in modo geniale. Gaudì raccoglieva le suppellettili buttate dai nobili, le sminuzzava, ne faceva tessere di mosaico e rivestiva panchine, soffitti, muretti e fontane. Su un soffitto sono inseriti dei piatti rotti, ma non te ne accorgi data la raffinatezza dei colori. Antesignano dei tessuti Missoni, ma anche di Picasso o Mirò. Tempo sufficiente anche se verrebbe voglia di sedersi su una panchina.

Nel complesso l’escursione non delude, non siamo in molti, direi che è stata abbastanza tranquilla e rilassante, è una botta di cultura e siccome non è previsto tempo per shopping mancano le signore Cecioni, e i personaggi di Verdone. Certo non hai visto la città, ma Gaudì fa capire meglio Barcellona, mentre Barcellona non ti fa capire Gaudì se vai solo per negozi. La rambla e il Paseo de Gracia ( a proposito PASEO DE GRACIA, di Mario Soldati, Rizzoli ed.) saranno per la prossima volta.

Seconda tappa Alicante, escursione Costa a Elche/Elx, Dico subito che ho preso l’escursione Costa per pigrizia, essendo il secondo scalo ed ancora in fase catatonica da lavoro, poi gli altri posti li ho visti per conto mio. Ad Elche si può andare da soli con bus o anche treno ad un decimo di costo, comunque non è quel paesino che pensavo, fa 350mila abitanti e non sarebbe stato così semplice muoversi in città. L’escursione di 3 ore arriva direttamente al palmeto ed in particolare all’Horto de la Cura, che si traduce l’orto del curato (nel senso del prete) e non di chi si cura. Per noi italiani che abbiamo i giardini sul Lago Maggiore o Villa d’Este a Tivoli (ma cosa non abbiamo!) il posto non tocca questi vertici, ma è comunque bello, rilassante, fresco ed ombroso. Tante le piante, molta la confusione di nomi, poi ci si mette anche la guida che tende ad interrogare la scolaresca (io ho scambiato una scultura moderna per un’agave) ma insomma il giardino merita. L’orgoglio del posto è una palma a candelabro, puntellata quanto è gigantesca, dall’aspetto preoccupante e che mi astengo da commentare . Nel giardino c’è la copia della famosa dama di Elche, scultura fenicia che dicono essere una vestale di Atlantide, e si vendono datteri in tutte le loro elaborazioni gastronomiche.

Poi si visita ancora il giardino pubblico di Elche, francamente simile ad un qualunque giardino pubblico, si tirano due calci al pallone con ragazzini (siamo alla vigilia di Spagna-Italia) e si torna in nave per il pranzo. Al pomeriggio (domenica) visito per mio conto Alicante, essendo la nave praticamente ancorata in città. C’è una bella spiaggiona, una passeggiata lungomare, un bel palazzo comunale, ma è tutto chiuso e vedo solo gente che mangia. Non ci penso neppure ad arrampicarmi al castello in alto, mi compro un paio di espadrillas a 5 euro e questo sarà il mio ricordo di Alicante.

Continuo a chiedermi perchè ci siamo fermati tanto tempo, anzi perché ci siamo fermati. Comunque se qualcosa è da vedere direi che è ad Elche non ad Alicante.

Lisbona.

Mettetevi comodi , il racconto è lungo ma Lisbona era la tappa regina del viaggio e me l’ero programmata per vederla in libertà. Giunti in porto alle 8 si sgambetta veloci (per loro erano le 7) nel risveglio della città. L’attracco è stato casuale e fortunato alla darsena di Santa Apollonia, per cui a piedi in poco tempo siamo alla Piazza (Praca) del commercio. In giro ci sono solo spazzini e piccioni. Si va spediti verso piazza Martin Moniz per prendere il famoso tram 28; biglietti a bordo (1,5 euro) siamo in 4 con la graziosa autista e cominciamo a salire sferragliando. Il commento è ambivalente: bellissima esperienza però molto più rapida e meno ripida del previsto. A Largo de Gracia scendiamo ed iniziano i vicoli, le case e i belvedere del quartiere arabo Alfama. Impedibile il miraduro di santa Lucia, balconata sulla città che mi ha ricordato il Monastero di Santa Chiara a Napoli. Ci siamo solo io, mia moglie ed un turista. Continuamo nei vicoli senza fretta, chiedendo ogni tanto per il piacere di sentirmi rispondere in portoghese anche se non capisco niente.

Non posso non citare Saramago : “Alfama è un animale mitologico. Pretesto di sentimentalismi di vario colore, sardina che molti hanno voluto mettere nelle proprie braci, non sbarra il cammino a chi vi entra ma il viaggiatore sente che l’accompagnano sguardi ironici. Non sono volti chiusi e seri, l’Alfama è più abituata alla vita cosmopolita, entra nel gioco se ne trae vantaggio ma nel segreto delle proprie case deve ridersela molto di chi crede di conoscerla perché c’è stato una sera di festa. Il viaggiatore procede per vicoli tortuosi dove la case da un lato all’altro quasi si toccano e per queste piazzette inclinate dove due o tre scalini aiutano a vincere il dislivello e vedi che alle finestre non mancano né fiori né canarini ma il cattivo odore delle fognature deve sentirsi anche dentro. Il viaggiatore ha visto tante cose del mondo e non gli è mai piaciuto ritrovarsi nella pelle del turista che gira, guarda, fa finta di capire, scatta foto e se ne torna affermando di conoscere. E’ stato nel quartiere di Alfama, ma Alfama non sa che cosa sia.” (VIAGGIO IN PORTOGALLO, Josè Saramago, Einaudi) Chiudiamo il cerchio della passeggiata con la cattedrale del Sé e poi di nuovo a Praca del commercio, da cui parte il tram 15 per Belem. Biglietti a bordo 1,5 euro, occhio perché la macchinetta prende solo monete e non banconote. Si costeggia il mare e si scende di fronte al Monastero de los Jeronimos, per il quale non ci sono parole. Essendo soli e non gruppo facciamo un po’ di coda. La volta della chiesa, in stile manuelino, è spettacolare, come il chiostro. Ce lo godiamo prima dell’arrivo della cavalleria di turisti . Fuori, un lato del monastero, è il museo della Marina e di fronte cito un gift shop dove ho comprato una cravatta con stemmi marini, molto fine, a 15 euro. Poi in pochi minuti a piedi si va alla famosa torre di Belem, bella più fuori che dentro. A proposito portare scarpe con suola robusta, perché Lisbona è tutto un acciottolato, e cappello per il sole che picchia e non te ne accorgi per il venticello marino.

Al ritorno mentre aspettiamo il tram 15 vedo dall’altra parte della strada l’antica pasticceria di Belem. Confermo la bontà della sfogliatine alla crema, e il locale è spettacolare. Andate ai bagni anche se non ne avete urgenza, solo per passeggiare nell’ambiente a scatole cinesi. Scopro che si può anche mangiare nell’ultima sala circondati da azulejos azzurri.

Col tram 15 si torna a Praca del commercio e per la via centrale che (sono le 13) si è riempita di gente e di tavolini si risale e si fa shopping fino al Rossio e la Stazione oltre la piazza.

Poi, rallentando il passo per la stanchezza e il dispiacere risali sulla nave più ricco e più saggio di quando eri sceso.

Cadice.

Ed ecco la sorpresa del viaggio: Cadice non è solo carina, è molto di più: è bagno nell’Atlantico, è mercato coperto di una volta, è vie dritte e strette con case colorate i bianchissime, patios andalusi nascosti, è negozietti e cortesia, e per finire un buon fino con tapas di pesciolini fritti. Andiamo con ordine.

Il porto è a due passi dal centro. Si arriva alle 9, scendi dalla nave per conto tuo e cammini col fresco verso sinistra fino alla cattedrale (naturalmente chiusa) . Poi sull’ampio lungomare di case colorate fino al castello di S. Sebastian in mezzo al mare unito da una lingua di terra: vi dico subito che è chiuso per restauri ma andateci lo stesso per la passeggiata. All’altro castello, quello di S. Catalina, si arriva attraversando la mezzaluna sabbiosa della spiaggia Caleta. La sabbia è fine e pulita, cominciano appena ad arrivare le famigliole, ed è un piacere camminare sul bagnasciuga e raccogliere conchigliette. Spicca a metà passeggiata una costruzione Liberty, da Rimini di inizio secolo, il Balneario de la Palma molto fotogenica. Alla fine della spiaggia ci si lava i piedi nella fontanella apposita, ci si rimette le scarpe e si entra, gratis, al castello che è un centro culturale. Il cortile e la chiesetta sembra una scena messicana da film. Dai bastioni vedi l’Atlantico e ti immagini Magellano o Colombo. Si rientra in città, da cui per la verità non si è mai usciti, per stradine graziose e pulite, tutto sembra isola pedonabile e si scopre all’improvviso il mercato coperto, vicino piazza Torpete. Uno spettacolo di colori e odori, per dire ho rivisto un venditore di lumachelle che mangiavo col sughetto da mia zia quando ragazzino andavo in vacanza in Toscana. Chi può capirmi sa cosa intendo… Si compra bottiglie di Manzanilla e Xeres al supermercato di fronte e si arriva alla cattedrale finalmente aperta. E’ tempo di tornare in nave per il pranzo e scaricare gli acquisti. Alle 14, 30 si ridiscende e girando verso destra, si attraversano giardini ombrosi del Parco Genovese con piante potate in modo assurdo e gli enormi “draghi” specie di ficus e si giunge nuovamente alla Caleta. Qui ti accorgi che è molto cambiata: la bassa marea l’ha quasi raddoppiata e ci sono le barche appoggiate su di un lato come in Bretagna. Gli ombrelloni sono aumentati ma fossimo in Liguria ne metterebbero dieci volte di più. Altro piacevole pediluvio, altra fontanella per pulirsi (piccole cose ma che da noi o non ci sono o sono rotte o ti fanno pagare) e poi si gira a sinistra e ci addentra in città per altra stradina. E consiglio di cercare le chiesette, sbirciare dentro i patios andalusi, e guardare in alto i balconcini fioriti. Siccome mi piacciono le espadrillas ne acquisto due paia, bellissime a poco prezzo, mi dicono fatte ad Elche. Si ripassa davanti a piazza del mercato, deserto e chiuso (quindi andarci di mattino) alla piazza della Cattedrale che con nuova luce è sempre più bella e si va alla nave per la partenza delle 17.

Cadiz mi è rimasta nel cuore e ci tornerei, cosa che non dico spesso di un posto.

Casablanca Considerando che la città offre poco (persino il film Casablanca è stato girato a Tangeri) decido per l’escursione a Marrakech. Dico subito che è abbastanza stancante soprattutto per il caldo, ma ci si riposa nelle 7 ore di pullman e volendo si può leggere qualche pagina da IN MAROCCO, di Edith Wharton, Muzzio editore. Se poi trovi un buon accompagnatore ha tempo per parlarti del suo Marocco e prepararti a quello che vedrai.

La cosa migliore e vera è il suk (che vuol dire mercato) con la sezioni che sono quasi piccoli quartieri di tintori, fabbri, pellai, falegnami, ecc… Non hai l’impressione che stiano lì per i turisti, questa è la loro vita ed il loro lavoro. Non sarà il Marocco degli acquerelli di Delacroix ma è affascinante e genuino. Devo anche dire che è abbastanza pulito e per nulla maleodorante, anzi ogni tanto senti profumo di menta. Questo è il Marocco che ci si aspetta. Se poi, come ha detto una sciura, non si vuole vedere tanta miseria, era meglio stare sulla nave. Che comunque miseria non è perché questi artigiani, vendono a tutta la città e non solo ai turisti che poi se fanno tutti come noi non si fermano neppure. Anzi ti chiedi chi sia in vetrina se noi che sfiliamo davanti o loro che se ne stanno a lavorare nella bottega. Già più da film di Indiana Jones mi è parsa la famosa piazza con danzatori ed incantatori di serpenti che ti chiedono l’euro fatta la foto. Attraversiamo la piazza di gran carriera, con la guida che ci ha indottrinato sullo stare tutti insieme e non fermarsi e mi chiedo sempre se questo è perché conviene a loro più che al turista, ma ci si affretta soprattutto perché ci saranno 45 gradi. (per la cronaca il calore mi scarica di colpo le batteria della macchina foto, consiglio di portarsi delle riserve).

Dunque è gradita la sosta negli ambienti ombrosi della Medersa, ma devo dire che mi delude ed è poca cosa. Quello che vedo sta alla Siviglia e Granata araba ( meravigliosa Andalusia) come una qualunque piazza di città sta a piazza Navona, ma immagino che il Marocco abbia ben altre meraviglie che non vediamo.

Dopo aver corso nel suk, che meritava più tempo, la guida ci parcheggia in un negozio di tappati dove perdiamo mezz’ora e nessuno compra e in una erboristeria, più interessante dove tutti compriamo erbe aromatiche e medicine miracolose da un banditore che mi ricorda Villaggio quando faceva Franz. Il pranzo in ristorante tipico, con tanto di danza del ventre (forse meglio per la danzatrice una cintura a vibrazione dimagrante) candele sul capo e musici, tutto turistico ma apprezzato e in fondo te lo aspetti. Cito anche la sosta entrando in città attraverso il palmeto con cammelli in attesa della foto e l’immancabile turista in equilibrio precario su detti cammelli. Insomma la gita merita, ti restano immagini visive ed emozioni del suk e ti chiedi come un marocchino possa integrarsi nelle nostre metropoli e capisci quanta nostalgia possa avere della sua terra.

Alla sera non torni solo sulla nave ma torni in un altro mondo. Chissà quale è migliore.

Ed eccoci a Gibilterra e oltre alle colonne d’Ercole , che danno il nome alla crociera.

La nave attracca praticamente in città e di buon passo si arriva rapidamente nella via principale, Main street, che è una trappola per turisti. Liquori e tabacco, soprattutto sigarette e sigari mentre tabacco per pipa neanche tanta scelta, con un po’ di convenienza ma attenzione al prezzo in sterline non in euro. Alla fine della strada prendiamo il bus n.3 per andare a vedere Punta Europa ed il suo faro (a/r 1,5 euro). Giunti al faro consiglio di spostarsi dalla balconata verso sinistra ed arrivare alla scogliera, punto migliore per il faro ed gettare uno sguardo verso l’Africa. Quando si è sazi si torna, con il bus 3 che arriva ogni 20 minuti.

La rocca ed le bertucce non mi interessavano perché già viste in passato.

Direi che il momento migliore di Gibilterra è però l’avvicinamento ed il prima passaggio verso Lisbona e poi al ritorno dopo la sosta in città l’uscita, fatta al tramonto con la rocca in controluce molto suggestiva. La foto più bella che ho di Gibilterra è proprio un ricordo di questo momento molto “romantico” e devo dire che l’ho vissuto come lo descrive lo scrittore: “ il giorno dopo al declinar del sole il bastimento attraversava lo stretto di Gibilterra. Sono qui, alle colonne d’Ercole e dicevo colonne d’Ercole come avrei detto capo di Buona Speranza o Giappone. Sono nel bastimento, ho alle spalle l’oceano e dinanzi il Mediterraneo, a sinistra l’Europa e a destra l’Africa. Vedo là il capo Tariffa e a destra le montagne della costa africana che appaiono un po’ confuse, vedo Ceuta, vedo un po’ più in là come una macchia bianca Tangeri e in dirittura lo scoglio di Gibilterra. Il mare è quieto come un lago e il cielo color rosa e d’oro. Tutto mi appare sereno, bello e magnifico e io mi sento nella mente una inesplicabile e dolcissima confusione di grandi idee che se potessero essere tradotte in parole, mi pare che riuscirebbero in una gioiosa preghiera” SPAGNA, di E. De Amicis, Muzzio editore.

Malaga, ultima tappa della crociera.

Dalla nave è disponibile uno shuttle a 5 euro per arrivare in città che non è lontana ma il tragitto a piedi è tutto allo scoperto tra scavi e lavori in corso. Noi comunque abbiamo fatto la camminata e di mattina alle 8 è ancora fresco.

Si arriva in centro ed è tutto chiuso. Giriamo alla ricerca di angolini spagnoleggianti ma ci troviamo a… Rapallo. Altri passeggeri sbarcati come noi si guardano attorno alla ricerca di qualcosa da vedere e ci si rincontra dopo poco senza suggerimenti particolari. La Cattedrale che apre alle 10 ( se entrate subito in orario di messa non si paga e non si fa coda) , è imponente ma non lascia segno, l’Alcazaba fortezza araba ( apre alle 9,30) è l’unica cosa interessante e consiglio di vederla subito con fresco per evitare una sauna. Si sale o con l’ascensore, naturalmente chiuso quando arriviamo alle 9 e non so bene a che ora apre, oppure a piedi che è un attimo. Il mio problema, lo confesso, è che dopo aver visto l’Alhambra di Granata e il Real Alcazar di Siviglia tutto mi sembra ben poca cosa come questa fortezza araba, che non ha ambienti decorati tranne un po’ di soffitti ed un mini giardinetto grazioso. Non andiamo al castello da cui senz’altro si gode una bella vista sulla città, ma non una vista su una bella città anche se forse vista da lontano potrebbe apparire migliore.

Vista da vicino, mi pare anonima e neppure tanto spagnola. La via centrale, chiusa al traffico, ha una copertura di teloni leggeri e bei negozi ma potresti essere dovunque. Insomma Malaga è uno di quei posto fascinosi più per i ricordi associati al nome, come la canzone anni 60 di Fred Buongusto o il gelato Malaga che peraltro è invenzione italiana e là non sanno neppure cosa sia . Posso pensare che alla sera sia vivace ed animata da turismo, che pare essere soprattutto tedesco ed americano mentre gli italiani che fessi non sono qui ci vengono poco; per farsi spennare gli basta la costa ligure. Di Cadice mi viene già la nostalgia dopo pochi giorni, da Malaga non vado via con rimpianti. Per consolarmi compro l’ennesimo paio di espadrillas, le più raffinate del viaggio questo sì ed anche le più care ( 20 euro) mentre mia moglie una maglietta in un negozio della catena spagnola Paramita e ce ne torniamo a bordo anzitempo.



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