Croazia e Bosnia, omaggio a Sarajevo
Città di Castello, è una limpida e frizzante mattina, di buon ora, quando ci raduniamo per la partenza. Una dopo l’altra le moto arrivano e si fermano al centro della piazza, quasi a far bella mostra di sé. Per alcuni è la prima volta e, di sicuro, è “il sogno” che si realizza; per altri un altro sogno divenuto ancora realtà. La prima...
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Città di Castello, è una limpida e frizzante mattina, di buon ora, quando ci raduniamo per la partenza. Una dopo l’altra le moto arrivano e si fermano al centro della piazza, quasi a far bella mostra di sé. Per alcuni è la prima volta e, di sicuro, è “il sogno” che si realizza; per altri un altro sogno divenuto ancora realtà. La prima tappa è l’isola di Krk, in Croazia. Salutato il confine di Trieste ed, attraversata la Slovenia, entriamo in territorio croato. Man mano che ci avviciniamo alla costa aumentano i colori e gli odori mediterranei; la strada, copiando a meraviglia la frastagliata costa, ci invita e ci tenta. Passata la città di Rejika (Fiume), percorriamo un ardito e sottile ponte che collega la terraferma all’isola. Il paesaggio cambia rapidamente; la macchia mediterranea invade il panorama e un profondo odore di liquirizia e di ginestre passa attraverso il casco. Il paese di Krk ci accoglie nella sua semplicità di borgo marinaro. Apriamo la giornata con una ricchissima colazione. Lasciata la lussureggiante isola di Krk, raggiungiamo la strada costiera per percorrerla in direzione sud. Una strada trafficata, ma stupenda per il mototurista. Numerose le soste per immortalare con l’obiettivo gli incantevoli scorci. Dopo una breve deviazione, salite le moto nel battello, raggiungiamo l’isola di Pag. Il paesaggio che si presenta è davvero singolare, niente alberi, vegetazione scarsa, solo roccia e tanti, tanti muretti a secco che delimitano i confini e i pascoli di pecore. Gli odori della natura sono forti e il lungo nastro di asfalto li raccoglie tutti. Le baie e le insenature si susseguono numerose, quasi a voler trattenere l’intenso azzurro del mare. Non resistiamo alla tentazione e, alla prima occasione, ci tuffiamo. Lasciata l’isola e ritornati in terra ferma, si devia verso l’entroterra croato. Il mare si allontana e le forme della campagna si avvicinano. Con essa arrivano anche il silenzio e una strana immobilità; per chilometri nessuna forma di vita, una campagna dalle forme sgraziate, che porta indelebili i segni dell’infernale «pulizia etnica». Schegge d’arma ancora per terra, l’asfalto segnato, case sfregiate da pallottole e sventrate da esplosioni, abbandonate in fretta e mai più riabitate. I segni della vita che vi fu scomparsi; la natura, impegnata a riprendersi tutto, ben presto coprirà gli orrori; ma non sarà così per la coscienza, l’uomo ancora una volta, nonostante la memoria, non ha esitato a compiere un’altra atrocità. Lentamente percorriamo la strada, in silenzio, come se stessimo attraversando un cimitero. Verso sera giungiamo a Sinj, un grosso paese poco distante dal confine bosniaco. E’ la giornata del “tappone”, circa 600 km. Da percorrere su strade non scorrevoli. Si parte di buon ora, il tempo ci assiste, una invitante strada in salita ci avvicina alla frontiera con la Bosnia – Erzegovina. Il territorio è prevalentemente montuoso, ogni tanto si aprono splendidi altopiani ricchi di foreste. Alla frontiera sbrighiamo le formalità e via verso Mostar. Dall’alto ammiriamo la città situata in una valle racchiusa da montagne. Entrando, sono ben visibili i segni lasciati dalla guerra; la città è attraversata dal fiume che la divide in due grandi quartieri, non più collegati dal famoso ponte, simbolo dell’integrazione, distrutto dai bombardamenti. Sono iniziati i lavori per ricostruirlo e nel frattempo ne è stato edificato un altro. Lasciata alle spalle Mostar, imbocchiamo la statale per Sarajevo, che si snoda sotto gallerie buie e insidiose, attraversando innumerevoli centri abitati. Poi saliamo di quota; lungo la strada gruppi di bambini vendono miele. Le forme del paesaggio sono armoniose e accolgono disseminati i villaggi con le caratteristiche guglie delle moschee. Non altrettanto armoniosa deve essere la vita da queste parti, nonostante traspaia dalla gente una evidente laboriosità. Sarajevo ci accoglie con tutti i suoi contrasti. Traffico intenso, grattacieli sventrati e grattacieli nuovissimi. Le case portano evidenti i segni dei “cecchini”. Il sole illumina i villaggi ed i bianchi cimiteri disseminati sulle colline circostanti. Visitiamo il quartiere mussulmano, con le sue moschee, le viuzze strette ricche di botteghe di artigiani. Sempre presenti le ronde dell’esercito internazionale di stabilizzazione. Anche se fa mostra di un fascino particolare, non si respira un’atmosfera distesa; la gente non ti guarda negli occhi, cammina in fretta. Ci vorrà del tempo, chissà generazioni, per ricucire gli strappi al vestito e all’anima di questa affascinante signora dei Balcani. Sono circa le 16.00 e da Dubrovnik ci separano oltre 250 km. Il cielo si fa scuro, si prepara a piovere. Non appena lasciamo Sarajevo inizia a piovere. La strada sale in montagna, la pioggia si fa più intensa. E’ un vero e proprio temporale, con fulmini e grandine, quello che ci accompagna al primo passo, la visibilità è ridotta, fiumi di terra e anche sassi invadono la stretta strada di montagna. A nessuno viene in mente di fermarsi, ormai l’esperienza lituana ha insegnato che, dopo i primi km., ci si abitua anche ai temporali. Superiamo il peggio, è cessata anche la pioggia, ora la strada corre in discesa tra maestose pareti di roccia, per poi risalire in un tortuoso itinerario di montagna, tra fitti boschi e sparuti gruppi di umili case. Frequenti sono gli incontri con la “policja”, che ha evidentemente il compito di effettuare una costante azione di controllo di questo territorio. A sera inoltrata raggiungiamo la frontiera ed usciamo dalla Bosnia. Ci attende Dubrovnik, arriviamo dall’alto e la vista della città illuminata che si specchia sul mare è indimenticabile.. Da qualsiasi parte il visitatore entri in città, non può fare a meno di esclamare stupore e meraviglia. Sia che entri dalle porte sotto gli austeri bastioni, che da uno dei tanti vicoli che ricordano Genova, lo scenario che si apre agli occhi è di quelli indimenticabili. E’ come entrare in un immenso palazzo del ‘400, coperto da un “tetto di stelle”; il corso principale, largo, lastricato a marmo e contornato da eleganti facciate, ti accoglie e si mostra in tutto il suo splendore. Pare d’essere capitati, a bordo di una macchina del tempo, secoli e secoli addietro; in una dimensione dove l’equilibrio architettonico ha mirabilmente fuso le differenze di culture; dove il silenzio consente di parlare; dove gli occhi si scoprono avidi e insaziabili. Dieci anni fa, oltre il 70% delle strade e dei tetti (tipicamente rossi) è stato distrutto dai bombardamenti. Se non ci fossero delle tavole a ricordarlo, non ce ne saremmo accorti, tanto è stata tempestiva e rispettosa la ricostruzione. La circolazione dei veicoli è vietata, ma da sempre. Il rispetto per l’ambiente è implicito, mai ti sogneresti infatti, dentro un palazzo, di buttare per terra una cartaccia o una cicca. Ripresici dalla meraviglia, decidiamo che questo è il posto giusto per trascorrere l’ultima serata in terra croata ed affrontare una degna cena a base di pesce. Il ristorante, in uno dei tanti vicoli, ci accoglie con una bella tavolata all’aperto, sotto lo stipite di un nobile palazzo. La cucina, ed anche il servizio, sono all’altezza del posto. Trascorriamo una delle migliori serate. E domani il ritorno con un traghetto che prenderemo a Spalato