Befana Tunisina
Il volo è breve; mi basta un ora per posare il mio piede sulla terra d’Africa. Sono a Monastir, c’è un a piacevole brezza, sono a mezze maniche e quando vedo che il nostro autista tunisino è in giacca a vento comprendo perchè i tedeschi quando vengono in Italia mentre noi indossiamo le giacche loro indossano magliette! Scherzi a parte, il clima è piacevole e le palme ne approfittano per un bel massaggio. Il mare ruggisce fiero, proprio come il mio stomaco! Fortunatamente l’ Hotel “Vime Heleya” è veramente vicino e la cena è presto servita.
GIORNO 2 6-30. Ouch! Non sono più abituato a tali orari, nonostante tutto mi faccio forza. Un (schifosissimo) caffè mi da un pò di forza e siamo tutti sull’autobus per “El Jem”. Incuriositi guardiamo dai finestrini del pullman: il paesaggio è dominato dai fichi d’india, mentre il sole inizia il suo risveglio. Finalmente eccoci, un anfitetro romano è lì che aspetta di essere visitato.
Ci avviciniamo, ma veniamo subito “accolti” da ragazzini e venditori di ogni genere che cercano di venderci di tutto, cartoline, kefie, animali imbalsamati, acqua, di tutto! buona parte riusciamo a driblarli, ma qualcuno perde palla e i primi dinari (1€= 1.80 dinari ca.) escono dalle nostre tasche. Siamo un pò storditi: i venditori sono garbati ma di un insistenza fuori dal comune! La nostra guida inizia a lavorare. Inizia a spiegarci tante belle cose che il mio cervello da ventenne si rifiuta di assimilare, e nel giro di poco tempo mi stacco dal gruppo per iniziare una personale esplorazione dell’anfitetro; bello, davvero ben conservato, dall’alto (oltre le transenne di sicurezza) offre una vista stupenda, il Sole spinge i suoi raggi nell’arena con grande forza quasi a dirmi che sotto, sotto ai miei piedi, nel buio di piccole celle, animali feroci erano pronti ad uscire e combattere. Inizio il mio reportage a base di foto, e purtroppo mi rendo conto che è già ora di andare..Come vola il tempo! All’uscita mi diverto ad ascoltare i miei compagni di viaggio che esclamano “ma come!? all’entrata costava 10 dinari e adesso 3?!” Rido, perchè inizio a capire come funzionano le cose da queste parti.
La prossima tappa è il villaggio troglodita di Matma, costruito nel sottosuolo e ancora abitato. Sarò dissacrante, però quando arrivo quello che vedo è sì un villaggio, ma troppo “turisticato”.
Con questo pseudo-termine esprimo la mia impressione di turista che viene messo di fronte a qualcosa di espressamente costruito, vecchio sì, ma rivisto in chiave moderna, e infatti sotto strani fornelli di pietra che sembrano provenire da chissà quale era si nasconde una pratica bombola a gas. Come al solito mi stacco, e la mia attenzione viene attirata da un ragazzino con accanto un cucciolo di dromedario. La guida mi dice che insieme alla sua famiglia vivono lì tutto l’anno. Stento a credergli, però mi concedo 2-3 foto con il cucciolo che è ormai diventao l’attrazione principale! Dopo pranzo, partiamo per Douz, “la porta del deserto”. Ci addentriamo nel piccolo mercato della città, facciamo qualche acquisto e ci concediamo uno squisito the alla menta. Ramzi, la nostra simpatica guida (che per tutto il viaggio verrà chiamato nei modi più disparati “razzi” raam” “ramazotti” e compagnia bella, tutto dipendeva dalla fantasia dei singoli) ci richiama all’ordine perchè è ora di prendere la nave! Del deserto, cosa avete capito?! Dromedari.
“A cavallo” raggiungiamo il deserto, non ci spingiamo troppo al suo interno dati i limiti di tempo, ma quanto basta per ammirare uno splendido tramonto. La mente si svuota, i pensieri e il tempo si perdono in quella sottile linea di confine che divide cielo e terra. Mi sento tranquillo, non vorrei più andarmene. E’ il rumore di un quoad a riportarmi alla realtà.
La giornata volge al termine, il maestoso hotel “Sahara” attende.
GIORNO 3 Uno sguardo fuori dalla finestra mi ammalia: il deserto all’alba è bellissimo. Un uomo che canta attira la mia attenzione: Non sapevo cosa fosse un Muezzin, ma comprendo che si tratta di un richiamo alla preghiera. Mi preparo, a malincuore, perchè vorrei restare ancora un pò nel deserto.
C’è però un Oasi da vedere e quel soffio di malinconia lascia spazio alla curiosità! Partiamo per Tozeur, sostando una mezz’ora presso “Chott el Jerid” famoso per il suo lago salato. La nostra guida ci spiega che le scarse piogge della regione sciolgono la crosta facendo salire in superficie il sale, che successivamente l’intensa evaporazione fa cristallizzare. A Gennaio il terreno è umido, anzi bagnato, ma d’estate ci spiega la zona è completamente arida. Dopo una breve seduta di Tai Chi sotto la guida del nostro Dario (avvocato praticante di Tai Chi), ripartiamo lungo l’infinita strada asfaltata che taglia il deserto a metà. Dal sale ai datteri. L’oasi di Tozeur è in sosstanza una piantagione di datteri, banane, limoni ecc bellissima ma poco “caratteristica”. Prontamente Ramzi ci spiega che le oasi come noi le immaginiamo esistono, ma quelle sono private e sono destinate alla coltivazione di datteri che verranno poi esportati. Siamo esterefatti quando vediamo giovani ragazzi privi di casco, corde o qualsiasi forma di protezione, ma sopratutto a piedi nudi salire su palme di 15 metri per staccare rami ormai pieni di datteri.
Pranziamo con un ottimo cous-cous e saltimao subito sui 4×4 visto che come dice la nostra guida “adesso andremo a vedere delle vere oasi”. Ha ragione, Chebika e Tamerza, cinte da maestose montagne, custodiscono dei paradisi unici, dove l’acqua è un miracolo della natura. Ne le parole ne le foto possono descrivere la bellezza di quei luoghi fatati. Assolutamente da vedere. Il pomeriggio trascorre tra trattative, acquisti, thè alla menta. Prima di ripartire scambio quattro chiacchiere con 2 ragazzi di Brescia che sono li in..Bicicletta! Mi spiegano che hanno percorso già 800km per una media di circa 70-80 al giorno; li guardo con ammirazione perchè anche io vado in bicicletta e un esperienza così mi piacerebbe davvero molto…
IL Sole comincia a salutarci, il nostro splendido terzo giorno si sta per concludere.
GIORNO 4 C’è davvero poco da dire oggi. In sostanza dobbiamo tornare a Monastir. Fortunatamente abbiamo un paio d’ore per veder Tozeur. Mercanteggiamo, spulciamo e ci divertiamo molto perchè la città è carina e i mercanti simpatici. Ora però ci aspetta un bel pò di pullman. Le uniche soste saranno Gafsa, Kairouan(quarta città santa dell’islam) che purtroppo non avremo modo di visitare salvo per pochi minuti. Nel Tardo pomeriggio torniamo a Monastir. Saranno il biliardo e la piscina calda a donarci un pò di relax.
GIORNO 5 Fortunatamente il nostro quinto giorno riscatta il quarto. Dopo averci comunicato che l’aereo partirà alle 19.00, tutti in gruppo ci concediamo un bel fuori programma a Tunisi. In quattro rischiamo di rimanere tagliati fuori perchè il pullman è pieno, ma dopo tante trattative (ragazzi,in tunisia, bisogna trattare ogni cosa!) ci mettono a disposizione un 4×4. Sarà per noi una vera fortuna. Il nostro autista è simpaticissimo! Parla perfettamente italiano, è un fanatico del calcio tanto che inizia una vera e propria guerra calcistica con una guida che dobbiamo accompagnare ad Hammamet, e mio padre (mio compagno di viaggio, o meglio, sono io il suo compagno) che odia il calcio, scherzosamente cerca di chiudere la situazione ma inutilemente: i tunisini sono matti, ma matti davvero per il calcio!! Ridiamo perchè sono demenziali e seri allo stesso tempo. Siamo in compagnia di una coppia di torino che come noi ha avuto la fortuna di avere questo “mezzo esclusivo” e pur non conoscendoci ci divertiamo da matti e stringiamo subito amicizia! Ad Hammamet mio padre chiede di poter veder la casa di Craxi e prontamente veniamo accontentati. La vediamo brevemente, ma nonostante tutto la nostra curiosità è sufficientemte appagata. Via verso Tunisi. La città è caotica, macchine che attraversano ovunque, semafori spenti o lampeggianti; fortunatamente Ludovico è un vero pilota e riesce a far infilare il nostro 4×4 ovunque. “Dovresti venire qui ad imparare come si guida” mi dice mio padre. Segue una risata di gruppo.
Arriviamo al museo del Bardo. Davvero strordinario, interamente ricamato a mano, conserva statue romane (mutilate dai vandali: sono stai asportati a tutte naso e genitali simboli di virilità), e mosaici stupendi, perfettamente conservati. Per chi non lo sapesse il museo del Bardo è il più antico museo del mondo arabo e dell’Africa, ma all’inizio si trattava della residenza del bey, il sovrano del XIX secolo, e solo successivamente venne trasformato in un museo. Simbolo del museo sono senza dubbio i mosaici che rivestono interamente le pareti: temi dei mosaici sono animali, scene di vita quotidiana, dei ed eroi, ma senza dubbio, l’attenzione di tutto il mondo è puntata sul mosaico di Ulisse incatenato che ascolta le sirene e su quello di Virgilio, il mosaico più importante in assoluto: è l’unica testimonianza delle sembianze della Guida che accompagno Dante nel suo viaggio. Una foto è d’obbligo, per me che ho fatto il liceo classico, omaggiarlo è un dovere. All’uscita ci aspetta un altro simpatico appuntamento: la filatura dei tappeti. Andiamo in una specie di bottega un pò retrò ma carina. Nonostante le sembianze datate del locale, il gestore è un uomo serio in giacca e cravatta che ben presto si rivela per quello che è: un vero e proprio imprenditore che esporta tappeti in tutto il mondo. Abbiamo modo di veder come vengono realizzati i tappeti a mano; siamo tutti sbigottiti, il lavoro necessità di una pazienza unica, le geometrie e le figure sono tutte affidate alla genialità della tessitrice e ogni tappeto è un “one of a kind”. Ci spiegano che il valore di un tappeto non deriva dalla sua grandezza, ma dai nodi per metroquadrato. Assistiamo ad asta dove l’imprenditore ci presenta innumerevoli tappeti uno più bello dell’altro, il cui valore varia dagli 800€ ai 3000€. Belli, ma costosi. Ringraziamo e ci inoltriamo nella Medina e nel Souk(mercato) di Tunisi. L’esperienza è straordinaria, un mix di colori, profumi, rumori; ognuno dei 5 sensi da il massimo di se. Ci inoltriamo per i tanti cunicoli che compongono il mercato, veniamo toccati, invitati ad entrare, a comprare, e la voglia è irresistibile. Nel Souk puoi solo lasciarti trasportare, devi abbandonarti e viverlo appieno. Spendiamo i nostri ultimi dinari in profumi, saponi, e cous-cous servito in localini stretti ma così accoglienti da farti sentire a casa. E’ un’esperineza fantastica, che da sola vale tutto il viaggio.
E’ tempo di tornare, ma ritrovare la strada non è facile! Fortunatamente il senso dell’orientamento di mio padre è meglio del gps. Abbandoniamo quel fantastico mondo e ripartiamo per Monastir. Sull’aereo ho ancora addosso l’odore di quell’esperienza unica. Alla prossima gente!