All inclusive a sal
E quindi, eccomi pronta a partire con Matteo che, non solo ha dovuto sopportare le mie ansie “sanitarie”, ma mi ha anche regalato il viaggio! … si parte!!! Sabato 12 aprile, ore 17,00, partenza in perfetto orario da Malpensa con volo Azzurra. Diversamente dal solito non sento il solito entusiasmo per la vacanza, un po’ perché la mattina ho avuto un nuovo attacco di orticaria, un po’ perché, anche se non voglio ammetterlo, è il volo più lungo che abbia mai fatto e l’idea di stare per più di sei ore in aereo non è così confortante. Comunque dormo, mangio, faccio le parole incrociate con Matteo e chiacchiero con i vicini. Il tempo trascorre veloce e, nel buio più totale, atterriamo a Sal. L’aeroporto è minuscolo e, oltre al nostro, non ci sono aerei. Dopo una coda interminabile alla dogana veniamo accolti dai responsabili dei vari hotel, che ci “smistano” come se fossimo delle merci, indirizzandoci verso dei bus non proprio nuovi. E’ un viaggio irreale,nell’oscurità, non si vede niente, non c’è neanche una luce minuscola, nemmeno in lontananza. Vorrei vedere qualcosa, qualsiasi cosa, ma devo frenare la mia curiosità ancora per una notte, in attesa del sole che, per quanto ne so, qui non manca mai.
Il nostro villaggio è il Djadsal, di cui molti mi hanno parlato bene prima di partire. Effettivamente, a prima vista mi sembra carino. Troviamo i nostri bagagli nella piazzetta, dove si trovano anche il ristorante, il centro escursioni e un bar e iniziamo a cercare il nostro alloggio. I bungalow sono dIsposti in file lungo vialetti di pietre, immersi tra basse palme e fiori e, all’esterno, dispongono di una tettoia in bambù, sedie e cordicelle per stendere. Prendiamo possesso del nostro e scopriamo che il ventilatore a pale non si spegne e che il telefono non funziona (nonostante le nostre richieste, saremo costretti a telefonare dalla reception per tutta la settimana). Sono le 22,30 locali e noi, nonostante tutto, non siamo stanchi. Decidiamo quindi di andare a dare un’occhiata al paesino di Santa Maria, che raggiungiamo, sfidando il vento, in dieci minuti di cammino lungo la “passeggiata” (praticamente un marciapiede con la spiaggia a destra e i villaggi turistici a sinistra!). Il paese, tanto per cambiare, è immerso nell’oscurità e non c’è in giro anima viva. Ci sarà da fidarsi? E’ un’atmosfera così strana, ma ci hanno assicurato che è un posto sicuro. Ma la gente dov’è? Ok, i turisti saranno rintanati nei propri villaggi, ma gli abitanti di Santa Maria? Troviamo un po’ di movimento attorno al campo sportivo e, un po’ stupiti dalla nostra scoperta, torniamo al Djadsal.
Domenica mattina. Dopo la riunione al “bar lido”, durante la quale ci vengono presentati i componenti dello staff e descritte le varie attività del villaggio, torniamo a Santa Maria. Ok, ho accettato il villaggio per motivi igienici, ma non ho la minima intenzione di restarmene chiusa lì! Ripercorriamo quindi la passeggiata e finalmente, sotto al sole di mezzogiorno, posso guardarmi intorno. Non c’è molto da vedere… ma è bellissimo!!! La spiaggia, di cui si intuiva la presenza al buio, la sera prima, è davvero immensa, di sabbia bianca che riflette, accecante, la luce del sole, e l’oceano ha veramente tutte quelle sfumature di blu e verde che si vedevano sulle foto dei cataloghi… All’inizio del paese, il lungo molo di legno, punto di arrivo dei pescatori, è affollatissimo, sia di curiosi, sia di gente (soprattutto locali) interessati all’acquisto di pesce fresco, senza contare un gruppetto di bambini che si tuffano e risalgono sul pontile a velocità impressionante. La sabbia è soffice e calda, e per un po’ gironzoliamo sulla spiaggia tra le barche di legno variopinte e le reti stese ad asciugare. E’ la domenica delle palme e decidiamo di partecipare alla processione. Noi siamo tra i pochissimi turisti (una decina al massimo), ci sono soprattutto donne di tutte le età e tantissimi bambini, tutti bellissimi! Al termine della funzione, sulla via del ritorno, abbiamo il primo impatto con i venditori di souvenir, e ci troviamo a contrattare per due tartarughe di legno, sotto a un sole che promette ustioni, con un simpatico ragazzo che si presenta sostenendo di chiamarsi Garibaldi! (nei giorni successivi, gli altri venditori presenti quella mattina, incontrandoci ci saluteranno chiamandoci “amici di Garibaldi”!). Trascorriamo il pomeriggio in relax, passeggiando lungo la spiaggia, praticamente deserta, fino al relitto di quello che sembra essere stato un veliero, e ci godiamo il tramonto che, a questa latitudine, avviene relativamente presto.
Lunedì mattina. E’ nuvoloso e decidiamo di noleggiare due mountain-bike. La scelta del percorso non è difficile: possiamo percorrere l’unica strada asfaltata dell’isola, che collega Santa Maria all’aeroporto, o dirigerci verso il paese. La scelta va alla seconda ipotesi. Partiamo convinti che, dato che l’isola è praticamente piatta, sarà una pedalata semplice, altro che a casa con tutte le salite che abbiamo! Errore: pedalare su un acciottolato o uno sterrato, con il vento che soffia contro (quando va bene) o di lato (facendo finire la bici tra la sabbia) è tutt’altro che riposante! Comunque, la pedalata risulterà istruttiva. Dopo avere raggiunto, all’estremità del paese, una zona per surfisti, ed esserci attardati a osservarne le evoluzioni, ci dedichiamo alla visita di Santa Maria, di cui percorriamo praticamente ogni strada, stradina e vicoletto. Scopriamo così il vero volto di questo luogo, che non si riduce alle due vie “principali”, in genere frequentate da noi turisti e che, offrendo qualche negozietto (articoli sportivi e souvenir), un paio di alberi, la chiesa e l’asilo, danno l’idea che, pur non essendoci ricchezza, non ci sia nemmeno povertà. Ci troviamo a pedalare lungo viuzze chiuse tra case basse dai muri sgretolati e dalle imposte sconnesse, dietro cui, a volte, non ci sono locali ma corridoi che conducono in un labirinto di case e cortiletti. Da ogni parte sbucano bambini che ci guardano con curiosità e ci salutano mentre arranchiamo pedalando controvento con le nostre bici sgangherate. Sono quasi tutti scalzi e tutti hanno l’aria di avere bisogno di una doccia e di vestiti nuovi eppure, incredibilmente, nonostante non abbiano niente, sembrano così tranquilli e sereni, come se la cosa più bella del mondo sia giocare a calcio, a piedi nudi, con un pallone sgonfio, tra cumuli di macerie. Stiamo ancora riflettendo su quanto ci circonda che ci imbattiamo in un nuovo aspetto della vita a Santa Maria: la raccolta dell’acqua. Molte famiglie infatti non dispongono di acqua corrente in casa e sono costrette a rifornirsi all’acquedotto, trasportando secchi e bidoni. Alcuni, più fortunati, sono muniti di una carriola dove possono caricare più bidoni, gli altri, bambini compresi, si caricano le braccia come meglio possono. Restiamo alcuni minuti a osservare la gente in quel cortile polveroso, e non possiamo non sentirci in colpa. Noi turisti arriviamo qui, nel nostro villaggio, dove siamo super coccolati tra talassoterapia, piscina con idromassaggio e doccia con acqua calda, e gli abitanti del posto, a poche centinaia di metri da noi, sono ridotti a un paio di secchi d’acqua al giorno. Torniamo al Djadsal un po’ rattristati. Da quella sera, la mia doccia, solitamente interminabile, sarà decisamente veloce.
In serata ci uniamo a una passeggiata organizzata dagli animatori e torniamo a Santa Maria, dove ci vengono mostrati la banca, la posta e i telefoni pubblici, oltre a un buon negozio di souvenir e al mercatino, insomma, le solite cose per turisti… Delle stradine misere che abbiamo attraversato al mattino neanche l’ombra, e Santa Maria sembra un posto di vacanza come tanti.
Il giorno seguente ci aspeta il tour dell’isola. Per visitare Sal, infatti, è sufficiente un’escursione di un giorno. Partiamo a bordo di un fuoristrada piuttosto malandato. Siamo un gruppetto, particolarmente eterogeneo, di undici persone, più l’autista e la guida, un simpatico ragazzo capoverdiano dal nome più che adatto al suo ruolo: Vergilio.
La nostra prima tappa è Palmeira, unico porto dell’isola, un paesino sonnacchioso con una chiesetta bianca e azzurra sull’oceano. Visitiamo una scuola elementare, ma i bimbi non ci sono perché è giorno di vacanza. L’edificio è un po’ cadente e il cortile spoglio e polveroso. Vergilio ci spiega che qui a Sal alcune classi hanno lezione al mattino e altre al pomeriggio, per questo ieri mattina abbiamo visto molti bambini a Santa Maria.
La tappa successiva è Buracona, che mi ricorda molto Los Hervideros di Lanzarote. Si tratta di un’alta scogliera a picco sull’oceano che, quando è un po’ “allegro”, offre uno spettacolo impressionante grazie alle onde gigantesche che si infrangono sulla roccia lavica, provocando schiuma e spruzzi che riescono a raggiungerci nonostante l’altezza della scogliera. Quando l’oceano è calmo, invece, è possibile fare il bagno nelle sottostanti piscine naturali. Ci attardiamo un po’ a Buracona, sia per osservare lo spettacolo, davvero imponente, delle onde che si incuneano tra le rocce, sia perché tutti vogliamo essere immortalati sul bordo della scogliera con gli spruzzi di schiuma bianchissima alle spalle, e azzeccare il momento in cui scattare la foto non è così semplice! Sobbalzando sullo sterrato, con la jeep che produce dei rumori inquietanti, attraversiamo la zona piatta e totalmente deserta di Terraboa, dove è possibile assistere al fenomeno dei miraggi. E’ incredibile, vedo un lago e alcuni alberi, eppure so che non esistono, dato che siamo passati dal pu7nto che sto osservando non più di venti minuti prima.
Proseguendo in direzione di Espargos non vediamo altro che cielo e deserto e, ogni tanto, qualche alberello stento e delle caprette che non si capisce bene cosa possano brucare. Può sembrare strano, ma questo paesaggio, che a prima vista può apparire desolato, possiede un suo fascino, una sua particolare bellezza. In mezzo a questo niente, il cielo sembra più azzurro, l’aria più pura. Per me, che vivo sì circondata da tantissimo verde ma anche tra il traffico, con la vista sempre limitata da alberi, colline e edifici, è un’esperienza nuova poter spaziare con lo sguardo in ogni direzione, senza alcun ostacolo, fino all’orizzonte, all’infinito… Raggiungiamo uno dei luoghi più caratteristici dell’isola: le saline di Pedra de Lume, situate all’interno del cratere di un vulcano inattivo da tempo. L’accesso all’interno del cratere avviene attraverso il tunnel della vecchia teleferica, utilizzata quando il sale era una risorsa importante dell’isola (da cui prende il nome). Passeggiamo un po’ sulle lastre di sale e facciamo il bagno nell’acqua che è così salata da poter galleggiare tranquillamente sul dorso, con i piedi fuori dall’acqua e le mani dietro alla testa! E’ divertentissimo, ma bisogna fare attenzione che l’acqua non entri negli occhi e, al momento di uscire, risulta difficile mettere i piedi sul fondo della salina, si galleggia troppo! Dopo un pranzo al famoso ristorante Ca’ da Mosto, in riva all’oceano proprio all’ingresso delle saline, ci dirigiamo a Espargos, il capoluogo dell’isola, dove ne approfittiamo per visitare un negozietto di musica locale, per portare a casa i ritmi della coladeira e del funanà, e un supermercatino, per acquistare il famoso grogue di St. Antao, tutto su consiglio della nostra guida, naturalmente! Espargos è una cittadina tranquilla, per niente turistica. La piazza principale è dominata da un albero gigantesco, alla cui ombra sono riuniti parecchi uomini. Vergilio ci spiega che è un’abitudine ritrovarsi dopo il lavoro per una partita di “uril”, il gioco tradizionale di Capo Verde, un po’ come fare una partita a carte da noi (con relative puntate di soldi, ovviamente).
E’ ormai ora di rientrare al villaggio, ma prima facciamo una breve sosta alla bellissima spiaggia di Ponta Preta, con delle dune di sabbia finissima che digradano verso l’oceano.
Il giorno dopo approfittiamo della tranquillità del villaggio, anche perché siamo un po’ “piegati” da nausea e mal di stomaco, che durante la settimana hanno colpito quasi tutti gli ospiti del Djadsal, animatori compresi! Il giovedì mattina, comunque, siamo in perfetta forma e mi posso dedicare allo shopping. Non è che ci sia una grande varietà di oggetti: oltre a braccialetti e collanine, che molti venditori regalano per indurci ad acquistare qualcosa, ci sono per lo più tartarughe di legno (la tartaruga è il simbolo di Capo Verde) e quadretti di sabbia. (Attenzione, la maggior parte di questi oggetti viene prodotta in Senegal). Durante il giro in bici avevo adocchiato un cartello che diceva “Galerie Africaine” e decido che sarà la prima tappa. Più che una galleria è un locale minuscolo e buio, ma i quadri di sabbia sono davvero belli e i due ragazzi così simpatici e pazienti da mostrarmi come colorano la sabbia e spiegarmi la tecnica di questo genere d’arte. La seconda tappa è il mercatino. Io immaginavo fossero delle bancarelle allineate lungo una strada, invece sono praticamente addossate le une alle altre in una specie di cortiletto. Varcare il cancello all’ingresso e aggirarsi tra le merci esposte è un’esperienza divertente e, sotto alcuni aspetti, inquietante, soprattutto se, come nel nostro caso, ci sono altri tre turisti nei paraggi (a un certo punto, Matteo voleva fuggire). I venditori ci vengono incontro, ci abbracciamo come se fossimo vecchi amici, baciano le collanine prima di legarcele al collo, mentre noi protestiamo debolmente, dicendoci che un regalo non si può rifiutare. Un paio mi regalano anche una monetina da un centesimo, con la tartaruga di Capo Verde, che si dice porti fortuna. Noi, ovviamente, ci sentiamo in dovere di acquistare qualcosa, fatto che, di per sé, non sarebbe traumatizzante. Ma bisogna contrattare. Il problema è che noi ci troviamo in imbarazzo: non siamo abituati, e poi questa gente vive su quanto riesce a “spuntare” con i turisti, quindi paghiamo più del dovuto per tre tartarughe, un elefantino, un ippopotamo di legno, oltre a un gioco dell’uril, di cui mi faccio spiegare le regole, scoprendo che è simile al bantumi e che deve il nome alla pianta, chiamata appunto uril, i cui semi si utilizzano per giocare.
Tornati al villaggio riusciamo ad accaparrarci gli ultimi due dei quattordici posti per la biciclettata al tramonto. Partenza alle 16,00, prima tappa una spiaggetta oltre Santa Maria, praticamente ricoperta da conchiglie gigantesche. Sembra strano che tutte quelle conchiglie si siano ammassate in quel punto e, in effetti, il trucco c’è: vengono raccolte dai pescatori e vendute ai locali, che ne mangiamo il mollusco e poi le gettano su questa spiaggetta, incuneata tra le rocce laviche. Ci viene permesso di prenderne un paio a testa, e io ne approfitto al volo: quando mai mi capiterà ancora di raccogliere conchiglie giganti? Ci dirigiamo quindi verso la nostra meta: la stupenda spiaggia di Ponta Preta, che raggiungiamo con una bella pedalata controvento su sabbia e sterrato. La spiaggia è incantevole e l’oceano particolarmente calmo, e non si può non fare una nuotata! Poi passeggiamo lungo il bagnasciuga e sulle dune che delimitano la spiaggia, mentre il cielo inizia a oscurarsi. E’ veramente suggestivo: le dune dalla sabbia ricamata dal vento, l’oceano dorato dal sole morente e il silenzio rotto solamente dal rumore delle onde… Scattiamo qualche fotografia e poi di nuovo tutti in sella per una veloce pedalata verso il villaggio, approfittando di una scorciatoia attraverso una distesa di sale, dato che qui il sole tramonta velocemente, non è come da noi, con il cielo che si tinge di arancione prima di diventare buio… Per concludere la giornata, in villaggio ci aspetta una serata capoverdiana, prima al ristorante, poi alla discoteca Birimbau, dove si esibiscono in danze locali alcuni gruppi dell’isola. Tra un’esibizione e l’altra, ci vengono fornite parecchie informazioni e curiosità su ognuna delle isole dell’arcipelago, molto interessante! Trascorriamo gli ultimi giorni in relax, facendo lunge passeggiate sulla spiaggia, partecipando alle attività del Djadsal e giocando a uril.
Sabato pomeriggio facciamo un’ultima passeggiata a Santa Maria, prima di cambiarci per andare in aeroporto. Corre voce che a Milano ci siano quindici gradi con pioggia, ed è a malincuore che sostituisco il pareo e i sandali con la tuta e le scarpe da ginnastica, per affrontare in comodità il volo notturno e l’arrivo al freddo di Varese… Mentre il bus ci porta verso l’aeroporto sento già nostalgia di questo luogo, della sua tranquillità, del suo vento, della sua gente. E’ stata una vacanza bellissima, a dispetto dei pregiudizi che avevo prima di partire. L’isola di Sal mi rimarrà sempre nel cuore… E che dire del villaggio, che mi faceva tanto orrore? E’ vero, è tutto molto italiano, soprattutto per quanto riguarda la cucina, e anche la clientela è molto “nazionale”, comunque devo ammetterlo, mi sono divertita tantissimo!!! I ragazzi dell’animazione sono stati simpaticissimi, e devo dire che anche le attività e gli spettacoli serali sono state divertenti. Noi partecipavamo soprattutto ad attività sportive, ma ci siamo lanciati anche a frequentare corsi di ballo e non ci siamo persi un “gioco aperitivo”, senza contare la “sigla”, una specie di ballo di gruppo che iniziava e chiudeva la giornata e l’attività della radio del villaggio. Inoltre, il Djadsal non è grandissimo e, dopo alcuni giorni, ci si conosce tutti! Insomma, anche se non è il mio genere di vacanza, questo viaggio mi è piaciuto moltissimo… e non vedo l’ora di visitare le altre isole! … e ora alcuni consigli: – Telefonare in Italia è carissimo, costa circa 8 Euro al minuto! Mi hanno detto che telefonare con una scheda dai telefoni pubblici è un po’ più economico, comunque il mezzo migliore sono gli sms ( i cellulari funzionano benissimo).
– La moneta. I nostri Euro sono accettati da tutti a Santa Maria, e anche a Espargos non abbiamo avuto problemi, al massimo si riceve il resto in Escudos. Gli Escudos non sono riconvertibili in Euro quindi, se proprio li volete, cambiatene pochi alla volta o ve li dovrete riportare in Italia.
– C’è sempre vento, ma dopo un giorno ci si abitua. Il fatto è che, a causa del vento, non ci si accorge che il sole picchia… ma siamo ai Tropici! Ho visto gente ustionata di brutto ed è un peccato, si sta male e ci si rovina la vacanza. Noi, che abbiamo la pelle bianca come il latte, abbiamo fatto qualche doccia solare prima di partire e ci ricoprivamo letteralmente di protezione solare, 60 schermo totale i primi giorni, per poi passare alla 30 e alla 20, e ci siamo abbronzati comunque.
– Se andate alle saline portatevi delle ciabattine da piscina (camminare sui cristalli di sale fa male), e dell’acqua per lavarvi dopo avere fatto il bagno, altrimenti il sale si secca sulla pelle, e mi hanno assicurato che è fastidioso, per non dire doloroso.
– A volte va via la corrente per brevi periodi e il getto d’acqua della doccia, soprattutto prima di cena, quando tutti si rinfrescano, è deboluccio… ma siamo in Africa e la gente del luogo, molto spesso, non ha neanche queste comodità… quindi vietato lamentarsi e, soprattutto, sprecare l’acqua.
– I ritmi di vita sono completamente diversi dai nostri, per esempio può capitare che alle 17.00 la camera non sia ancora stata sistemata del tutto… qui lo stress non esiste!!! Meglio lasciare a casa la nostra frenesia e godersi la vacanza in relax. Alla fine, non è così difficile adattarsi al loro stile di vita tranquillo e rilassato, e si torna a casa super riposati!!!