Road trip nel cuore dell’ex Jugoslavia

Viaggio on the road organizzato in totale autonomia con auto a noleggio fra tre Paesi dei Balcani con paesaggi mozzafiato, città stupende e atmosfere uniche
Scritto da: Fearless
road trip nel cuore dell'ex jugoslavia
Partenza il: 08/04/2018
Ritorno il: 15/04/2018
Viaggiatori: 2
Spesa: 1000 €
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Dopo il road trip tra Bulgaria e Macedonia dell’anno scorso, io (Giorgio) e il mio amico Andrea abbiamo deciso di partire per un nuovo viaggio in auto nel periodo di Pasqua. Abbiamo vagliato varie possibilità, e alla fine la scelta è ricaduta su Montenegro, Croazia e Bosnia-Erzegovina: una zona non molto estesa, ma con abbastanza posti da vedere per riempire sette giorni.

Abbiamo prenotato tutto con larghissimo anticipo a settembre 2017. L’unica meta raggiungibile in aereo da Milano nel nostro itinerario è Podgorica, collegata a Malpensa due volte alla settimana (d’estate, i voli diventano giornalieri, e in più apre la tratta stagionale easyJet per Dubrovnik). Il volo è costato €34,90 a/r, un affare insomma. Inizialmente saremmo dovuti partire la mattina di sabato 7 aprile e tornare il 14, ma successivamente la compagnia aerea ci ha inviato un’e-mail avvisandoci che i voli sarebbero slittati di un giorno. Nessun problema, per fortuna! Per gli appartamenti ci siamo affidati, come sempre, a Booking.com. Essendo aprile bassa stagione, siamo riusciti a trovare sistemazioni dignitose a prezzi accessibili.

Per visitare Montenegro, Croazia e Bosnia-Erzegovina sono necessari carta d’identità o passaporto con validità residua di almeno sei mesi dall’ingresso. La Croazia dal 2013 è parte dell’Unione Europea, ma non è ancora entrata nell’area Schengen. Fatta questa premessa, partirò con la descrizione del nostro viaggio, di cosa abbiamo visto, di come abbiamo mangiato, di dove abbiamo alloggiato e delle nostre sensazioni giorno per giorno!

DOMENICA 8 APRILE

Il nostro volo Wizzair da Milano Malpensa per Podgorica, la capitale del Montenegro, è partito con mezz’ora di ritardo rispetto alle 15:25 previste. Il volo era pieno, e quasi tutti i passeggeri erano montenegrini. Dall’alto abbiamo capito perché il Montenegro si chiama così: una buona parte del suo territorio è infatti costituita da… montagne nere! Il suolo poco fertile di questi rilievi, infatti, non favorisce la crescita di vegetazione. Alle 17:40 siamo atterrati nel piccolo aeroporto di Podgorica, dove in questo periodo dell’anno i pochi voli giornalieri vanno in Italia, Serbia, Austria e Germania. Ci siamo subito diretti all’ufficio della Sixt, presso cui avevamo prenotato la nostra auto a noleggio, una Ford Fiesta di un colore indefinito tra l’arancione e il marrone. Sorpresa delle sorprese, la macchina ha il cambio automatico, che mai avevamo provato prima d’allora… ma che alla fine si è rivelato molto comodo!

Ritirata la nostra auto (€232 per 7 giorni), abbiamo imboccato la strada che ci avrebbe portato alla costa montenegrina. I bellissimi paesaggi prima lacustri, poi montuosi e infine costieri, illuminati dalla luce del sole al tramonto, ci hanno fatto da subito innamorare dell’atmosfera di questo Paese. Seguendo la costa frastagliata del Montenegro e passando fra cittadine turistiche di pessimo gusto, in un’ora e mezzo siamo arrivati alla nostra destinazione: Cattaro (Kotor). Questa cittadina veneziana di 20.000 abitanti è una delle mete più famose del Paese, e con la sua suggestiva città vecchia e il fiordo più profondo del Mediterraneo in cui è situata (le bocche di Cattaro) attrae ogni anno migliaia di turisti.

Abbiamo parcheggiato davanti al mare appena fuori dalle mura della città vecchia (parcheggio custodito per €0,90 all’ora), e abbiamo raggiunto una piazzetta dove avremmo aspettato la proprietaria del nostro alloggio, Apartment Ozana, dove saremmo rimasti per una notte pagando €48. Consigliamo di cuore questa sistemazione: situata in una casa antica in un vicolo tranquillo, pulita, accogliente e con wi-fi velocissimo. Visto che ormai si erano fatte le 21, siamo usciti per trovare un ristorante con l’aiuto di TripAdvisor. Abbiamo infine scelto lo Scala Santa, dove abbiamo mangiato zuppa di pesce, piatto unico di pesce per due e due dolci per €56. Siamo rimasti particolarmente sorpresi dai risotti: al dente, ben mantecati e saporiti… come in Italia! Uno dei camerieri parlava un italiano perfetto, quindi ci abbiamo intavolato una lunga conversazione sulla vita in Montenegro e nell’ex-Jugoslavia in generale. Pare che qui imparino l’italiano alle scuole medie come terza lingua!

Tra una chiacchiera e l’altra, si erano fatte le 23:30. Usciti dal ristorante abbiamo gironzolato per le viuzze di Cattaro senza vedere altre figure umane. Le strade erano però invase da felini da compagnia meglio conosciuti come gatti, che qui sono così presenti che a loro è dedicato un museo.

LUNEDÌ 9 APRILE

Ci siamo svegliati con la luce del sole e dopo esserci preparati siamo scesi per trovare un posto per fare colazione. Ci siamo fermati al Forza Café, dove abbiamo mangiato due fette di torta da 5000 calorie ciascuna vista la gita impegnativa che ci aspettava: l’ascesa al castello di San Giovanni, che domina su Cattaro e sul suo fiordo dall’alto. Questa fortificazione è raggiungibile solo a piedi, attraverso un sentiero con gradini faticosamente percorribile in un’ora circa, (frequenti) pause incluse. Nonostante abbiamo 21 anni, la fatica si è fatta sentire! La vista dall’alto ci ha fatto dimenticare della stanchezza: con il cielo terso abbiamo goduto di uno stupendo panorama sulla città e sul fiordo. Purtroppo, non essendo facile mantenerle, le rovine del castello non hanno servizi di alcun tipo e quindi molti avventurieri maleducati lasciano in giro i loro rifiuti, che nessuno poi pulisce. Un consiglio: cercate di essere in cima prima delle 11 per evitare di farvi la salita al sole! Una volta scesi, abbiamo fatto un altro giro per la città vecchia, dove purtroppo tutte le chiesette erano chiuse. Abbiamo poi camminato sulle bellissime mura esterne, da dove si vedono le montagne a strapiombo che circondano Cattaro.

Nel primo pomeriggio abbiamo ritirato la nostra auto alla volta della Croazia, facendo una tappa nel vicino e grazioso villaggio di Perasto (Perast) per pranzo. L’insediamento, che si snoda attorno ad una strada principale, è costruito lungo la riva del fiordo e ne offre magnifiche vedute. Davanti ad esso si trovano due isole: su di una si trova un’abbazia benedettina, mentre l’altra è una delle poche isole artificiali dell’Adriatico, costruita a partire dal ‘400 dai Veneziani e ancora oggi in espansione, visto che è tradizione per chi la visita portare una nuova pietra. A perasto abbiamo mangiato alla konoba (taverna) Otok Bronza, il cui punto di forza è la piattaforma che ti permette di mangiare direttamente sul mare piuttosto che il cibo in sé. A pochi chilometri di distanza è possibile visitare i mosaici romani di Risano, ma sfortunatamente li abbiamo trovati già chiusi nonostante fosse metà pomeriggio.

Abbiamo quindi percorso la strada che segue la costa delle bocche di Cattaro fino a Castelnuovo (Herceg-Novi), per poi proseguire verso il confine croato. Qui ha iniziato a piovere leggermente, ma nel resto della vacanza non incontreremo più precipitazioni. Il controllo documenti da ambo i lati è stato celere e indolore, e siamo facilmente entrati nella provincia più meridionale della Croazia, una lingua di terra con lo spessore compreso fra gli 800 metri e i 10 chilometri fra il mare Adriatico e la Bosnia-Erzegovina. Per nostra fortuna, sia le strade croate che quelle montenegrine si sono dimostrate ben tenute e mai trafficate.

Verso le 18 siamo arrivati a Dubrovnik, la meta turistica più popolare della Croazia, resa ancora più nota dal fatto che qui hanno girato Trono di Spade. Trovare un parcheggio è stato problematico: data la non esistenza di parcheggi gratuiti vicino al centro, ci siamo dovuti accontentare di lasciare l’auto per due giorni al Public Parking Garage, sito a dieci minuti a piedi dalla città vecchia, per 20 kune all’ora (1 euro = 7 kune), ma con lo sconto del 50% ogni 24 ore… in buona sostanza, abbiamo finito per spendere €64 di parcheggio. Ci verrà detto più tardi che quella era la soluzione più economica, e che l’unico parcheggio gratuito è a una decina di chilometri dalla città vecchia.

Il nostro alloggio, Apartments Divina, si trova in un vicoletto che sbuca sullo Stradun, il viale principale della città. Il padrone di casa, Oliver, è stato molto disponibile nel darci tutte le informazioni sulla città e nel consigliarci cosa vedere e dove andare a mangiare. E per la media della città, abbiamo speso poco: €112 per due notti con tutte le amenità che ci servivano. Dopo esserci sistemati siamo andati al ristorante Kopun, sito nella zona meno turistica della città vecchia, un quartiere che invece che essere principalmente devoluto a sistemazioni per turisti è ancora abitato dalla gente del luogo. Il ristorante offre cucina tipica di Dubrovnik in un ambiente tranquillo. Abbiamo preso un antipasto di formaggi misti, due capponi alla Dubrovnik (piatto tipico della città, con salsa esattamente uguale a quella delle sarde in saor, se ancora non fosse chiara l’influenza veneziana su queste terre), e due dolci all’uovo. Pur essendo rimasti estremamente soddisfatti, abbiamo anche avuto un assaggio dei prezzi di Dubrovnik: con meno di €40 a testa, infatti, non riuscirete a saziarvi nella città vecchia.

MARTEDÌ 10 APRILE

Abbiamo dedicato l’intera giornata all’esplorazione di Dubrovnik, cominciando dalle mura cittadine (biglietto: 150 kune), che con i loro 1,8 chilometri abbracciano la città vecchia e offrono viste spettacolari a 360 gradi sui tetti arancioni e sul mare. Le mura sono spesso interrotte da torri, bastioni e ulteriori fortificazioni, per sottolineare che la città in passato era molto vulnerabile sia per gli attacchi via terra che per quelli provenienti dal mare.

Dopo un brunch al caffè-gelateria Dolce Vita, che con prezzi piacevolmente bassi ci ha saziato, abbiamo camminato per le vie del centro, interamente pedonale, ammirandone l’architettura e l’atmosfera. Nonostante fosse aprile, la città era già mediamente affollata, soprattutto da gruppi numerosi di turisti con guida perlopiù asiatici. Abbiamo quindi visitato le varie chiese di Dubrovnik. L’ingresso al Convento francescano, situato appena a sinistra dell’ingresso principale nella città vecchia, costa €4 e include il bellissimo chiostro; il museo annesso contiene cimeli e reliquie religiose antiche di secoli e vi si trova la farmacia ancora funzionante più antica del mondo. La chiesa di San Biagio domina alla parte opposta dello Stradun, e quando siamo entrati si stava svolgendo un rosario. La cattedrale dell’Assunzione di Maria è il luogo di culto principale di Dubrovnik, ed è spesso scelta come luogo per i matrimoni da coppie da tutto il mondo. Infine, la chiesa di Sant’Ignazio di Loyola, situata davanti al ristorante della sera precedente in una piazza accessibile attraverso un’elegante e fotogenica scalinata, è una copia riuscita bene dell’omonimo edificio religioso di Roma. Abbiamo concluso la nostra camminata al porto vecchio, dominato dalla fortezza di San Giovanni. Qui sono ormeggiate le piccole imbarcazioni dei pescatori, e la sera diventa un luogo estremamente romantico da dove guardare la città illuminata.

Nonostante le minacciose nuvole che avevano coperto gran parte del cielo, abbiamo deciso di sfidare la sorte e prendere la funicolare che in tre minuti ci avrebbe portato al di sopra della montagna che sta alle spalle di Dubrovnik per godere del panorama. Nemmeno il proibitivo prezzo di 140 kune a/r ci ha fermato. Purtroppo, una densa nube aveva avvolto la cima del rilievo, tanto che da sopra si vedeva il nulla! Visto che le uniche cose lì presenti erano un costosissimo bar, una gigantesca croce in pietra con tanto di altare votivo e una stradina dispersa nella nebbia, siamo tornati giù poco dopo accompagnati dalla terribile musica trasmessa nelle cabine della funicolare. Forse avremmo dovuto recitare una preghierina davanti all’altare votivo per aprire i cieli?

Con il sole che si allontanava all’orizzonte, siamo rimasti fuori dalla città vecchia per raggiungere la spiaggia di Banje, la più vicina al centro cittadino, che d’estate è presa d’assalto ma che in bassa stagione è una piacevole lingua di sabbia e sassolini da cui godere del tramonto su Dubrovnik. Siamo rimasti lì a rilassarci e a pucciare i piedi nelle gelide acque adriatiche per poco più di un’oretta, fino all’orario di cena. La scelta è ricaduta su Rozario, altro ristorante consigliato da Oliver, poco più caro del Kopun e molto meno originale e gustoso. Abbiamo capito che se si vuole mangiare bene spendendo poco, bisogna rinunciare alla magia della città vecchia e avventurarsi per le strade appena fuori frequentate dai locali. Dopo cena un giretto nell’ormai deserta città vecchia, un salto al porticciolo, qualche vasca nello Stradun per vedere i dettagli che avevamo perso per via dei gruppi di turisti presenti durante il giorno, poi una birretta, e nanna.

MERCOLEDÌ 11 APRILE

Dopo aver fatto il check out, ci siamo preparati a lasciare la Croazia alla volta della Bosnia-Erzegovina, ma non prima una colazione. Abbiamo fatto una deviazione nell’entroterra dalmata alla ricerca di un bar, di una pasticceria o di una pekara, ma nulla: nessuno della dozzina di paesini da noi attraversati aveva un punto di ristoro. I croati vogliono che tu vada a spendere sulla costa, e lì siamo dovuti andare, a fare una breve colazione in un triste locale fin troppo turistico – della serie, “vorrei essere raffinato ma non posso”. Eravamo così pronti ad attraversare la frontiera bosniaca nella località di Ivanica.

Bilancio della Croazia (o meglio, della provincia di Dubrovnik): bella, tenuta bene, ma troppo finta. Sanno che il turismo è di gran lunga il settore principale, e lo sfruttano al massimo. Era la mia prima volta in Croazia, mi piacerebbe ritornarci per visitare aree differenti.

L’attraversamento della frontiera bosniaca è stato piuttosto lento: i controlli sono meticolosi, ma la nostra guardia era sorridente e ci ha dispensato di consigli su cosa vedere e cosa fare. Davanti a noi la strada bosniaca si è aperta come poco trafficata e circondata da dolci rilievi con poca vegetazione. Mezz’ora dopo, eravamo a Trebigne (Trebinje), la nostra prima tappa, una ridente cittadina di qualche decina di migliaia di abitanti adagiata sul fiume Trebišnjica, con un grazioso centro storico e delle strade molto vissute dalla gente del posto. Tra le altre attrazioni, c’è il ponte ottomano di Arslanagić. Si vede che non sono abituati ai turisti: tutti ci squadravano per via del nostro aspetto e del nostro abbigliamento poco… balcanico. Qui abbiamo mangiato ad una pekara (panetteria) gestita da una gioviale signora bionda che non sapeva una parola d’inglese, e qui sono entrate in gioco le mie accennate conoscenze di croato! Per €3 in totale abbiamo preso due fette di burek (torta salata fatta a spirale, una al formaggio e una alla carne macinata) e due baklave di produzione propria, tutto squisito.

Usciti da Trebigne, abbiamo percorso una strada quasi deserta verso nord fra magnifici paesaggi costituiti da casolari, montagne perfettamente triangolari, scarsa vegetazione e animali che ci ostruivano il passaggio. Abbiamo subito notato che in Bosnia-Erzegovina, Paese per metà cristiano e per metà musulmano, sembra esserci una forte competizione tra le due religioni: infatti in ogni cittadina c’è una sorta di gara segreta per il campanile o minareto più alto. Si vedono dappertutto minuscole chiesette e moschee con una torre sproporzionatamente alta a fianco, come se le due fazioni volessero spiccare l’una sull’altra in continuazione. Inoltre, in quest’area si trova Međugorje, per cui abbiamo elaborato una teoria: i cristiani, nell’ennesimo tentativo di rubare la scena ai musulmani, si sono inventati l’apparizione della Madonna (apparizione mai riconosciuta come vera dal Vaticano) in questo paesello, che ora è (ingiustamente) diventato uno dei luoghi più visitati del Paese. Del resto, tra tutti i posti del mondo, perché la Madonna dovrebbe apparire proprio in un posto sperduto in Bosnia-Erzegovina? Teorie e scherzi a parte, dalle foto Međugorje sembra un ammasso di brutti edifici in cemento, quindi consiglierei la visita solo a chi ci crede. Per uomini di poca fede come noi, a pochi chilometri di distanza è obbligatoria la tappa a Počitelj, avamposto ottomano del XVI secolo arroccato su una collinetta con una splendida vista sul fiume Narenta. Al nostro arrivo, il sole si stava approcciando al tramonto e non c’era quasi nessuno. L’insediamento è in parte diroccato, e in parte abitato. Sarei rimasto a perdermi fra le viuzze fiorite e fra le torri panoramiche per ore, ma ancora una ventina di chilometri ci separavano dalla nostra meta finale della giornata, Mostar, quindi abbiamo preso un tè turco e un dolcetto in un locale ai piedi del paesello e abbiamo continuato a seguire la strada.

Mostar è la sesta città per numero di abitanti della Bosnia-Erzegovina, ma è la più visitata e apprezzata dai turisti. Si snoda lungo il fiume Narenta, circondata da rilievi, e al momento della nostra visita il centro era un cantiere aperto, tanto che abbiamo avuto difficoltà con le strade. Finalmente siamo arrivati al nostro alloggio, i City Paradise Apartments, a cinque minuti a piedi dal vecchio bazar, dove per €30 abbiamo alloggiato una notte. Si tratta di una casa privata che è stata divisa in alcuni appartamenti appena rinnovati, comoda per tutto tranne che per il parcheggio, visti la via e il cancello molto stretti.

Sistemate le nostre cose e completate le procedure di check-in, siamo partiti all’esplorazione di questa città di 100.000 abitanti, che al tramonto si tinge di colori caldi creando un’atmosfera magica. Siamo entrati nella via pedonale del vecchio bazar che culmina con il Ponte Vecchio, probabilmente l’immagine più iconica della Bosnia-Erzegovina, ricostruito dopo la distruzione durante la guerra negli anni ’90. Il fiume Narenta scorre così impetuoso sotto di esso che non ci sono pilastri che posano nel letto, altrimenti verrebbero spazzati via. Abbiamo inoltre notato la massiccia presenza di turisti da Medio Oriente, Arabia e sud-est asiatico, che non riscontreremo in altri posti… chissà che giro faranno loro.

Per cena abbiamo selezionato su TripAdvisor il ristorante Podrum, posto proprio alla fine del vecchio bazar e reso più “autentico” dal fatto che fosse praticamente l’unico senza una giovane cameriera in costume ad attirare i clienti. Qui, invece, siamo stati accolti da un cameriere bosniaco parlante italiano perfetto. Non avremmo potuto fare scelta migliore: abbiamo mangiato i migliori ćevapčići (salsiccette di carne di manzo e maiale servite con pane arabo e cipolle) della vacanza, più dell’ottimo pršut (prosciutto crudo di vacca affumicato) e formaggi locali, concludendo con una baklava come dolce. Reduci dai costi croati, siamo rimasti shockati quando abbiamo appreso che la nostra cena era costata 50 marchi bosniaci, ossia esattamente €25… meno di un terzo della spesa nel ristorante medio di Dubrovnik, e con il triplo del gusto! Dopo cena, abbiamo concluso la serata passeggiando per le vie ormai buie di Mostar e sedendoci qua e là ad ammirare i bellissimi paesaggi di questo Paese che in un giorno ci ha già saputo conquistare.

GIOVEDÌ 12 APRILE

Mostar è una città facilmente visitabile in mezza giornata. Abbiamo fatto colazione in una pekara alla fine della nostra strada con del sostanzioso burek (tanto buono che ci ritorneremo per pranzo), e ci siamo prima recati nei luoghi più colpiti dalla guerra in Bosnia negli anni ’90. Due sono i luoghi più significativi per questo evento a Mostar: l’hotel Neretva, un tempo uno sfarzoso albergo di cui ora restano solo le rovine pericolanti, e la torre dei cecchini, un ecomostro di 8 piani prima usato come banca che durante la guerra, come suggerisce il nome, era il luogo da dove i serbi sparavano ai civili negli assedi della città fra il 1992 e il 1994. Molti altri edifici presentano ancora oggi i fori dei proiettili, ben visibili sulle facciate delle abitazioni nelle arterie principali. Le persone del luogo sentono ancora molto fresca la ferita della terribile guerra che hanno subìto, e per questo evitano di parlarne.

Siamo poi passati alla visita delle tracce ottomane nella città, cominciando dalla moschea di Mehmed Karadoz, dove il custode si è offerto di farci da guida con una spiegazione metà in inglese e metà in italiano. Nonostante il proibitivo prezzo di €10, siamo saliti in cima al minareto, ma la vista è stata deludente: Mostar appare alquanto disordinata dall’alto. Abbiamo quindi visitato la moschea di Koskin-Mehmed Paša, la più grande e famosa della città, che con la sua bellissima fontana e la sua terrazza panoramica sul ponte vecchio è una tappa imperdibile a Mostar. Pagando il biglietto (€3), oltre all’accesso alla moschea e alla terrazza, ci è stato dato un opuscolo informativo contenente tutto quello che c’è da sapere su questo edificio.

Mostar è famosa anche per le sue tre case turche, incluse nel patrimonio UNESCO della città. La prima che abbiamo visitato, la casa Biščević (biglietto €1,50), non ci ha entusiasmato: solo il cortile e due stanze sono visitabili, e sono piene di oggetti in vendita, tanto da sembrare un bazar di tappeti. Siamo poi andati alla casa Muslibegović, che abbiamo solo potuto vedere da fuori visto che è visitabile solo dal 15 aprile al 15 ottobre; ci è sembrata un po’ troppo “finta”, anche per il fatto che in parte ospita un albergo. Per l’ultima, casa Kajtaz, abbiamo dovuto camminare un po’ di più, ma ne è valsa completamente la pena: il guardiano, che stava lavorando nell’orto, ci ha accolto e si è offerto di farci da guida con un buon inglese spiegandoci tutto su tutte le stanze della bellissima dimora che un tempo ospitava un’importante famiglia ottomana. Anche se il biglietto costava €1,50 a persona, gli abbiamo lasciato €5 come mancia.

Prima di partire alla volta di Sarajevo ci siamo fermati al Café de Alma, gestita da un ragazzo che ha la missione di tramandare la tradizione del caffè bosniaco agli stranieri. Per loro la pausa caffè deve durare almeno tre quarti d’ora e serve come momento di riflessione per elaborare i propri pensieri. Sia come servizio che come sapore è quasi uguale al caffè turco.

Dopo aver preso su tutto, siamo partiti sulla strada che in due ore ci avrebbe portato alla capitale della Bosnia-Erzegovina. A metà strada abbiamo fatto tappa a Konjic, giusto per fotografare il famoso ponte ottomano che unisce le due sponde del fiume lungo cui si snoda e per sgranchirci le gambe. Gli ultimi 30 km sono scorsi molto veloci, visto che il nuovo tratto autostradale a pedaggio consente di tagliare fuori tutti i paesini attorno a Sarajevo. La capitale bosniaca ci si è manifestata davanti prima come un insieme di trafficati viali costeggiati da casette, poi come un insieme di trafficati viali costeggiati da palazzoni dell’era comunista, e infine come un insieme di trafficati viali (questa volta tutti a senso unico) costeggiati da edifici più antichi. Ho già accennato al fatto che Sarajevo è trafficata?

Il nostro alloggio, Milk & Honey Apartments, si trova esattamente davanti al Teatro Nazionale. Entrambi concordiamo sul fatto che sia il migliore appartamento in cui abbiamo mai alloggiato: appena rinnovato, curato in ogni minimo dettaglio, amplissimo, con wi-fi con fibra ottica e al modico costo di €106 in due per due notti. La ciliegina sulla torta è il proprietario, Edin, che per non farci spendere soldi in parcheggi a pagamento ci ha fatto lasciare la nostra auto nel parcheggio privato di un suo amico che si trovava fuori città! Il primo impatto con Sarajevo è stato molto positivo: abbiamo passato la serata passeggiando per Baščaršija, il vecchio bazar, mangiando il piatto nazionale bosniaco ćevapčići al ristorante Mrkva, e bevendo un tè turco accompagnato da kataifi all’Andar Café. Abbiamo subito notato come questa sia una città ben poco turistica e molto vissuta dai suoi abitanti, che amano trascorrere il tempo fuori, facendo le vasche nelle vie principali o sedendosi ad un caffè o ad una ćevapčićeria per rilassarsi e incontrare gli amici.

VENERDÌ 13 APRILE

L’intera giornata è stata dedicata a Sarajevo. Col senno di poi, sarebbe stata necessario un secondo giorno per potersi impregnare completamente dell’atmosfera unica di questa città che ha così tanto da offrire. Dopo un tè turco mattutino all’Andar Café, siamo entrati nella moschea di Gazi-Husrev Beg (situata esattamente dietro al bar). L’imponente edificio presenta un ameno cortile dominato dalla fontana, che non è altro che una copia di quella della moschea di Bursa, in Turchia. Nonostante fosse venerdì, è stato possibile visitare gratuitamente gli interni della moschea… ma nonostante le aspettative non abbiamo visto nulla che ci colpisse. La nostra seconda tappa è casa Svrzo (biglietto €1,50), edificio ottomano del XVIII secolo costruito interamente in legno e perfettamente preservato. La nostra visita è stata agevolata dai pannelli informativi bilingue (bosniaco e inglese) presenti all’esterno di ogni stanza.

Abbiamo poi visitato la Galleria 11/07/1995 (biglietto €6), la cui mostra è incentrata sul massacro di Srebrenica, genocidio in cui sono caduti 8.000 musulmani bosniaci per mano delle forze della Repubblica Serba di Bosnia ed Erzegovina, una delle tre entità federali della Bosnia-Erzegovina. All’ingresso è possibile sedersi a posizioni video interattive per seguire la vicenda storica in lingua inglese, dagli antefatti alle conclusioni. I video, seppure molto prolissi, ci hanno fatto intendere che il massacro è stato il risultato dell’inettitudine della NATO e dell’ONU di fronte ad un piano di una Grande Serbia e di una pulizia etnica a scapito dei musulmani nei Balcani, che è stato fermato solo a genocidio avvenuto. Il museo include fotografie, testimonianze e ricostruzioni di questo disastro che è impensabile sia potuto avvenire poco più di vent’anni fa in un posto praticamente dietro l’angolo per l’Italia. Ci siamo trattenuti nel museo più del previsto per via delle spiegazioni e delle mostre travolgenti a livello emotivo.

Una volta usciti, ci siamo fermati per pranzo al Falafel Restaurant, economico punto di ristoro di cucina mediorientale popolare fra i giovani del luogo. La nostra prossima meta è Vijećnica, il Municipio di Sarajevo (biglietto €2,50), inaugurato a fine XIX secolo, distrutto nel 1992 durante l’assedio della città, e riaperto nel 2014 in seguito ad una ricostruzione fedele all’edificio originale. L’imponente palazzo in stile moresco trionfa nella sua sala centrale esagonale, il cui soffitto è coperto da vetrate variopinte da cui filtra una luce che produce colori e atmosfere magnifiche. Il Municipio ospita inoltre varie mostre: al pianterreno in alcune sale è spiegata la storia della Bosnia-Erzegovina dal Medioevo ad oggi, mentre un’ulteriore stanza è dedicata alla funicolare cittadina, di cui parlerò dopo; al piano interrato una grossa stanza illustra in particolare la storia di Sarajevo e la vita all’interno della città nelle varie epoche storiche, con particolare attenzione agli anni dell’assedio (1992-6).

È proprio la funicolare di Sarajevo la nostra meta successiva. Aperta negli anni ’50, la žičara ha trasportato migliaia di cittadini nel corso dei suoi anni di servizio ed è stata uno dei punti di riferimento durante le Olimpiadi invernali del 1984, che hanno avuto luogo proprio a Sarajevo. La funivia è caduta in disuso nel 1992 con l’assedio della città; per i prossimi anni verrà utilizzata dai cecchini nemici come punto di avvistamento per sparare ai civili. 26 anni dopo, esattamente il 6 aprile 2018 (sette giorni prima della nostra visita!), la žičara è stata riaperta al pubblico. Il biglietto costa €10 per gli stranieri, e il viaggio dura 7 minuti e 11 secondi. Porta a un monte alle spalle della capitale bosniaca, dove i locali amano andare per fare un picnic, camminare nella natura e svolgere attività all’aperto.

Tornati in città, abbiamo camminato in fino alla Žuta Tabija, letteralmente la “Fortezza Gialla”, parte dell’antico quartiere fortificato di Vratnik. La faticosa ma scenografica salita è stata ripagata da una splendida veduta su Sarajevo dall’alto con i colori del tramonto. Ritornando al nostro appartamento abbiamo camminato lungo il fiume Bosna, dove si trovano gli edifici che più hanno fatto da bersaglio per i cecchini e che ancora presentano le ferite di guerra in forma di buchi di proiettile. La nostra camminata è culminata con l’edificio neomoresco dell’Accademia delle Belle Arti, uno dei più riconoscibili della città, e con l’attraversamento del Ponte Latino, dove il 28 giugno 1914 Gavrilo Princip sparò al principe austro-ungarico Francesco Ferdinando d’Asburgo-Este, fatto che causò lo scoppio della Prima guerra mondiale.

Per cena abbiamo scelto la ćevapčićeria Kurto, dove abbiamo mangiato gli ultimi ćevapčići della nostra vacanza, e successivamente abbiamo camminato per l’ultima volta in lungo e in largo per Baščaršija, fermandoci prima a comprare dei lokum alla rosa (qui i dolci mediorientali, eredità della dominazione ottomana, sono molto popolari), poi per una corroborante birra locale, e infine per un tè con dolcetto all’Andar Café.

Piccole curiosità sociali: i bosniaci sono in media il popolo più alto del mondo. Con i miei 182 cm, sono considerato basso per gli standard locali: la media per gli uomini è infatti 183 cm. Peraltro, mentre quasi tutti gli uomini non si curano minimamente a livello estetico e indossano perennemente tute in materiali sintetici, le donne non escono senza un contouring perfetto, vestiti attillati e la messa in piega (la quasi totalità delle ragazze aveva gli stessi identici capelli lunghi, lisci e sfumati per diventare più biondi man mano che si raggiungevano le punte, come andava di moda nel mondo occidentale nel 2015).

SABATO 14 APRILE

Alle 8:45 Edin si è fatto trovare puntuale davanti al nostro appartamento per riportarci alla nostra auto. Dopo i dovuti ringraziamenti e i saluti, ci siamo diretti verso la nostra ultima tappa a Sarajevo: il Museo del Tunnel (biglietto €5/€2,50 per gli studenti). Per raggiungerlo abbiamo dovuto imboccare alcune stradine di campagna e parcheggiare in uno spiazzo in mezzo a delle case, esattamente dietro all’Aeroporto Internazionale di Sarajevo. La mostra riguarda il famoso tunnel di circa 800 metri scavato dai sarajevesi sotto l’aeroporto per collegare la città occupata di Sarajevo alla zona libera della Federazione di Bosnia ed Erzegovina e rifornirla di viveri senza essere intercettati dai serbi. È inoltre possibile percorrere un breve tratto originale del tunnel. I sarajevesi si sono dovuti ingegnare per ottenere qualsiasi bene di primaria necessità, dal cibo all’elettricità, e dal 5 aprile 1992 al 29 febbraio 1996, il periodo dell’assedio, hanno dovuto resistere tenacemente e lottare per la loro vita. È impossibile non provare ammirazione per la forza di queste persone che ricordano ancora nitidamente quegli anni nefasti.

Avremmo voluto restare a Sarajevo per un altro giorno, visitando altri musei sulla guerra e respirando l’atmosfera unica e coinvolgente di questa capitale europea così sottovalutata, ma dovevamo fare ritorno in Montenegro. Abbiamo quindi imboccato la strada principale che in circa due ore ci avrebbe portato all’attraversamento di confine nei pressi di Foča. Si è aperto davanti a noi un bellissimo scenario montano e verdeggiante intervallato da fiumiciattoli e cittadine che rendevano il tutto davvero grazioso.

A una ventina di chilometri dal confine, un’auto ci ha fatto gli abbaglianti. Poche centinaia di metri dopo abbiamo capito che ci stavano avvisando della presenza di un posto di blocco della polizia, che vedendo la nostra targa straniera inevitabilmente ci ha fermato. Ci hanno avvisato del fatto che il limite era di 40 km/h (nonostante la presenza di un cartello che dava i 50 appena prima), indicandoci da dietro un cartello grosso come il palmo di una mano che secondo loro indicava il limite da loro stabilito. Ci hanno quindi detto che avrebbero dovuto ritirare la patente di Andrea e pagare una multa… avendo capito che erano i soliti poliziotti corrotti che cercano di spillare soldi agli stranieri, gli abbiamo dato €10 e ci hanno lasciato andare subito. Dopo 10 km, si è presentata la stessa situazione: dopo avere girato una curva c’era un cartello che indicava i 40 km/h (anche qui noi stavamo facendo i 50), e subito dietro c’erano degli altri sbirri pronti a fermarci… al che, abbiamo finto di sapere solo l’italiano ed esasperati ci hanno lasciati andare senza provvedimenti. In ogni caso, se il limite è 40 km/h, non vai a fermare chi fa i 50 – e questi poliziotti corrotti chiaramente vogliono solo spillare dei soldi a chiunque abbia una targa straniera.

Dopo questo excursus sulla corruzione della polizia della Repubblica Serba di Bosnia ed Erzegovina, ci siamo fermati in una bellissima vallata verde a una decina di chilometri dal confine montenegrino, dove abbiamo preso un tè e un caffè per fare una pausa. La proprietaria ci ha spiegato che questa zona è molto popolare fra gli amanti del kayak, sport reso possibile dai numerosi corsi d’acqua che tagliano in due le valli. E infatti, procedendo, c’erano (o erano in costruzione) numerosi campeggi. Per un attimo pensavamo di aver sbagliato strada, visto che nonostante fosse segnalata come strada principale era a tratti sterrata, ma alla fine abbiamo trovato l’attraversamento di confine con le due dogane sulle due sponde del fiume. Si vede che questo border crossing è poco trafficato: la guardia bosniaca era al bar e lo abbiamo dovuto scomodare per controllare i nostri documenti. In questo punto abbiamo dato il nostro arrivederci alla bellissima Bosnia-Erzegovina, Paese molto sottovalutato e, purtroppo, ancora molto lontano dall’entrare nell’Unione Europea.

Rientrati in Montenegro, abbiamo subito notato l’alta qualità delle strade, anche in questo angolo sperduto del Paese. Qui ci si sono aperti davanti dei paesaggi magnifici: la nostra strada scavata nella montagna e intervallata da brevi gallerie correva lungo un profondo canyon con un fiume, e in ogni angolo offriva paesaggi mozzafiato che nessuno si aspetterebbe di vedere in Europa. Ancora una volta, il piccolo Montenegro si conferma come uno dei territori con più da offrire in tutto il continente a livello naturalistico. La presenza della diga di Mratinje ha portato alla formazione di un lago artificiale in cui si riflettono i picchi innevati. La presenza umana in questa zona è vicina a zero, e pochi sono i centri abitati che attraversiamo.

Nel primo pomeriggio deviamo dalla strada principale e al livello del villaggio di Bogetići prendiamo la strada che ci avrebbe portato al Monastero di Ostrog, uno dei luoghi più iconici del Montenegro. Si tratta di un edificio secentesco scavato nella parete a picco di una montagna! La strada per arrivarvi è relativamente corta (8 km), ma costituita da tornanti con curve a gomito che rendono la salita molto lenta. Un’alternativa è camminare, ma con i 30°C di quel pomeriggio non era il caso – anche se abbiamo visto molti coraggiosi dall’aspetto vicino allo svenimento tentare la scalata. Il monastero è chiaramente una meta di pellegrinaggio molto polare tra gli Ortodossi: abbiamo visto auto targate dalla Serbia al Kazakistan. Devote donne con il velo sulla testa venerano le reliquie e baciano le icone tenendosi la mano sul cuore, vanno in estasi e camminano con l’espressione di chi ha appena visto un santo materializzarsi davanti a sé. Nello spiazzo davanti al monastero vediamo coperte, tappeti, tende e sacchi a pelo: molti trascorreranno la notte qui dopo il lungo pellegrinaggio. Che devozione! Ma dal punto di vista di noi non credenti, questo luogo non ci ha affascinato particolarmente: si può rimanere ad amminare gli affreschi dentro le cappellette per poco tempo per via del grande afflusso di fedeli, e il tutto è ristrutturato tanto precisamente da sembrare di essere stato completato il giorno prima. Dalla terrazza si gode di un bellissimo panorama sulla vallata circostante.

Ci siamo quindi rimessi in marcia verso Podgorica, l’ex Titograd, la capitale montenegrina, distante meno di un’ora. La città non ha assolutamente nulla di offrire, ma era comoda per il giorno successivo in cui saremmo dovuti rientrare in Italia. Abbiamo soggiornato all’Apartment Luka, la sistemazione più economica della vacanza (€20), in un bel quartiere di villette in cui tutti ci guardavano come se fossimo degli alieni. Del resto, sanno anche loro di vivere in una città di rara bruttezza e si chiederanno cosa ci facciano due turisti stranieri qui.

Al tramonto siamo usciti per cena. Consultando TripAdvisor, abbiamo notato che a Podgorica se vuoi mangiare fuori hai come unica scelta una caterva di pizzerie e ristoranti italiani. L’unico ristorante di cucina locale sembra aver chiuso i battenti due anni prima. Prima che tramontasse il sole abbiamo fatto una camminata perlustrativa per vedere il Ponte del Millennio completato nel 2005, l’unica attrazione – se così si può definire – di Podgorica, utilizzato quasi ogni anno come sfondo per l’annuncio dei risultati del televoto montenegrino all’Eurovision. Ma io dico, avete un Paese così bello e mostrate ai 200 milioni di spettatori annuali dell’Eurofestival il ponte di Podgorica? Superato il fiume, un miraggio: un locale non italiano, che prepara gyros! Visto che non ci volevamo avvelenare con la cucina italiana all’estero, ci siamo fermati qui, per poi prendere un pessimo dolce e una birra in un locale nella via pedonale lì dietro.

DOMENICA 15 APRILE

Dopo la nostra colazione a base di burek nella pekara in fondo alla strada, abbiamo fatto un giretto perlustrativo della città “vecchia” di Podgorica alla luce del sole. Metto vecchia tra virgolette perché sembra che fosse stata finita il giorno prima, in contrasto con quella “nuova” costruita il mattino stesso. Consiste in viuzze in stile ridente cittadina greca, con case basse e tanta vegetazione, poi due moschee (con nulla da segnalare), e la torre dell’orologio veneziana, un parallelepipedo inaccessibile che si erge al centro di uno spiazzo davanti ad un’arteria trafficata. Del resto, non possiamo biasimare questa città per il suo aspetto poco attraente, visto che è stata bombardata e distrutta quasi completamente dai tedeschi durante la Seconda guerra mondiale.

Lasciamo una delle capitali più brutte di uno dei Paesi più belli d’Europa e ci dirigiamo verso il lago di Scutari viste le alte temperature e vista comunque la vicinanza all’aeroporto. Il lago prende il nome dall’omonima città albanese, il centro principale sulle sue sponde, ma i tre quarti delle sue acque si trovano in Montenegro. Purtroppo non vediamo la viuzza che ci porta a Virpazar, il primo villaggio sul lago, e dobbiamo fare una strada più lunga che attraversa la campagna. Alla fine arriviamo in questo ridente paesino, dove camminiamo verso la panoramica fortezza di Besac (ingresso €1) e mangiamo pršut, formaggio locale e un grosso trancio di carpa pescata nelle acque del lago al ristorante Badanj, spendendo €26 in totale. Un uomo ci ha offerto un giro in barca, e se avessimo avuto tempo avremmo accettato.

Alle 14:30 siamo partiti per l’aeroporto, dove abbiamo riconsegnato l’auto e dove abbiamo conosciuto la signora Ljiljana, una montenegrina che abita a Milano da anni e che era tornata qui per votare alle elezioni presidenziali svolte il giorno stesso. Fra i sette candidati, vincerà il Partito Democratico dei Socialisti di centro-sinistra con un convincente 54% dei voti. Fortunati loro, che hanno un governo stabile. Il nostro aereo è decollato alle 17:40 in perfetto orario, e atterrerà a Malpensa in anticipo alle 19:15. Purtroppo, ci hanno costretto ad imbarcare i bagagli a mano (se prima del metal detector vi attaccano un adesivo con scritto “hand luggage on hold”, rimuovetelo e vi lasceranno salire con il vostro trolley), quindi abbiamo perso tempo ad aspettarli al rullo trasportatore a Milano. Il bilancio della vacanza è comunque stato molto positivo: abbiamo visto posti stupendi, sia a livello naturale che di tipo urbano, e abbiamo sempre riempito le nostre giornate con mete interessanti e d’atmosfera.

CONSIDERAZIONI FINALI

  • Croazia e Montenegro, specialmente sulla costa, sono affollatissimi d’estate: turisti da Centro ed Est Europa si riversano qui per la villeggiatura. Il periodo scelto da noi si è rivelato perfetto: temperatura ottimale, pochi turisti, e molta atmosfera.
  • I montenegrini guidano benissimo, e vi faranno sempre gli abbaglianti prima di un posto di blocco della polizia. Anche i croati hanno una guida molto buona. In Bosnia-Erzegovina, forse anche per via delle strade, la guida è un po’ più spericolata (ma non ai livelli da tentato omicidio perenne dei macedoni).
  • I limiti di velocità in Montenegro e Bosnia-Erzegovina sono veramente bassi: anche sulle superstrade, i 60 sono la norma, e pochi tratti arrivano agli 80. I limiti vanno comunque rispettati per via della massiccia presenza di polizia.
  • Non ci è mancato assolutamente il cibo italiano, specialmente in Bosnia-Erzegovina, dove i gustosissimi piatti nazionali come il burek e i ćevapčići creano letteralmente dipendenza.
  • Dubrovnik, seppur bellissima è completamente sfruttata per spillare ogni singolo centesimo ai turisti. Da quando ci hanno girato Trono di spade, i prezzi si sono rincarati ulteriormente. Sarajevo, al contrario, non è quasi per nulla sfruttata per il turismo internazionale e vi si respira un’atmosfera autentica.
  • Affittare un’auto è stata la scelta migliore per girare questo angolo di Europa: non avevamo mai visto paesaggi del genere in nessun altro punto del continente, e gli spostamenti in auto sono stati un vero piacere. Abbiamo percorso in totale poco più di 800 km in circa 15 ore.
  • Nonostante le leggi anti-fumo, in Bosnia-Erzegovina troverete gente che fuma anche all’interno dei locali, cosa che a noi dà pesantemente fastidio. I Balcani sono la regione in cui si fuma di più in tutto il mondo, e il Montenegro ha la consumazione di sigarette pro capite più alta in assoluto.
  • In Montenegro hanno adottato unilateralmente l’euro come valuta quando nel 2006 hanno votato per l’indipendenza dalla Serbia; in Croazia hanno le kune (1 euro = 7 kune), e tendono a non accettare gli euro, mentre la nostra valuta è più accettata in Bosnia-Erzegovina, dove utilizzano il marco convertibile (1 euro = 2 marchi).
  • Non avrete problemi con la lingua, visto che tutti sotto i 30 anni sanno l’inglese. In Montenegro non è raro trovare persone del posto che sanno l’italiano.
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