Repubblica Turca di Cipro Nord

Fuga di pochi giorni alla ricerca di cultura, mare e buon pesce
Scritto da: ginoegiuliana
repubblica turca di cipro nord
Partenza il: 26/04/2012
Ritorno il: 29/04/2012
Viaggiatori: 2
Spesa: 500 €
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Cipro, aprile 2012

Abbiamo trovato un volo Ryanair molto conveniente da Bologna a Larnaka che parte di Giovedì mattina e torna Domenica sera. Avendo solo quattro giorni a disposizione decidiamo di dedicarci unicamente alla visita della Repubblica Turca di Cipro del Nord, in particolare della penisola di Karpas.

Cipro è divisa de-facto dal 1974, dopo l’invasione turca che ha occupato un terzo del territorio dell’isola.

Noi atterriamo nella parte sud, Repubblica di Cipro, che è di cultura prevalentemente greca. Fa parte dell’Unione Europea e utilizza l’Euro. La parte nord invece è uno stato fantoccio non riconosciuto dalla comunità internazionale, dipendente dalla Turchia. All’interno di quella che chiamerò per semplicità Cipro Nord sono racchiuse alcune delle località più belle e selvagge dell’isola.

Dappertutto si guida a sinistra, retaggio della colonizzazione inglese; anche le prese di corrente sono quelle inglesi.

Sveglia ore 4:00 e arrivo in aeroporto alle 5:15. Colazione, check-in e partenza puntuale del volo Ryanair alle 7:05 che ci porta a destinazione con 10 minuti di anticipo. Perdiamo subito un’ora a causa del fuso orario.

Per evitare problemi abbiamo deciso di noleggiare l’auto direttamente a Nicosia Nord, nella parte turca, presso il noleggio Sun Rent a Car. L’alternativa sarebbe noleggiare la macchina a Larnaka e passare il confine in auto in uno dei checkpoint stipulando una “assicurazione” aggiuntiva di poche decine di Euro. Decidiamo di non farlo perché, nonostante molti turisti ignorino questo divieto, non è consentito dal contratto degli autonoleggio del sud oltrepassare il confine.

Il Sun Rent a Car offre un utile servizio di Pick Up all’aeroporto. Per 45€ un taxista che non parla una parola di inglese o italiano ci aspetta con un bel cartello all’aeroporto. Ci carica sul van Mercedes e guida ad alta velocità fino al confine. Con un nostro documento sbriga le pratiche del passaggio del confine. Noi dobbiamo solo scendere dal taxi per farci riconoscere. Infine ci scarica all’autonoleggio. Nicosia appare un po’ caotica ma rimane comunque una piccola città. La ragazza del noleggio ci spiega tutto in un buon inglese; paghiamo con carta di credito e partiamo con la mini jeep Suzuki Gimny verde. Accanto all’autonoleggio c’è un ufficio di cambio: pagare in lire turche ci eviterà arrotondamenti sfavorevoli ogni volta che ci sarà da pagare. Scambiamo 200€ a 2,335 e otteniamo 467 lire. L’impatto con la guida a sinistra è abbastanza critico: ci dirigiamo subito alla prima stazione di benzina per fare il pieno. Usciti non senza qualche difficoltà dalla città ci dirigiamo verso Girne (Kyrenia in greco). Sulle montagne campeggiamo enormi bandiere turche e turco-cipriote. Ogni pochi km è presente filo spinato e un inquietante cartello rosso a segnalare la presenza di basi militari turche. Mentre proseguiamo, la strada inizia a salire per scavalcare la catena montuosa parallela alla costa nord. Circa a metà prendiamo la deviazione per il castello di Sant’Ilarione. Dopo aver costeggiato un’altra base militare, chiediamo rassicurazioni ad un militare ben armato di fucile che ci indica di proseguire per raggiungere il castello. Arrivati al parcheggio ci fermiamo a bere qualcosa al bar antistante l’ingresso; la fortezza si snoda su tre livelli e sotto il sole caldo di mezzogiorno li visitiamo ad uno ad uno. La vista su Girne è spettacolare e si capisce il ruolo tattico di difesa che doveva avere questa zona nei secoli passati. In alcune stanze sono ricostruite scene di vita al tempo dei Lusignani (nobili francesi); ci sono numerose cisterne per conservare l’acqua. La scalinata più ripida porta alla torre del principe Giovanni, la cui storia è narrata in inglese e turco all’interno di una stanza illustrativa. Mentre scendo un simpatico nonnino con il nipote mi chiede informazioni prima in turco poi in inglese su quanto manchi alla sommità. Dopo aver visitato il punto più alto (750 metri) scendiamo alla macchina e ripartiamo verso Girne. Decidiamo di saltare la visita al castello della città perché c’è ancora tanta strada per arrivare all’hotel. Incrociamo poche macchine ma molti mini quartieri di abitazioni o monolocali per turisti, spesso ancora in costruzione. Sembrano quartieri inglesi trapiantati in mezzo al nulla senza alcun servizio vicino, probabilmente vuoti per molti mesi all’anno. Purtroppo la speculazione edilizia è arrivata anche qui.

Dopo circa due ore e mezza di guida costeggiando il mare iniziamo a ripercorrere la penisola di Karpas, passando da Buyukkonuk poi da Yenierenkoy. Proprio prima della deviazione per Sipahi si passa accanto al nuovo megaporto per yacht costruito in mezzo al nulla. Finalmente arriviamo a DipKarpaz (in greco Rizokarpaso) dove lo stradone costruito di recente termina. Alcuni grandi cartelli ci guidano verso l’hotel che è fuori dal “centro” abitato; si percorre una strada che porta verso la costa dove la strada finisce all’Oasis at Ayfilon. Il posto è meraviglioso, non c’è niente attorno se non le rovine di una antica chiesa bizantina costruita sulle basi di una basilica cristiana. Il proprietario, Masallah, munito di maglietta verde dell’hotel, ci fa scegliere tra due camere disponibili. Scegliamo la “casetta” oltre la chiesa. Alla fine spendiamo 55€ a notte, compresa la colazione. La camera è abbastanza pulita, dalla veranda si gode della vista del tramonto sul mare proprio di fronte a noi. Facciamo una doccia e poi ceniamo qui all’hotel perché siamo stanchi per muovere ancora la macchina. A cena assaggiamo il Meze (vari antipasti di terra) e due bei Sea Bass (branzini) alla griglia con patate e verdura. Eccezionali! Birra rigorosamente Efes (turca di Smirne) e acqua, in totale una ventina di Euro. Andiamo a letto alle 21 dalla stanchezza senza aver finito di digerire. L’unico rumore che si sente dalla camera è lo sciacquio delle onde.

Ci svegliamo verso le 8 con la luce che entra dagli scuri. La colazione è ottima. C’è un bel piatto con olive, pomodori, cetrioli, halloumi (formaggio locale) e un piccolo toast con halloumi e pomodoro. Il sapore dell’halloumi assomiglia alla feta e la consistenza al tosone. Poi un piatto di frutta già sbucciata e fette di pane con miele e marmellata. Dopo una bella scorpacciata partiamo in direzione Golden Beach (Nangomi Beach). Ci fermiamo in un market di Dipkarpaz per prendere qualche cracker, banane e acqua. Sulla strada incontriamo solo qualche trattore e un bambino che ci chiede un passaggio per il monastero di San Andrea (almeno interpretiamo così dal turco), ma preferiamo non caricarlo per evitare casini. Dopo circa mezzora di macchina oltrepassiamo le indicazioni per la spiaggia; proseguiamo per un altro km e appena la strada inizia a salire ci fermiamo ad uno slargo per ammirare dall’alto la bellezza della lunghissima spiaggia e delle dune retrostanti. Torniamo indietro e all’altezza del cartello “HASAN OK FOR CARS” innesto le 4 ruoti motrici del Gimny e arrivo fino ad uno spiazzo dove è parcheggiato giù un camper turco. Scendiamo dalla macchina e percorriamo una pensilina di legno che ci porta fino alla spiaggia. I cartelli ci ricordano che la spiaggia è protetta perché sito di nidificazione delle tartarughe Caretta Caretta; c’è il divieto di accesso dalle 20:00 alle 8:00. La spiaggia è enorme e non c’è nessuno all’orizzonte. Camminiamo per una decina di minuti per avvicinarci a un punto che avevamo visto dall’alto. Stendiamo i teli e ci godiamo il sole che picchia parecchio pur essendo Aprile. Io parto in “perlustrazione”: purtroppo la spiaggia che dall’alto sembrava perfetta rivela un lato nascosto. A circa 50 metri dall’acqua la risacca porta a riva una grandissima quantità di rifiuti! Principalmente si tratta di bottiglie di plastica, ma disseminate qua e là ci sono scarpe, ciabatte, vetro, resti di ombrelloni, corde, copertoni. Mi viene da pensare a chissà cosa nascondono le dune di sabbia. Un vero peccato per una spiaggia così bella. Nonostante ciò l’acqua è pulitissima: dopo aver preso coraggio mi butto e non è poi così fredda! Il fondale scende molto lentamente per decine di metri e non ci sono pesci in vista. All’una circa ci leviamo dalla spiaggia perché nonostante l’arietta il sole scalda molto. Ci fermiamo al ristorante di legno vicino a dove abbiamo parcheggiato dove prendiamo da bere e un po’ di frutta. Dopodiché riprendiamo la macchina e ci dirigiamo verso la punta della penisola di Karpas. Dopo diversi cartelli che ci segnalano la presenza di asini selvatici arriviamo al, un luogo molto sacro per i greco-ciprioti. Il posto però è tenuto malissimo: al monastero di Sant’Andrea ci sono bancarelle che vendono souvenir e tutte le strutture che una volta probabilmente ospitavano i pellegrini ora sono lasciate andare in rovina. Dopo il breve stop e l’acquisto di una calamita, ripartiamo verso Zafer Burnu. L’asfalto della strada peggiora man mano che avanziamo e ad un certo punto la strada diventa sterrata: il Gimny non ha problemi. C’è qualche asino selvatico che pacificamente si aggira tra la macchia mediterranea. La penisola termina con uno spiazzo e un piccolo promontorio. Le immancabili bandiere turca e cipriota campeggiano sul punto più alto. L’acqua vicino alla riva sembra davvero color smeraldo. C’è un immancabile guardiola militare che comunque non disturba. Dall’estremità di Cipro si vedono bene un gruppo di scogli a poche decine di metri dalla costa. Con l’immaginazione arriviamo fino in Turchia, Siria, Libano, Israele ed Egitto che ci circondano a poche centinaia di km di distanza. Tornando indietro ci fermiamo ancora alla Golden Beach; questa volta parcheggiamo vicino ad alcuni bungalow di legno che per fortuna ben si mimetizzano con la natura circostante. Trascorriamo ancora un po’ di tempo in spiaggia, poi rientriamo all’hotel dove godiamo di un tramonto spettacolare sul mare. Questa sera decidiamo di andare a cena al Blue Sea Hotel, davanti a cui eravamo passati nel pomeriggio. Prendiamo pesce fresco, insalata e patatine. Spendiamo 60 Lire Turche (circa 26€ in due), ma la soddisfazione non è proprio pari a quella della cena della sera precedente. Mentre rientriamo in macchina non c’è nemmeno una luce. Poco prima dell’hotel incontriamo un asino, un riccio, un gufo e un leprotto che nel giro di un minuto ci tagliano la strada. Il cielo è molto pulito e oltre alla luna si vedono benissimo Venere e un sacco di stelle.

La mattina del terzo giorno, dopo la lauta colazione, andiamo a vedere la spiaggia a due passi dal nostro albergo, altro luogo teoricamente protetto per la nidificazione delle tartarughe. Dall’alto sembra bellissima: è una lunga insenatura sabbiosa. A separarla dal piccolo golfo su cui si affaccia la nostra camera è solo ciò che resta del frangiflutti dell’antico porto romano. Decidiamo di tornare nel pomeriggio e ripartiamo verso la Golden Beach. Stavolta però ci fermiamo nella spiaggia “gemella”, ovvero che si incontra prima venendo da Dipkarpaz. Prendiamo uno stradellino sterrato abbastanza nascosto e parcheggiamo in un piccolo spiazzo. Dopo avere “scollinato” a piedi arriviamo alla spiaggia che è totalmente deserta. Camminiamo per quasi mezzora perché decido che il posto migliore è proprio sotto le dune di sabbia che separano le due parti della Golden Beach. Stendiamo i teli e per tutta la mattinata non incontriamo anima viva. Salgo e scendo le dune di sabbia per fare qualche foto e poi mi dedico all’ispezione del promontorio in cerca di conchiglie. Anche qui purtroppo ci sono rifiuti; nel complesso dell’enormità della spiaggia diciamo che non ci danno troppo fastidio. Rimane comunque un neo su questo aspetto. Non è possibile trascurare la pulizia di queste bellezze naturali: per rimanere intatte hanno bisogno di essere curate. Rimaniamo fino alle 13 e sotto il sole cocente torniamo alla macchina. Sulla strada ci fermiamo a mangiare a un ristorante con le insegne in greco: il proprietario, probabilmente uno dei pochi greci rimasti dal ’74, non parla una parola di inglese. Ci fa scegliere il pesce e poi lo frigge e ce lo serve con la classica insalata e le patate. Le cose più buone di questo pasto sono l’olio e l’humus. Passiamo dalla camera per una doccia e un po’ di relax all’ombra, poi ci spostiamo allo spiaggione visto alla mattina. In realtà da vicino è molto deludente: ci sono mucchietti di legno e plastica a cui verrà dato fuoco alla sera per eliminare i rifiuti. Questa combustione lascia sulla sabbia dei micro pezzetti di plastica oltre che a produrre inquinanti forse peggiori. Poi incontriamo una tartaruga morta e una capra in decomposizione a poca distanza l’una dall’altra sulla spiaggia. Rimaniamo circa un’oretta poi decidiamo di fare rotta verso Sipahi per vedere il famoso mosaico dei sandali. Percorriamo mezzora di strada fino quasi a Yenierenkoy e prendiamo la deviazione verso sinistra per Sipahi. La strada inizia a salire; dopo pochi minuti vediamo un cartello giallo che ci indica la presenza dei resti della basilica di Agia Triada. Parcheggiamo accanto a una mucca legata ad albero che pascola tranquilla. C’è una biglietteria ma il cancello è aperto. Ci avviciniamo alla casa di fronte, dall’altra parte della strada. Alla richiesta “Excuse me” ci sentiamo rispondere da alcune ragazze “Go Go!”. Quindi entriamo senza pagare e ci avviciniamo al poco che rimane della basilica. Fondamentalmente rimangono solo i pavimenti: impieghiamo poco a trovare i mosaici dei sandali. Facciamo la foto di rito poi torniamo verso l’hotel. Decidiamo di cenare all’hotel vista la soddisfazione della prima sera. Replichiamo quindi in toto con i branzini alla griglia e in più come dolce prendiamo un buonissimo yoghurt con miele e noci.

E’ arrivata la mattina di Domenica. Dopo colazione paghiamo con carta di credito le tre notti più le due cene: totale 203€. Mi fermo a fotografare una delle tre chiese ortodosse di Dipkarpaz: il custode mi nota e mi fa entrare per ammirare le icone custodite. Ovviamente anche lui non parla una parola di inglese: lo ringrazio e ripartiamo in direzione Famagusta. Abbandonata la penisola di Karpas, cominciamo a costeggiare il mare: purtroppo il cemento che avanza sotto forma di casettine col tetto spiovente. Ci sono interi quartieri che si susseguono a distanza di pochi chilometri. Dopo circa un’ora e mezza di guida, vediamo all’ultimo secondo un piccolo cartello che ci indica che siamo arrivati al sito archeologico di Salamina. Vicino all’ingresso c’è un bel parco attrezzato dove intere famiglie di locali hanno deciso di fare picnic. C’è un odore fortissimo di griglia nell’aria. Ci fermiamo in un bar prima dell’ingresso per prendere un caffè. Non hanno l’espresso quindi provo il caffè turco: ho finalmente capito perché si dice di fermarsi prima del fondo! Entriamo pagando l’ingresso di 9 lire turche (circa 4 Euro). Per fortuna il cielo è coperto ma il caldo umido è molto fastidioso anche perché non ci sono zone d’ombra dove ripararsi. Il sito è molto grande, ma non conservato benissimo. Entriamo da un’apertura del ginnasio. Delle statue che ornavano la struttura è rimasto il busto: sono tutte decapitate. Senza una guida è difficile orientarsi: andiamo alla ricerca dei mosaici e affreschi che decorano i soffitti. Dopo alcuni giri a vuoto tra il frigidarium e le latrine chiediamo a un gruppo di signore che scopriamo essere emiliane come noi. Fatta la foto di rito dopo il gruppone di anziani francesi, passiamo al teatro, ristrutturato di recente. Continuiamo la visita lungo l’antica strada romana visitando la villa romana, un deposito e altre strutture fino a ciò che rimane di un grandissimo tempio. Purtroppo è rimasto ben poco. Il pezzo forte della visita rimangono il ginnasio e i bagni.

Dopo circa due ore di vista ripartiamo verso Famagusta. Non c’è tanto traffico e riusciamo a raggiungere agilmente un parcheggio proprio nel centro della città vecchia. Ci sono molti turisti in giro. Raggiungiamo a piedi la piazzetta antistante la moschea di Lala Mustafa’ Pascia, il comandante ottomano che prese Famagosta nel 1570. In realtà si tratta di una cattedrale gotica a cui esteriormente è stato aggiunto un minareto. Ci fermiamo a mangiare un panino con pomodori e formaggio in un tavolino all’ombra, vicino ai resti del palazzo veneziano. Ad ogni angolo ci sono rovine di qualcosa, ovviamente non molto ben curate. L’intera città vecchia, ovvero all’interno delle mura, è attualmente abitata. Le mura che proteggevano la città sono conservate in buono stato. Ci dirigiamo a piedi al bastione Ravelin dal quale si gode di un’ottima vista su tutta la città. Torniamo indietro e salutiamo Cipro con un bell’assaggio di dolci alla pasticceria Petek: baklava e affini che ci rimarranno un po’ sullo stomaco. Grazie al Galaxy e le mappe di Google pre-caricate raggiungiamo facilmente il noleggio e Nicosia. Non c’è nessuno ad aspettarci. Facciamo telefonare all’autista del taxi che ci deve riportare a Larnaka. Lasciamo le chiavi sotto al tappetino del Gimny e via verso casa!

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