L’Australia in tre settimane
Tre settimane avventurose attraverso le città, i paesaggi e i climi di questo continente così lontano e così affascinante.
Un viaggio individuale e impegnativo (12 voli aerei, 3000 km in auto e poi, monorotaie, traghetti, barche…), ma che ci ha permesso di scoprire una (piccola) parte di questo fantastico continente dove non solo gli spazi, la storia e i paesaggi, ma anche lo stile di vita sono radicalmente diversi dai nostri.
Prima di cominciare qualche dettaglio tecnico: abbiamo prenotato il grosso dei servizi dall’Italia compresi i voli interni e il noleggio auto. Anche la maggior parte dei pernottamenti abbiamo deciso di fissarla in anticipo per evitare di dover perdere tempo a cercare ogni giorno la sistemazione adatta. Il viaggio è stato inevitabilmente molto costoso, ma naturalmente la differenza la fanno i pernottamenti (soprattutto nelle città) e la scelta dei mezzi di trasporto. Noi ci siamo trattati bene (per la cronaca questo per noi non è stato un semplice viaggio, ma IL viaggio…Di nozze): abbiamo usato molto gli aerei e l’auto privata a noleggio, abbiamo pernottato in hotel di prima categoria (dove possibile) e non abbiamo voluto negarci alcune ottime cene. Consiglio: iscrivetevi al programma Frequent Flyer della compagnia area che utilizzerete. Noi lo abbiamo fatto con Qantas (il Vettore che abbiamo usato per quasi tutti i voli) guadagnando abbastanza miglia per ottenere un volo gratuito a testa a/r in Europa.
E allora ecco quello che siamo riusciti a fare in 20 indimenticabili giorni.
18 giugno 2007 Francoforte – Singapore – Sydney (aereo, 16500 km).
Arriviamo a Francoforte da Milano alle 19.30 del 17 giugno con il volo Lufthansa 3889.
Il volo Qantas (QF 006) per Sydney è previsto per le 23.55. Decolliamo puntuali. In 11 ore arriviamo a Singapore dove ci attende uno scalo tecnico. Ci fanno sbarcare per consentire il rifornimento di carburante. Approfittando delle ca. 2 ore di ritardo prima del decollo per la seconda tratta facciamo un lungo giro per l’incredibile aeroporto di Singapore. Immenso e pieno zeppo di…Persone e boutique occidentali. All’esterno un’aria calda e umida ci fa assaporare per un istante l’atmosfera dell’Asia tanto raccontata nei libri di Terzani.
Il volo Singapore – Sydney dura ca. 6 ore. Tutto liscio come l’olio. L’intrattenimento a bordo del Boeing 747 è davvero magnifico, non a caso la Qantas ha vinto anche per il 2007 il premio “miglior intrattenimento a bordo”. Il sistema prevede, anche in classe economica, uno schermo per ciascun posto a sedere e una consolle che oltre a consentire le telefonate (10 USD al minuto) permette di giocare on demand a vari videogiochi e di vedere, sempre on demand, decine di film e programmi televisivi, anche in italiano. Arriviamo a destinazione all’alba del 19 giugno 2007. Al netto del fuso orario di + 8 ore, il viaggio da Milano nel complesso è durato 29 ore!
19 giugno 2007 Sydney (a piedi e con mezzi pubblici) Durante entrambi i voli siamo riusciti a dormire qualche ora quindi, sorprendentemente, non siamo poi così devastati di stanchezza. Quindi non ci spaventa l’avere davanti un’intera giornata.
L’hotel è il Park Hyatt ed è davvero accogliente. Ci facciamo una doccia, ci prepariamo un ottimo te caldo rilassandoci un’oretta in camera e alle 10.00, non cedendo alla tentazione di dormire usciamo alla scoperta della città.
Visto che l’hotel è proprio nel centro del porto di Sydney, a ridosso dell’Harbour Bridge e a due passi dall’Opera House, decidiamo di dedicare la giornata a questa parte della città, cominciando proprio dalla visita di uno degli edifici più famosi e discussi del mondo.
Bella, brutta, esagerata, comunque la si voglia definire l’Opera House è estremamente fotogenica, protesa come è nelle acque della baia con alle spalle i giardini botanici e lo Skyline del distretto finanziario. Anche l’interno delle due sale principali merita di essere visitato (non sempre è possibile, dipende se ci sono prove in corso).
Fuori il tempo è bruttino, piovoso, ventoso e freddo, in fondo mancano solo un paio di giorni all’inizio dell’inverno. La Dany, tra l’altro, si è dimenticata in Italia il cambio delle lenti a contatto, quindi siamo costretti ad andare da un “Optician” per comprarle. Cosa non semplice in realtà, perché da queste parti le lenti si vendono, a quanto pare, solo sotto presentazione della prescrizione dell’oculista. Quindi la Dany si deve sottoporre ad un’accurata visita da parte di una procace e matura dottoressa che dopo aver stabilito con certezza l’entità del difetto visivo ordina una fornitura trimestrale di nuovissime lenti a contatto vatte la pesca. Dovremo passare la mattina dopo per ritirarle.
Dedichiamo il pomeriggio ad un’esperienza insolita, quanto faticosa per due persone reduci da due giorni di viaggio e con pochissime ore di sonno alle spalle: la scalata dell’Harbour Bridge. Si tratta di una divertente quanto costosa (160 AUD a testa!) arrampicata fino alla vetta del ponte “attaccapanni”, dove sventolano orgogliose due enormi bandiere australiane. I preparativi sono degni di una vera e propria scalata. Tuta, imbracatura, guanti, gancio rotante per assicurarsi alla passatoia, giubbotto e key way tutto fornito dall’Organizzazione. Trascorriamo tre ore divertenti scalando lo scheletro di ferro del ponte e godendo dalla cima di uno dei panorami migliori della città. A 134 metri d’altezza in mezzo alla baia il vento soffia a 40 km/h. 80 metri più in basso, sotto i nostri piedi, il traffico dell’ora di punta scorre rumoroso.
Stremati dalla bella esperienza ci rintaniamo in hotel e, dopo aver tristemente cenato in camera con due tipicissime Ceasar’s Salads non riusciamo proprio a tirare oltre le 8.00 pm. Il fuso a questo punto prende il sopravvento.
20 giugno 2007 Sydney (a piedi e con mezzi pubblici) Dopo una ronfata di oltre 10 ore alle 8.00 am siamo già fuori. Il tempo pare in miglioramento. Iniziamo con una colazione da Starbucks appena dietro il Circolar Quay, il molo di attracco dei traghetti, dove a quest’ora gli impiegati pendolari in arrivo dalle varie zone della baia prendono il loro mezzo litro di caffè prima di entrare in ufficio.
Subito dopo prendiamo il traghetto per Manly, un quartiere situato a ridosso dei Sydney Harbour’s Heads, le bocche di ingresso dell’oceano pacifico nella baia. Più che il posto (ci fermiamo un’ora appena per fare una passeggiata lungo la Manly Scenic Walkway) vale la pena il viaggio perché il traghetto percorre un bel tratto della baia e permette di scattare meravigliose foto della città, Opera House e Harbour Bridge compresi. Per noi, poi, la sorpresa è ancora maggiore: al rientro le nuvole su Sydney si sono dissolte e la città si presenta come siamo abituati a vederla in cartolina.
Seconda tappa della giornata sono i Royal Botanic Gardens, splendidi nella loro perfezione e cura. All’ingresso colpisce il cartello amichevole che invita a…Calpestare e passeggiare sul prato (Please, walk on grass!). Il luogo, come del resto tutta la zona che dai Rocks (dove c’è il nostro hotel) arriva fino all’Opera, è pieno di australiani volenterosi e sportivi che corrono, corrono, corrono! Dai giardini ci addentriamo nel centro finanziario della città, verso Maquire Place; ci rendiamo conto che questa zona non è molto diversa da altre città come New York. Grattacieli, impiegati in pausa, traffico e sirene sono il tema dominante. Il colpo d’occhio, la mescolanza del moderno con i pochi edifici storici rimasti è comunque affascinante.
Riprendiamo il traghetto dal Circular Quay, questa volta con destinazione “Darling Harbour”, la zona a sud ovest dell’Harbour Bridge, oggi diventata un polo di intrattenimento. Noi per prima cosa facciamo un salto al vicino Mercato del Pesce dove, vista l’ora, ci concediamo un ottimo “fish and chips” in compagnia di un paio di enormi pellicani in attesa di ricevere un boccone. Dopo una lunga passeggiata tra le varie attrazioni del porto (primo tra tutti l’acquario) saliamo sulla monorotaia lungo il cui percorso possiamo vedere altri scorci della città. Scendiamo al Queen Victoria Building, uno dei centri commerciali più famosi della città. A pochi passi c’è anche Pitt Street, una via pedonale piena di artisti di strada e di turisti incuriositi, oltre che di negozi dalle marche più che note. A piedi proseguiamo per il quartiere di Kings Cross attraversando Hyde Park e giungendo in questa curiosa zona all’apparenza modesta, piena di piccoli pub e “signorine”.
Percorrendo Victoria Street arriviamo allo storico quartiere di Wooloomolloo, uno dei più antichi di Sydney. Molte le case in stile vittoriano che sono state restaurate e conferiscono al luogo un’atmosfera d’altri tempi.
In serata torniamo, sempre a piedi, al Circular Quay dove ci beviamo un birra e un bicchiere di vino bianco allo “Ship Inn”. Verso le 19.00 siamo in hotel dove stanchi per la giornata e ancora un po’ scombussolati dal fuso ci addormentiamo in pochi secondi.
In sintesi Sydney, per quanto visitata in modo un po’ troppo frettoloso è una città magnifica, dove gli abitanti, complice la posizione felice e il clima mite anche d’inverno, possono concedersi uno stile di vita non solo molto diverso dal nostro, ma anche molto più sano, votato come è alla vita all’aria aperta e ad orari lavorativi di certo meno massacranti rispetto a quelli di Milano.
Da domani ci attende il vero viaggio “on the road” alla scoperta del “Red Center”.
21 giugno 2007 Sydney – Uluru (aereo, 2000 km; auto, 90 km).
Oggi, nell’emisfero boreale è il solstizio d’estate, la giornata più lunga dell’anno. Qui, nell’emisfero australe, è il solstizio d’inverno e la giornata è la più breve. Il tempo è splendido e Sydney è riscaldata da un sole tiepido. La vista dei Rocks dalla nostra camera è bellissima.
Il volo Qantas QF 728 per Uluru è puntuale e in ca. Tre ore atterriamo a Yulara, il paesino-hotel costruito ai margini dell’Uluru – Kata Tjuta National Park.
Devo ammettere che l’aspettativa sul luogo, almeno la mia, è enorme. È uno di quei posti che ho sognato di visitare fin da piccolo, un po’ come le Piramidi o il Grand Canyon. Siamo davvero emozionati, insomma è la tappa più attesa del viaggio.
Già dall’aereo riusciamo a distinguere perfettamente la sagoma inconfondibile di Uluru oltre che quella dei vicini monti Kata Tjuta. Che bello! Scesi dall’aereo ecco la prima sorpresa: ci aspettavamo un clima fresco, ma non freddo! Ci sono 12 gradi e il contrasto con l’ambiente desertico circostante è evidente.
Prendiamo posto all’hotel “Sails in the Desert”, ritiriamo la nostra prima auto australiana (un fuoristrada come si deve), facciamo una bella spesa allo spaccio locale anche in vista della tre giorni on the road nell’Outback del Red Center e per le 2.30 pm siamo all’ingresso del parco. L’ingresso per tre giorni costa 50 AUD. Il tempo è variabile, le nuvole si alternano al sole. Il paesaggio è costituito da un’immensa pianura rossa cosparsa di “bush” verde. Meraviglioso. Non dimentichiamoci che siamo nel mezzo di un deserto remoto! E in mezzo a questo sterminato deserto c’è Lui, Uluru, la cosa più fotogenica che abbia mai visto. Enorme, rosso, frastagliato, magico, mistico, bellissimo.
Se ne coglie appieno la magnificenza guardandolo da lontano, perché solo così se ne colgono le proporzioni e l’imponenza. Standogli vicino o sopra, diventa una normale montagnola alta 300 metri piena di piccole gole e canyon. Rosso fuoco naturalmente. Il sole, le nuvole gli conferiscono una colorazione surreale, non so come dire, sembra una cosa…Viva… Anche le passeggiate che si snodano intorno sono molto piacevoli oltre che interessanti. Ce ne sono varie, ma per togliersi dall’imbarazzo della scelta conviene fare la Base Walk (10 km, 3-4 ore per le guide, 2 ore per noi) che percorre l’intero perimetro. Noi la iniziamo dal “Mala Car Park” che è anche il punto da cui parte la famigerata arrampicata verso la vetta.
Consiglio: se avrete intenzione di percorrere solo un tratto del sentiero perimetrale, fate il Kunja Walk. È una parte meno soleggiata, ma molto spettacolare. Si possono anche visitare i siti di sacri dove gli aborigeni hanno inciso numerosi disegni. Non sempre è consentito fotografare.
L’arrampicata l’abbozziamo soltanto. È molto faticosa e in fondo irrispettosa, ma non preoccupatevi la fanno davvero tutti, nonostante sia sconsigliata.
Unica nota stonata della giornata: alle 18.04 è previsto il tramonto, ma le nuvole nascondono il sole. Pazienza, speriamo nell’alba.
Ceniamo al Wikiki, il ristorante a buffet del Sails in the Desert. La temperatura con il buio è scesa a zero gradi.
22 giugno 2007 Uluru – Kings Canyon (auto, 410 km) La giornata inizia nel migliore dei modi: il cielo è completamente limpido e libero da nuvole. Abbiamo puntato la sveglia alle 6.30 del mattino, in tempo per assistere all’alba, prevista per le 7.20. Rapida colazione in camera e alle 7.15 siamo al “sunrise observation point” ossia il luogo da cui osservare Uluru illuminarsi con i primi raggi di sole. Fa freddissimo, ma lo spettacolo è stupendo, la roccia si accende di un arancione brillante che diventa poi rosso incandescente. Il contrasto con il bush verde è di quelli che non si dimenticano. Insomma siamo stati ripagati dal mancato tramonto.
Verso le 8.30 siamo in albergo dove saldiamo il conto, carichiamo la macchina e partiamo alla volta dei monti Kata Tjuta. 50 km di strada deserta. Il paesaggio è anche qui spettacolare, gli aborigeni hanno dato naturalmente a queste formazioni un nome quanto mai adatto: Kata Tjuta significa “tante teste” ed in effetti è proprio così, tanti enormi testoni tosso fuoco alti fino a 800 metri.
Arrivati al parcheggio bisogna decidere che track fare, ce ne sono vari, ma noi scegliamo il più completo, quello di 7 km che in 4 ore (per le guide, noi ci abbiamo messo poco più di due) permette di percorrere la “valley of the winds” attraverso questi monti misteriosi. Dopo un tratto che arriva al primo “lookout”, il sentiero prosegue (è piuttosto impegnativo) addentrandosi nelle piccole valli tra un monte e l’altro. Quasi nessuno lo percorre, quindi siamo solo noi due in mezzo a un paesaggio a metà tra il surreale e l’onirico. Il cielo è di un azzurro intenso, sembra quasi dipinto. Il sole invernale però, non scalda la temperatura oltre i 16 gradi, però al sole finalmente si può camminare senza troppi “strati” addosso.
Il percorso, devo dire, è davvero stupendo, molto più bello dalla base walk intorno ad Uluru. Consiglio: se mai doveste trovarvi a dover scegliere se fare la base walk o la valley of the winds, fate questa. Torniamo per le 12.30 a Uluru dove facciamo un rapido pic nic al sunset observation point per goderci ancora un po’ lo spettacolo mistico dei colori di Uluru.
Per le 2.00 pm partiamo alla volta di Kings Canyon: 300 km che percorriamo praticamente da soli in poco più di tre ore. I paesaggi che ci scorrono intorno ci fanno provare la sensazione di essere lontani da tutto (beh, in effetti è così): in 300 km incontriamo una sola sperduta stazione di servizio, ai bordi della strada spesso incontriamo animali morti (ci fermiamo a fotografare anche un cammello probabilmente investito da qualche “road train”). Arriviamo intorno alle 18.00 giusto in tempo per il tramonto. Pernottiamo al Kings Canyon Resort e ceniamo al Carhmichael’s Restaurant.
23 giugno 2007 Kings Canyon – Alice Springs (auto, 390 km) La sveglia è alle 7.30 am. Colazione in camera a base di Cookies e te caldo. Alle 8.00, poco dopo l’alba, siamo pronti per la “ Rim Walk”, un percorso di 6 km sul bordo del Canyon. Si tratta di una camminata di media difficoltà con anche delle “scalata” piuttosto pesanti, ma la temperatura fresca ci permette di farlo in tutta tranquillità impiegandoci un po’ più di due ore. Davvero piacevole e il paesaggio che ci si presenta intorno è davvero inaspettato. Vale davvero la pena di fare questa camminata perché si raggiungono degli scorci di impressionante bellezza, scorci che dal fondo del Canyon non si possono nemmeno immaginare: pinnacoli rossi, pareti verticali profonde oltre 100 metri, un paesaggio in grado di tenere testa al Grand Canyon USA, ovviamente su scala molto ridotta.
Partiamo per Alice Springs intorno a mezzogiorno. Avendo un fuoristrada decidiamo di percorrere la “Meerenie Loop Road”, una strada che per ca. 150 km è completamente sterrata. La pista è ampia e il fondo è per la gran parte fatto da una fine sabbia rossa. È ben tenuta, ma personalmente la sconsiglio a chi viaggia in utilitaria (più che altro perché ci impiegherebbe un’eternità a percorrerla). Inutile sottolineare il divertimento e quella sensazione di selvaggia avventura che piste di questo tipo permettono di vivere… Sulla strada avvisiamo numerosi cammelli (o dromedari?) e poi centinaia di collinette di terra frutto del lavoro delle termiti.
Ci fermiamo a metà strada per pranzare al sacco e godere della solitudine del luogo.
A parte un paio di sbandate dovute di certo al fatto che dopo un po’ avevamo preso troppa confidenza con il mezzo, il viaggio termina dopo ca. 4 ore senza intoppi.
Arriviamo ad Alice Springs, una cittadina di 20.000 abitanti situata nel cuore rosso dell’Australia. Prendiamo posto al Novotel, prenotiamo una cena all’”Overlanders Steak House” e riprendiamo subito la macchina in direzione del Simpson’s Gap a 20 km da Alice sulla strada da cui eravamo appena arrivati. Qui, con una passeggiata di pochi minuti arriviamo ai bordi di uno splendido billabong (laghetto) incastonato tra pareti rosse popolate dal Rock Wallaby, un simpatico marsupiale simile a un piccolo canguro.
Al rientro facciamo una breve sosta alla Flynn’s Grave (fondatore della Royal Flying Doctors) e ci prepariamo per la cena. La Steak House, molto turistica, è comunque carina e finalmente riusciamo ad assaggiare la carne di canguro, di emu, di coccodrillo e di cammello.
24 giugno 2007 Alice Springs – Darwin (aereo, 1500 km; auto, 36 km) Dedichiamo la mattina a vagabondare per Alice Springs. Andiamo al Tod’s Mall, una zona pedonale piena di negozi, visitiamo la Flynn’s Church, la vecchia prigione, il grande affresco che raffigura la storia della nascita della città.
In pochi minuti d’auto andiamo alla Old Telegraph Station, 4 km a nord del centro; il posto merita davvero perché oltre ad essere il luogo dove fu di fatto fondata la città nel 1871 (qui si trovava il ripetitore della Overland Telegraph Line da Adelaide a Darwin), è anche il luogo da cui sgorgano le vere e proprie Alice Springs, le sorgenti che hanno dato il nome alla città.
Il tempo di fare il pieno di benzina all’auto e in pochi minuti arriviamo all’aeroporto dove a mezzogiorno decolliamo per Darwin. In un paio d’ore di volo passiamo da un clima fresco e secco a uno caldo (30 gradi) e umido. Siamo ai tropici! Termina così la nostra avventura nel Red Center, dopo aver percorso quasi mille chilometri in auto su strade di ogni tipo attraverso paesaggi e luoghi indimenticabili. Un posto meraviglioso dove speriamo, un giorno, di poter portare i nostri figli.
A Darwin ritiriamo l’auto e dopo aver lasciato i bagagli al Mirabeena Resort cominciamo a girare a piedi. Sarà perché è domenica, sarà perché fa caldo, ma in giro non c’è quasi nessuno e la città ci appare un po’ sonnacchiosa e dimessa. Visitiamo tutto il centro, ossia la zona compresa tra l’Esplanade, il giardino del bicentenario e Cavenagh Street.
Darwin è in realtà una città molto allegra e piena di giovani impiegati la maggior parte dei quali, oggi, sono al mare! E infatti ci basta spostarci in auto fino a Mindil Beach e alla zona dell’East Point Reserve per cogliere più chiaramente la bellezza del luogo e per trovare tutti, ma proprio tutti spaparanzati sulla spiaggia oppure a girovagare nel famoso mercatino che si tiene ogni domenica proprio a Mindil Beach.
Per le 8.00 pm siamo di nuovo in centro dove ceniamo spendendo una stupidata (54 AUD) in St. Mitchell Street in un pub-ristorante pieno di giovani allegroni, lo Shenningan’s.
25 giugno 2007 Darwin – Kakadu National Park (auto, 480 km) Partiamo di buonora per il Kakadu National Park. In un Paio d’ora arriviamo al Visitor’s Center dove c’è tutto l’occorrente per orientarsi in quello che è uno dei più grandi parchi nazionali australiani. Capiamo subito che, per noi che lo gireremo in auto dedicando un paio di giorni scarsi, il parco è diviso in zone facilmente raggiungibili.
La prima tappa è Ubirr, all’estremità nord del parco. Il sito è famoso per le incisioni rupestri che sono di indubbio interesse soprattutto per lo stato di conservazione. Consiglio vivamente di completare la passeggiata fino al lookout in cima a una rupe da dove si gode una vista mozzafiato sull’East Alligator River e sull’immenso estuario popolato di uccelli, canguri (ne avvistiamo un paio) e coccodrilli (che per ora si fanno desiderare).
Al rientro lasciamo le valige al Gadudjiu Crocodile Resort e ripartiamo alla volta della zona di Nourlangie dove si trova un altro sito di arte rupestre, il più famoso del parco, per la verità. Quello, per intenderci, dove è raffigurata la famosa immagine della divinità che poi è stata riportata su migliaia di cartoline e gadget. Il sito è Patrimonio Mondiale dell’Umanità.
Raggiungiamo poi l’Anbangbang Billabong, uno specchio d’acqua (questa è la stagione secca) popolato di uccelli e ninfee. Anche qui di coccodrilli, nonostante i cartelli di warning, nemmeno l’ombra.
Francamente, sono sincero, il primo impatto con Kakadu è stato contrastato, nel senso che ce lo immaginavamo diverso. Forse perché nella nostra testa ci eravamo fatti l’idea di un luogo ricco d’acqua, con una vegetazione esplosiva. Sta di fatto che la vegetazione ai margini delle strade è piuttosto secca (ci sono anche molti incendi controllati) e la fauna per il momento è un pelino povera, almeno all’occhio inesperto di noi semplici turisti.
Sicuramente la gita di domani sul battello a Yellow Water ci permetterà di vedere il meglio di questo parco così importante per la sua biodiversità.
26 giugno 2007 Kakadu – Darwin (auto, 395 km) Ci svegliamo in tempo per poter essere alle 9 a Yellow Water (Cooinda), 50 km a sud di Jabiru.
Arriviamo appena in tempo: saliamo su un piccolo battello e trascorriamo due ore indimenticabili al punto da farci scordare lo scetticismo del giorno precedente. Navighiamo in mezzo a stormi di uccelli bianchi, rosa, di tutti i colori, aquile e poi loro, i coccodrilli: a mano a mano che il sole scalda l’atmosfera escono in molti, grandi, piccoli, alcuni anche di 4-5 metri. Facciamo delle foto pazzesche e ci dispiace un sacco terminare il giro! Ripartiamo alla volta di Darwin verso le 12.00, ma ci fermiamo per una piacevole passeggiata nell’area di Mamukala Wetlands, 30 km a ovest di Jabiru, sulla Arnheim High Way.
Nei pressi di Darwin ci fermiamo al bivio tra l’Arnheim Hyw e la Stuart Hyw, nell’Aboriginal Cultural and Art Center dove, oltre a fare la conoscenza con un simpatico pappagallo, acquistiamo due dipinti di un artista aborigeno raffiguranti alcune delle divinità che abbiamo visto a Kakadu.
Trascorriamo la serata tra il Wharf, sorseggiando un’ottima birra sul molo a picco sul mare, e Mitchell’s Street, dove ceniamo.
Domani la sveglia è alle 4.30 perché il volo per Cairns è alle 6.00 am.
27 giugno 2007 Darwin – Cape Tribulation (aereo, 1000 km; auto 175 km).
Alle 10.00 am abbiamo già ritirato le valigie all’aeroporto di Cairns. Ritiriamo l’auto e dedichiamo un paio d’ore alla visita della cittadina marina che ha una bella passeggiata lungomare, con tanto di laguna artificiale (il mare qui spesso è impraticabile a causa delle Cubomeduse) e una zona pedonale piena di locali e negozi. Finalmente trovo il tempo per entrare in un negozio della Billabong e mi compro una T-Shirt.
Procediamo 80 km verso nord: abbiamo infatti prenotato una stanza all’Hotel Coconut Beach Resort di Cape Tribulation, nel cuore della “Rainforest”, la foresta pluviale dei tropici umidi australiani, unico posto al mondo in cui oceano e questo tipo di foresta si incontrano. Tutta la regione è Patrimonio Mondiale dell’Umanità.
Per arrivarci attraversiamo località come Palm Cove, Port Douglas e un’infinità di bellissime spiagge deserte (segnalo Halloways Beach, pochi km a nord di Cairns).
Dopo Port Douglas il paesaggio comincia a cambiare: non più strade perfette costeggiate dalle palme tipiche delle località di villeggiatura di lusso, ma emerge l’anima agricola del Paese; attraversiamo infatti grandi piantagioni di canna da zucchero in fiore. Il centro abitato fulcro di questa zona è Mossman, un paesino dall’aria vagamente texana (una sola strada che attraversa una schiera di casette e negozi in legno) dove ci fermiamo per mangiare un boccone (Goodie’s prepara delle buone portate, apparentemente sane e a prezzi popolari. È gestito da due curiose signore) e per visitare la Mossman Gorge, una gola dalla quale capiamo che la “Rainforest” è ormai alle porte.
Pochi chilometri a nord di Mossman la “civiltà” ci abbandona; la strada è interrotta dal Daintree River che può essere attraversato solo caricando l’auto su un mini traghetto – funivia d’altri tempi. La traversata dura una manciata di minuti e ci permette di entrare ufficialmente nel Daintree National Park World Heritage, il parco che tutela e protegge ciò che rimane di una delle più antiche foreste pluviali al mondo.
Da qui la strada, che è asfaltata (ma a tratti un po’ sconnessa e stretta) solo fino a Cape Tribulation (oltre e fino a Cook Town diventa una pista percorribile solo in 4×4), si snoda dentro ad una sorta di giungla umida interrotta qua e la dai Bed and Breakfast o Lodge che stanno lentamente sorgendo in seguito allo sviluppo turistico che qui è agli inizi.
Il nostro Hotel è davvero spettacolare: ogni camera è in realtà una sorta di capanna di legno completamente indipendente e immersa nei colori, suoni e animali della foresta. Non ci sono vetri alle finestre, solo zanzariere. L’interno però è lussuoso: letto a 3 piazze, legno e parquet ovunque, ovviamente un bagno privato. Decidiamo di prenotare la cena al ristorante dell’Hotel “The Cape”, in riva al Mare dei Coralli, ma immerso nella foresta. L’hotel dista pochi minuti da Cape Tribulation dove arriviamo giusto in tempo per il tramonto. La spiaggia che si affaccia su questo spicchio di mondo così selvaggio e mitico (qui la nave del capitano Cook si incagliò durante le esplorazioni), è favolosa: sabbia bianca, palme da cocco, fiumiciattoli che si gettano in mare. Facciamo anche la conoscenza con un Casuario (Cassowary), una sorta di grosso struzzo con il muso che pare una gallina e che vive selvaggio in queste zone. Non sembra gradire molto la nostra presenza… Passiamo la notte a goderci, oltre al meritato riposo, anche i suoni e i fruscii della foresta pluviale. È una di quelle esperienze che ci ricorderemo.
28 giugno 2007 Cape Tribulation – Palm Cove (auto, 138 km).
La giornata è splendida, da cartolina.
Dedichiamo buona parte della giornata a conoscere meglio questo ecosistema unico: passeggiamo sulla spiaggia sterminata giocando con le noci di cocco cadute dalle palme o trasportate qui dal mare, percorriamo la Mardja Botanical Walk, visitiamo la splendida Cow Bay e, alla fine, andiamo alla Aerial Walk, una passeggiata a pagamento (30 AUD a testa) che attraverso una passerella e una torre permette di camminare fino a trovarsi letteralmente sopra le cime degli alberi, a 23 metri d’altezza. Ovunque si distinguono mangrovie, billabong, eucalipti, fichi giganti e liane.
Nel pomeriggio, con calma, rientriamo verso Port Douglas (carina con la sua interminabile Four Miles Beach, questa si, piuttosto affollata) e Palm Cove, molto più discreta ed esclusiva con una spiaggia molto più intima.
Qui prendiamo posto al Sea Temple Resort & Spa dove trascorreremo ben due notti di seguito! È un hotel fichissimo, costruito a pochi metri dalla spiaggia e dotato di ogni lusso.
29 giugno 2007 Palm Cove (auto, 100 km) Ci svegliamo presto e dopo una magnifica colazione al tepore del sole mattutino ci mettiamo in macchina per visitare la zona della Arethon Tabeland, l’entroterra agricolo della regione. L’itinerario è volutamente breve perché vogliamo trascorrere le ore più calde tra la piscina e la spiaggia dell’hotel.
Visitiamo Kuranda (carino il mercatino, turistico, ma vagamente Hippie) e Mareeb;, girovaghiamo qua e là con la macchina fuori dalle strade principali per farci un’idea della zona.
Pranziamo in albergo a bordo piscina in panciolle e a scrivere il nostro diario.
Ceniamo in centro a Palm Cove, da Vivo, un ristorante dove mangiamo davvero bene, forse il migliore fino ad oggi, un po’ caro (125 AUD).
30 giugno 2007 Cairns – Lizard Island (aereo, 250 km; auto 50 km) Alle 11.00 am abbiamo il volo per Lizard Island. Dopo tanto girovagare abbiamo deciso di concederci 5 giorni in un paradiso dei tropici australiani. Lizard è una piccola isola al largo di Cook Town, nel bel mezzo di un altro capolavoro della natura, la Grande Barriera Corallina, l’organismo vivente più antico e grande della Terra.
La raggiungiamo con un volo di 50 minuti su un piccolo Cessa 6 posti della compagnia aerea Hinterland Aviation.
Il volo, a bassa quota, ci permetta tra l’altro di osservare da un punto di vista privilegiato la Barriera Corallina e gli infiniti atolli che emergono qua e la nel mare dei coralli.
Dall’aereo, Lizard ci appare come la immaginavamo: un piccolo paradiso fatto di vegetazione e infinte piccole spiagge di fine sabbia bianca.
A Lizard ci sono solo due modi di alloggiare: un piccolo campeggio per una decina di persone, oppure un lussuoso albergo delle catena Voyages. Una volta atterrati sulla piccola pista siamo accolti da un membro dello staff che ci conduce nel Resort.
Non perderò molto tempo a descriverlo: il panorama è indimenticabile, il servizio indiscutibilmente di alto livello e assai discreto, il clima informale e disteso. Ci sono solo 40 villette immerse nel verde e a pochi metri dal mare.
A conti fatti l’isola, quando il Resort è completo, può ospitare al massimo un centinaio di persone. Le spiagge sono una trentina, quindi la probabilità di incontrare qualcuno è minima! Ci sembra di essere ai confini della realtà.
La nostra villa ha una splendida veranda che si affaccia sulla Sunset Beach. Noi non dobbiamo chiedere nulla, semplicemente qualsiasi cosa vogliamo già c’è: lo champagne i camera, la frutta fresca, un minibar da urlo compreso nella quota di soggiorno. Non c’è TV, i cellulari non prendono. Solo una piccola e lenta postazione internet permette di comunicare con il mondo.
Festeggiamo con un pomeriggio sulla spiaggia che possiamo tranquillamente definire privata, visto che ci siamo solo noi.
La cena è a lume di candela.
1 luglio 2007 Lizard Island L’hotel mette a disposizione degli ospiti delle piccole barchette a motore con cui possiamo navigare solitari intorno all’isola.
C’è bassa marea, quindi per oggi non è possibile accedere via mare alle spiagge della Blue Lagoon, il triangolo di mare compreso tra Lizard e altre due piccole isolette dove l’acqua e la vita sottomarina è più spettacolare.
Ci dirigiamo quindi, su consiglio dello staff, alla Mermaid Beach, a 20 minuti di navigazione. C’è il sole, fa caldo siamo soli. Che bello! La spiaggia è deserta e tale rimane per tutto il giorno. Montiamo un piccolo ombrello per fare un po’ d’ombra, sbarchiamo il sontuoso picnic a base di pesce fornitoci dall’hotel, trascorriamo, isolati, 7 ore indimenticabili.
2 luglio 2007 Lizard Island Oggi niente barchetta, andiamo a piedi alla scoperta dell’isola. La mattina raggiungiamo la Mangrove Beach, appena dietro la pista dell’aeroporto (per la cronaca, questa piccola pista lunga meno di un km, fu costruita in passato come supporto per il servizio del Royal Flying Doctor). Anche qui…Solo noi su una spiaggia lunghissima, affacciata sulla Blu Lagoon. Ai margini una colonia di Mangrovie crea un’ansa bellissima.
Nel pomeriggio decidiamo di sacrificare il mare per affrontare una passeggiata piuttosto impegnativa: 3 ore (a/r) per “scalare” la montagna dell’isola (560 metri) e raggiungere il Cook’s Lookout, il punto più alto di Lizard e luogo da cui il Capitano Cook, che è sbarcato su quest’isola nel 1770 durante le sue spedizioni, ha avvistato per la prima volta dall’alto la Grande Barriera Corallina.
La passeggiata all’inizio costeggia la Watson’s Bay, un’altra splendida spiaggia, poi inizia a salire ripida fino alla cima. La conquistiamo verso le 5.00 pm quando la luce del sole offre i suoi colori migliori. Ci sentiamo così fortunati a poter essere qui! Sotto la montagnola di sassi lasciati come ricordo dai turisti arrivati fin qui c’è un piccolo scrigno di legno che contiene al suo interno una busta di plastica con dentro un piccolo diario dove possiamo lasciare la nostra firma e il nostro pensiero. In fondo se sono poche le persone che arrivano a Lizard, pochissime sono quelle che arrivano fino a qui! Ci sediamo a godere del panorama e poi, lentamente scendiamo verso il mare. Che bella giornata!
3 luglio 2007 Lizard Island Oggi usciamo ancora con il Dinghie, la barchetta. La marea ci permette di visitare per due ore la Blue Lagoon e le due isolette vicino a Lizard: South Island e Palfray Island, entrambe disabitate.
Naturalmente siamo solo noi due e ci godiamo al massimo le tante piccole spiaggette su cui sbarchiamo e facciamo dei gran bei bagni.
Nel primo pomeriggio facciamo un altro giro a piedi. Raggiungiamo una piccola Stazione di Ricerca dove una manciata di biologi dell’Australian Museum vivono per studiare la fauna acquatica di questo angolo di paradiso. Un sacco di piccole vasche ospitano pesci di ogni tipo, ma dei biologi nemmeno l’ombra, sembra disabitata. L’atmosfera ci fa pensare a uno di quei film in cui si svolgono strani esperimenti alieni… La stazione si affaccia su un’altra splendida spiaggia (Casuarina Beach). Approfittando della bassa marea torniamo al Resort “via mare”, lungo la costa. Ci mettiamo meno, attraversiamo tutta la costa sud ovest di Lizard e godiamo dei colori del tramonto.
4 Luglio 2007 Lizard Island Ultimo giorno, qui in paradiso. E lo dedichiamo interamente al sole, al mare, alla navigazione con la nostra barchetta e ad un altro gran bel picnic isolati da tutto e da tutti.
5 luglio 2007 Lizard Island – Cairns – Brisbane (Aereo, 1750 km; auto 115, km) Il piccolo Cessna ci riporta a Cairns nel primo pomeriggio. L’esperienza di Lizard, oltre che rilassante, è stata unica. E pensare che entrambi eravamo indecisi se “sacrificare” 5 giorni del nostro viaggio dedicandoli ad un’isola…! Da Cairns un volo Qantas ci porta in meno di due ore a Brisbane.
Cristian, un mio amico che si è trasferito in Australia 6 anni fa (ha sposato Elke, una ragazza Tasmana), dopo aver vissuto ad Alice Springs e Melbourne, si è stabilito da queste parti. Andiamo a trovarlo. Vive a Caloundra, 90 km a nord di Brisbane.
Arriviamo in serata. Cristian ci offre una pizza, che ci mangiamo nella camera dell’hotel (anche questa offerta da lui!) raccontandoci le ultime novità.
6 luglio 2007 Brisbane (auto, 190 km) In mattinata, dopo aver visitato rapidamente Caloundra, una piccola e tranquilla località di villeggiatura sul mare (hai capito il Cristian…!), Cristian, con sua moglie e il figlioletto Marco ci portano un po’ in giro. Andiamo a Mooloolaba, altra allegra cittadina sul mare, dove facciamo un ottimo Brunch e chiacchieriamo piacevolmente per capire un po’ gli aspetti e lo stile di vita degli australiani.
Proseguiamo per la cittadina montana di Montville, dove sembra di essere piombati nel bel mezzo del…Natale! Infatti sono i giorni del Christmas in July. Mangiamo una fetta di torta in un locale con l’aria d’altri tempi. Sono le 3.00 pm. È giunto il momento di salutarci. Dobbiamo tornare a Brisbane in tempo per cercare una stanza per la notte. Mi ha fatto proprio piacere venire a trovare il Cristian! Troviamo posto all’Hotel Sofitel. Ormai è già buio, quindi decidiamo di sacrificare la cena, sostituendola con un ricco aperitivo “all you can eat” compreso nel prezzo della stanza all’ultimo piano dell’hotel. Usciamo rifocillati verso le 8.00 pm e dedichiamo un paio d’ore alla visita di Queen Street, un’area pedonale molto allegra dove finalmente mi decido a comprare un Didgeridoo di buona (spero) qualità. Il Didgeridoo, per chi non lo sapesse, è uno strumento musicale di legno dagli aborigeni.
7 luglio 2007 Brisbane – Singapore – Francoforte – Milano (auto, 18 km) Dedichiamo tutta la mattina a una passeggiata per la città seguendo un itinerario a piedi consigliato dalla nostra Lonely Planet. Brisbane è una città molto vivace, con un clima estremamente piacevole anche d’inverno. Il Brisbane River, che la attraversa sinuoso, le conferisce un’atmosfera rilassata.
E poi è piena di aree verdi e, manco a dirlo, di gente che ama vivere all’aperto.
Partiamo per l’aeroporto verso le 11.00 am. Il volo Qantas QF 051 per Singapore e da lì per Francoforte è puntuale e decolla alle 2.00 pm.
Arriviamo a Milano nella tarda mattinata dell’8 luglio.
G’Day!!!!