Lisbona # 1

La prima cosa che ti colpisce, quando arrivi a Lisbona, è la temperatura. Abbimo lasciato l’Italia con trentotto gradi umidi e definitivi, appena usciamo dall’aeroporto lusitano, che si trova molto ma molto più a sud del triveneto, ci accoglie una brezza fresca che quasi ti devi mettere il golfino della nonna. Non male, direi. Tal brezza,...
Scritto da: buldra
lisbona # 1
Partenza il: 24/07/2006
Ritorno il: 04/08/2006
Viaggiatori: in coppia
Spesa: 1000 €
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La prima cosa che ti colpisce, quando arrivi a Lisbona, è la temperatura. Abbimo lasciato l’Italia con trentotto gradi umidi e definitivi, appena usciamo dall’aeroporto lusitano, che si trova molto ma molto più a sud del triveneto, ci accoglie una brezza fresca che quasi ti devi mettere il golfino della nonna. Non male, direi. Tal brezza, poi, è un tutt’uno con un cielo azzurro cobalto e completamente privo di nuvole. Da qualche parte, qui vicino, c’è l’oceano Atlantico. Non si vede ancora. Ma la sua presenza è chiara, tangibile, palpabile e annusabile. Siamo al mare. Dobbiamo prendere l’autobus per raggiungere l’hotel. O meglio, dobbiamo prendere l’AeroBus. Io la prima cosa che penso mentre mi dirigo sulla pensilina della fermata dei mezzi pubblici è che, come in tutti i paese latini, l’organizzazione dei trasporti sarà sicuramente sgarruppata, infatti dobbiamo aspettare almeno trequarti d’ora prima che arrivi il veicolo. Il biglietto si fa dal conducente, ovviamente il bus è strapieno di gente e di valigie. So che devo smontare a Marques De Pombal, ma non so quante fermate mancano a Marques De Pombal. Cerco quindi di mettermi in contatto con Venusia che è bloccata dall’altra parte del bus in mezzo ad una foresta di ascelle umane, quando per fortuna scopro che l’autista annuncia le fermate con il microfono. Proprio in stile autobus turistico. Ah, scopro anche che il portoghese è una lingua altra e nel mio cervello si attivano neuroni ormai il letargo per cercare di capire che “chempopechéèno” è in realtà ciò che sulla cartina corrisponde a “Campo Pequeno”. Comunque riesco a smontare a “Marchéscdepuumbaul”, cioè “Marques De Pumbal”. Ci riesce anche Venusia, ferendo gravemente un paio di turisti tedeschi e inglesi (che d’ora in poi chiameremo Visigoti) con la valigia rossa di plastica. Tale valigia ha le rotelle. Utilissime sull’asfalto. Molto meno utili sui marciapiedi di Lisbona, i quali sono lastricati da sampietrini in formato small, fatti di qualcosa che somiglia al marmo, ma che in realtà marmo non è. Tutti i marciapiedi di Lisbona sono fatti così. Ah, e scopriamo subito che tutti i marciapiedi e le strade della città sono in salita, e poi in discesa, e poi in salita, e poi in discesa…E si incrociano con altre strade in salita, e poi in discesa e poi…Secondo me le montagne russe dovevano chiamarle montagne portoghesi…Va beh.

Allora “Marques de Pombal” è una mega-rotonda in pendenza dalla quale partono viali enormi. Ma io ho praticato uno sport chiamato “orienteering” e quindi riesco subito a capire la via che dobbiamo percorrere, io con il mio bel trollei da dieci euri che viaggia che è un piacere, Venusia con la sua valigia ipertecnica (ma comunque da dieci euri) che si incastra ad ogni piè sospinto. Dopo una discesa e una salita pittoresche ma faticose, arriviamo al nostro albergo. Un palazzo in mezzo ad altri palazzi di una vià in salita/discesa come tutte le altre, però il nostro albergo è ricoperto per intero di piastrelle verdi, il che fa molto figo, e molto arbre magique. Entrando nell’albergo una delle sensazioni che ho da subito avvertito a Lisbona trova conferma. Sembra di essere piombati indietro di almeno ventanni. Non in senso negativo, assolutamente. È come se voi tornaste a casa vostra, ma come era vent’anni fa. È una questione di dettagli. La maniglia della porta, il tappeto, il tipo di illuminazione, tutto, tranne i prodotti tecnologici, è come regredito di ventanni. Anche la porta dell’albergo sembra quelle che c’erano alla pensione Dora di Gatteo Mare quando ci andavo e avevo 8 anni. Fantastico. Ci danno la stanza, con TV e bagno. Ah, minuscola, e il bagno ce l’hanno fatto stare non so come, costruendo due muri in più ma che non arrivano fino al soffitto, mai vista una cosa simile. Però è tutto pulitissimo. Il garzone della manutenzione ha appena ridipinto gli infissi della finestra, e noi decidiamo che è ora (saranno tipo…Boh…Le cinque) di calare in città. La struttura di accoglienza (l’albergo…) è gestito praticamente solo da donne, e sono tutte bionde, e tutte gentili, e tutte parlano un buonissimo inglese con una spruzzata di accento lusitano. Soprattutto sono tutte prodighe di consigli che si rivelano da subito utilissimi. Dovete sapere che i trasporti pubblici a Lisbona sono sgarruppati è vero, ma sono anche efficientissimi, e soprattutto sono dappertutto. Praticamente ogni dieci metri c’è una fermata dell’autobus, o del tram, o della metropolitana o di tutte e tra le cose messe insieme. Non sto scherzando. Sembra di essere su un altro pianeta rispetto a qualsiasi città italiana. Ah, un’altra cosa: qui non devi spettare un’ora, perché qualcosa di semovibile di sicuro arriva entro al massimo dieci minuti. La tipe dell’albergo ci spiegano, quindi, che dietro l’angolo c’è la fermata dell’autobus numero 100, che ci conviene fare il biglietto chiamato 7 Collinas (Sceithecoglignasc) che vale per tutti i mezzi di trasporto, per sempre, basta ricaricarlo (tipo che se torno l’anno prossimo vale ancora), e ci segna sulla cartina il centro della città. Felici come le pasque ci avviamo alla fermata. E scopriamo un’altra cosa interessante. Ci sono un sacco di “Eritrei Cazzulati” in giro. Tale Eritreo Cazzulati era un personaggio a fumetti del compiantissimo “Cuore”, e consisteva in un vecchietto in pensione seduto su una panchina al parco, tutto un po’ incazzoso e perfido, ma anche tenero. Ecco, Lisbona è la patria di questi personaggi. Ce ne sono ovunque. Sull’autobus, alla fermata, nei bar. Ovunque. Ok, comunque saliamo sull’autobus, con il biglietto 7 Collinas che non si oblitera ma si striscia un un magnete tondo vicino alla obliteratrice e lui fa BEEP così il conducente sa che non stai facendo il portoghese (battuta!!!).

Arriviamo in centro poco dopo, durante il tragitto la sensazione calda e rassicurante di dejavù si acuisce. Alla vista di negozi con manichini anni settanta, macellerie, scorci e negozi di ogni tipo…Che in Italia sono stati tutti divorati dalla grande distribuzione e dal franchising…Il tutto si snoda in un intrico di vie in discesa (ripida) strette poi larghe, poi strettissime, poi una piazza poi una via strettissima. Incredibile. Poi c’è il solito cielo azzurro senza una goccia di bianco. Non si potrebbe chiedere di più. Davvero. Nemmeno una nuvola. E un azzurro accecante. Alla fine arriviamo a Praca do Commercio. Una piazza rettangolare, enorme, con un lato sulle rive del Tejo, l’altro chiuso da un palazzo e da un arco enorme che si apre sulla Rua Augusta. E da qui si può capire finalmente com’è fatta questa città. Dunque, Lisbona è praticamente spalmata sulla riva nord della foce del fiume Tejo (in italiano Tago). La foce di tale fiume è enorme e mischia le sue acque con quelle dell’oceano atlantico. Praca do Commercio è la piazza più grande, e anche quella più in basso, di tutta la città. Serviva come biglietto da visita per le navi che arrivavano. È enorme, non è proprio il centro della città, perché Lisbona non ha un centro, ma è lo spazio ideale da cui tutti passano per andare ovunque. Se vi mettete in mezzo alla piazza con le spalle rivolte all’acqua potete vedere l’arco che fa da ingresso alla città e potete capire subito che Lisbona non è piatta, ma è tutta arrampicata sulle colline che vengono su dal fiume. Sempre rimanendo nella stessa posizione dritto davanti a voi avete Rua Augusta, la strada commerciale, che vi conduce al Rossio, l’altra piazza piatta della città, ed altro punto di riferimento. Tale piazza non va confusa con Praca de Figueres, che è a lato del Rossio. Se la confondete potrà succedervi come a noi, che abbiamo cercato per ore la fermata del 100 al Rossio, appunto, perché pensavamo di essere smontati lì un paio d’ore prima. In realtà eravamo smontati a Praca de Figueres. Un errore da non fare, ma che rende il tutto molto comico.

Se vi incamminate, superando l’arco, per Rua Augista, alla vostra sinistra si inerpica il quartiere Chiado, dove c’è una piazzetta con la statua di Pessoa. Tale posto è l’unico posto in tutta Lisbona in cui vi sembrerà di essere in una città europea, perché è qui che ci sono gli unici e poco frequentati negozi in franchising (tipo benetton/sisley) e le uniche catene di centri commerciali ( Fnac). Sempre da qui se proseguite a salire per (per esempio) Rua do Norte, arrivate nel Bairo Alto.

Dall’altra parte di Rua Augusta invece trovate l’Alfama, il quartiere del fado.

Rua Augusta è piena di negozi e ristoranti, è il posto più turistico, ma anche da qui potete tranquillamente gustare la sensazione di essere in una città ancora vergine. Senza il bordello di gente delle altre capitali e con molti più abitanti “autoctoni” che turisti. Su questa strada ho battuto il record di abbordaggi. Ma non da parte di belle fanciulle, bensì di spacciatori di fumo. Ne ho collezionati ben 10 nel giro di una ventina di minuti. Tutti che volevano vendermi hashish, o marijuana, o cocaina, viagra, valium, prozac…Fino allo speed. Dire che ci siamo ambientati subito è un eufemismo. A me sembrava di essere tornato bambino. Mi sembrava tutto nuovo, insomma. A partire dai tram stile anni’30 che passavano in continuazione, che sono davvero degli anni trenta. Poi i quartieri e le vie storte…Non ce n’è una piatta, girando a caso siamo finiti nel bairo Alto, in una via piena di negozi assurdi di vestiti da supergiovane alternativo. E piena di locali che aprivano dopo cena. Un’altra delle peculiarità di Lisbona è che ogni via ha un tipo di negozio. C’è la via in cui ci sono i negozi di vestiti, quella dove ci sono i fruttivendoli, quella dove ci sono gli orefici, quell’altra dove ci sono solo i negozi di elettrodomestici…E sono tutti negozi locali. I padroni sono i vecchi abitanti della città. Quelli originali. Così incontri vetrine di vestiti direttamente uscite dai nostri anni settanta, macellerie ( che in portoghese si dice Talho ) con la porta con la tendina frangiata in plastica, fruttivendole vecchiette che guardano la televisione mentre lavorano. Tutto così. Uno spasso. Le case di Lisbona poi sono molto, ma molto più colorate delle nostre. Tipo che c’hanno le piastrelle al posto dell’intonaco, o sopra l’intonaco non so, poi sono azzurre o gialle o blu, hanno forme strane e si incastrano a vicenda, non sono mai alte uguali e anche per terra non è a livello perché è tutto un saliscendi. Quindi il paesaggio ne risente. E molto. E molto bene anche. È tutto strano e antico e nuovo allo stesso tempo. Il primo giorno non abbiamo fatto un cazzo. C’è bastato girovagare per la città e goderci lo spettacolo. Lingua nuova, città fuori dagli schemi e poi prezzi bassi. E se c’è una cosa che mi piace fare è andare a zonzo in giro, senza far niente, a vedere chi ha la testa più grossa (come dicono a Vedegheto). Se poi sono in una città del genere…

Dicevo: in Portogallo si paga poco. Tralasciando il fatto che abbiamo pagato 45 euro a notte una doppia con prima colazione in centro ( a Roma Termini costa 134 euro ), siamo riusciti a mangiare a pranzo con 8,10 euro. Compreso frutta e caffè. E devo dire che è proprio rilassante camminare in giro senza fare niente. Ma proprio nulla. Solo guardarsi in giro. Ah, cazzo io sto proprio bene a non fare un cazzo. L’unico problema che avevamo era quello di cercare un ristorante. Ma eravamo armati di Lonely Placet. Ma abbiamo deciso che scegliere il ristorante dalla Lonely Placet era troppo difficile. Troppo faticoso. E siamo andati a caso. E abbiamo mangiato baccalà e peixe espada grigliato, al bairo alto. E abbiamo speso 15 euro a testa. E siamo usciti brilli, pieni come uova e contenti. E abbiamo camminato in discesa fino a Praca do Commercio. Siamo andati al Rossio, ci siamo confusi, siamo tornati a Praca do Commercio. Abbiamo preso il 100. Fino alla casa verde. Ah, un ultima cosa, il peixe espada non è il pesce spada, quello si chiama espadarte. Comunque è buono uguale.



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