Il sortilegio di Praga
Non è semplice descrivere Praga a chi non c’è mai stato. Ovviamente potrei sempre parlare del Ponte Carlo, dell’Orologio astronomico, del Cimitero ebraico, delle mille bellezze di quella Praga d’oro che costituisce oramai il clichè tipico delle guide turistiche, certamente sincere, quando decantano le bellezze della città vltavina, ma inefficaci a descrivere quella che, a mio parere, è la vera anima di Praga. E’un’anima che io ho trovato assai più spesso allontanandomi dalle strade più invase dai turisti, perdendomi senza una meta nei vicoli e nelle stradine di Mala Strana e di Hradcany, trovandomi, senza sapere come, in angusti e tortuosi passaggi che, iniziando in un cortile di un qualche palazzo, sboccavano infine in tutt’altra strada. E nel mentre di questi miei pellegrinaggi, mi sentivo a un tempo inevitabilmente attratto e respinto da quei muri antichi, fumosi, che a volte sembravano addossarsi a me fino a schiacciarmi, per poi improvvisamente farmi tornare a respirare in una qualche piazza o in un lussureggiante giardino fiorito.
E allora mi tornava in mente Kafka, che vedeva Praga come una mammina provvista d’artigli, che ti attrae, ti tiene a sé, ti terrorizza. Tu provi a sfuggirle, e magari ci riesci, ma poi è troppo forte la sua malia, la sua nostalgia, devi tornare da lei, benché tu sappia che quel gioco d’amore e di fughe si ripeterà all’infinito. Il camminare nelle strade di Praga, soprattutto di notte, quando le mille luci rendono il paesaggio assai più suggestivo, è un’esperienza che ti cambia. Si potrebbe pensare che io esageri. E allora prova, subito dopo la tua ultima Staropramen in un fumoso locale, ad andartene a zonzo senza una meta, senza pensare a niente, imbocca magari il Ponte Carlo, le cui pietre trasudano storia, o inerpicati su per qualche viuzza che porta al Castello, magari fermandoti di tanto in tanto ad ammirare Praga da lassù, ad osservare quei mille occhi che guardano verso di te, e che brillano nella Moldava.
Allora una strana sensazione ti pervade. E’ allora che Praga s’impadronisce di te, ti ghermisce con il suo splendore e con la sua civetteria, e ti entra dentro in modo ormai indelebile. E’ allora che ti dimentichi dei muri sghembi che sembrino crollarti addosso, del lugubre gracchiare dei corvi al cimitero ebraico, del senso di smarrimento e di malinconia, degli interminabili, grigi vialoni di periferia che hai percorso prima di giungere là, e tuttavia è sempre allora che capisci che anche di queste cose non potrai più fare a meno, perché il sortilegio di Praga le comprende tutte, e non riesci a distinguere quale delle due sia la sua vera anima. E la mattina, quando ti svegli, dal sedicesimo piano del tuo casermone in periferia, in puro stile sovietico, vedi un cielo di un azzurro intensissimo, quale forse non hai mai visto, e ti convinci di aver perso la tua sfida con Praga, ma poi non te ne dispiace più di tanto.
Per cui mi sento di concludere citando Angelo Maria Ripellino, che consiglia “non andarvi se cerchi una felicità senza nuvole. Ghermisce ed arde coi suoi furbi sguardi ed infatua gli incauti che siano entrati nel cerchio delle sue mura.”. Ed è proprio così, parola di incauto.