Leccornie e saudade
Siamo partiti con i nostri zainetti di prima mattina da Venezia via Francoforte (viviamo ai confini dell’impero e quindi per noi è sempre un po’ più lunga.) in una fredda a giallognola giornata di aprile del 1997. Dopo due decolli, due pasti di plastica che non riesco mai a non mangiare, e due atterraggi siamo arrivati a Lisbona. Aria dolce come la lingua che, per uno strano caso della vita, sia io che il mio compagno conosciamo. Autobus fino in centro e, guida alla mano, ricerca di un alberghetto decente nel Barrio Alto. Siccome soffro della sindrome di Peter Pan rimango subito affascinata dagli “èletricòs”, i tram locali, e per tutta la durata del mio soggiorno a Lisbona costringo il mio compagno a salire e scendere dagli elètricòs solo per il gusto di farlo! Dopo qualche giretto troviamo il posticino che fa al caso nostro: l’Hotel Londres – Barrio Alto – punto nevralgico della vita notturna cittadina e simpatico quartiere popolano di giorno. Ovvero: di giorno lenzuola a stendere fresche di bucato, piazzetta piena di nonni che, novelli Calindri, giocano a carte in mezzo al traffico, bambini in bicicletta; di notte improbabili saracinesche che si aprono e diventano decine di baretti musciali, ristorantini di tutti i tipi, famose Adeghe (cantine).
Trascorriamo così alcuni giorni a Lisbona: sulle tracce di Amàlia Rodriguez ascoltiamo il fado all’Adega Machado, locale rinomato tra i fadisti, passeggiamo senza meta per Alfama, ci straffoghiamo di cibo nelle trattorie frequentate dei locali che, stupiti dal nostro parlar la loro lingua, ci offrono continuamente assaggi dai loro stessi piatti, ci crogioliamo al sole di una prematura estate sotto la statua dei Padrao dos descobrimentos. Vincendo a stento la pigrizia che ci ha colto affittiamo una macchina ed andiamo a scoprire le bellezze del Paese. Sintra (incredibile anticipo Disneyano), Mafra (sulle tracce del “Memoriale del Convento”), e su, su fino a Coimbra. E a Coimbra faccio l’incontro della mia vita: Zè Manél dos Ossos! Zè manèl dos Ossos è una bettola a due piani lunga e stretta del centro della città conosciuta solo ai locali ( in particolar modo agli studenti della famosa università) e gestita, per l’appunto dal signor Manèl.
100 kg di peso per 160 cm di lunghezza, che rimesta continuamente dentro a tre pentoloni fumanti stile esercito che contengono rispettivamente: fagioli cucinati con le costine di maiale affumicate, una sorta di zuppa densa di calamari (cucinati con le costine di maiale affumicate), costine di maiale affumicate ed altri pezzo di lesso vario. Inoltre dal banco: queso de cabra, pastéis de bacalhao, vinho verde, vinho tinto. Per entrare si può attendere anche un’ora fuori dalla porta ma Zè Manel, ogni tanto, passa agli avventori in attesa qualche osso da sgranocchiare! Quando arriva l’ok per l’ingresso ci si incastra in tavolini promiscui assieme a chi capita, si chiacchera del più e del meno e poi, finalmente… Il canto degli angeli! Alcuni giorni di permanenza a Coimbra con visita alla fantasmagorica biblioteca dell’Università e poi rientro a Lisbona in tempo per impregnarci ancora un po’ dell’atmosfera della città. Alcuni acquisti musicali (ho scoperto il fado), un giro per l’interessantissimo museo di antropologia culturale, la caccia ad alcuni libri,ancora uno sguardo al Rossio, un’ultima corsa in elètrico e via, si torna a casa anche se raramente ho travato una dimensione di casa come in Portogallo. Dieci giorni di permanenza che sembrano una stagione della vita, quattro anni di distanza ed ancora adesso mi scopro ad agitare le mie scarpe da ginnastica, con la speranza di trovarci un po’ di sabbia di Cascais. Chiamasi saudade, quella che Amàlia canta così bene dal mio CD.
Antonella