Tunisia, sulle orme del Paziente Inglese

Dalle rovine di Cartagine alla medina di Tunisi, dalle dune di Douze alle palme di Tozeur, fino alla religiosità di Kairouan... un bellissimo inaspettato viaggio
Scritto da: airada
tunisia, sulle orme del paziente inglese
Partenza il: 27/12/2012
Ritorno il: 02/01/2013
Viaggiatori: 2
Spesa: 1000 €
27 dicembre 2012- 02 gennaio 2013

Sono partita per la Tunisia senza troppo entusiasmo, immaginando di visitare un luogo con scenari già un po’ visti in Egitto, Marocco o in altri paesi arabi. Invece, pur essendoci naturalmente molte similitudini, ogni nazione ha un suo proprio “spirito” che la caratterizza, rendendola unica e, per questo, affascinante. In 7 giorni, 6 notti, sono entrata in punta di piedi nel paese, attraversandolo da Nord a Sud, ed immergendomi sempre più nei suoi colori caldi, passando dalle rovine di Cartagine alla Medina di Tunisi, dalle dune di Douze alle palme di Tozeur, fino alla religiosità di Kairouan. E, dopo un “bagno” di palme da dattero ed oasi di montagna, sono risalita verso la costa, con gli occhi ormai impregnati di scenari emozionanti, set di film indimenticabili, come “Il paziente inglese”.

Ho scelto un viaggio organizzato, conscia dei suoi limiti, ma sono stata fortunata nell’incontrare una guida preparatissima (Naceur), che mi ha “messa in comunicazione” non solo con la storia (molto interessante e varia) del paese, ma soprattutto con la sua attuale e delicata situazione politica.

Prima di illustrare le mie impressioni delle varie località visitate, voglio dare qualche suggerimento pratico:

Clima: io sono stata in Tunisia dal 27 dicembre al 2 gennaio e mi aspettavo (essendo inverno) un tempo più brutto. Invece sono stata fortunata e non ho mai avuto la pioggia. Lungo la costa Nord faceva freddo (un po’ meno dell’Italia), soprattutto perché tirava vento. Abbigliamento con piumino medio. Man mano che sono scesa verso Sud, le temperature sono aumentate, anche grazie al sole, che ho incontrato quasi sempre. Nella zona di Tozeur ho messo anche le mezze maniche. Le serate, invece, sono state generalmente più fredde.

Hotel: quelli incontrati nel mio giro (Hammamet: Hotel Shalimar, 2 notti-Douze:Hotel Sahara Douze (molto carino con ottima cena), 1 notte-Tozeur: Hotel Ras el ain, 2 notti) erano a quattro stelle ma, rispetto ad altre nazioni, un po’ inferiori, soprattutto per la manutenzione (riscaldamento). L’aspetto esteriore, però, era bello in tutti. Invece l’ultima notte ad Hammamet, l’Hotel Le Royal corrispondeva al suo livello di cinque stelle. Dovunque piscine coperte riscaldate.

Prese elettriche: come in Italia

Cambio: 1 euro è circa 2 dinari. Secondo me conviene cambiare (tranquillamente in hotel) qualcosa per le bevande e gli acquisti in posti dove non prendono gli euro (in realtà accettati frequentemente).

Le persone: tunisine incontrate sono sempre state gentili, sorridenti e non invadenti.

Ma ora partiamo…

1° giorno: Roma-Tunisi (volo TunisAir 753 da Roma Fiumicino a Tunisi delle 11,05, circa un’ora) – Sidi Bou Said (vicino alla capitale) – Hammamet (ad un’ora circa di bus)

SIDI BOU SAID

Una precisazione (che varrà anche per Hammamet): io ho visitato questo delizioso paesino in inverno, fuori stagione, quindo non so se, in piena estate, il luogo possa risultare troppo affollato e perdere parte del suo fascino. Magari è più allegro, non so. La sua caratteristica è il colore bianco accecante delle case, che hanno tipiche imposte azzurro smagliante, in legno o ferro battuto (pare che questo colore allontani le zanzare). Ci sono le particolari persiane dette “gelosie”, che chiudono completamente i balconi, fatte per le donne che potevano guardare la strada senza essere viste! È un misto di Grecia, Marocco, Capri, senz’altro turistico, ma molto carino. Dal parcheggio dei bus, inizio a percorrere una strada in salita, piena di negozi che espongono bellissime ceramiche colorate, bigiotterie, tappeti: sono gli oggetti che vedremo per tutto il viaggio, ma questi appaiono più particolari. Entro in un negozio disposto in una casa su due piani, ricco di begli oggetti (ci sono anche antichi fucili): i vani superiori si affacciano sul cortile interno ed i soffitti sono tutti stuccati di bianco a ricami (come vedrò in seguito in altre case tunisine). Naturalmente scatto tante foto, soprattutto alle bellissime porte in legno intagliato, di colori brillanti (generalmente blu e bluette), che ammirerò per tutto il viaggio. La strada conduce ad un punto panoramico su un porticciolo, con un bar molto carino, fatto a gradoni discendenti, con sedili in pietra ravvivati da cuscini colorati a righe. Ritorno indietro e ripercorro la strada in discesa, fermandomi, questa volta, al caffè El Alia les Nattes, situato alla fine di una scalinata, con terrazzina panoramica sulla via principale ed un interno molto accogliente (mi attira una vetrinetta piena di dolcetti tipici). Qui gusto il famoso tè alla menta con i pinoli, che è la specialità locale, al costo di 2 euro. Questo paesino prende il nome da un sufita (un mistico), che tornando da un pellegrinaggio alla Mecca, si stabilì qui per pregare e vi morì nel 1231. La sua tomba divenne a poco a poco meta di pellegrinaggio, contribuendo allo sviluppo della città. Il posto è anche famoso, come tutta la zona, per la coltura del gelsomino, la cui fragranza è usata nelle essenze e nelle saponette, davvero forte, penetrante ed inebriante (che mi accompagnerà per tutto il viaggio). Questo posto merita senz’altro una visita.

HAMMAMET

Noto che il paesaggio intorno è molto verde, nonostante le poche piogge di quest’anno. Hammamet si trova a sud-est di Cap Bon e appartiene al Governatorato di Nabeul (in Tunisia ce ne sono 24): è il più importante centro turistico del paese, amata da artisti, sede di concerti estivi ed importante per la produzione di agrumi e per le coltivazioni di gelsomino (jasmine). In dicembre però mi appare come una località fuori stagione (anche se meta degli abitanti di Tunisi nel fine settimana) e non mi colpisce particolarmente, però devo dire che ne vedrò solo una parte, quella più antica. Il bus si ferma davanti ad un vecchio forte (costruito intorno al XII-XV sec.), che con le sue mura merlate costituisce la Kasbah (la fortificazione che assicurava protezione contro le incursioni marittime) dentro la quale si snoda la Medina (l’insieme di stradine e bazar, la parte più antica della città, la sua anima), nella quale si entra attraversando le numerose “bab”, porte. Ma prima di addentrarci qui, passiamo davanti al cimitero mussulmano (o musulmano) che degrada fino al mare, al quale si accede attraverso un arco bianco, sormontato da una cupoletta e le cui tombe, adagiate sulla sabbia, sono ricoperte da maioliche colorate e prive di fiori. E’ senz’altro più interessante del piccolo cimitero cristiano (lì di fronte), con la tomba di Bettino Craxi, rifugiatosi in questa città nel 1994 (per evitare un mandato internazionale di cattura) e morto nel 2000. È strano venire qui, forse il luogo viene incluso nei giri turistici italiani perché si presuppone un nostro interesse nel caso umano, non so: mi sembra poco opportuno, un po’ morboso. Sulla tomba gigli e garofani e accanto un libro che raccoglie commenti di vario tipo, probabilmente anche poco rispettosi, dal momento che un avviso invita a non oltraggiare i defunti. Entriamo nella Medina, che mi sembra meno turistica di Sidi Bou Said, con le caratteristiche porte bianche e turchese incorniciate da stipiti riccamente intagliati, e le solite bancarelle presso le quali i miei compagni di viaggio iniziano a fermarsi….è partita la macchina dello shopping! Attraversando una delle porte, usciamo dalla Medina e ritorniamo al punto di parcheggio del bus: di fronte a me si snoda una bella baia sabbiosa, affascinante per il suo stato “fuori stagione”, che mi ricorda Mykonos. E’ fiancheggiata da un lungomare con due file di palme, ma non ho il tempo per percorrerlo e mi rimane la curiosità di vedere un po’ di più di Hammamet.

2° giorno: TUNISI – CARTAGINE – HAMMAMET

TUNISI

La Medina È la nostra prima tappa: quella di Tunisi è enorme e ne visitiamo solo una parte. Entriamo nel “souk sekajine”, che dovrebbe significare la zona dei sellai, infatti l’immenso mercato è suddiviso in quartieri, a seconda del tipo di merce venduta. Devo dire che ho avuto la fortuna di vedere moltissimi souk del mondo arabo e quindi oggi non ho più lo stupore di chi ne attraversa uno per la prima volta, ma io sono fondamentalmente un’entusiasta e in ogni città cerco di percepire le differenze e la peculiare atmosfera. Infatti, mi colpiscono qui degli scorci caratteristici, soprattutto angolini con bar (che non si vedono spesso), porte colorate e anche in tinta legno marrone chiaro, ornate con moltissime borchie in ferro scuro.

Primo obolo da pagare in un viaggio di gruppo è la sosta d’obbligo in qualche negozio: e noi entriamo in uno specializzato nelle essenze e naturalmente dobbiamo subire, tutti seduti su panche, che circondano il perimetro dell’abitazione (perché in realtà questi negozi spesso sono inseriti nell’interno di tipiche case tunisine), la dimostrazione di rito. Un ragazzo passa e ci “unge” con la base (almeno così dicono) dei più pregiati profumi francesi. Qualcuno è gradevole, altri meno, ma pazienza, fa parte del gioco! La seconda sosta, invece, è per me bellissima, perché la merce esposta non mi attrae per niente, ma quando salgo sulla terrazza, resto incantata dal favoloso panorama dei tetti della Medina, con le cupole bianche che si stagliano sul cielo azzurro ed il minareto della Grande Moschea sullo sfondo. I muri laterali e centrali sono completamente rivestiti da maioliche colorate e presentano archi aperti di varia forma che movimentano i punti d’osservazione del panorama, veramente bellissimo. Mi ha ricordato i tetti di Gerusalemme. Prima di uscire dalla Medina attraversiamo il “grand souk des chechias”, nome quest’ultimo che indica i particolari copricapi in feltro rosso e cilindrici, che vengono qui confezionati.

Piazza (della Kasbah) Costeggiando un palazzo governativo (con archi profilati in bianco e nero simili al nostro hotel di Hammamet) si arriva in una grandissima piazza (della Kasbah), leggermente sopraelevata, con tutt’intorno palazzi del governo e il Ministero delle finanze. Mi piace questo posto: è suggestivo e scenografico, evoca grandi riunioni di popolo e non ha un’aria triste come altre grandi piazze. Sullo sfondo spicca il Municipio della città: un bel palazzo con una facciata a specchi e grate bianche e nel mezzo si erge un monumento con tante bandiere rosse. Quella tunisina infatti è di questo colore, con al centro un cerchio bianco, che racchiude una mezza luna ed una stella rossa: la mezzaluna indica la forma approssimativa del territorio occupato dai paesi arabi. La stella a 5 punte, invece, rappresenta i 5 precetti dell’islam: la professione della fede (accettazione di Allah e del suo profeta Maometto) – la preghiera quotidiana (pregare 5 volte a giorno, dopo le abluzioni e rivolgendosi a SE verso la Mecca) – l’elemosina legale (è una tassa religiosa: a seconda del reddito, una percentuale deve andare in beneficenza) – il pellegrinaggio alla Mecca (almeno una volta nella vita) – il digiuno nel Ramadan (dalla pubertà i musulmani sono obbligati ad osservare per un mese l’astinenza da mangiare, bere, profumarsi e da rapporti sessuali, dall’alba al tramonto). A proposito del Ramadan, la guida ci spiega una cosa per me molto interessante, per capire come mai questa ricorrenza capiti 11 giorni prima dell’anno precedente, così come il loro Capodanno. Il calendario islamico è lunare, con mesi di 29-30 giorni, 354 in totale (ogni 3 anni 355), invece del nostro solare di 365. Inoltre, il loro inizia dal 16 luglio 622, anno in cui Maometto (nato nel 570) emigrò in Arabia a Medina (città dove morì nel 632). Quindi, secondo un calcolo un po’ complicato, attualmente loro sono nel 1434, invece che 2013.

Museo del Bardo La tappa successiva è a Bardo, paesino vicino Tunisi, dove c’è l’interessantissimo Museo del Bardo, veramente molto ricco di mosaici, raccolti da ogni parte della Tunisia e qui trasportati (addirittura intere pavimentazioni). Non solo è il più importante della Tunisia, ma anche il più antico dell’Africa, con la più ricca collezione di mosaici romani del mondo! Per fare le foto si deve pagare un piccolo diritto (1 dinaro, 0,5 euro), ma è meglio avere gli spiccioli, fanno difficoltà a cambiare anche banconote da 10 dinari. Ci fanno giustamente mettere delle soprascarpe in plastica, per non rovinare le preziose tessere. Il Museo è stato fondato alla fine del 800, nel fastoso palazzo del sovrano (bey) di Tunisi, dell’epoca. Qui ho toccato con mano la storia romana, rendendomi conto della grandezza ed importanza avuta da questa provincia africana. Come italiana e frequentatrice di Roma, non sono certo nuova alle visite archeologiche dei monumenti dell’età imperiale e ai relativi musei. Però quello che più mi colpisce qui è l’enorme quantità di splendidi mosaici raccolti, che tappezzano le pareti e i pavimenti delle sale, ampie e luminose, notevoli per la raffinata fattura e raffiguranti soprattutto scene di vita quotidiana: la caccia, le stagioni, animali, piante. Questa tematica, tipica della cultura romana, verrà poi trasformata dalla successiva dominazione dei bizantini (che arrivano in Tunisia verso la metà del VI sec.), in motivi religiosi cristiani. I bizantini avevano conquistato il territorio del nordafrica, strappandolo ai Vandali di Genserico, che nel 439 avevano sottratto Cartagine ai romani, distruggendola. Successivamente un secessionista bizantino spostò la capitale a Sufetula, l’attuale Sbeitla, ricca di bei monumenti archeologici (che però noi non visiteremo).

Appena entro nella sala di Ulisse, noto subito sulla parete, uno dei due più famosi mosaici del Museo: l’eroe greco, legato sul ponte della sua imbarcazione, che cerca di sfuggire all’accattivante richiamo delle sirene (che sono raffigurate con strane ali e zampe d’uccello, al posto della tradizionale coda di pesce): risaltano le notevoli qualità artistiche. Un mosaico particolare è quello della “proprietà del signore Giulio”, che rappresenta una villa romana, con intorno scene del signore e della moglie. Dopo aver ammirato altre splendide sale (alcune con meravigliosi soffitti dorati intagliati, di stile arabo), statue in marmo di ottima fattura e un mausoleo in pietra incisa, proveniente da Cartagine, saliamo uno scalone ed arriviamo dinanzi alla seconda “chicca” del luogo: il più importante ritratto di Virgilio, tra Clio e Melpomene, (muse rispettivamente della storia e della tragedia), bellissimo per la fattura ed i vivaci colori. Il poeta ha sulle ginocchia un manoscritto dell’Eneide.

Avenue Habib Bourguiba Attraversiamo, in bus, l’arteria più importante di Tunisi: l’Avenue Habib Bourguiba, dal nome dal primo presidente della Repubblica Tunisina, leader nazionale del movimento che ha portato lo stato all’indipendenza, nel 1956, liberandolo dall’occupazione francese del 1881.

Sicuramente questa via meriterebbe di essere percorsa a piedi, addentrandosi anche nelle strade che la intersecano. Prevale un aspetto molto parigino (assomiglia un po’ agli Champs-Elysées): infatti, dopo la costituzione del Protettorato francese, grazie al fatto di essere sede del Consolato di Francia, la via iniziò a diventare il centro della vita sociale d’élite della città. Sviluppata ad est della Medina, si presenta come un ampio viale, alberato da entrambi i lati, fiancheggiato da bei palazzi (o moderni, o in stile arabo ispanico) e da innumerevoli caffè, i cui tavolini occupano quasi ininterrottamente i marciapiedi. Dal bus vedo tantissimi persone, giovani e non, seduti a sorseggiare bibite o a chiacchierare. Mi colpisce un particolare: guardando in su, vedo un operaio che lavora all’esterno di un piano alto, assolutamente senza nessuna protezione! Questa bella strada inizia dalla piazza con la torre dell’orologio (ora rinominata piazza 14 gennaio 2011, per ricordare il giorno conclusivo della sommossa popolare, inclusa nella primavera araba, che ha portato alla cacciata del presidente Zine el-Abidine Ben Ali e alla formazione della seconda repubblica). In quei giorni, tutta l’Avenue era completamente piena di tunisini che gridavano contro il presidente. In confronto di altri paesi dell’Africa settentrionale, questa è stata una rivoluzione abbastanza blanda ed ora il nuovo governo provvisorio sta riscrivendo la costituzione, in attesa delle nuove elezioni 2013.

Questa strada mi emoziona: è strano come certi avvenimenti rivoluzionari, visti in Italia attraverso i telegiornali, appaiano una cosa così remota e nello stesso tempo si tende (o almeno capita a me) ad accomunare episodi che accadono in paesi diversi, come fossero tutti uguali. Invece, venendo qui, vedendo ancora le barriere avvolte di filo spinato, che delimitano le aree intorno ai numerosi edifici governativi, ed i carri armati che stazionano nella piazza, è come se percepissi nell’aria ancora l’indignazione del popolo tunisino.

Arriviamo alla piazza dell’Indipendenza, con a destra la Cattedrale di San Vincenzo de’ Paoli (1897), a sinistra l’Ambasciata francese ed al centro la statua del filosofo tunisino Ibn Khaldoun. Il bus gira e torna indietro e costeggiamo il bel Teatro Municipale, costruito nel 1920 ed uno dei pochi in stile Art Nouveau: è molto bello con le sue linee curve, tutto bianco e ornato da figure in rilievo. Mi pare lo chiamino “la bomboniera” ed è particolare perché gli fa da sfondo, in contrasto, un moderno grattacielo.

La Goulette Usciamo da Tunisi e costeggiamo la sua laguna (sulla quale intravedo un moderno ponte e sullo sfondo il grande porto commerciale), che s’immette nel mare attraverso una strozzatura sui cui lati sorge il quartiere de La Goulette. In questa zona, a metà ottocento, arrivarono immigrati italiani (specialmente siciliani) e vi si stabilirono, formando una comunità. Ho scoperto che la nostra famosa Claudia Cardinale è nata qui. Pranziamo al ristorante Le Victoire, che offre un’ottima spigola arrosto e una specialità tunisina gustosa, il brik, una specie di crepe fritta, ripiena di tonno e uova. Accanto al ristorante mi colpisce uno scorcio del paese, lungo il canale, con le case bianche che sembrano siciliane e una luce particolare, nel cielo ventoso e nuvoloso, piena d’atmosfera!

CARTAGINE

Ci attende Cartagine: è proprio vero che la storia si dovrebbe studiare, oltre che sui libri, nei luoghi in cui si svolse. Mi fa un certo effetto visitare un sito archeologico che da ragazzina ho sentito nominare tante volte dai miei professori! Ed ora sono qui, a vedere da vicino i resti (pochi purtroppo) della Cartagine romana, però particolari e scenografici, perché in posizione panoramica sul mare. Peccato che il cielo nuvoloso non fa risaltare molto il colore dei ruderi. Guardando il Mediterraneo di fronte a me, cerco di ricostruire mentalmente i cenni storici che Naceur ci ha dato sul bus: mi ha intrigato molto il modo in cui i primi fenici, provenienti dal Libano intorno al XII secolo a.C. iniziarono a intraprendere uno strano tipo di commercio (detto muto) con i berberi, abitanti della Tunisia. Lasciavano le merci sulla spiaggia, poi risalivano sulle navi e segnalavano con il fumo agli indigeni: questi ultimi allora andavano ad ispezionare i prodotti e li scambiavano con i loro, senza parlare.

Poi, secondo la tradizione, arrivò Elissa (poi diventata Didone) che, fuggendo da Tiro il fratello Pigmalione, che si era impadronito del potere, fondò Cartagine nel 814 A.C.

È particolare anche la leggenda che la regina comprò dal re locale un terreno, grande quanto una pelle di bue e, con l’astuzia, spezzettando quest’ultima, riuscì ad impadronirsi di un grandissimo territorio per costruire la sua città. La figura di Didone ha ispirato anche Virgilio nell’Eneide ed anche il suo suicidio ha varie versioni (o per l’abbandono di Enea o per non voler sposare un pretendente non desiderato): il fatto però che si gettò nel fuoco, può spiegare l’usanza che avevano i cartaginesi di bruciare umani, come sacrifici agli dei (però, secondo nuovi studi, in realtà i sacrificati erano già morti). Ora però della Cartagine punica (termine che indica un misto di fenici e berberi indigeni) non resta più niente, perché i romani, temendo il suo impero in espansione e vincendo le tre famose guerre puniche, nel III sec a.C., distrussero completamente la città e occuparono la Tunisia (che diventò l’Africa romana). Fu Cesare che nel 46 AC fece ricostruire la Cartagine romana (anche se solo quella commerciale, mentre tutti i futuri imperatori contribuirono ad arricchirla fino a renderla seconda solo a Roma e fondamentale per il suo grano). Noi oggi riusciamo ad ammirare soltanto le Terme di Antonino (Antonino Pio), ma i ruderi che si innalzano di fronte a me rappresentano solo le fondamenta della costruzione, la parte “tecnica”, posta sottoterra, come ci illustra Naceur attraverso una piantina disegnata su una pietra. Prima di arrivare alle terme abbiamo percorso il tracciato del cardo (asse nord-sud) e del decumano (est-ovest) dell’antica città. Di fronte svettano due alte colonne, che sono state rimesse in piedi (con un brutto cemento e il solo capitello finale originale) per dare l’idea dell’altezza dell’edificio. Il sito, con lo sfondo del mare, mi ricorda Giaffa in Israele. Saliamo anche sulla collina (poco distante) dell’antica Byrsa, da dove si ha una vista panoramica sugli antichi porti artificiali (uno rettangolare e l’altro tondo) di Cartagine. Purtroppo, qui in alto, il vento freddo si percepisce di più e ci guardiamo velocemente intorno, con un rapido sguardo alla Cattedrale di S. Luigi, che sorge sull’antica acropoli. Questa chiesa (fine 1800) prende il nome dal re San Luigi IX di Francia, che morì nel 1270 durante un assedio a Tunisi, nel periodo delle Crociate.

3° giorno: HAMMAMET-DOUZ (circa 400 km), passando per EL JEM e MATMATA

EL JEM

Mentre nel NO ci sono montagne più alte, spesso innevate, la zona NE della Tunisia, che attraversiamo oggi, è una regione collinare (denominata Sahel) ricchissima di coltivazioni di ulivi (infatti ho scoperto che la Tunisia è il 2° esportatore mondiale di olio d’oliva, dopo l’unione europea): dal finestrino del bus scorrono centinaia di questi alberi,sia a destra che sinistra. Tra l’altro apprendo che il governo è in costante ricerca di lavoratori per raccogliere le olive e noi assistiamo agli sbarchi dei tunisini a Lampedusa! Probabilmente emigrare in Italia, nell’immaginazione collettiva, rappresenta un viaggio verso un sicuro benessere, un luogo comune completamente falso.

Scendendo verso sud, dopo meno di due ore, arriviamo a El Jem dove è veramente strano trovarsi dinanzi al… Colosseo, una copia quasi uguale, che differisce dal nostro per una maggiore compattezza (dovuta al materiale più friabile). E’ davvero bello osservare l’impatto degli archi di pietra color giallina, che contrastano con l’azzurro intenso del cielo del Nord Africa, con intorno edifici in stile arabo, bancarelle (con merce non particolarmente accattivante, sempre ammassata nelle botteghe e piena di polvere) ed una gradinata rotonda, tipo anfiteatro, che scende fino all’ingresso. Anche qui si paga per le foto. Nell’interno si tengono spesso concerti (nella stagione estiva). Il tempo è bellissimo, ma fa un po’ freddo e saliamo sulla scalinata esposta al sole, da dove si ha una bella visuale dell’anfiteatro dall’alto. La costruzione dell’edificio è stata “sponsorizzata”, nei primi secoli DC, dai ricchi proprietari terrieri del luogo. Fu anche usata come fortezza: in particolare, alla fine VII secolo, la regina berbera Kahina, cercò di fermare l’avanzata dell’invasione araba, proprio in questo luogo, e fu sconfitta.

MATMATA

Lungo la strada noto l’incuria nel buttare i rifiuti, che vedi sparpagliati lungo i bordi stradali per chilometri e chilometri: il vento poi contribuisce a spostarli, che peccato!

Ci stiamo avvicinando a Sfax, seconda città della Tunisia ed importante centro per la produzione delle mandorle. Il paesaggio a poco a poco si fa meno verde. Nella zona che attraversiamo si coltiva una pianta particolare che, seccata, dà la polvere di henné, usata per tingere i capelli e per i tatuaggi.

Facciamo una piccola sosta in un bar chiamato Sidi Boussaid, che imita lo stile bianco-azzurro dell’omonimo paesino e mi gusto una spremuta d’arancia nell’assolato cortile interno.

Stiamo arrivando nella zona di Matmata e lungo la strada noto parecchie bancarelle che vendono tè (in teiere d’alluminio sistemate su fornellini), acqua e benzina, in taniche piccole (questa cosa, per noi insolita, è molto frequente in Tunisia, anche nelle città, ma l’acquisto di questo carburante, comprato nei paesi confinanti a buon prezzo, non è molto sicuro).

Il paesaggio è completamente cambiato: intorno vedo palme, montagnette e crateri, nei quali sono scavate le case. Ci fermiamo qualche minuto in un punto panoramico per scattare delle foto: è scenografico perché c’è un’insegna grande (“Matmata”) , in gesso bianco, che fa da parapetto e più in basso, scritta sulla collina, la parola “benvenuto”. È tardi e per il pranzo entriamo nell’hotel Diar Matmata, costruito in mezzo al sito troglodita, nello stesso stile (riveduto e corretto) delle abitazioni intorno. Infatti visiteremo poi anche le stanze, molto carine, scavate nella roccia bianca, che fa da volta ai letti in legno e pietra. Tutte affacciano su un cortile interno con una particolare architettura color rosa (tipo Porto Cervo). Il ristorante guarda la piacevole piscina, circondata da palme e, sullo sfondo, dune desertiche: molto bello.

Nel XI sec d.C. gli abitanti berberi di questa regione, per sfuggire agli invasori Hilaliani (tribù di beduini proveniente dall’Egitto), che volevano conquistare la Tunisia, iniziò a scavare il terreno in senso verticale (a causa della conformazione friabile della roccia) ed a costruire, intorno a questo profondo cortile circolare, delle stanze, ognuna separata dall’altra. Nacquero così le abitazioni troglodite tuttora esistenti. Dall’esterno non sono visibili, spicca solo la forma circolare dei crateri e bisogna affacciarsi sul loro bordo per scoprire il cortile. Naturalmente al giorno d’oggi gli abitanti di queste case (estremamente fresche d’estate e calde d’inverno), hanno reso le loro abitazioni più confortevoli, aggiungendo pannelli solari, cemento come copertura esterna, antenne, elettricità, cisterne d’acqua. È ovvio che tutto ciò toglie il fascino antico, come la visita abbastanza turistica che facciamo, entrando nella casa di due simpatici vecchietti, che ci accolgono sorridenti. Però è ugualmente affascinante vedere questa tipologia di abitazione. Al lato del cratere, dopo una leggera discesa, incontriamo l’entrata di uno stretto cunicolo, sopra al quale sono disegnati, in azzurro, due pesci (simboli per allontanare la sfortuna). Entriamo nel passaggio in pietra, non molto lungo, che sbuca nel cortile circolare che si vedeva dall’alto. Do una sbirciatina alle piccole camere da letto, ai ripostigli, ed entro nella cucina odorosa di focaccine calde: qui mi faccio scattare una foto in compagnia dei nostri gentili ospiti. Dopo aver assaggiato il tè e le pizzette, accompagnate da olio d’oliva, lasciamo qualche dinaro alla gentile coppia e ritorniamo verso il bus, dal quale continuiamo a vedere altre abitazioni sotterranee, alcune adattate ad hotel, altre a case di vacanza o per la vita quotidiana. Nonostante questi “ritocchi” e abbellimenti, la zona di Matmata è molto bella. Ormai ai lati della strada c’è solo una distesa di deserto con muretti artificiali di sabbia, contenuti da rami di palme, che costituiscono una barriera di protezione per la strada.

4° giorno: DOUZ-TOZEUR, passando per CHOTT EL JERID

DOUZ

Oggi faccio una bellissima esperienza: una passeggiata sul dromedario. Bisogna stare attenti soprattutto quando si sale o si scende, perché l’animale parte accovacciato e poi si alza con una sgroppata, facendo movimenti oscillatori in avanti e indietro: allora ti devi mantenere bene ad una specie di manubrio posto sulla sella-coperta, senza sbilanciarti. Ho la sensazione di essere tutta appesa sul lato destro, poi a poco a poco mi raddrizzo e mi sento più stabile. Quando si cammina sul terreno duro, il movimento è più faticoso per la schiena (che va avanti e indietro in una specie di “movimento sexy”), invece sulla sabbia (che qui è bianca e soffice come borotalco) l’oscillazione è più ammortizzata. Mi avvolgo in testa una fascia colorata tipo turbante (non proprio il classico copricapo tunisino, che è formato da una fusciacca lunghissima e attorcigliata molte volte intorno al capo), giusto per rendere le foto più carine e mi avvio verso le dune. I dromedari sono guidati da ragazzini, ognuno dei quali regge le funi di due animali. Mi dicono che sono tutti maschi, perché in questo periodo sono in calore e potrebbero distrarsi con le femmine. Inoltre emettono parecchia schiuma e gorgoglii dalla bocca. È bellissimo ondeggiare qui sopra, guardando il paesaggio scenografico dall’alto: tutt’intorno dune, più avanti tanti altri dromedari, con sopra i miei amici più coraggiosi, affiancati dai carretti con i cavalli (veramente fuori posto qui), con le persone più timorose. Molti indossano anche una specie di caftano a righe bianche e nere, forse per non sporcarsi i vestiti ed essere più “tipici”, ma a me dà fastidio mettere quegli indumenti addosso, così sono rimango solo con il mio jeans. Queste dune sono molto diverse da quelle della Namibia e del Marocco (più alte e più dorate, forse perché lì ci sono andata al tramonto o proprio per il colore della sabbia), ma comunque belle. Dopo un po’ scendiamo per fare foto, camminare sulla sabbia e salire sulle piccole alture. Questa località, a poca distanza da Douze, si chiama Zaafrane e, risalita sul dromedario, torno alla stazione di partenza, “Caravan station”, dove trovo, in bella vista, le immancabili foto turistiche: però, che dire, mi sembra soprattutto un bel ricordo e le compro alla modica cifra di 2 euro. In conclusione la gita è bellissima e consiglio l’esperienza del dromedario.

CHOTT EL JERID

Attraversiamo una zona dove la sabbia fa da padrona e, aiutata dal vento, tende a inghiottire tutto: strade e paesi, che col tempo possono essere completamente ricoperti. Ci troviamo ora a Kebili, che fu uno dei centri più importanti per il commercio carovaniero e per il mercato degli schiavi (infatti i suoi abitanti hanno la pelle più scura). In Tunisia la schiavitù fu abolita nel 1842. Dal finestrino vedo le numerose bancarelle di un mercato, con merce di tutti i tipi: cesti, libri, frutta e verdura, spezie e legumi. Poi Naceur ci fa notare degli edifici grigi dai quali esce del fumo: sono dei serbatoi, nei quali viene immessa l’acqua, proveniente dalla terra (molto calda, a 70°), per farla raffreddare, e poi usata per irrigare le oasi. Stiamo arrivando ad una grande depressione salata detta Chott: questa in particolare, che è la più grande del Sahara con i suoi quasi 5000 chilometri quadrati, si chiama El Jerid. Attualmente è asciutta, ma con le piogge si riempie d’acqua, diventando anche molto pericolosa. In passato ha inghiottito carovane che andavano ad estrarre il sale. Poiché qui è molto diffuso il fenomeno del miraggio (ed infatti riusciamo anche noi a vederne uno ed è molto emozionante…), gli antichi viaggiatori credevano d’intravedere pozze d’acqua o oasi in lontananza e si avventuravano nella depressione, perdendosi. Più avanti ci sono altri due chott, più piccoli. La composizione del terreno è: gesso, sale ed argilla. E’ un posto stranissimo ed affascinante: c’è una lunga strada rettilinea, un po’ rialzata, che taglia in due la spianata di terra beige, sulla quale spiccano mucchi di sale. Un cartello indica che l’Algeria è a soli 150 km. Sulla sinistra ci sono delle toilette e bancarelle che vendono datteri e la rosa del deserto, una bellissima pietra, combinazione di sale e gesso, che la natura modella in forme straordinarie, che sembrano delle rose. L’uomo poi deve scavare per estrarle. Qui ce ne sono tante, disposte in grandi mucchi in terra o sulle bancarelle, sia nel colore originale seppia o dipinte in rosso, verde e blu. Scendendo sul lato destro, più basso rispetto alla strada, si avverte maggiormente il senso della distesa sconfinata: spicca in fondo una barchetta con la bandiera tunisina in cima, sicuramente messa lì per i turisti che immancabilmente (e noi non siamo da meno) fanno una foto di gruppo o da soli.

Il fenomeno del miraggio è proprio incredibile: in lontananza, dal livello della strada, sembra di vedere una laghetto con un un cespuglio. Se invece si scende un po’ più in giù e ci si accovaccia, sparisce tutto e rimane solo la distesa sconfinata della depressione salina.

TOZEUR

Arriviamo a Tozeur, che mi colpisce subito per la sua particolare architettura a mattoncini giallini d’argilla, con i quali, in un elegante gioco di merletti e disegni geometrici, sono rivestite le mure degli edifici. È una bellissima giornata di sole e dopo pranzo ci rilassiamo un po’ accanto alla piscina. Alle 14.30 tutti pronti per l’escursione pomeridiana. Il bus ci lascia in centro e da qui saliamo su simpatici calessi, trainati da cavalli, che portano ognuno quattro persone. Tozeur è famosa per il suo immenso palmeto (quasi 1000 ettari) e, con le vetture tutte in fila (eccetto dei sorpassi qua e là) iniziamo ad attraversarlo, costeggiando un rigogliosissimo giardino, circondato da un muro (sempre con i famosi mattoncini merlettati) e da un’alta porta. Ci sono palme dovunque, inserite in lotti privati, irrigati però dall’acqua municipale. La popolazione originaria della Tunisia era costituita da nomadi che si insediavano nelle oasi e le coltivavano a piani: palme, olive, ortaggi. Anche oggi è così. Dopo un po’ ci fermiamo per iniziare una passeggiata a piedi e per ascoltare e visualizzare la spiegazione dei processi d’impollinazione. La produzione dei datteri è un’importantissima risorsa per il paese, che ne è il primo esportatore mondiale, pertanto è molto curata e richiede estrema pazienza. A febbraio le palme femmine danno piccoli grappoli, nei quali gli uomini inseriscono faticosamente il polline dei datteri maschi e li legano per non farlo disperdere. Quando il grappolo cresce, rompe il legame. Durante le piogge di agosto i grappoli vengono coperti con plastica e a ottobre si spera invece nella pioggia per pulire il tutto. A dicembre avviene la raccolta, si puliscono le palme e ricomincia il ciclo. Assistiamo anche alla dimostrazione di come le persone specializzate riescano a salire sulle palme a piedi nudi e naturalmente le suole di questi piedi sono ben ispessite! Al ritorno facciamo una passeggiata attraverso la raffinata Medina di Tozeur, davvero originale: qui sono “ricamate,” non solo le mura, ma anche le finestre hanno dei disegni diversi, più elaborati. Tanti tappeti appesi che spiccano, con i colori accesi, sul neutro dei mattoncini. Tornati sulla strada principale vedo di nuovo strane pompe di benzina “casereccia”.

5° giorno: TOZEUR

CHEBIKA

Stamattina si parte per una bellissima escursione alle oasi di montagna, che si rivelerà anche superiore alle aspettative. Partiamo suddivisi in jeep da sei persone. Il nostro simpatico autista è amante della musica e per tutto il tragitto ci allieterà con canzoni locali che lui accompagnerà con la sua voce (conosceva a memoria tutte le parole!). La prima tappa è l’oasi di Chebika, secondo me la più bella. Ci arriviamo attraverso strade asfaltate e sterrate, con tutt’intorno affascinanti paesaggi di montagne aride, ravvivate dal verde smagliante delle palme delle oasi. All’arrivo trovo un’insieme di bancarelle con servizi igienici e bar, che vendono bibite e spremute fresche. Questa spettacolare oasi di montagna, chiamata anche “il castello del sole” era, nell’antichità, un avamposto romano e poi un rifugio dei berberi. Iniziamo a salire verso i resti dell’antico villaggio (abbandonato in seguito ad una inondazione nel 1969), del quale restano delle mura color argilla e, man mano che avanziamo più in alto, il panorama diventa sempre più strepitoso, con tutte le montagne alte intorno ed il verde delle palme. Da un lato una figura in pietra che rappresenta uno stambecco che domina la vallata. Passiamo attraverso una stretta feritoia della roccia e, dall’alto, scorgo una roccia sulla quale hanno scritto “benvenuti a Chebika”, in un cuore. Da qui una stretta scalinata scende verso un laghetto color smeraldo, alimentato da una sorgente. Il percorso è movimentato, attraverso un ruscelletto, salendo su pietre un po’ scivolose, fino ad arrivare ad una cascatella molto carina: intorno a me bambini che cercano di vendere pietre luccicanti e qualche bancarella. Alla fine un sentiero riporta al punto di partenza.

TAMERZA

Una strada piena di tornanti, con panorami spettacolari, conduce alla seconda oasi, Tamerza, che ci accoglie con un bel sole abbagliante, le alte rocce della sua gola e tante bancarelle ricche di tessuti colorati. L’impressione è molto allegra e luminosa. Scendendo una scalinata in pietra, arrivo al livello di un laghetto, nel quale si tuffano 2 cascate.

MIDES

Risaliamo nella jeep e ci dirigiamo verso la terza oasi di montagna, Mides, attraversando un tratto sabbioso pieno di cespugli bassi. È bellissimo perché la musica araba nella vettura è a tutto volume, alla nostra destra e sinistra vedo le altre jeep che corrono parallele alla nostra, in una specie di gara, alzando la polvere, entusiasmante! Siamo al confine con l’Algeria, di cui vediamo un fortino di frontiera in lontananza. Anche qui ciuffi di palme che contrastano sulle rocce color sabbia e case abbandonate a causa della stessa alluvione, ma a Mides (l’oasi più alta delle tre) l’attrattiva principale è lo scenografico Canyon. Tutta questa parte del viaggio è dominata dal tema cinematografico, essendo stata set di due importanti film: Guerre stellari ed Il paziente inglese. Però è quest’ultimo, per me meraviglioso, che mi emoziona immaginare girato qui, tra Mides, Chebika ed il deserto seguente. Tra l’altro al ritorno, rivedrò il film in TV, ricordando questi meravigliosi paesaggi.

Siamo abbastanza in alto e la roccia su cui mi fermo si affaccia a strapiombo sul Canyon: in realtà, appena più in basso, c’è un ulteriore costolone (che però non si vede) e, mettendosi in una certa posizione, sembra di essere sospesi nel vuoto e aggrappati al parapetto.

Al ritorno facciamo una piccolissima sosta per ammirare dall’alto il vecchio villaggio di Tamerza, ora completamente abbandonato, che oggi, ultimo dell’anno, è tutto “apparecchiato” per la serata: infatti sulle mura delle case sono stati sistemati grandi ceri bianchi che, insieme alla scritta “Bonne Année” sul terreno di fronte, verranno accesi più tardi a beneficio degli ospiti di un hotel affacciato sulle rovine. Sarà estremamente suggestivo!

Riprendiamo la nostra corsa nel deserto, che ora è solo sabbia, fino ad arrivare a delle montagnette, modellate dal vento, una delle quali, detta Ong Djemel, ha la forma di un collo di dromedario, set favoloso del Paziente inglese. Naturalmente scendiamo tutti per una foto: fa caldo e finalmente siamo in mezze maniche! Andando avanti le emozioni continuano: il nostro autista, tutto allegro, si diverte ad arrivare sulla cima di una duna e poi si butta giù quasi verticalmente, ridendo delle nostre urla! È proprio divertente: intorno a noi sabbia bianca tutta striata, piccole carovane di dromedari e, dulcis in fundo, il set di Guerre stellari, lasciato integro, con le casette a cupola, le mini astronavi ed altri ricordi di scena. Sarà anche artificiale, ma l’effetto, accentuato dal sole e dal cielo azzurro sul quale spicca il giallo-rosa delle costruzioni, è spettacolare.

NEFTA

Dopo questa imperdibile escursione, torniamo velocemente in hotel per il pranzo e subito ripartiamo per Nefta, un’oasi particolare per le sue numerosissime palme, disposte in una conca in modo da formare un cestino, da cui il nome “la corbeille”: ammiriamo dall’alto il paesaggio, con un bacino rotondo pieno d’acqua al centro e tanto verde intorno. Sulla destra spiccano molte costruzioni a cupola rotonda, i Marabiti, nome che indica sia i santi sufiti (il sufismo è un ramo mistico della religione islamica) che le loro tombe, meta di pellegrinaggio e di cui Nefta è ricca.

6° giorno: TOZEUR-KAIROUAN (circa 300 km)-HAMMAMET

KAIROUAN

Si parte alle 8: oggi è dura perché ieri sono andata a letto tardi, dopo una bella serata di fine anno nell’hotel di Tozeur.

Oggi lungo spostamento verso Kairouan. A metà strada attraversiamo una città, Metlaoui, che è un centro molto importante per l’estrazione dei fosfati, i cui giacimenti furono scoperti durante la dominazione francese. Si possono ancora intravedere gli edifici con i tetti a punta, retaggio europeo.

Prima di arrivare a destinazione, Naceur ci racconta come la Tunisia, dopo la dominazione dei romani, dei vandali e dei bizantini, viene occupata dagli arabi, intorno al 645 e, nel 670, viene fondata Kairouan (carovana), dove viene costruita la prima moschea (la città diventerà per due secoli, una delle più grandi del Mediterraneo). In Tunisia c’è la dinastia degli Aghlabidi. Nonostante le successive dominazioni (normanna, spagnola, turca, francese), la lingua base della Tunisia è rimasta l’arabo. Lo studente tunisino inizia a studiare l’arabo e a 8 anni anche il francese. A 11 anni impara anche le lingue straniere (inglese-italiano-spagnolo-tedesco).

La Grande Moschea

Kairouan mi appare subito diversa dagli altri centri: la sua connotazione religiosa (è la quarta città santa dopo la Mecca, Medina e Gerusalemme) e sicuramente più integralista, le dà un’atmosfera più antica e fuori dal tempo, soprattutto nelle viuzze intorno alla Grande Moschea, il primo monumento che visitiamo. È veramente imponente, con alte mura che la circondano, color ocra, ed un minareto un po’ diverso dal solito: sembra di più un faro o una torre di fortificazione. Entriamo nell’ampio cortile interno, simile a tante altre moschee, ma privo di fontane per le abluzioni di rito (i servizi per lavarsi sono stati spostati lateralmente). Noto però, sul pavimento, un quadrato per la raccolta delle acque piovane, lavorato a rosette, con buchini che filtrano l’acqua, prima d’incanalarla nel serbatoio sottostante l’intero cortile. Lì vicino c’è anche una scaletta con un orologio solare, tipo meridiana, ma leggermente diverso (con scritte in arabo ed indicazioni delle stagioni). Non possiamo entrare nella Moschea, ma le porte (in legno stupendamente intagliato) sono spalancate e l’interno è ben visibile, imponente e soprattutto c’è la particolarità che le colonne usate sono tutte di risulta, prelevate dagli arabi, dopo la distruzione dei monumenti romani. Quindi si crea un effetto scenografico notevole, con i pilastri tutti diversi e i capitelli variamente intagliati, tipo la grande cisterna di Istanbul. Sotto il minareto mi colpisce una bellissima porta, circondata da stucco riccamente ornato. Lì accanto vedo due greci che parlottano guardando il muro. Avvicinandomi mi accorgo che uno dei massi che costituiscono la parete, è pieno di iscrizioni romane: leggo il nome di Antonino (forse viene dalle sue terme di Cartagine). All’uscita della Moschea c’è sulla porta uno strano cartello in arabo, con il disegno di una torta. Pare sia un divieto di mangiare dolci a Capodanno (non so perché).

Andiamo subito a pranzo, in un bellissimo ristorante panoramico inserito nelle antiche mura merlate della città (El Brija), situato di fronte all’edificio appena visitato, per accedere al quale si devono salire delle scalette, che offrono una scenografica vista sulle cupolette dell’adiacente Medina. L’interno del locale è molto carino, con suppellettili berbere (in argento e smalto), in bella mostra. Esco fuori sulla terrazza dalla quale si vede una grande piazza e, più in fondo, un cimitero con tombe di pietra particolarmente bianche.

La Zaouia di Sidi Saheb

Riprendiamo il bus per visitare la Zaouia (edificio dedicato ad un maestro spirituale) di Sidi Saheb, soprannominata “Moschea del Barbiere”, magnifica per le sue pareti decorate di piastrelle di ceramica, con colori sgargianti e bellissimi, e soffitti con stucchi che sembrano preziosi merletti. Dal cortile si accede (ma noi, non potendo entrare, sbirciamo l’interno solo da fuori) alla tomba del compagno del Profeta, che pare avesse conservato, come reliquia, tre peli della barba di quest’ultimo.

I bacini degli aghlabidi

Con il bus (ma potremmo anche andare a piedi) raggiungiamo i bacini degli Aghlabidi, circolari, che raccoglievano l’acqua di un sistema complesso di acquedotti, che destarono l’ammirazione di storici del Medio Evo. Li guardiamo da una terrazza, sulla quale sventola un’enorme bandiera rossa, che invita a numerose foto, e poi giù di corsa nel microscopico negozietto di souvenir, già invaso da noi turisti, accalcati per comprare saponette al gelsomino, profumi e dolci. In seguito il bus sarà tutto un olezzo di fragranze tunisine.

Medina

L’ultima visita è l’immancabile sosta nel negozio di tappeti, che si trova accanto al ristorante dove abbiamo pranzato. Kairouan è famosa per questo articolo, annodato con il punto Gordes, che ha una forte tenuta. Ma io preferisco fare una passeggiata, sicuramente più affascinante, nelle strade che circondano la Moschea, lastricate di pietre avorio, con le case bianchissime, sulle quali spiccano (come sempre) bellissime porte e le solite finestre “gelosie” tutte rigorosamente blu. Mi sembra di essere nel sud della Sicilia e percepisco davvero l’anima di questo posto ancora tradizionalista, con le figure tutte nere delle donne, con il volto completamente coperto, che m’incrociano abbassando la testa (fin’ora invece avevo sempre visto donne con un semplice fazzoletto). Vedo anche qualche uomo con il capo coperto da una specie di mantello che scende fino ai piedi. Sicuramente qui trasuda il fondamentalismo religioso. Questa è una zona non turistica e mi affascina molto quest’atmosfera.

Mentre continuiamo il viaggio verso Hammamet, dove trascorreremo l’ultima serata, viene affrontato un tema delicato: la condizione delle donne in Tunisia. Il presidente ed eroe nazionale Bourguiba (in carica dal 1957 al 1987), nello scrivere il Codice dello statuto personale della nuova repubblica, rese lo stato più indipendente dai poteri religiosi. Oltre alle leggi sull’educazione, sulla giustizia e sanità, che sono ancora in vigore, stilò un capitolo specifico sulle donne: divieto della poligamia, sostituzione del divorzio al ripudio unilaterale, limite per età matrimoniale a 17 anni, legalizzazione dell’aborto (che all’epoca era persino più permissivo della Francia). L’unica cosa che Bourguiba non ha potuto fare è la modifica al diritto di eredità (che rimane, per la donna, la metà rispetto al maschio). Le donne, che faticosamente hanno combattuto per queste concessioni ed ottenuto anche il diritto al voto nel 1967, ora non vogliono assolutamente tornare indietro e rischiare di perdere tutto, come invece vorrebbero le attuali fazioni religiose più estremiste. Per ora la maggioranza è civile, ma il tutto si giocherà nelle prossime elezioni. Il successivo presidente Ben Ali, non si era permesso di tornare indietro, relativamente alle donne, ma ora tutto può rischiare di essere rimesso in gioco.

7° giorno: HAMMAMET-ROMA (volo Tunisair 752 delle 8.35)

Purtroppo, il viaggio è terminato e si ritorna a casa, ma come tutte le cose belle è giusto che finiscano per avere poi il tempo di metabolizzare le immagini viste, le sensazioni provate ed incamerare bene tutti i ricordi. Io consiglio sicuramente di visitare la Tunisia, che, come ho cercato di raccontare, mi è sembrata molto interessante e ricca di fascino, anche se prevalentemente naturale, forse anche spartano, ma non per questo meno intrigante.

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