Una ghirlanda di fiori, un ukulele: sono alle Hawa

Chi non immagina una vacanza da sogno? Chi non sogna. A volte anche questi sogni possono diventare la realtà, come un viaggio alle Hawaii, un gruppo di isole in mezzo all’oceano Pacifico, distanti undici fusi orari da noi, praticamente dall’altra parte del mondo. La prima cosa a cui penso è la durata del viaggio sia d’andata ma...
Scritto da: alexcolombaioni
una ghirlanda di fiori, un ukulele: sono alle hawa
Partenza il: 20/03/1996
Ritorno il: 02/04/1996
Viaggiatori: in gruppo
Spesa: 2000 €
Chi non immagina una vacanza da sogno? Chi non sogna. A volte anche questi sogni possono diventare la realtà, come un viaggio alle Hawaii, un gruppo di isole in mezzo all’oceano Pacifico, distanti undici fusi orari da noi, praticamente dall’altra parte del mondo. La prima cosa a cui penso è la durata del viaggio sia d’andata ma soprattutto di ritorno. Noi abbiamo deciso di spezzarlo sia all’andata che al ritorno e con l’aiuto del mio amico Costantino si è formato un gruppetto di 21 partecipanti. 1° giorno: Italia – New York Siamo con sette nostri amici all’aeroporto di Roma Fiumicino. Sono le sette del mattino e all’aerostazione nazionale per il momento non c’è molta folla. Imbarchiamo i bagagli, ritiriamo la carta d’imbarco, ci dirigiamo verso il gate per imbarcarci sul volo IG 1101 delle 8,55 operato da Meridiana che ci porterà a Milano Malpensa. Alle 10,00 siamo all’aeroporto milanese dove incontriamo gli altri quattordici membri del gruppo. Siamo tutti e ventuno pronti per questo viaggio che ci porterà nell’altra parte del mondo. Saliamo su un aeromobile B 767-300 della compagnia United Airlines che ci porterà a Washington con il volo UA 971 delle 11,10. Il volo di quasi dieci ore è tranquillo e il servizio eccellente. Abbiamo scelto questa compagnia perché è specializzata nei voli verso le Hawaii. Arriviamo con regolarità all’aeroporto alle 15,00 e ci sottoponiamo alle pratiche doganali. Al termine ci dirigiamo in diciotto verso il gate dove alle 17,10 prenderemo il volo UA 1410 per New York. Tre componenti del gruppo andranno direttamente a Los Angeles a casa di loro parenti, li rivedremo al nostro passaggio di lì fra tre giorni. Eseguiamo tutte le operazioni con una certa rapidità per non perdere la coincidenza, ma una volta arrivati nei pressi del molo indicato, un annuncio ci fa sapere che a causa del maltempo lungo il tragitto il volo è rimandato. Ci armiamo di pazienza e ci sediamo nell’attesa di sapere quando potremo partire. Poche decine di minuti dopo il monito ci avvisa che il volo è annullato e che possiamo prendere il successivo tra due ore. Aspettiamo adesso rassegnati il nostro turno mentre al banco informazioni ci comunicano che il brutto tempo persiste. Giunti all’orario stabilito anche questo volo è annullato e tutti rimandati al successivo fra altre due ore. Purtroppo abbiamo il coltello dalla parte della lama e di fronte a quest’impotenza e il sonno che ci attanaglia, reclamiamo al banco della compagnia dei buoni pasto per poterci comprare qualcosa da mangiare e tapparci un po’ la bocca di fronte a questo disagio che già doveva vederci a letto nel nostro albergo. Finalmente, dopo una specie di trattativa con chi avrebbe voluto sopprimere anche il volo successivo, riusciamo con sei ore di ritardo a salire sull’aeromobile che ci porterà New York. Oltre a noi diciotto ci sono solo altri nove passeggeri e quindi l’MD 80 è quasi vuoto. Appena decollato ci addormentiamo per svegliarci in fase d’atterraggio a New York mentre girando intorno a Manhattan atterriamo all’aeroporto dei voli nazionali La Guardia. Il suolo ci dà la prova che la città è appena uscita da un grande temporale e che per la nostra e altrui incolumità l’aereo aveva fatto tutto questo ritardo. Dovevamo arrivare alle sei e un quarto quando invece siamo arrivati a mezzanotte e mezzo. Incredibilmente sono arrivati prima di noi i nostri amici che sono andati a Los Angeles. In Italia sono le sei e mezzo del mattino e un pullman riservato che è stato costantemente avvertito del ritardo ci aspetta per portarci in albergo. Meno male che nonostante i molteplici disagi, i bagagli sono arrivati tutti. Lungo il tragitto che ci porterà all’albergo possiamo vedere New York da di notte e con poco traffico, pulita dopo uno scrosciante temporale. In meno di mezz’ora giungiamo molto assonnati all’Hotel Pennsylvania che si trova sulla 7th Avenue davanti al Madison Square Garden. Aspettiamo qualche minuto l’assegnazione delle camere e finalmente all’una e mezzo di notte andiamo a letto.

2° giorno: New York Per me e mia moglie e anche altri amici non è la prima volta che veniamo a NY, motivo per cui decidiamo di diversificare per oggi le visite. Costantino porta coloro che per la prima volta sono a New York in un giro a piedi per la città come quello che noi abbiamo fatto due anni fa, noi invece prendiamo la metropolitana e con mia moglie e altri cinque amici andiamo a visitare il Metropolitan Museum. L’ingresso è a contribuzione volontaria e alla biglietteria ci danno un piccolo distintivo commemorativo dei 125 anni del museo da applicare alla giacca e una brochure contenente la mappa del museo. Vado al banco delle informazioni per chiedere consiglio su come visitare la mostra. Una delle donne volontarie lì presenti dopo avermi chiesto da dove venivo m’inizia a parlare con il suo italiano misto al siciliano con la sua voce flebile e stridula. Sospinta da tanto ardore e zelo e amore dell’arte, con la sua penna incominci ad indicarmi sulla mappa tutto quello che potevo vedere e in che ordine. I minuti passano e la mia mappa diventa sempre più blu arricchita dai continui scarabocchi che mi sta facendo sulle mappe. Il resto del gruppo con smanaccamenti ampi ed enfatici m’incoraggia a raggiungerli, ma io soprattutto per non essere maleducato davanti a così tanta cortesia e con una mano davanti alla bocca, non sapevo più se ridere o quanto altro, mimo a mia moglie d’essere pazienti perché non desidero affatto urtare la sensibilità di questa volenterosa americana. Finalmente mi sono svincolato e iniziamo la visita. Sarebbe troppo lungo descrivere le sensazioni che si prova davanti ad un quadro originale. Dopo che per anni una persona ha studiato sui libri di storia dell’arte, oppure ha visto in altre dispense certi capolavori, quando si trova davanti ad un originale la sensazione è unica. È possibile rivivere l’intensità con cui l’artista ha espresso le sue capacità tecniche ed emotive e se poi ci sono dei coinvolgimenti simili alle caratteristiche dell’osservatore, la condizione emotiva personale si esalta. La visita inizia dal piano primo dove si trova il luminoso salone d’ingresso e da lì saliamo con uno scalone centrale al piano superiore o secondo. Arrivati al piano superiore percorriamo il laterale del pianerottolo fino al balcone che affaccia sull’ingresso principale a doppia altezza. Continuiamo a destra per attraversare i saloni dell’arte greca e per andare ai padiglioni della pittura e scultura del XIX secolo che iniziano con un lungo padiglione e con i quadri di Rodin. Il resto di questo padiglione è composto da molte stanze collegate tra loro: vediamo prima quella di Monet, poi Pissarro, poi insieme di Redon, Bonnard e Vuillard. Finalmente arriviamo ad una delle sale più interessanti, la sala di Van Gogh, Gouguin e Seurat. Qui provo un’emozione quasi da collasso davanti alle pennellate pesanti dei Cipressi di Van Gogh ma soprattutto di un piccolo quadro da lui stesso dipinto da entrambi i lati e posto su un piedistallo nel centro della stanza. Le emozioni continuano nella sala di Cèzanne, poi di Coubet, di Barbizon, di Carot, del Romanticismo e del Neo Classicismo. Finalmente arriviamo ai quattro saloni di Degas dove ci soffermiamo particolarmente ad ammirare i pastelli sulle corse dei cavalli e sulle ballerine. Nella sala delle sculture davanti ad una ballerina con gonnellino, mia moglie stende la mano per chiedermi se il gonnellino è veramente di pizzo. Comicamente, entrando il dito nel campo di protezione della fotocellula del basamento, scatta l’allarme antifurto de museo. Le guardie ci guardano prima terrorizzate e poi ridono con noi perché evidentemente il fatto accade spesso. Concludiamo la visita a questo padiglione con le sale di Manet, Coubert e Monet. Continuiamo nel salone accanto sempre sul tema della pittura europea e ci soffermiamo maggiormente davanti all’autoritratto di Rembrant. Passiamo dall’ala americana e da quella giapponese per poi ritornare allo scalone centrale per scendere al piano primo e consumare uno spuntino nella zona del ristorante passando dal padiglione dell’arte greca e romana. Continuiamo al piano primo la visita ammirando pezzi delle arti africane, oceaniche e americane e ci soffermiamo di più a quelle del XX secolo specialmente davanti al quadro di Gertrude Stein dipinta da Pablo Picasso. Dopo la zona dell’arte vediamo l’ala americana che tra l’altro gode di una bella veduta sul Central Park. La visita termina nell’ampio salone del tempio egiziano di Dendur la cui collocazione in questo ampio salone lascia alla nostra immaginazione di vedere l’opera architettonica nella giusta prospettiva. Se poi con lo sguardo vado oltre le vetrate con il verde del Central Park sullo sfondo posso immaginare l’edificio non più in un contesto desertico ma fertile dell’antico Egitto. Soddisfatti di quanto abbiamo visto, uscendo dal museo decidiamo di percorrere per un po’ a piedi la via del ritorno godendo delle poche ore di sole che rimangono mentre fa capolino attraverso qualche nuvola di passaggio. Camminiamo sulla 5th Avenue costeggiando il Central Park. Visto che non siamo molto stanchi ed è ancora presto continuiamo a camminare fino all’albergo dove c’incontriamo con il resto del gruppo per passare la serata insieme. 3° giorno: New York La mattinata possiamo gestirla a piacimento. È una mattinata adatta per fare degli acquisti nella zona e approfittare degli sconti in corso. Con mia moglie insieme con altri amici andiamo con un mezzo privato a trovare degli amici che abitano a Patterson, un piccolo paese a Nord di New York. Nel pomeriggio come gruppo abbiamo a disposizione un pullman che ci permette di fare un significativo giro di tutta l’isola di Manhattan. Il pullman costeggia la Fifth Avenue verso nord fino ad Harlem per poi tornare indietro appena a nord della Columbia University. Mentre percorriamo queste strade ci pare di rivivere nella realtà la scena di un film già visto: due poliziotti braccano un malvivente e lo perquisiscono sbattendolo sul cofano della loro automobile e ammanettandolo. Continuiamo prima lungo il Central Park West e successivamente lungo le rive dell’Hudson. Passiamo davanti alla famosa nave Intrepid e proseguiamo guardando oltre al fiume le costruzioni del New Jersey. Ci fermiamo per vedere il giardino d’inverno e le zone limitrofe del WTC. Una volta risaliti sul pullman facciamo la fermata successiva poco prima del ponte di Brooklyn per ammirarne la maestosità del ponte e le costruzioni dall’altra parte dell’East River e i negozi del molo del Seaport. La fermata successiva la facciamo davanti al palazzo delle Nazioni Unite per vedere da fuori non solo il Palazzo di Vetro ma dall’esterno della recinzione la statua della pistola legata intitolata “Non-Violenza”. Dopo questo giro circolare di poche ore il pullman ci riporta davanti all’albergo e dopo una cenetta tutti insieme, decidiamo di non andare a dormire molto tardi perché domani la sveglia sarà molto presto.

4° giorno: New York – Los Angeles – Hawaii Alle 4,45 del mattino il pullman è già pronto sotto il nostro albergo. La notte avvolge ancora la città, mentre ci spostiamo verso l’aeroporto JFK. Anche oggi avremo davanti a noi un lungo viaggio in aereo, addirittura più lungo di quello che dall’Europa ci ha portato qui. Avviamo le procedure d’imbarco e ci trasferiamo al gate nell’attesa del volo UA 15 per Los Angeles delle 7,00. Saliamo a bordo dell’ampio B767-300 della United Airlines per volare verso Los Angeles. Nella prima parte del viaggio ci servono un’abbondante colazione che ci permette poco dopo di addormentarci di nuovo. In avvicinamento alle Montagne Rocciose il comandante dell’aereo ci avvisa che passeremo in mezzo ad una perturbazione e di stare tranquillamente seduti al nostro posto. Circa la richiesta di stare seduti, non ci sono problemi, ma per l’altra, di stare tranquilli, non siamo molto convinti, specialmente da quando l’aeromobile inizia letteralmente a ballare. Abbia viaggiato molto in aereo ma è la prima volta che vivo una situazione così tanto prolungata con un aereo che non sembra in grado di tenere la rotta. Nonostante l’aereo sia di grandi dimensioni, si sposta continuamente dall’alto verso il basso e da destra verso sinistra e viceversa. Purtroppo la situazione continua per circa due ore, tanto da creare un certo disagio fisico ad un buona parte di passeggeri, io compreso sotto il preoccupato occhio vigile di mia moglie. Finalmente l’annuncio dell’allineamento all’aeroporto e gli squarci di sole che entrano dagli oblò ci lasciano intendere che il peggio è passato e che presto saremo all’aeroporto di Los Angeles. Finalmente dopo sei ore di volo, alle 10,02 atterriamo. Scendendo rimaniamo nel molo della United Airlines per consumare uno spuntino. Nel frattempo ci ricongiungiamo con i nostri tre amici che hanno fatto la prima parte del viaggio a Los Angeles. Non dobbiamo attendere molto perché alle 11,50 abbiamo il volo UA150 per Honolulu nell’isola di Ohau. Saliamo così su un B767-200 e partiamo verso la capitale delle Hawaii. Quando l’aereo è arrivato in quota, ci servono il pranzo. Dopo la pericolosa esperienza del mattino siamo tutti più tranquilli e ci muoviamo con una certa serenità tra i corridoi dell’aereo per sgranchirci un po’ le gambe. Affacciandosi dal finestrino possiamo vedere solo mare, mare e mare. Casualmente incontriamo un altro italiano che lavorando all’osservatorio astronomico dell’isola di Hawaii, meglio conosciuta come Big Island, ad Honolulu avrebbe dovuto prendere un altro volo per arrivare a destinazione. Tra un discorso e l’altro il tempo passa finché il comandante ci invita a sederci perché stanno iniziando le procedure di atterraggio. Il posto a sedere che mi è stato assegnato su quest’aeromobile è vicino al finestrino e questo mi da la possibilità di gustarmi le fasi di avvicinamento all’isola e l’atterraggio. Sono le 15,50 del pomeriggio e anche questo volo è durato sei ore come quello del mattino. Anche se siamo un po’ stanchi siamo felici di aver raggiunto la meta finale. Scendendo dall’aereo ci rendiamo subito conto di essere in un ambiente particolare non solo per la temperatura esterna che è molto più alta di quella di New York, ma anche per quello che possiamo percepire. Siamo sbarcati su un molo in cemento armato coperto ma aperto distante dal nucleo centrale. Dobbiamo camminare un po’ per arrivare all’area del ritiro dei bagagli, ma lo facciamo volentieri perché il cielo è vestito di un blu che non siamo abituati a vedere e sui monti limitrofi in mezzo alle nuvole s’intravede un nebuloso arcobaleno. La presenza di filari di palme anche all’interno dell’aeroporto ci fa immaginare da subito un ambiente molto rilassante. Dopo il ritiro delle valigie, usciamo nell’area esterna dove ci aspettano due pulmini che ci porteranno in all’Hotel Outrigger Mail Sky Court. Qualcuno si aspettava che ci mettessero al collo una collana di fiori, ma quella è messa solo a coloro che prima del viaggio hanno prenotato e pagato un simile servizio. Chi ci tiene ad averlo dopo potrà poi comprare se lo desidera uno o più collane finte di stoffa molto verosimile alle vere per pochi dollari. I pulmini corrono veloci, mentre i soggetti scorrono davanti ai nostri occhi increduli: siamo arrivati alle Hawaii e stiamo camminando fra le strade di Honolulu. Dopo circa venti minuti entriamo nell’area di Waikiki e ci fermiamo davanti all’albergo. Ormai è quasi buio e la temperatura è abbassata nuovamente. Ci prendiamo il tempo per andare in camera e riposare un po’ prima della cena e capire com’è fatto il nostro albergo. Nella parte anteriore oltre alla reception al coperto ma all’aperto, c’è la sala da pranzo e una parte degli uffici. Nella parte posteriore e per i successivi cinque piani ci sono solo parcheggi per le auto dei clienti. Noi abbiamo la camera all’ottavo piano in questa torre che complessivamente vanta venticinque piani. Verso le otto della sera ci troviamo tutti nella hall per andare a cena da “Sizzler” dove potremo sicuramente mangiare una bella bistecca con tutti i contorni ad un prezzo non superiore ai dodici dollari. Alla fine facciamo una passeggiata tra le notturne e tranquille vie di Waikiki prima di andare a dormire.

5° giorno: Hawaii – Waikiki Oggi vogliamo vivere la giornata all’insegna del riposo. Per la colazione andiamo verso la parte più centrale di Waikiki. Ci fermiamo in un bar dove per una ciambella e un lungo caffé americano spendiamo tre dollari. Dopo la consumazione ci accorgiamo però che il locale accanto con lo stesso nome offre la colazione fino alle 11,00 del mattino per sei dollari. Dai vetri possiamo vedere che molte sono le cose che possiamo consumare. Usciti dal locale ci dirigiamo verso la spiaggia. C’è un po’ di vento, ma la temperatura è gradevole. Qui non ci sono né ombrelloni, né stabilimenti balneari, chi vuole stare sulla spiaggia prende tranquillamente il sole, se no si pone a lato, sotto una vicina palma o al riparo di qualche tettoia costruita anche per questo scopo. La maggior parte delle persone che sono sdraiate sulla spiaggia sono in costume da bagno, ma noi ancora sentiamo un po’ di freddo, evidentemente non abbiamo ancora nelle ossa la temperatura che ci permette di farlo. Dopo alcune ore ripassiamo dall’albergo per posare le cose del mare e proseguiamo in direzione dell’Ala Moana Center, il centro commerciale più conosciuto della zona. Durante il cammino possiamo apprezzare diverse cose dell’architettura e dell’urbanistica locale: i viali sono ornati da filari di palme e i balconi dei condomini sono arricchiti da un abbondante vegetazione. Si, per quanto l’uomo sia intervenuto con grossi insediamenti urbani, talvolta in modo massiccio, non ha comunque dimenticato l’equilibrio con il verde. Il traffico non si può neanche chiamare tale e le strade dalle molteplici corsie si presentano così vuote da dimenticarne quasi la loro presenza. I palazzi chiari di forme ed altezze variabili ben si armonizzano con i colori del cielo. Arriviamo al centro commerciale stabilito e saliamo al piano superiore dove possiamo riposarci dalla camminata nell’area di camminamento coperta, ma aperta dove nella parte centrale sono sistemate delle sedute ai bordi di una lunga vasca di pesci e piante acquatiche. Non guardiamo l’orario, abbiamo fatto colazione tardi e pranziamo a pomeriggio inoltrato in un locale nell’area food del centro commerciale. Pensiamo di passare le ore della digestione alla ricerca di qualche affare all’interno di uno dei 180 esercizi commerciali o di qualche grande magazzino lì presente. Le occasioni ci sono, possiamo trovare convenienti camicie e cinte intrecciate in vero cuoio marcate, a soli dieci dollari. Scendiamo soddisfatti dalla scala mobile che ci riporta al piano inferiore con le nostre buste riempite dalle compere odierne. Torniamo contenti verso l’albergo con la consapevolezza di non dover cenare per aver pranzato abbondantemente ad una tarda ora. Posiamo la spesa in albergo e prima di andare a dormire facciamo un’altra passeggiata sotto la frescura delle prime ore della notte. 6° giorno: Hawaii – Hanauma Bay Questa mattina cambiamo il luogo dove fare colazione. All’ingresso del locale paghiamo il prezzo fisso di sei dollari a persona e ci troviamo all’interno di un buffet che espone alcune decine di metri di cibo. Durante il primo giro, pongo sul mio piatto della frutta di molti i tipi, specialmente ananas e la consumo bevendo insieme succhi di frutta, nel secondo giro mangio affettati, uova e formaggi sempre accompagnati da succo di frutta. Il terzo e ultimo giro lo faccio prendendo una notevole varietà di dolci accompagnati da un bel caffé americano. Con una colazione così starò sicuramente bene per tutto il resto della giornata. Usciti fuori dal locale percorriamo poche centinaia di metri per aspettare l’autobus delle linee municipali che ci porterà nella famosa spiaggia di Hanauma Bay teatro in passato di molti film. Dopo quasi quaranta minuti di viaggio percorsi con l’autobus urbano che fa molte fermate, il “72”, arriviamo in un piazzale rialzato rispetto alla spiaggia. Ci ritroviamo affacciati ad una gran terrazza che guarda il mare. Il parapetto è in pietra e una volta avvicinati, il desiderio d’immortalare con una foto la vista retrostante è immediato. Un paesaggio bellissimo. La baia è chiusa su tre lati da monti che a suo tempo costituivano probabilmente il cratere di un vulcano. Il fondo marino è costituito dalla barriera corallina. La spiaggia larga una trentina di metri nella parte centrale è completamente decorata da palme. Rimaniamo subito incantati da quella vista e rimaniamo alcuni minuti fermi ad osservare per fotografare con gli occhi. Poi vediamo che per scendere alla spiaggia possiamo o utilizzare una scalinata o una strada servita anche da un piccolo autobus navetta. Preferiamo gustarci il panorama e per farlo decidiamo di scendere a piedi. Appena arrivati sulla spiaggia, respiriamo subito un’aria di tranquillità, superiore a quella percepita nel resto dell’isola. Le palme dallo stelo lungo, decorano i bordi della spiaggia che continua verso il dirupo con un area erbosa. A discrezione è possibile scegliere di stendersi o sulla sabbia o sull’erba a dieci metri dal mare. Gli irriducibili della spiaggia, si distendono subito a pochi metri dal bagno-asciuga. Io invece che irriducibile non sono, piuttosto gran camminatore, cerco subito un luogo da esplorare. Lasciamo i nostri bagagli dagli irriducibili e camminiamo, guardando il mare a sinistra prima lungo la spiaggia e in seguito lungo una secca di scoglio abbastanza piatta e rialzata circa un metro dal mare. Dopo alcune centinaia di metri una gran roccia ostruirebbe il cammino se non fosse stato scavato all’interno uno stretto passaggio che ci consente di attraversarlo e continuare dall’altra parte senza il pericolo di scavalcarlo diversamente. Usciamo dalla baia e voltando a sinistra continuiamo a camminare sulla scogliera che si alza di livello rispetto a quello del mare. Le onde s’infrangono con violenza e a distanza alcuni spruzzi ci rinfrescano dalla calura. Siamo adesso in una piccola insenatura dove un gruppetto di persone osservano un evento particolare. Alcuni intrepidi turisti si sono tuffati all’interno di una grossa buca che ad intervalli regolari alza e abbassa il suo livello di circa due metri. Questo accade perché una galleria sottomarina alimenta questo inusuale fenomeno. Quando l’acqua si ritira la persona è risucchiata all’interno con il rischio di essere inghiottiti mentre quando la forza del mare insuffla il ricambio di acqua marina, raggiunge quasi il livello massimo delle rocce. È da questa ultima situazione che lo spericolato nuotatore deve cercare di uscire. Osservare questi muscolosi e coraggiosi personaggi ci fa capire che la cosa è abbastanza difficile per noi comuni mortali. Comunque l’uscita di queste persone da questa situazione ci fa tirare un sospiro di sollievo. E tutto questo avviene davanti ad un chiarissimo cartello con tanto di figura esplicativa che vieta di fare certe cose. Percorriamo la strada al contrario e torniamo sulla spiaggia di partenza dove i nostri amici incominciano ad abbrustolire. Noi non siamo da meno anche se non ci siamo accorti perché impegnati nelle nostre esplorazioni. Non possiamo stare seduti più di dieci minuti che facciamo un’altra passeggiata dall’altro lato della spiaggia per ritrarre con la nostra foto camera il paesaggio anche da altre prospettive. Nemmeno qui ci sono ombrelloni e soltanto dagli alberi o dalla prospiciente montagna possiamo trovare refrigerio con un po’ d’ombra. Il mio orologio mi assicura che la colazione del mattino è stata digerita e che possiamo fare adesso la nostra escursione in mare. Non c’è bisogno di andare molto lontano per vedere i primi pesci. Sono delle qualità più infinite, a strisce, a pallini, monocolore o di forme allungate o goffe. È sbalorditivo, sono in piedi, fermo in cinquanta centimetri di acqua e vedo dalla trasparenza dell’acqua i pesciolini che pensano di alimentarsi con i peli della mia gamba, scambiate forse per piccole alghe nere… A malincuore da un lato ma pieni d’entusiasmo dall’altra usciamo dall’acqua dopo le foto scattate con una macchina fotografica subacquea prestata da due compagne di viaggio per ritrarre questi pesci nel loro habitat naturale. L’incanto di queste visione ittiche non ci lasciato percepire la cognizione del tempo, ma quando il sole scompare definitivamente dietro la collina e l’aria rinfresca comprendiamo che è giunta l’ora di tornare in albergo. Dopo esserci asciugati, raccogliamo le nostre cose e percorriamo in salita la strada che ci riporterà alla fermata dell’autobus per tornare in città. Come all’andata viaggiamo in piedi a causa dei molti bagnanti che stanno tornando al loro albergo. Dopo essere stati in camera per la doccia ci ritroviamo poco dopo nell’hall dell’albergo per andare a cena. Torniamo a gustarci una bella bistecca per recuperare le energie perse durante il giorno andando nello stesso locale dove siamo già stati la sera del nostro arrivo alle Hawaii. Sarà una bella passeggiate nel centro di Waikiki a farci terminare la serata prima di tornare in albergo per la notte. 7° giorno: Hawaii – Waikiki Questa mattina andiamo a fare colazione nel medesimo locale di ieri. Siamo rimasti tutti molto contenti e non essendo Lewers St. Lontano dall’albergo, arriviamo molto rapidamente. Dopo colazione continuiamo a percorrere Kalakaua Avenue in direzione sud. La strada ha fabbricati residenziali ed alberghi da ambo i lati fino all’incrocio d’Uliunu Avenue dove li lasciano solo sulla sinistra perché a destra inizia l’affaccio sul mare. L’ampia passeggiata lungomare è adornata dalla famosa statua monumento al surfista e da palme e possenti alberi di mangrovie. Continuiamo a camminare in un altro viale alberato dove le costruzioni sono finite in Monsarrat Avenue per arrivare in un’area interna, immersa nel verde e vedere il Kodak Hula Show. Siamo venuti oggi perché questo spettacolo gratuito sponsorizzato dalla nota casa fotografica non è rappresentato tutti i giorni. Ci sediamo sulla gradinata in legno di un anfiteatro a forma di banana con antistante un ampio prato e contornato da un ricco palmeto. Le tribune sono piene e circa mille persone attendono l’inizio dello spettacolo, mentre un’orchestrina intrattiene i turisti che a poco a poco riempiono gli spazi vuoti rimasti sugli spalti. Mentre da seduti ascoltiamo la musica emessa dagli strumenti a corda, bassi, chitarre ma soprattutto ukulele, ci rendiamo conto che il musicista più giovane non ha meno di settanta anni, un bel modo per far sentire utili le persone della terza età. Finalmente inizia lo spettacolo vero e proprio con l’ingresso delle ballerine locali. A detta di mia moglie la più magra sarà una taglia 48, ma qui non sembra sia un grosso problema. Il segno del benessere sembra ben riflettersi nelle guance di queste espressive artiste che con i loro lenti movimenti delle braccia e delle mani lasciano impresso nel turista il vero senso della loro danza che talvolta rappresenta il sole, il mare, le sue onde, i fiori o tutti i simboli della natura locale. Dopo la prima parte di balli alcuni intervistatori chiamano a turno i turisti per dare il senso di quella riunione. La maggior parte dei presenti sono americani ma esiste anche la presenza di pubblico che come noi viene dall’Europa o dall’Asia. I balli continuano con l’obiettivo d’insegnare al pubblico le basi del ballo hawaiano. Alla fine di questa parte teorica tutto il pubblico che lo vuole scende nell’arena e prova a mettere in pratica questi passi di danza osservando gli istruttori. Mia moglie ed io rimaniamo seduti per osservare le centinaia di persone che provano goffamente a diventare protagonisti per pochi minuti nell’arena del Kodak Hula Show. Lo spettacolo si conclude mentre osserviamo le insegne pubblicitarie relative ai prodotti acquistabili nell’adiacente area commerciale. Una volta usciti da questa area ricreativa ripercorriamo la strada al contrario. Nel frattempo alcuni pittori hanno esposto le loro opere lungo la strada di ritorno e visto i prezzi molto convenienti di questi acquarelli o tempere pensiamo di sostenere la parte umile dell’economia locale per l’acquisto di qualche quadretto senza cornice da regalare al nostro ritorno in Italia ad amici e parenti. Camminando lentamente torniamo sul lungomare per osservare e fotografare con più calma altri alberi di mangrovie e la ricca vegetazione circostante che avvolge con il giusto equilibrio i palazzi della città turistica. Con andamento lento, osservando una vetrina e un negozietto torniamo pigramente in albergo per ritrovarci al quinto piano a bagno della piscina. Dopo avervi passato alcune ore, il richiamo del centro commerciale è forte e così il desiderio di trovare qualche altra occasione economicamente conveniente all’Ala Moana Center, ci fa decidere di farci un’altra passeggiata nel luogo dove potremmo trovare qualche altra occasione. È lì che dopo alcuni convenienti acquisti come camicie di meravigliosi cotoni a 10 dollari, consumiamo qualcosa per cenare. La solita passeggiata a Waikiki ci fa tornare contenti in albergo. 8° giorno: Hawaii – Waymea Valley e Beach Park Dopo la colazione fatta con cose acquistate in giorno prima al supermercato, ci ritroviamo tutti davanti alla fermata dell’autobus per l’escursione giornaliera. Saliamo sull’autobus e con solo un dollaro percorreremo una cinquantina di chilometri. Su questa tratta, esclusa la prima parte che ci permette di vedere alcuni degli edifici più vecchi della città di Honolulu come quelli governativi, l’autobus s’inoltra nella campagna oltre alla baia di Pearl Harbor dove avvenne il famoso e disastroso bombardamento dell’aviazione giapponese contro la Marina Americana. Vediamo altre basi militari che rimangono in funzione nel più vicino avamposto verso l’Asia fino a passare davanti ad estese coltivazioni d’ananas che maturano in un campo di terra molto rossa. Dopo aver scollinato, arriviamo su un altro versante dell’isola. Voltando a destra costeggiamo il mare sulla “83” sulla Kamehameha Hwy fino alla fermata di Waymea Beach dove scendiamo. La prima cosa che vogliamo visitare è il parco botanico dove, a motivo del microclima, possiamo osservare molte specie di piante e fiori differenti e alcuni aspetti della vita polinesiana. Percorriamo per circa un chilometro, la Waymea Valley Road in mezzo ad una rigogliosa vegetazione parallela ad un fiume. Dopo aver pagato il biglietto d’ingresso con lo sconto comitiva entriamo in questo luogo molto curato. Dato che la vallata è lunga alcuni chilometri in salita, all’andata utilizziamo il mezzo elettrico messo a disposizione dalla struttura e composto di alcune vetture che ci può portare tutti contemporaneamente nella parte più alta del parco. La cosa più lontana è un laghetto alimentato da una cascata con un salto di circa dieci metri. Ad intervalli regolari un tuffatore dipendente del luogo, si esibisce tuffandosi da quella roccia verso il laghetto. Al mio tatto, quell’acqua è abbastanza fredda per me, ma i più temerari del gruppo non si lasciano pregare due volte per farvi un bagno. Ammiriamo le loro bracciate i loro tremolii al momento dell’uscita. Con il solo spirito d’osservazione e senza nessuna preparazione botanica c’immortaliamo ora davanti ad un cespuglio di fiori, ora davanti ad un altro ricominciando la discesa che ci ricondurrà al punto di partenza. In certi luoghi rimpiangi veramente una guida o un esperto o un appassionato della materia e una bella macchina fotografica con obiettivo macro. Per questo una bella preparazione anticipata sul tema potrebbe significare gustare meglio una giornata che in ogni modo lascerà un ricordo indelebile nella propria memoria. Passiamo ai bordi del villaggio polinesiano nell’ora che presumiamo per loro sia della siesta, quando non possiamo che appurare la loro assenza esterna. Anche in questi casi, come quello dei tuffi dalla cascata, aver saputo anticipatamente l’orario delle attrazioni ci avesse permesso di gustare meglio gli aspetti del parco. Finalmente arriviamo in fondo alla discesa dove possiamo osservare un piccolo zoo della fauna locale. Un accogliente ristorante accoglie una parte del gruppo. Noi ci siamo portati in cibo al sacco e decidiamo di consumarlo sulla spiaggia. Usciamo dall’area recintata e ci gustiamo come al mattino la Waymea Valley Road in senso contrario fino alla spiaggia di Waymea Beach Park. Ci fermiamo nell’area del ristoro dove sotto le piante si possono cucinare gli alimenti in appositi barbecue in muratura. Noi ci limitiamo a consumare i nostri panini seduti su una panchina, all’ombra di una palma e davanti ad una delle spiagge più famose del mondo per praticare il surf. La spiaggia è larga più di un chilometro ed è incorniciata da entrambi i lati da due scogliere abbastanza pericolose. La corrente o la forza del mare in questo periodo dell’anno scende dall’Alaska e questo porta, non solo le onde più alte del solito, ma anche le balene che vanno a svernare in alcune baie vicine. La spiaggia non assomiglia nemmeno lontanamente a quella romagnola, al contrario, rispetto al nostro punto d’osservazione ci sono più di dieci metri di dislivello che rende la spiaggia di una pendenza tale che poi proseguire nel mare stesso. Le onde sono alte tra i cinque e i sei metri e giovani temerari cavalcano le tavole davanti ad un vasto pubblico divertito. Purtroppo ogni anno si registrano negli Stati Uniti decine di giovani morti a causa della loro imprudenza. La maggior parte degli americani è abituato a nuotare nelle calme acque di una piscina. Anche se l’acqua dolce è più faticosa della salata acqua del mare, non è paragonabile con il pericolo che una corrente può generare specialmente di fronte a questa repentina differenza di quota che per compressione genera delle onde molto alte. Quando la baia diventa terra di conquista sessuale per fare colpo su qualcuno o qualcuna, questo sport diventa molto pericoloso e talvolta tragico. Nessuno del nostro gruppo vuole fare colpo su nessuno e umilmente ce ne stiamo seduti ad osservare chi con prudenza si diverte al centro della baia evitando ai bordi il pericolo di andarsi a fracassare sulla scogliera. L’esposizione al sole è allietata da questo spettacolo più unico che raro. Alla fine della serata, quando ormai ci stiamo rivestendo per tornare in albergo siamo appagati dall’incredibile passaggio delle balene che i più rapidi riescono ad immortalare con la telecamera. Siamo molto contenti per aver registrato con i nostri occhi, anche quest’incredibile evento. Riprendiamo l’autobus mentre altri amici del gruppo si stanno trattenendo ancora sulla spiaggia. Sono quelli arrivati più tardi, che hanno deciso di non cenare per tutto quello che hanno consumato a pranzo, noi invece che abbiamo pranzato al sacco abbiamo già pensato di fermarci al capolinea dell’autobus, guarda caso all’Ala Moana Center per la cena e… Durante il viaggio di ritorno in autobus non abbiamo potuto fare a meno di osservare quanto è tranquilla la vita in quest’isola e specialmente in questa parte. Quando un passeggero vuole scendere dall’autobus deve tirare una cordicella che corre per tutta la fiancata interna da montante a montante. Quando l’autista arriva alla prevista fermata per fermare il mezzo, solo allora il passeggero si alza e scende. Quando tutti sono scesi o risaliti e messi a sedere, allora il mezzo riparte. Pare che nessuno abbia fretta. Il vero ritmo della vacanza rilassante. Giunti a destinazione consumiamo la nostra cena e passeggiando torniamo in albergo per la notte.

9° giorno: Hawaii – Waikiki Ci siamo promessi ieri sera di vivere questo giorno all’insegna del vero relax. È l’ultimo giorno intero prima della partenza e vogliamo utilizzarlo all’insegna del relax. Facciamo colazione al solito posto vicino all’albergo e dopo esservi ritornati per riunirsi completamente al resto del gruppo ci dirigiamo verso la spiaggia di fronte al Fort Derussey attraversando i camminamenti che lambiscono i prati ben curati di questo polmone verde attrezzato. La spiaggia è ampia alcune decine di metri e si stacca dal prato dove sono alcuni filari di palme con una passeggiata usata da pedoni, pattinatori e ciclisti. È allo stesso livello della sabbia e del prato e questo senso di continuità la rende molto piacevole in tutti i sensi. Ci sdraiamo sugli asciugamani per migliorare la nostra abbronzatura. Alcune amiche avevano comprato nei giorni passati alcune ghirlande di fiori di stoffa che danno tutta l’impressione d’essere veri, specialmente nelle foto che facciamo con cui non vogliamo cogliere certi particolari ma solo il colpo d’occhio. Questi fiori rendono bene l’idea del luogo dove siamo mentre il saluto con il pugno chiuso ad esclusione del pollice e del mignolo in movimento da destra verso sinistra e viceversa accompagnano l’espressione “Aloha” e rendono il tutto unico nel suo genere. Mentre siamo distesi guardiamo passare gli aerei in atterraggio. Atterrano provenienti dal tutto l’Oceano Pacifico sia civili che militari ad un ritmo abbastanza serrato ma non abbastanza da non farci ripassare con la mente di ciò che abbiamo vissuto negli ultimi giorni e cosa abbiamo acquistato in occasione delle strepitose offerte. Riposiamo ancora un po’ sulla tranquilla e calda spiaggia quando alcuni amici iniziano ad accusare un po’ di fame. Oggi possiamo vedere abbastanza persone sia sulla spiaggia che dentro l’acqua dell’oceano. Mentre gli irriducibili del sole rimangono in spiaggia per la loro cottura, noi irriducibili degli affari a buon prezzo facciamo una passeggiata per cercare qualche altro capo d’abbigliamento a prezzo scontatissimo come è possibile molto spesso trovare negli Stati Uniti. C’incamminiamo sulla passeggiata verso il porto turistico di Ala Wall Small Boat Harbor. Poco più avanti, al fresco degli alberi su terreno ancora sabbioso un predicatore protestante parla ai suoi fedeli seduti su piccole panche. Entriamo nell’area pubblica all’aperto di un Resort per notare uno spettacolo unico. Sul lato sinistro del percorso pedonale è stato installato un habitat adatto per la vita dei fenicotteri con il loro laghetto e la loro vegetazione. Voltando lo sguardo dalla parte opposta, sul lato destro è possibile osservare l’habitat adatto alla vita dei pinguini con le loro rocce innevate, un laghetto gelato e una climatizzazione adatta al loro corpo. La meraviglia per un tale spettacolo ci lascia in silenziosa contemplazione per alcuni minuti. Sentiamo il bisogno di tornare in albergo per riposare durante queste ore più calde del pomeriggio pensando soprattutto al fatto che domani dovremo lasciare la camera prima delle 11,00 del mattino, stare tutto il giorno in giro fino all’orario del volo prima di mezzanotte, viaggiare di notte e poi stare in giro tutta la mattina dopo fino alle 3,00 del pomeriggio quando ci consegneranno le camere a San Francisco. Pensiamo che un paio d’ore di sonno ci aiuteranno ad affrontare meglio l’attività futura. Puntuali come un orologio svizzero, ci troviamo nella hall dell’albergo insieme ad altri amici per fare una breve passeggiata al Ala Moana Center. Percorriamo come al solito l’Ala Moana Boulevard con assoluta tranquillità e una volta arrivati al centro commerciale andiamo a colpo sicuro là dove sappiamo possiamo trovare gli sconti che cerchiamo. Qualcosa lo troviamo tanto da farci tornare contenti in hotel e per cambiarci per la cena. Dal nostro albergo non camminiamo molto per arrivare in un locale in riva al mare in Ralia Rd. La sala da pranzo è apparecchiata sotto ad un portico che durante le giornate più fredde è chiuso. Uscendo fuori i nostri piedi potrebbero camminare sulla sabbia a pochi metri dal mare in un tratto in cui la spiaggia è molto stretta perché le costruzioni sono state costruite proprio vicino all’acqua. Da seduti possiamo vedere il sole che tramonta, mentre il locale cade nell’ombra più romantica delle candele che rimangono l’unico mezzo per consentirci quella flebile vista. Una caratteristica del locale è quella che i clienti possono cucinarsi personalmente la porzione sia essa a base di pesce che di carne al barbecue. Scelgo il pesce e me ne portano un trancio senza lische che vado a collocare sulle piastre per la cottura. Mia moglie opta per la carne. È nostra abitudine se non siamo sicuri della riuscita di un piatto variare nelle scelte per poi condividerne eventualmente il successo o l’errore. Siamo comunque contenti entrambi della scelta e della cottura , il quale errore eventuale era imputabile solo a noi. Ceniamo soddisfatti con le ampie portate e c’immortaliamo nell’hall del ristorante davanti ad un dipinto di un acquario che nella foto sembra vero. Un’andatura pigra e svogliata ci conduce per le viuzze fresche di Waikiki dispiaciuti per la partenza del giorno successivo. Se mai un giorno torneremo su quest’isola vorremmo starci certamente di più. Andiamo a letto con l’intenzione di riposare bene il più possibile.

10° giorno: Hawaii – Waikiki – volo notturno Ieri sera abbiamo già preparato un po’ la valigia per il viaggio di stasera. Andiamo pertanto a gustarci la solita colazione e immagazzinare le forze che ci serviranno per affrontare quest’altro spostamento che ci permetterà di vedere l’ultima città di questo viaggio. Dopo colazione facciamo gli ultimi preparativi prima di lasciare la camera, portare i bagagli in una stanza che ci avevano riservato e riconsegnare le chiavi. Abbiamo tutta la giornata a disposizione fino alle 8,00 di questa sera quando verranno a prenderci per trasferirci all’aeroporto. Così decidiamo di “bivaccare” tra le strade di Waikiki comprando per i nostri parenti e amici gli ultimi souvenir che al nostro ritorno si aspettano di ricevere. Qualcuno ci ha chiesto la solita maglietta con la scritta, chi un apribottiglie, chi una cartolina o qualche altro oggetto, purché gli portiamo qualcosa. Non sempre è questione di portafoglio ma anche di spazio e peso nelle proprie valige. Durante la nostra passeggiata con Serena e sua mamma Olga, troviamo anche oggetti per noi. Personalmente compro una imitazione di targa automobilistica tipica dello stato con impresso l’arcobaleno che simboleggia le isole, mentre Serena oltre alla targa simile alla mia trova un okulele che riuscirà ad infilare nella valigia ancora abbastanza vuota. Dopo aver vagato per tutta la giornata e aver riposato un po’ sui divani della hall dell’albergo è arrivato il momento di caricare i nostri bagagli sugli stessi pulmini che ci avevano condotto in hotel al nostro arrivo in questa meravigliosa isola. Allora eravamo felici per quello che avremmo potuto vedere, adesso lo siamo per quello che effettivamente abbiamo visto e siamo riusciti a fare. Gli edifici passano veloci davanti ai nostri occhi, mentre una città che a noi era diventata familiare è ormai caduta nelle tenebre della notte. Iniziano le procedure d’imbarco con la severità di un volo intercontinentale, anche se il nostro sarà nazionale, ma fra due stati che hanno normative spesso non condivise. I questionari che ci danno da compilare ci fanno venire il dubbio se siamo o no contrabbandieri di vegetazione non autorizzata. Che su certe cose non c’è da scherzare, ce ne siamo accorti al controllo del metal detector. Mia moglie aveva messo da parte all’interno della sua borsa due banane, una ciascuna da mangiare prima di salire sul volo, ma il doganiere non ce l’ha permesso. Ai raggi “X” ha visto la loro presenza, ha aperto la borsa e anziché invitarci a mangiarle subito le ha gettate immediatamente nel sacco della spazzatura togliendoci la possibilità di fare qualsiasi commento. E quando si dice… Rimanere di stucco, sì quella è stata una circostanza di quel tipo. Dopo una battuta di stupore noi e qualcuno dei nostri amici che hanno assistito alla scena, abbiamo ripensato ad alcune famose scene interpretate da Roberto Benigni nel film di Jonny Stecchino, quando è incriminato per il furto di una banana e conclude il film dicendo al suo amico del cuore che se fosse andato a Palermo sarebbe stato meglio non avesse mangiato le banane. Che buffo che questa cosa sia successa nella città di Honolulu alle Hawaii, stato annesso agli Stati Uniti d’America nel 1950 al posto della Sicilia con capitale Palermo, come molti avevano all’epoca ipotizzato. Da allora tutti coloro che mi chiedono alcuni consigli sulle Hawaii dico sempre di stare attenti al consumo delle banane! Essendo arrivati con largo anticipo e non essendoci abbastanza sedute per accomodarci, ci dobbiamo accontentare di riposare sdraiati per terra appoggiati al nostro bagaglio a mano finché non saliamo sul volo UA132 delle 23,20 per San Francisco sul B747 che anche questa sera è pieno di passeggeri. Ci sistemiamo a bordo e dopo il decollo ci addormentiamo in un dormiveglia che ci porterà a destinazione.

11° giorno: San Francisco Durante il volo abbiamo perso due ore per il fuso orario e alle cinque e mezzo del mattino, mentre è ancora buio, atterriamo all’aeroporto di San Francisco. Dopo aver ritirato le valigie ci dirigiamo nell’area per attendere il pullman che ci porterà in giro per la città. In questo momento il soggetto delle nostre foto è il piccolo Pierpaolo di quattro anni che si è addormentato a cavallo della valigia rigida dei genitori. Poi arriva il pullman su cui ci sistemiamo abbastanza assonnati. Visto l’orario, la città è ancora abbastanza deserta. L’aeroporto è a sud della città e ci dirigiamo verso nord per rivivere lo stesso percorso che già con mia moglie, Olga, Serena e Costantino abbiamo vissuto due anni fa quando siamo arrivati qua dopo un giro nell’ovest del paese. Raggiungiamo i monti di Twin Peaks, resi famosi al mondo per una famosa serie televisiva. Questo straordinario punto panoramica ci permette di spaziare a 270° dalla baia fino all’oceano e vedere per tutta la sua estensione, la grandezza di San Francisco. Le immagini limpide ci permettono di avere contorni nitidi e chiari dettagli come i ponti o la terraferma oltre la baia. Riprendiamo il pullman per attraversare il Golden Gate Park ovest della città dove tranquilli bisonti pascolano all’interno del loro recinto o cittadini d’origine orientale esercitano in gruppo la ginnastica tipica del loro gruppo etnico. Dopo aver lambito per un po’ il lungomare oceanico in direzione nord, lasciamo la vista del mare e attraversiamo l’abbandonata area residenziale del Presidio. Questa area era densamente abitata fino al disgelo della guerra fredda dai militari che lavoravano presso le basi militari, avamposto del pacifico verso l’Unione Sovietica. Adesso le erbacce nascondono la bellezza e la riservatezza di queste splendide ville o piccoli condomini. Ci fermiamo davanti ad una delle più grandi opere d’ingegneria del mondo: il Golden Gate che con i suoi 1.860 metri di lunghezza e 86 d’altezza per il passaggio delle navi e una lunghezza complessiva di tre chilometri e mezzo si presenta come uno dei ponti più grandi del mondo. La prima foto che ci facciamo è davanti ad un troncone del tirante a cui sono appesi tutti gli stralli che ha un diametro di un metro ed è composto dall’insieme di tanti piccole trecce attorcigliate tra loro. Li per lì, il tutto non sembra così grande ma quando riguardiamo una foto scattata davanti a questo monumento dell’ingegneria mondiale costruito a metà degli anni trenta, allora percepiamo l’esatta proporzione esistente fra le persone e la struttura, specialmente con il vicino pilone alto 210 metri. Dopo i primi minuti di smarrimento contemplativo passiamo alla scatto delle foto di rito con quello o quell’altro amico del gruppo e pensiamo a quelle cento persone che di lavoro dipingono per tutta la vita il ponte, iniziando da una parte per finire dall’altra per poi ricominciare, per contrastare gli agenti atmosferici e corrosivi del mare. Le prime persone del gruppo iniziano a dare segni di chiara stanchezza perché incapaci di riposare sull’aereo. Dopo un ulteriore giro panoramico della città fatto più con gli occhi più chiusi che aperti, il pullman ci porta all’hotel Ramada sulla Market Street. Anche se le camere non possono esserci consegnate posiamo le valigie in un luogo riservato e c’incamminiamo per cercare un luogo dove fare un po’ di colazione. Percorriamo la Market Street e la nostra mente ripercorre i momenti vissuti due anni prima in queste strade divenute a noi già familiari. Vediamo di nuovo il Cable Car al suo capolinea in Powell Street perché lì, poco più avanti entriamo in un locale per consumare uno spuntino. Si percepisce comunque che la recettività del gruppo è arrivata al capolinea. Stiamo tutti brancolando nel nostro stesso sonno motivo per cui camminiamo trascinando le nostre scarpe fino all’albergo giusto per le due del pomeriggio e ricevere le chiavi della stanza e andare a dormire alcune ore. Dopo una modesta dormita ci troviamo tutti alle 7,00 della sera nella hall dell’albergo per uscire e passare insieme la serata. Percorriamo di nuovo la Market street in direzione del centro e andiamo a cena in una Steak House in Powell Street. Mangiammo qui già due anni fa e ci trovammo bene sia per la qualità che per il prezzo. Per meno di 12 dollari a testa possiamo consumare una bella bistecca, un’insalata condita come desideriamo e una grossa patata americana aperta in mezzo e con una noce di burro affogata. Porzione abbondante che sazia. Dopo cena camminiamo di nuovo sulla Market Street in direzione della baia e poi al contrario per tornare in albergo. Speriamo dopo la dormita della notte di goderci quest’ultimo giorno in America prima del viaggio di ritorno. 12° giorno: San Francisco Dormiamo comodamente fino al mattino inoltrato. Dopo uno spuntino in camera con biscotti e succhi di frutta acquistati il giorno precedente, insieme ad Olga e Serena facciamo un giro diverso dagli altri del gruppo che sono a San Francisco per la prima volta. Non allontanandoci molto dall’albergo ammiriamo l’esterno prima della City Hall e poi della vicina Opera House. Visto che la Market street è una strada in piano con marciapiedi molto ampi che conosciamo molto bene la percorriamo per cercare un locale dove pranzare. Ci fermiamo al San Francisco Shopping Center e dopo aver visto alcune vetrine e l’opulente struttura architettonica, decidiamo di sederci per mangiare qualcosa. Dopo il pranzo passiamo davanti al Museo d’arte Moderna completato da poco e opera dell’architetto svizzero Botta. La costruzione è di per se un’opera rappresentativa dell’architettura moderna con l’esterno rigorosamente in mattone a faccia vista, materiale che contraddistingue l’architetto, che messo in contrasto con pilastri circolari bicolori bianco neri tipici del chic americano. Proseguiamo la camminata per le vie del centro lasciando la pianura e iniziando a salire per una delle strade che conduce in una piazza verde, Union Square all’incrocio tra Stockton e Geary Street, un centro commerciale dell’era liberty. Entrando rimaniamo particolarmente attratti da un lucernario sul tetto con rappresentazioni marinare in bianco e giallo in un ampio contesto di balconate a tripla altezza. Proseguiamo in salita sino alla principale strada del quartiere cinese. È la tipica porta a tre campate con i tetti a padiglione verdi che c’invitano ad entrare in quest’orientale borgo di un’Asia più vicina di tante altre città americane. Quando gli aerei non erano così tanto utilizzati e le navi erano il principale mezzo di collegamento attraverso i mari, San Francisco era uno dei porti più vicini all’antica Cina. Le facciate dei palazzi riccamente e stiticamente decorati non ci lasciano dubbi dell’influenza della cultura cinese in queste strade. Gli odori che esalano dai ristoranti ma soprattutto dalle pasticcerie c’induco ad entrare in uno di questi luoghi per bere un the e mangiare alcuni dolci. L’intensità degli aromi forti seleziona la clientela, ma un certo languore di stomaco ci convince a degustare alcune prelibatezze. Completiamo gli ultimi acquisti nell’uno o nell’altro luogo, specialmente all’angolo tra Geary Street e Powell Street dempre in Union Square dove la “gioielleria” chiamata “Impostor” vende imitazioni di gioielli acquistabili per poche decine di dollari quando veri con i materiali originali costerebbero cento volte tanto o più. Una volta usciti ci ritroviamo con il resto del gruppo per la cena nella stessa Steak House di ieri sera. Non ci rimane che favorire la digestione con una bella passeggiata per ritornare in albergo. 13° giorno: San Francisco – Washington – volo notturno Alle sette del mattino il pullman è pronto davanti all’albergo per portarci all’aeroporto. La gioia di tornare a casa si confonde con la tristezza di una vacanza che sta volgendo al termine, anche se un viaggio aereo per quanto a volte possa sembrare disagevole fa sempre parte della vacanza. All’aeroporto di San Francisco svolgiamo le nostre regolari pratiche d’imbarco e saliamo sul Jambo per il volo United Airlines che ci porterà ad Washington. Il volo è di circa sei ore e a motivo del fuso orario ne perdiamo altre tre. Abbiamo praticamente attraversato il continente americano impiegando tutto il giorno. Giunti all’aeroporto di Washington dobbiamo solamente cambiare aeromobile per salire sul B767-300 che ci porterà a Milano Malpensa durante il volo notturno. 14° giorno: Milano – Roma Se posso preferisco viaggiare accanto al finestrino per seguire lo sviluppo del volo guardando i paesaggi dalle diverse altezze. Le luci delle coste britanniche mi lasciano intendere che la traversata atlantica è completata. Sorvolando prima l’area francese e poi il primo territorio italiano, l’ampia visione delle Alpi ci dicono che l’atterraggio è imminente. Atterriamo all’aeroporto di Milano Malpensa alle 8,40 del mattino. È il momento di salutare i nostri amici del nord Italia. I più coraggiosi, noi no, si mettono la ghirlanda di fiori intorno al collo come una collana che esibiscono insieme alla vistosa abbronzatura quasi a voler attirare l’attenzione su di se con la voglia di dire che loro alle Hawaii ci sono stati e sono felici per questo. Purtroppo è quella gioia effimera che elude dalle situazioni individuali della quotidianità e che lascia una traccia positiva solo se vissuta con i giusti motivi. Dopo i saluti, noi del gruppetto che siamo partiti da Roma ci trasferiamo nell’aera delle partenze nazionali in attesa del volo per Fiumicino. Purtroppo la nostra attesa sarà lunga più del solito. In Italia questa settimana è entrata in vigore l’ora legale, ma negli Stati Uniti no, accadrà la prossima settimana. Per questo mancato sincronismo non abbiamo beneficiato della coincidenza e dobbiamo attendere il volo IG1104 della Meridiana delle 13,00. L’MD80 è quasi vuoto e decolla con estrema potenza e facilità per atterrare un’ora più tardi all’aeroporto di Roma Fiumicino. Purtroppo anche questo viaggio è finito, ma siamo sicuri che i nostri occhi hanno registrato delle immagini che rimarranno impresse nella nostra mente in maniera indelebile. Peccato che le Hawaii sono così lontane perché un’altra visitina, forse anche alle altre isole vicine, ce la farei…



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