Due occhi sullo yucatan-terza parte

DUE OCCHI SULLO YUCATAN In “quattr’occhi su citta del Messico “ e “quattr’occhi sul Chiapas, eravamo in due a raccontare lo stesso viaggio, ciascuno secondo il proprio punto di vista. Qui invece gli occhi sono solo due e sono i miei: il mio fidanzato, qui in Yucatan, ha abbandonato carta e penna. Solo due righe per ricordare il nostro...
Scritto da: Pepa C.
due occhi sullo yucatan-terza parte
DUE OCCHI SULLO YUCATAN In “quattr’occhi su citta del Messico “ e “quattr’occhi sul Chiapas, eravamo in due a raccontare lo stesso viaggio, ciascuno secondo il proprio punto di vista.

Qui invece gli occhi sono solo due e sono i miei: il mio fidanzato, qui in Yucatan, ha abbandonato carta e penna. Solo due righe per ricordare il nostro viaggio per intero.

Il nostro viaggio: periodo: 28 luglio – 16 agosto Itinerario in sintesi: Citta del Messico-Chiapas-Yucatan-Isla Mujeres Clima: ventilato e fresco a Citta Del Messico; vario in Chiapas (umidissimo a Tuxtla; buono a San Christobal e villaggi Tzotzil;umidissimo e caldo a Palenque); umido e caldo nello Yucatàn; caldo a Isla Mujeres.

Mezzo principale utilizzato per gli spostamenti: pullmann Vaccinazioni: profilassi antimalarica Budget: 3 milioni a testa, volo intercontinentale incluso

6 AGOSTO UXMAL E MERIDA Riposatissimi e freschi come quattro rose purpuree raggiungiamo finalmente Merida.

L’albergo che abbiamo prenotato ieri da Palenque ha un aria fanè e decadente: è in stile coloniale e ha anche la piscina. La prima impressione è buona, mi sembra perfetto per calarci velocemente nell’atmosfera della città. Data l’ora (le cinque e quarantacinque di mattina) , le stanze non sono ancora disponibili. Per tener fede ai nostri piani, decidiamo allora di lasciare lì i bagagli e dirigerci al terminale dei pullman, destinazione Uxmal.

Che non sia cosa semplice trovare posto sul pullman diretto al sito ce ne rendiamo conto ben presto. Ci mettiamo a discutere animatamente con le signorine che stanno alla biglietteria le quali oltre a comunicarci in modo contraddittorio e confuso che per ora non esistono posti disponibili, si rivelano molto lontane dall’ idea che fino ad oggi ci siamo fatti dei messicani: sono parecchio scortesi, poco simpatiche, sufficientemente stronze. Noi ci regoliamo di conseguenza e manteniamo la stronzaggine a livelli competitivi.

Alla fine riusciamo a strappargli quatro boletos per il pullman delle nove. Solo andata. Per il ritorno speriamo di trovare qualcosa a Uxmal, invocando l’aiuto del dio Quetzalcoatl.

Arriviamo a destinazione alle 10 e mezza. Piuttosto tardi per visitare il sito con po’ di frescura.

Uxmal è bellissima. L’architettura Puuc è la più ricca e particolare tra quelle che ho potuto vedere fino ad oggi. E come in ogni sito che si rispetti, c’è almeno una piramide da “scalare”. Saliamo così sulla piramide dell’Adivino . Ripidissima: bisogna stare attenti e concentrati, sia nella fase di salita che in quella di discesa.

Una volta arrivati in cima, guardare giù è impressionante: la pendenza della parete è tale che non si vedono neppure i gradini! Di fronte alla piramide posso vedere da lassù il Quadrilatero delle Monache, un portico con colonne quadrate, pieno di fregi di particolarità unica. Più tardi proprio lì incontriamo Ezio e Rosy che stanno per tornare a Merida. Questa sera festeggeremo con loro il compleanno di Ezio.

La nostra visita al sito continua. Purtroppo non avendo trovato una guida l’unica fonte di conoscenza per noi è la mitica Lonely. Uxmal è molto diversa da tutti gli altri siti, ha una personalità tutta sua. Il caldo e l’umidità sono fortissimi. Ma noi, stoici, perseveriamo.

Alle due troviamo un collectivo che ci riporta a Merida. Prendiamo possesso delle stanze e facciamo un bel tuffo in piscina, prima di prepararci per la cena.

Alle 8 incontriamo Rosy ed Ezio davanti al loro albergo, Guardandolo mi viene in mente una canzone della Nannini: bello ed impossibile. Soprattutto per le nostre piccole tasche.

Ceniamo al Rincòn, un ristorante molto gradevole che si apre dentro un albergo sotto un portico con fontana e tucani. Tutto molto coloniale, come è giusto che sia. Mangiamo maialino pibil, avocado e papaya con la crema. Tutto buono.

Ci spostiamo poi a bere qualcosa : offre Ezio naturalmente, considerato che oggi è il suo compleanno.

La serata sta venendo fuori bene, c’è euforia nell’aria, mentre un vento leggero e tiepido si alza portando con sé una musica armoniosa, fatta di suoni e parole.

Salutiamo Ezio e Rosy, fissando con loro un nuovo appuntamento volante: a Playa del Carmen, il 10 agosto.

Noi quattro torniamo in albergo. Domani ci aspetta una levataccia mica da ridere: in piedi alle cinque e mezza per raggiungere Chicen Itza più o meno alle 8.

Per l’occasione abbiamo noleggiato un maggiolone blu: per una volta non saremo pullman-dipendenti.

7 AGOSTO CHICHEN-ITZA Il maggiolino blu entra nel parcheggio del sito alle otto. Assoldiamo una guida. In due nanosecondi capiamo che il nostro uomo, Paco, è preparatissimo; finalmente capirò dal vivo la differenza tra Maya e Toltechi. Come Uxmal, anche Chicen è immersa nel verde. Ascolto rapita questo cantastorie …Scopro che Chicen Itza significa “la bocca del pozzo degli Itza”. Gli Itza erano la popolazione succeduta ai Toltechi. Per dirla breve, Chicen ha vissuto tre periodi storici diversi che hanno visto lo sviluppo di tre diversi stili architettonici: l’ultimo, definito postclassico, è il più importante in termini di testimonianze archeologiche perchè vede la commistione di elementi maya e toltechi: il giaguaro immobile (Maya) e il giaguaro in movimento o con il cuore dell’uomo tra gli artigli (Toltechi). Le colonne tonde e semplici (maya) e quelle quadrate e decorate con bassorillievi (tolteche). La …Di venere (Maya) e il trono tolteco con Chac Mol .

Ora siamo al campo da gioco della palla, il più bello attualmente esistente. Al lato del campo ci sono due canestri, fatti da cerchi di pietra disposti sui muri in senso verticale. Si giocava con rinforzi ai ginocchi e ai gomiti, le mani impugnavano bastoni che servivano per colpire la palla. Vediamo un bassorillievo che mostra la decapitazione di un giocatore. Le supposizioni- ci dice il nostro uomo- sono tante: la prima è che in epoca tolteca il decapitato fosse il vincitore (mah..); la seconda il perdente (mi pareva…), la terza che fosse semplicemente una rappresentazione di qualcosa accaduto la prima volta e poi ricordato simbolicamente .

L’acustica in quel luogo è straordinaria, quasi irreale: da una tribuna all’altra, poste alle due estremità del campo a 130 metri di distanza, si riesce a sentire quello che si dice . Facciamo la prova ed è vero! Un antenato del cellulare con 130 metri di campo…..

Il nostro uomo è un pozzo di conoscenza, ecco ora siamo al misterioso tempio dei teschi poi costeggiamo quello del Giaguaro, il tempio dei Guerrieri con una batteria di colonne da togliere il fiato (..In una precedente vita forse ero maya..O tolteca..). Continuiamo l’esplorazione nella parte classica, arriviamo all’osservatorio maya e ooops ci taglia la strada un’iguana parecchio grossa, ma proseguiamo: che perfezione la cupola, non posso non notarla, l’osservatorio è stato progettato dagli astronomi del tempo con una logica scientifica assoluta. E il Castillo? La piramide precolombiana più famosa nel mondo, quella più fotografata, più spiattellata sulle copertine dei libri e delle guide, più sfruttata dal cinema e dalla pubblicità, è lì, davanti a me, sovrasta la piana di Chicen, forte del suo “segreto”: è stata progettata e costruita dagli architetti e dagli astronomi Maya in modo tale che ogni anno nel giorno dell’equinozio di autunno e di primavera i raggi del sole proiettino sulla sua scalinata un gioco di luci, una serie di triangoli che creano la grande illusione: la discesa, del serpente piumato Quetzalcoatl.

Mi spiazzano queste testimonianze di genialità, mi soggiogano questi stratagemmi ideati dagli intellettuali dell’epoca: tunnel sotterranei che finiscono direttamente nella bocca del serpente di pietra mentre all’estremità opposta un sacerdote parlava perché il popolo udisse le parole del dio.

“Tabù mistero magìa”- recita Paco, simulando con il volto e le mani l’effetto che dovevano avere questi “accadimenti” inspiegabili sul popolo.

Loro, i sacerdoti, i potenti, avevano la consapevolezza che la magia, l’insondabile, gli dei, erano le chiavi del potere, il segreto per restare tre spanne sopra gli altri; e questo segreto si tramandava di astronomo in astronomo, di sacerdote in sacerdote, di sovrano in sovrano, ma mai la conoscenza oltrepassava quei confini. Mi infastidisce e allo stesso tempo mi affascina scoprire che anche questi popoli avevano piena coscienza di cosa significasse mantenere la deità, alimentare l’inspiegabile, sostenere l’incredibile. E pieno desiderio di essere, loro stessi, dei. Matteo e Laura partono da Merida alla volta di Playa del Carmen. Li rivedremo il 9 sera laggiù.

Tommy ed io passiamo il resto del pomeriggio a sguazzare in piscina e a fare una pennica nella nostra camera, sollevati dal fruscio costante della ventola.

8 AGOSTO DA MERIDA A TULUM Ci svegliamo alle 8. Gran bella dormita, era ora.

La mattina è votata allo shopping. E allora via, verso il mercato dell’artigianato di Merida. Missione: Panama. Lo giriamo tutto, di Panama belli ce ne sono parecchi. Il fatto è che né io né Tommy siamo degli intenditori, ci arrangiamo alla bene e meglio cercando un buon compromesso tra forma, qualità e prezzo. E mentre siamo lì a contare i soldi e chiediamo sconto su sconto e ci diciamo quanto siamo stati bravi e furbi a spuntare quel prezzo, ho la certezza che quel cappello sia l’oggetto più inutile al mondo. Ma in quel momento, lì a Merida , quel panama era infinitamente desiderabile .

Passeggiamo distrattamente per la città, andiamo a sederci a un caffè in Plaza Hidalgo e lì vediamo i “riservati” le doppie sedie in pietra fatte a forma di esse dove un tempo i signori, con i loro bravi panama in testa, si sedevano da una parte e dall’altra per conversare, con un bel sigaro in bocca e un completo bianco di lino… Sul pullman per Merida il tempo scorre veloce. Arriviamo a Tulum alle 9 di sera e andiamo verso la spiaggia.

Cerchiamo l’albergo che abbiamo prenotato su suggerimento di un amico di Tommy. Pare sia un posto speciale, bello e un po’ caro ma ogni tanto bisogna trattarsi bene e questo è il momento giusto…

La Piedra Escondida, questo è il nome del posto, ci si presenta come una specie di paradiso. Noi, accaldati e arruffati con i nostri zaini ormai informi, sembriamo reduci da una guerra contro il tempo; loro, sembrano usciti da una pubblicità della cocacola. “Loro” sono tutte le persone che vediamo sedute fuori dalla hall, su tavoli apparecchiati sulla spiaggia, mangiando aragosta e altro ben di dio. Non c’è che dire, il posto è strafigo: strafigo anche perché non è eccessivo. E’ perfetto, perfettamente inserito in quella insenatura di spiaggia contornata da palme, costruito in modo armonico senza deturpare nulla: è fatto da 4 cabanas a due piani, con il tetto a cono coperto di frasche. La nostra camera è un gioiello, semplice, essenziale, intorno a noi muri giallo rosa, sopra di noi una cupola di paglia (studiatissima), davanti a noi la spiaggia, il mare e la luna che ci fa l’occhiolino.

Esprimiamo rapidi apprezzamenti gutturali alla vista del letto con zanzariera di garza bianca e poi ci fiondiamo al ristorante sulla spiaggia dove non resistiamo alla tentazione di provare linguine con gamberoni (“ma noooooooo le linguine in Messico nooooooo”- grida il buon senso; troppo tardi): roba da urlo…Le linguine sono perfette…Mmmmmh, qui c’è puzza di italiani.

E infatti le cose stanno proprio così: il posto è di un italiano, Riccardo, trapiantato a Tulùm, sui trentacinque anni abbondanti, un Vasco Rossi del Messico, scazzatissimo, rilassatissimo (te credo!): uno simpatico comunque.

Chiudiamo la serata con una capatina in spiaggia a contare le stelle.

9 AGOSTO DA TULUM A PLAYA E’ mattina e fa già un caldo assurdo. Noleggiamo due bici e pedaliamo fino al sito di Tulum. Le rovine non sono eccezionali paragonate a quello che abbiamo visto fin’ora, ma la loro posizione a picco sul mare turchese, fa sì che lascino per sempre una traccia nella mia memoria.

Facciamo dietro front, il sole picchia impietoso, anche se pedalare lungo la strada in mezzo alla selva ti fa sentire parte di questo luogo. Urge una sosta però, un bagno ristoratore. Ci fermiamo nei pressi di una spiaggia. Semideserta. La sabbia è bianca e fine, l’acqua è cristallina e immobile, limpida come l’aria. E’ il mio primo bagno nel mar dei Caraibi. In Italia una spiaggia così sarebbe coperta di corpi. Qui invece no. Incredibile.

Non c’è tempo per fermarsi troppo: un bagno e via , verso la Piedra Escondida. Faccio il pieno di aguacate e Tommy si fa il più grosso club sandwich mai visto.

Mentre mangiamo ascoltiamo della gran bella musica, scopriamo che è di un famoso complesso messicano, i Manà; credo che cercherò la loro cassetta una volta tornata a Città del Messico.

Tommy sta male, ha mal di gola e scotta come una bistecchiera. Una pennica sotto le palme non sembra migliorare il suo stato. Nel frattempo la reception mi passa un messaggio: è di Laura e Matteo, che ci confermano di aver prenotato una camera anche per noi nel loro albergo.

Alle sei prendiamo un pullman per Playa del Carmen.

Arrivati a Playa cerchiamo l’albergo e lo troviamo piuttosto facilmente: nuovo, non ingombrante, è immerso nel verde e fuori dal casino. Matteo e Laura hanno contrattato in modo marocchino il prezzo della stanza: sono dei gran furbi, non li fregherà mai nessuno. La sera usciamo a cena con i magnifici quattro: Matteo, Laura Ezio e Rosy. Beviamo Daiquiri stratosferici: i cocktail qui in Messico, ovunque si bevano, sono lontani anni luce da quelli che ci propinano in Italia. Camminando per le strade di Playa, Laura viene chiamata da qualcuno, è un italiano , un milanese, ecco, ne arriva un altro, arrivano altre tre ragazze e…Oh toh , pare ci sia anche la zia di suo cugino…Fermi tutti, AAAALLT: ma dove sono, in Messico o a Milano in Piazza San Babila? Playa del Carmen è un posto allegro, alcuni punti sono piacevoli con tutte quelle case colorate , ma è troppo incasinata per i miei gusti, troppi turisti, troppi negozi, troppi italiani.

Quello sbomballato di Riccardo della Piedra Escondida la chiamava “la Riccione dei Caraibi”. Esagerava un po’ ma Playa non è esattamente un paradiso incontaminato.

10 AGOSTO LA RICCIONE DEI CARAIBI Abbiamo puntato la sveglia alle sette , l’idea è quella di andare a fare un giro all’isola di Cozumel. La sveglia suona, noi due ci guardiamo in faccia mezzo secondo, tempo sufficiente per capire che nessuno dei due è minimamente intenzionato a muoversi da quel letto per le tre ore successive.

Perse le tracce di Laura e Matteo, usciamo dall’albergo e ci dirigiamo verso la spiaggia.

“Perché -mi chiedevo ieri- ci si deve spingere fino in Messico per andare in un posto come Playa? La risposta mi arriva precisa e chiara quando i nostro occhi vedono il mare.

Che spiaggia.

Che mare. Che meraviglia.

Playa è perfetta per chi cerca comodità, vita e mare caraibico contemporaneamente.

L’acqua è tiepida, pulita e trasparente. Ci sono troppi baretti e musiche hunz hunz, così ci spostiamo un po’ sulla destra che sembra più tranquilla e ci concentriamo sul mare. Il sole. La sabbia. Il rumore impercettibile dell’acqua.

Tommy non sta ancora bene, in effetti ha un po’ sottovalutato e trascurato il suo stato di salute già precario. Domani si partirà per Isla Mujeres, ultima tappa del nostro viaggio, dove trascorreremo cinque giorni di mare sole, relax. Matteo e Laura sono già là, a fare da apri-pista.

11 AGOSTO VERSO ISLA PASSANDO PER CANCUN Per andare a Isla Mujeres il passaggio da Cancùn è obbligato.

Ci fermiamo lì solo poche ore: Cancùn è una citta finta. Non ha nulla di messicano, solo la posizione geografica. Piena di negozioni, di albergoni, di orde di turisti, macchine e casino. Unica nota positiva: il mare-bello-da-mozzare-il-fiato, come ovunque qui nello Yucatan.

Partiti da Cancùn a bordo di una colorata bagnarola, attracchiamo ad Isla dopo poco più di un’ ora.

Arrivati là non riusciamo a trovare posto nell’albergo di Laura e Matteo, economico e molto carino ma pieno fin all’orlo.

Troviamo una stanza in un albergo di fronte a Playa Norte, la più bella spiaggia dell’isola. L’albergo è un po’ caro ma è l’unico posto disponibile per oggi. Domani si vedrà.

Facciamo quattro passi sulla spiaggia: le nostre facce sorridono, come bloccate da una paresi: palme da cocco, sabbia bianca e borotalcata, acqua verde trasparente e immobile, bassa fino al largo. Turisti si, ma non troppi, non eccessivi, non invadenti. Silenzio tutt’intorno. Un paradiso.

Il sole picchia pesante. Tommy boccheggia come un pesce nell’oceano. Ma non sta nuotando, è lì di fianco a me sulla spiaggia con la faccia rossa e gli occhi lucidi. Adesso sta davvero male. Torniamo in camera, reperiamo un termometro e dopo cinque minuti ecco comparire il responso sulla colonnina di mercurio: trentanove. Il poverino trascorre il pomeriggio in compagnia di tachipirina e di quant’altro serva a sfebbrarlo il più rapidamente possibile.

Io veglio il fidanzato per un po’ poi il gatto e la volpe (Laura e Matteo) bussano alla nostra porta e mi convincono a seguirli in spiaggia. Fa un caldo africano. Non ci resta che stare a mollo tutto il pomeriggio e la cosa non ci dispiace affatto. Nonostante le protezioni UV-A, UV-B, fattore 8, 10 e 12, la nostra pelle cambia colore con rapidità camaleontica e ci abbronziamo a vista d’occhio.

12AGOSTO ISLA Matteo e Laura arrivano da noi verso le nove. Hanno noleggiato un motorino e vogliono fare il giro dell’isola. Tommy sta già molto meglio ma una giornata in motorino sotto il sole cocente potrebbe dargli il colpo di grazia. Salutiamo i nostri amici e decidiamo di restare buoni buoni lì a Playa Norte e conservare le energie per l’escursione di domani che prevede giri sulle barche dei pescatori e snorkelling a volontà.

Dopo un lungo, rilassantissimo bagno, facciamo una passeggiata in paese, l’unico dell’isola. Il paese è sullo stile di Playa del Carmen ma è più piccolo, più tranquillo, più curato. D’altra parte Isla Mujeres è lunga otto chilometri e larga meno di uno.

Torniamo in spiaggia verso le cinque, ora in cui scatta l’happy Hour alla Barra del Kin, un chiringuito sulla spiaggia con bancone di legno, tetto di paglia amache e altalene come sgabelli.

Due Pinà colada costano venti pesos la coppia. E sono ciò che di più buono io abbia mai bevuto sulla terra.

La sera in paese ascoltiamo musica dal vivo in un locale del paese, il Charlie Brown, e beviamo caipirinha e frozen Daiquiri come se piovesse. Il tutto in happy hour, perche qui l’ora feliz tira avanti tutta la notte.

13 AGOSTO SNORKELLING Giornata di sole abbagliante.

Abbandoniamo il costoso albergo sulla spiaggia per andare in quello di Matteo e Laura dove finalmente si è liberata una camera: più bello e più economico.

Alle 9 siamo tutti al molo per fare snorkelling. Partiamo a bordo di una bagnarola colorata. Prima tappa:il faro. I pescatori che ci accompagnano lanciano pezzi di pane in acqua…Uno, due, tre secondi ed ecco comparire una miriade di pesci iridati in un mare azzurro piscina.

E noi, bardati con pinne boccaglio e maschera, ci tuffiamo per vederli da vicino. E’ uno spettacolo. Una sensazione indescrivibile: sto nuotando in mezzo a pesci multicolori in un acqua tiepida e cristallina al largo di un’isola nel mar dei Caraibi. Pesci a strisce gialle e nere, pesci con pinne blu , pesci grigi che sorridono, pesci iridati. Sguazziamo nell’acqua per un bel po’, ci sentiamo un po’ bambini.

Risaliti sulla bagnarola passiamo di fianco a un recinto pieno di delfini (!) dove americani e giapponesi ci nuotano insieme per la modica cifra di 120 dollari a testa. Il tutto mi fa un po’ tristezza.

I delfini sono bellissimi, sembrano creature mitologiche. Lisci, con la pelle lucida e grigioperla, il profilo arrotondato, sono un insieme armonioso di linee morbide e curve.

Prossima tappa il reef. Sappiamo già che il reef qui non è dei migliori, il più bello della zona è a Cozumel. E’ comunque un piacere continuare a nuotare in mezzo ai pesci che ti sfiorano e ti vengono incontro senza alcun timore, come se anche tu fossi parte del mare.

Arriviamo poi al Garrafòn, parco naturale dove l’acqua è di un colore indescivibile. Anche qui nuotiamo in mezzo a banchi di pesci, sono ancora più vicini, proviamo a toccarli ma sfuggono via, sono più veloci delle nostre mani.

Risaliamo in barca e dopo pochi minuti attracchiamo a un molo. I pescatori scendono e iniziano a cucinare sotto una specie di tettoia. In acqua, in un recinto, vediamo uno squalo mezzo rimbambito, assediato da un paio di turisti che continuano a fotografarlo e a farci il bagno insieme senza alcun pericolo.

Mentre noi guardiamo attoniti e disgustati la scena, questa povera bestia, completamente spogliata della propria natura e dignità, mi fa una pena infinita. Mi perdo allora a immaginare il suo riscatto: mentre i turisti sguazzano ottusamente nei paraggi, certi di avere a fianco un enorme barbabietola con le pinne, tutt’a un tratto el garrafòn si risveglia, i suoi denti bianchi luccicano e schioccano affilati mentre addenta l’alluce del giapponese e strappa via il bikini all’americana.

Le mie elucubrazioni vengono bruscamente interrotte da un “ola” dei pescatori: il pranzo è pronto. Il pescado non è male, è carnoso e soprattutto è immenso.

Ritorniamo alla base e passiamo il resto del pomeriggio tra un bagno e una pina colada alla Barra del Kin.

14 AGOSTO TODO MARE TODA PLAYA TODO SOL Matteo e Laura partono in mattinata. Li rivedremo a Milano.

La nostra ultima giornata a Isla si svolge più o meno così: bagno. Spiaggia. Sole. Barra del Kin. Bagno . Spiaggia. Sole. Barra del Kin Nel tardo pomeriggio sulla spiaggia vediamo un tramonto commovente, indescrivibile. Sfumature di rosa, rosso e violetto mai viste. Scattiamo qualche foto, sperando di “portarci via” parte di quella bellezza.

15 AGOSTO RITORNO A CITTA’ DEL MESSICO Il nostro volo Cancùn-Città del Messico atterra nella capitale a mezzogiorno.

Sul volo conosciamo un americano di San Francisco che era a Isla anche lui e che viaggiava molto in barca. Quest’anno appunto era arrivato in Messico. A breve sarebbe tornato giù per portarla a Cuba.

Noi lo guardiamo come si guarda un mito irraggiungibile: sorriso ebete, espressione sognante negli occhi.

Ritorniamo al Ritz, dove ci fermiamo per l’ultima notte. Nel primo pomeriggio prendiamo iun maggiolino e facciamo una passeggiata nella Zona Rosa, turistica, elegante e alberata e poi in Plaza Garibaldi.

Plaza Garibaldi è molto caratteristica, lì ti senti davvero in Messico, i colori sembrano forzati, le insegne messe lì apposta. Non è così.

Quattro bambini giocano a calcio, mentre il cielo si riempie di nuvole plumbee.

Noi ci sediamo su una panchina e ascoltiamo in silenzio. E’ una delle più belle “fotografie” di Ciudad che ricorderò.



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