Hong Kong e Macao, 15 anni dopo

La frenesia di Hong Kong e la saudade de Macau
Scritto da: giubren
hong kong e macao, 15 anni dopo
Partenza il: 14/02/2013
Ritorno il: 25/02/2013
Viaggiatori: 2
Spesa: 2000 €
Luglio 1998, la mia prima volta in Cina.

Era passato meno di un anno dalla restituzione di Hong Kong alla Repubblica Popolare da parte della Gran Bretagna, probabilmente gli abitanti – se interpellati – avrebbero preferito un diverso destino, trasformando la colonia in uno stato autonomo. Ogni traccia della passata sovranità fu rapidamente cancellata, per puro caso una moneta da 1 dollaro con l’effige della regina Elisabetta mi capitò tra le mani sul lungo mare di Kowloon, retaggio di un recente passato ormai tramontato.

Gli inglesi ebbero l’indubbia capacità di trasformare un umile porto di pescatori in una delle piazzeforti economiche più importanti dell’Asia e già sul finire dell’800 Hong Kong era considerata una città moderna, con i suoi tram elettrici e l’efficiente amministrazione coloniale, tale da suscitare l’ammirazione di Sun Yat Sen, poi eletto primo presidente della Repubblica Cinese, che non riusciva ad individuare altre città ad essa equiparabili nell’Impero di Mezzo nonostante i suoi 2000 anni di storia.

Hong Kong è stata da sempre considerata un esempio e ormai si potrebbe tranquillamente affermare che ogni città cinese vorrebbe assomigliare al suo impianto urbanistico di grattacieli, come se il modello dell’ex colonia sia davvero quello in grado di imporsi al resto del Paese e non viceversa.

Il potente vicino ha finora mantenuto la promessa di mantenere inalterato l’ordinamento della sua regione speciale per 50 anni, nonostante una progressiva restrizione delle libertà individuali. Non ho trovato la città particolarmente cambiata se non nell’ulteriore sviluppo delle infrastrutture che collegano le varie parti del suo territorio. Per il resto, Hong Kong continua ad essere la vibrante e frenetica città che ricordavo, o quasi.

Ritrovandosi qui nel 2013 dopo aver visitato varie altre province del Mainland (come viene chiamato da Hong Kong il resto territorio della Repubblica Popolare di cui oramai fa parte), inevitabilmente si colgono tutte quelle differenze a cui i locali tengono molto. Spiccano le file ordinate alle fermate degli autobus come a Londra, abbigliamento curato e senz’altro abitudini decisamente accettabili agli occhi occidentali con il divieto “no spit” esposto un po’ dovunque. Incredibilmente, la lingua inglese sembra essere ancora più diffusa oggi rispetto al passato e la comunità di stranieri che lavora e vive nella ex colonia è principalmente anglosassone. Altri sono poi i particolari che risaltano all’occhio attento, tra cui l’utilizzo degli ideogrammi classici (rispetto a quelli semplificati voluti da Mao) e l’utilizzo del cantonese rispetto al mandarino (il dialetto di Pechino imposto al resto delle provincie come lingua nazionale). I locali non hanno mai mancato di sottolineare gentilmente la differenza delle poche parole a me note in cinese rispetto agli equivalenti in cantonese che, a tutti gli effetti appare come una lingua completamente diversa.

Alloggiamo i primi giorni sull’isola di Hong Kong, e precisamente sulla Hollywood road nei pressi del tempio di Man Mo. La zona è nota per i suoi negozi di antiquari e si trova in prossimità di Soho e del quartiere di Lan Kwai Fong, zone note per i vivaci locali notturni e ristoranti.

La toponomastica è rimasta inalterata dal tempo degli inglesi e sulla Des Voeux road continuano a scorrere sui binari i famosi tram elettrici a due piani. Central, Wan Chai, Admiralty sono i quartieri in cui si concentrano i grattacieli più alti e gli edifici di epoca coloniale sono davvero pochissimi e completamente adombrati dall’imponenza dei giganti di vetro ed acciaio che li sovrastano. Raggiungiamo il Victoria Peak con la caratteristica funicolare rossa dopo un ora di fila per ammirare il più spettacolare panorama della baia. Al posto della tranquilla terrazza che ricordavo si trova oggi un enorme centro commerciale a forma di mezza luna sovrastato dalla sky terrace il cui accesso è a pagamento. Notevole anche il panorama dalla Bank of China Tower, dove si accede gratuitamente al 43° piano. L’edificio, dal profilo avveniristico, è stato concepito dall’architetto Pei, lo stesso che ha ideato la piramide del Louvre a Parigi. Il Noon Day Gun a Causeway Bay continua puntuale a sparare a salve alle ore 12:00, mantenendo in vita una tradizione di epoca coloniale.

Hong Kong, sia nella parte insulare che in quella continentale, è un immenso centro commerciale ed un vero proprio inno al consumismo più sfrenato anche se ormai campeggiano ovunque i brand di abbigliamento occidentali, soprattutto italiani. Dai mega schermi digitali scorrono le riprese delle sfilate con modelli dalle fattezze per lo più occidentali. E poi una vera e propria orgia di gioiellerie, negozi per apparecchiature fotografiche, farmacie tradizionali una di seguito all’altra. Kowloon e la sua Nathan road rappresentano senz’altro la zona più frenetica della città, tuttavia non mancano delle inaspettate oasi di tranquillità facilmente raggiungibili in poche fermate di metro. Il giardino Nan Lian realizzato nel 2006 ed il vicino monastero di Chi Lin costituiscono un sorprendente angolo di Cina tradizionale. Gli edifici del monastero sono stati realizzati in legno ad incastro in puro stile Tang negli anni ’90: maestranze provenienti dal nord del paese ed esperte in architettura tradizionale hanno realizzato questo complesso di edifici stupefacente. Nella parte settentrionale di Kowloon meritano una visita anche il Walled City Park, ispirato ai giardini di Souzhou e realizzato dopo l’abbattimento un quartiere fatiscente, e il tempio di Wong Tai Sin, tra i più frequentati, dove i fedeli agitano costantemente cilindri con bacchette di legno che, una volta cadute per terra saranno oggetto di interpretazione degli indovini.

La zona più nota di Kowloon è senz’altro la Tsim Tsa Shui Promenade che si affaccia sulla baia e su quello che è forse il porto naturale tra i più affascinanti del mondo. La sera, il traffico mercantile e dei traghetti della Star Ferry si accompagna al fantasmagorico spettacolo delle luci dei grattacieli, che raggiunge il suo apice durante la mezz’ora della “Simphony of Lights”. In quest’area si trovano i principali musei di Hong Kong ed il famoso Hotel Peninsula di epoca coloniale, dove nella hall si serve l’high tea delle ore 5, nel pieno rispetto della migliore tradizione inglese. Imperdibili anche gli sky bar sui grattacieli per gli incredibili panorami notturni: l’Aqua Spirit è forse il locale da non perdere per la sua musica di tendenza e per la vista a 360° sulla città.

Tra le escursioni più note, non può mancare la visita all’isola di Lantau, la maggiore tra le isole esterne del territorio di Hong Kong, dove si trova il monastero di Po Lin e la statua bronzea del Tian Tan Buddha, alta 26 metri. Questo famoso complesso monumentale nel 1998 era stato realizzato solamente da un paio d’anni ed era incredibilmente tranquillo. Oggi rappresenta una delle principali attrazioni turistiche della ex colonia, dove i visitatori raggiungono un villaggio in finto stile tradizionale tramite una cabinovia sorto dal nulla proprio di fronte la grande statua. Dietro la sala principale del monastero si sta costruendo una nuova ed ingombrante sala “dei 10.000 buddha” dalle colorazioni piuttosto sgargianti che, una volta ultimata, sovrasterà con la sua altezza gli edifici preesistenti.

Hong Kong continua la sua frenetica corsa verso il futuro mentre tra le bancarelle di chincaglierie di Cat Street sono ancora in vendita le vecchie foto che ritraggono una città romantica con un lungomare di edifici coloniali, maestose giunche dalle vele spiegate, sanpan e strade attraversate dai caratteristici rickshaw e fiancheggiati da edifici caratterizzati da frenetiche attività commerciali non globalizzate. Un mondo antico ormai scomparso ed inaspettato, visto che la mia stessa generazione aveva imparato a riconoscere sui libri di scuola Hong Kong come una città di grattacieli ed ultima significativa colonia inglese rimasta sugli atlanti geografici.

Macao, febbraio 2013.

Nel 1998, sul pennone della Fortaleza do Monte, ancora sventolava la bandiera portoghese. La sovranità lusitana era ormai agli sgoccioli: ancora pochi mesi ed anche questo remoto avamposto sarebbe stato restituito alla Cina, chiudendo definitivamente il capitolo dell’epopea coloniale europea in terra asiatica. Tornando a Macao, oggi si ha la chiara percezione del cambiamento politico oltre del maggiore sfruttamento turistico del territorio che un tempo era quasi sconosciuto ai più. Anche la geografia è cambiata: Taipa e Coloane, le due isole un tempo appartenenti alla colonia, oggi ne costituiscono una sola. E’ stato bonificato il tratto di mare che le separava e che oggi costituisce la striscia di Cotai dove sono stati costruiti enormi e pacchiani complessi alberghieri e centri commerciali con annessi casinò. Macao si è trasformata in una sorta di Las Vegas d’oriente, volta ad incentivare la passione dei cinesi per il gioco d’azzardo.

Dall’alto della fortezza di Guia, situata sul punto più alto della città, un tempo era possibile ammirare (almeno fino agli anni ’60) un panorama decadente di tetti di tegole, forse molto simile a quelli dei miradouros di Lisbona. Oggi purtroppo la vista è oltraggiata da alti e poco estetici palazzoni in cemento, che occupano anche i territori del Mainland che circondano la penisola e dall’ingombrante sagoma della torre del Casinò Lisboa. Ma l’anima di questa città, incredibile mescolanza di elementi lusitani ed autoctoni tipico dei remoti possedimenti dell’impero mercantile seicentesco del Portogallo sparsi nel mondo, si rintraccia nelle sue piccole strade, negli edifici e nelle chiese che la rendono unica ed inconfondibile. L’affollamento turistico è ormai quasi insostenibile nelle vie principali e nella piazza del Leal Senado, dove ora gli edifici sono occupati da comuni esercizi commerciali. Il palazzo che da il nome alla piazza (il Leal Senado appunto) non ha più il proprio nome impresso sulla facciata: era stato così battezzato in quanto il senato di Macao si rifiutò di riconoscere l’occupazione spagnola del Portogallo del 1580 rimanendo fedele al re portoghese esiliato in Brasile, ma forse dopo la restituzione alla Cina nel 1999 quella scritta avrebbe potuto costituire un affronto imbarazzante. Il monumento più noto rimane la grandiosa facciata della chiesa di São Paulo, un tempo la maggiore dell’Asia per grandezza ma andata distrutta da un incendio che risparmiò solamente la parte anteriore dell’edificio. Sopravvivono negli immediati dintorni angoli pittoreschi, come il piccolo tempio cinese di Na Tcha che fiancheggia il superstite tratto delle mura che un tempo circondavano la città. Allontanandosi dalle zone più affollate ed incamminandosi sui marciapiedi decorati dalle pietre bianche e nere squadrate della calçada, tipica delle strade di Lisbona, ci si ritrova nella vera Macao, con i suoi giardini ordinati dove, nei padiglioni tradizionali, orchestrine improvvisate suonano musica tradizionale cinese accompagnando le cantanti di opera classica. Nelle chiese la messa viene recitata in portoghese ed i nomi delle vie (bilingui) sono scritti su piastrelle di azulejos bianche ed azzurre. Incredibilmente ben conservato, il distretto di San Lazzaro custodisce diversi caseggiati risalenti all’epoca coloniale, ma anche in altre zone, nascosti tra i nuovi edifici, piccoli templi cinesi ed edifici color pastello di gusto mediterraneo creano un mix inconfondibile. E poi, rua da Felicidade, un tempo sede dei bordelli, rimasta praticamente intatta con i suoi caseggiati tradizionali dalle persiane rosso vivo e nascosta tra i vicoli tra Largo do Senado e la piazza di San José. Sono passati oramai 15 anni, ma rivivo la strana nostalgia del passato, quando lungo l’avenida di praia grande del villaggio di Taipa pensavo di essere testimone di una realtà ormai desueta e destinata a tramontare per sempre, come da poco era scomparsa l’Hong Kong coloniale che non avevo avuto la possibilità di vedere. L’ultima colazione allo Starbucks di fronte alla facciata di São Paulo prima di riprendere il traghetto veloce per Hong Kong e di salutare Macao forse per l’ultima volta, e ritrovo tra le varie patacas datemi di resto nuovamente un dollaro di Hong Kong con l’effige di Elisabetta, questa volta retaggio di un passato tramontato definitivamente.

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Macau, street temple



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