Dar es Salaam

Due terre vicine vicine, ma lontane lontane
Scritto da: percy_elena
dar es salaam
Partenza il: 24/07/2011
Ritorno il: 06/08/2011
Viaggiatori: 2
Spesa: 2000 €
Finalmente è arrivata la data tanto attesa, il 24 di luglio, il viaggio che tanto aspettavamo di fare, per diversi motivi: andare in ferie e rilassarci, il safari in Tanzania, conoscere il mare e le meravigliose spiagge di Zanzibar, ma soprattutto perché avverrà il nostro matrimonio!… quindi due sogni si avvereranno per entrambi: sposarsi e su di un’isola tropicale in intimità…

Il viaggio è così organizzato: volo Milano Malpensa-Il Cairo-Dar es Salaam. Da qui andremo a Mikumi National Park dove pernotteremo 2 notti. Poi Zanzibar costa orientale: 2 notti staremo al lodge Mbuyuni, località Jambiani, poi andremo al Karafuu Beach Resort, località Pingwe, per sposarci, soggiornandovi 7 notti e poi torneremo di nuovo a Mbuyuni. Solite tratte al ritorno, con la differenza che per andare a Dar es Salaam non prenderemo il traghetto ma l’aereo per goderci tutto il giorno e non rischiare interruzioni da mare mosso.

È la prima volta che ci svegliamo così entusiasti la mattina alle 6:00. Dopo aver chiuso le valigie e fatto gli ultimi accertamenti di non aver dimenticato nulla non ci resta che dare un salutino alle squinfere (le nostre gattine) e partire ma… ci accorgiamo che sono davvero pesanti i bagagli. A parte magliettine, pantaloncini, costumi e oggetti che rientrano nella categoria ” e se poi non lo trovassimo??” Abbiamo un po’ esagerato nel portarsi dietro anche phon, ferretto e piastra per capelli!?! Anziché un viaggio sembra un trasloco… comunque partiamo. Il viaggio da Viareggio a Milano Malpensa è stato molto piacevole visto che le strade erano semideserte, le persone del nord scendevano per andare al mare e noi facevamo come i salmoni risalendo l’autostrada. Giunti a Milano ci incontriamo con Daniele che ci accompagnerà all’aeroporto lasciandogli la nostra macchina in custodia, per non pagare il parcheggio… per i viaggiatori fai da te come noi è un buon risparmio! (speriamo solo che al nostro rientro ci sia ancora la macchina vista la sua difficoltà alla guida!). Una volta entrati in aeroporto ci mettiamo in fila per il check-in, tra l’altro una fila kilometrica che scoraggerebbe chiunque ma tanto andiamo in vacanza e abbiamo tempo! Dopo circa 15 min si avvicina a noi un “angelo” che chiedendoci se siamo qui per il tax-free ci fa render conto che abbiamo imbroccato la fila sbagliata ma tutto sommato ci è andata di lusso,pochi i minuti persi! Ci accodiamo alla giusta fila, 20 minuti e i bagagli sono partiti.

L’attesa per l’aereo passa veloce andiamo al duty free e ci profumiamo anche un po‘, pranziamo veloce in un ristorante italiano, anche perché per 15 giorni mangeremo solo prelibatezze africane, e diamo una sbirciatina in libreria. Una volta a bordo siamo subito molto contenti dell’accoglienza dell’equipaggio dell’ Egyptair, si dimostrano sorridenti accoglienti e simpatici e pensate un po’, non parlano neanche la nostra lingua!

Prima tappa Il Cairo. Il volo dura 4 ore e a pranzo degustiamo un buon pollettino al curry con riso e verdure. L’aeroporto non è molto grosso e poco frequentato probabilmente per l’ora tarda, ma molto accogliente dal momento che un sorriso da parte loro non manca mai. Rimaniamo affascinati dalla multi etnia intorno a noi.. passano le tre ore di attesa ed ecco che annunciano il volo per Dar es Salaam (Tanzania). Questa volta ci aspettavamo un aereo un po’ più grosso ma comunque è molto comodo e stiamo volando sempre con Egyptar dove troviamo la stessa accoglienza. Ci aspettano 6 ore di volo questa volta,ma ci “volano” velocemente anche perché ci collassiamo dal sonno, praticamente subito, svegliandoci solo dal profumo della cena e poi di nuovo ci addormentiamo. La voce del comandante ci fa da sveglia, stiamo atterrando e sono le 05:30 del mattino del 25 luglio. Una cosa che ci affascina subito è l’andare a piedi dall’aereo fino all’aeroporto molto piccolo di Dar es Salaam, dove ci ritroviamo tutti in una stanza molto spartana a compilare il visto d’ingresso (50 $ è il prezzo! consigli: non fatelo prima di partire, potete benissimo farlo qua, altrimenti lo pagherete 50 €; dollaro alla mano perché per loro $ o € è lo stesso cambio; controllate bene la data di emissione del dollaro che sia coniato dopo il 2000 perché quelli prima non vengono accettati… e non sentono ragioni!). Siamo in pochi ad aspettare ma una mezz’ora passa lo stesso… sarà per i loro ritmi molto tranquilli?… visto che per mettere un timbro sul passaporto erano in 9 dietro al bancone , a guardarsi fra loro! Appena usciti dall’aeroporto veniamo accolti da una dolce alba africana e un’aria tiepida smorzata solo dall’insistenza di taxisti pronti a portarti dovunque… la nostra destinazione è il parco naturale a Mikumi per un safari, dove rimarremo 3 giorni. La nostra prima intenzione è prendere un aereo, convinti di poterlo fare dopo aver consultato una compagnia aerea via internet grazie ai consigli letti sulla guida di Lonely Planet… tra l’altro dopo un contatto via e-mail per avere gli orari precisi ci vengono chiesti anche i dati della nostra carta di credito con relativa data di scadenza per effettuare la prenotazione ma non so se per una nostra eccessiva prudenza o per un non so che puzzo di “bruciato” preferiamo rimandare tutto e farlo sul posto… cosi’ cominciamo a cercare la compagnia Safariairlink chiediamo anche in giro non vedendo alcuna insegna ma dopo svariati “scusate ma non la conosciamo” o “non esiste” in diverse lingue del mondo tiriamo un sospiro per aver salvato la nostra carta di credito… Alternativa (obbligata): macchina a noleggio con autista data la scarsa conoscenza del posto, la condizione della strada, la guida a destra e la spericolatezza degli automobilisti in genere.

Ironia della sorte… giriamo e rigiriamo e alla fine ci tocca rivolgerci alla persona che per principio avevamo scartato per la sua insistenza e pedanteria e perché veramente al posto della nostra ombra c’era lui! Comunque dobbiamo ammettere che anche rispetto ad una Hertz o Avis lui è il più onesto-Safari planners & adventure ltd- del sig. Kennedy (molto assomigliante al personaggio Squiddi, del cartone animato “Spongebob” ) … 600 $ andata e ritorno comprensivo di jeep autista e carburante per 3 giorni. Paghiamo 500 $ subito e 100 $ le daremo al nostro ritorno. Ricevuta alla mano finalmente partiamo. Ma ecco subito un piccolo imprevisto; multa per divieto di sosta perché il nostro autista ci abbandona dentro la macchina in una zona di sosta vietata per tornare in aeroporto a cambiarci i soldi. Il parcheggiatore è stato un fulmine! Due gesti e avevamo un marchingegno di ferro con tanto di catena fissato alla ruota anteriore destra. E’ bastata una breve chiacchierata tra loro e si è tutto risolto in un saluto.

La capitale tanzaniana è davvero invivibile a livello di traffico, molto caotica per chi non è abituato e pericolosa, ti sbucano bici, pedoni e macchine dovunque… anche l’aria è irrespirabile e sulle strade non notiamo alcuna indicazione. Riusciamo a sfuggire dal caos della città e ci inoltriamo lungo l’unica strada statale che ci porterà a Mikumi. Sarà un susseguirsi di spazi immensi verdi intervallati da piccoli insediamenti umani con case costruite con materiali di recupero come legno, fango e lamiere. Ne fanno parte anche piccole botteghe che vendono di tutto, ma molto lontane dalla nostra realtà. Il viaggio di circa 4 ore e la monotonia del paesaggio non aiuteranno ad ammazzare il tempo e presto la stanchezza accumulata avrà il sopravvento. Monotonia non vuol dire paesaggio brutto e insignificante ma semplicemente enormi distanze fra i centri abitati e tra uno e l’altro ettari ettari e ancora ettari di terra incontaminata e selvaggia. Che peccato chissà quante particolarità ci siamo persi! Giungiamo a Mikumi presso l’hotel Tan Swiss a conduzione svizzero-tanzaniana per l’ora di pranzo e subito la fame si fa sentire, molliamo le valigie in camera e ci avventiamo sul buffet veramente molto buono e in un attimo divoriamo il tutto! (il prezzo di una stanza doppia è di 50 $ con prima colazione e ogni pasto a buffet è a 10 $, esiste anche il menù alla carta con prezzi molto accessibili). Notiamo subito che il lodge è molto carino e nella sua semplicità non manca di niente: le stanze sono dotate di zanzariera, ventilatore, aria condizionata e bagno con doccia, il tutto ben pulito. Il servizio al ristorante e al bar è accurato. Peccato solo che parlano a stento l’inglese e con una pronuncia diversa, ma riusciamo lo stesso a farci capire.

Vogliamo sfruttare il tempo che abbiamo e decidiamo di partire subito per il safari, già, un aneddoto: abbiamo preferito contrattare con chi ci ha noleggiato la macchina anche l’accompagnamento al safari, con il solito autista, visto che qua costa 190 $ macchina, carburante e autista al giorno e max 6 persone. Noi ce la caviamo con 150$ per 2 giorni, mica male no? L’hotel dista a soli 2 km dal cancello d’ingresso del parco – l’entrata costa 20 $ a testa per 24 ore così abbiamo pagato anche per il giorno dopo e 10 $ il giorno la guida(comprensivi di mancia per l‘autista), consigliata perché conosce i luoghi dove vedere molti animali nascosti e mimetizzati nella savana che a occhio inesperto possono sfuggire. Il parco è aperto dalle 6 del mattino alle 18, tempo sufficiente per visitarlo. Il Mikumi National Park è spesso sottovalutato ma è, per estensione, il quarto parco della Tanzania ed il più facilmente accessibile da Dar es Salaam. Considerando che offre la certezza quasi assoluta di avvistare la fauna locale pensiamo sia la meta perfetta per un safari per chi non dispone di molto tempo come noi. Entriamo che sono le 15 e usciamo con il calar del sole… uno spettacolo unico e indescrivibile… purtroppo ci accorgiamo subito di una grossa dimenticanza, il binocolo! In questo mini tour nel parco vediamo impala, facoceri, gnu, zebre, giraffe, ippopotami, babbuini, elefanti, coccodrilli, oltre alle innumerevoli specie di uccelli… e poi indovinate un po’ cos’altro? Anche leonesse!! Non pensate sia facile incontrarle anche perché tendono a nascondersi per cacciare…

P.S: fate caso al silenzio che vi circonda… quasi surreale e comunque impensabile ormai sentirlo nelle nostre città anche nelle ore più nascoste della notte.

Usciamo dal parco veramente soddisfatti ma anche un po’ stanchi così torniamo al lodge e decidiamo, dopo una doccia rilassante, di fare una pennicchella che purtroppo si trasforma in una vera e propria dormita fino al mattino seguente. La sveglia già programmata riesce a svegliarci e, belli riposati, andiamo a ricaricarci con una nutriente e abbondante colazione tipica. Ore 7 l’autista e la guida puntuali fuori dall’hotel per poter ammirare gli animali alle prime ore del giorno prima che si possano nascondere dal sole e dal caldo. E così è stato! Oggi l’abbiamo girato per lungo e per largo il parco ed è stato molto interessante scoprire che ogni angolo della savana nasconde animali… loro non sono infastiditi dalla nostra presenza e ci guardano con occhi dolcissimi e incuriositi da farci venire voglia di scendere per accarezzarli, ma a parte la pericolosità (è assolutamente vietato lasciare l’abitacolo anche senza la presenza imminente di animali, possono essere nascosti nelle vicinanze, presi a puntare una preda e noi trovarci inavvertitamente nella traettoria di caccia), scapperebbero rompendosi l’incanto di sguardi… Alle 13:00 usciamo dal parco e l’unico animale non all’appello è il ghepardo, ma sappiamo benissimo che solo veri appostamenti, forse, darebbero frutto. Il tour è stato veramente interessante… ma le sorprese non finiscono qua ..la guida ci consiglia di visitare un allevamento di serpenti e coccodrilli presso il Genesis Hotel a solo 500 metri dal nostro lodge… e accettiamo!

L’entrata e’di 5 dollari ed è compresa la guida… il tour è breve ma curioso, e ricordatevi che se lo chiedete vi fanno fare anche la foto con un serpente al collo!

E’ arrivata l’ora di pranzo e sinceramente lo stomaco inizia a brontolare e quindi si torna al Tan Swiss dove dopo mangiato ci concediamo un po‘di riposo.

Alle 16:00 di nuovo puntuale viene l’autista a prenderci per farci visitare Mikumi city, il cui centro abitato si sviluppa lungo alcuni chilometri lungo la strada statale che porterebbe in Zambia ed ha l’inconfondibile atmosfera di un luogo di sosta per camionisti. Non ha niente di turistico, probabilmente perché troppo nascosta nel cuore della Tanzania e difficilmente raggiungibile ma sicuramente è una città tipica e genuina.

Sono le 18:00 e rincasiamo anche perche’ tra mezz’ora il sole tramonterà e l’illuminazione stradale è inesistente…. ci dilettiamo a vedere le foto ed i video fatti finora e ci accorgiamo che in 1 solo giorno e mezzo abbiamo già fatto più di cento foto… forse dovremo darci una regolata?!…ma credete è difficile rinunciare ad immortalare attimi unici e ahimè irripetibili.. Mangiamo qualcosa di veloce al ristorante (hot dog con patatine fritte) e ci sediamo nel piccolo portico di legno antistante la nostra stanza a goderci il silenzio rotto solo da cinguettii per noi non familiari …. tra una chiacchiera e l’altra si fa l’ora di andare a letto anche perchè domani ci aspetta un altro bel viaggio…direzione Zanzibar!(p.s. abbiamo conosciuto un prete missionario, nostro vicino di lodge, e ci ha insegnato 2 trucchi contro le zanzare: il primo è ogni volta che entrate nella camera di sbattere la porta prima e dopo essere dentro perché gli insetti si insidiano tra le fessure pronti ad entrare e il secondo di mangiare tanto aglio crudo che fa tenere alla larga zanzare e… secondo noi anche persone, non è un buon metodo per chi vuole socializzare!)

La sveglia come al solito è molto presto,ore 6.30 e, con occhi ancora chiusi, andiamo a fare una ricca e abbondante colazione perché ci aspetta una lunga giornata di viaggio. Valigie caricate e via… subito poco dopo partiti una sorpresa ci aspetta… Lungo la strada troviamo scimmie, babbuini, bufali, impala, giraffe; una di queste, in mezzo alla strada, ferma, ci guarda con i suoi occhioni grossi e dolcissimi e ci costringe a rallentare. Sembra vogliano tutti darci un saluto!! Proseguiamo il nostro viaggio ma non resistiamo a fare ancora foto in qua e la’ e una breve sosta ad un mercatino molto originale lungo la strada per la maniera di esporre gli oggetti, attaccati agli alberi. Un vassoio in vimini cattura la nostra attenzione e lo acquistiamo per ricordo.

Il viaggio dura tutto sommato 5 ore e appena arrivati alle porte di Dar, improvvisamente comincia ad annuvolarsi e una leggera pioggerella inizia a cadere. Ciò ci fa pensare ad un’alternativa al traghetto per Zanzibar, l’aereo, per paura del mare grosso. Questa pioggia per noi turisti sembra rovinare un po’ la vacanza ma poi, vedendo negli occhi degli abitanti la gioia, perché per loro è manna che cade dal cielo, sui loro terreni e sui loro animali ,fonte di sostentamento per tutti… almeno noi la prendiamo con filosofia, ritenendoci fortunati. Giunti al porto ad attenderci c’è il signor Kennedy il quale ci aiuta a fare il biglietto per il traghetto, visto che veniamo letteralmente assaliti da persone che farebbero di tutto per rendersi utili e ricevere cosi’ soldi, pensate vorrebbero portarci le valige anche per soli 20 metri e te lo chiedono in maniera insistente e aggressiva. Salutiamo la nostra guida, Malik, che ci ha accompagnato in questi giorni, non potendo aggiungere altro, visto che il suo inglese é molto stentato.

Primo piccolo fatto spiacevole… dopo aver fatto il biglietto e imbarcati sull’idro-jet della compagnia Azam Marine ci accorgiamo che l’addetto, al momento dell’acquisto, ha fatto male il cambio, confermato pero’ da Kennedy, facendoci spendere 15$ in piu’ del previsto. Non sono i 15$ in più in una vacanza, ma ci disturba il fatto di esserci erroneamente fidati di Kennedy, proprio quando ci eravamo rilassati nei suoi confronti… ci dovremo accertare al nostro ritorno se è un errore accidentale o no… Ragazzi, sempre occhi aperti e calcolatrice alla mano, perchè per quanto vogliamo allontanarci dalla figura del turista stereotipato, noi, comunque, per loro saremo sempre turisti, tanto più una bionda come Elena!

Il viaggio di 2 ore è molto piacevole e nonostante il mare grosso, Elena riesce anche a non prendere il travel gum… Che soddisfazione per lei… bellissimo, in lontananza avvistiamo lo spruzzo inequivocabile di una balena!

Da lontano ecco finalmente Zanzibar, che comunemente tutti intendono l’Isola di Unguja e che nel gergo locale significa “terra dei neri”. E’ un arcipelago dell’oceano Indiano formato anche dall’Isola di Pemba, situata più a nord e non lontano dalle sue coste subito a darci il benvenuto, le sue imbarcazioni tipiche-Dhow-Poche cose essenziali: scafo centrale due bilancieri laterali e una vela quadrata legata ad un albero. Il tutto in legno, semplicemente lavorato da loro.

Attracchiamo e tempo 5 minuti caos totale! Un formicolio di persone che si accalcano quasi travolgendoci per prendersi le valigie dagli appositi spazi… da perdere il “mi rinvengo”! Da noi, onestamente, anche i bagarini allo stadio sono diventati educati nell’attendere il proprio turno, per cui rimaniamo quasi shockati, ma cerchiamo comunque di mantenerci lucidi e ci concentriamo sulle valigie che non ci vengano portate via o per sbaglio o per ragione! Riusciamo a prendere i bagagli zigzagando tra le persone mettendo piede finalmente sulla terraferma. In men che non si dica veniamo di nuovo fagocitati dalle persone del posto (taxisti e papasi) proponendosi uno sull’altro, sovrapponendo le voci, strattonandoci e stiracchiandoci. Una nenia di “amigo”, “ciao gome stai”, ” io amico tuo”, “dimmi,guanto vuoi pagari io vengo incontro”, prezzi spampanati.. Pochi minuti di questo teatrino e poi non potendone più, siamo stati costretti ad alzare la voce e la quiete è tornata… Riusciamo così ad andare all’ufficio per riempire un nuovo visto d’ingresso sull’isola e cogliamo l’occasione di chiedere a quanti km dista la nostra prossima destinazione, Jambiani -56 km. Ci avviamo verso l’uscita del porto, ma niente da fare, tutto come prima, di nuovo tutti intorno a noi, chi ci tira da una parte e chi dall’altra, proponendoci tariffe per portarci al nostro hotel.

Secondo episodio spiacevole: una volta riusciti a contrattare il passaggio, saliamo in macchina convinti di aver a che fare con un taxista, invece, è bastato iniziasse a fare un classico giochino con i soldi, tra lui, l’amico al volante e con Percy nel mezzo, che ci siamo subito accorti della truffa, così ci siamo sbrigati a scendere dal veicolo (un ferro arrugginito), ed a recuperare subito le nostre valige, con loro che non ce lo permettevano, perché richiudevano il bagagliaio. Purtroppo è la solita tempistica avuta dal taxista, alla solita velocità è scappato a gambe levate con 7 dollari nostri in mano, lasciando il suo “socio d’affari” con le mani in mano, incredulo, forse non aspettandosi la sua fuga. Ovviamente noi, molto irritati della cosa, pretendiamo da quest’ultimo che ci renda i nostri soldi ma dobbiamo, nostro malgrado, ricorrere all’intervento della polizia locale e purtroppo nel frattempo rischiamo anche di entrare in colluttazione, per la rabbia che ci sta crescendo dentro dovuta alla sua ostinazione nel non darci il denaro indietro e alla nostra stanchezza accumulata dal viaggio.

L’orologio ovviamente va avanti, il buio prende il sopravvento e dobbiamo deciderci velocemente con quale taxista andare e alla fine decidiamo di dar fiducia ad un signore che ha chiamato la polizia per noi… Non potevamo farlo da soli perchè uno, era bloccato a discutere con il taxista, e l’altra a controllare le valigie che nel caos totale non venissero rubate.

Partiamo comunque dopo un’ora,perché ovvio la polizia deve chiarire la situazione spiacevole anche per loro, perchè non è certo la migliore delle accoglienze che un paese straniero desidera fare ai propri turisti. Poi molto efficenti ci aiutano a riavere in dietro il nostro denaro e alla fine recuperiamo i 7 dollari… Esausti e ammaliati partiamo! Già, alla fine il prezzo contrattato è di 40$ (prezzo giusto per quell’isola) perchè non ne possiamo più veramente, e vogliamo chiudere la giornata un po’ pesante! Non potete immaginare cosa sia il tragitto per Jambiani.. Il taxista percorre a 100 km orari una strada stretta,tortuosa, completamente priva di illuminazione, segnaletica e dall’asfalto sconnesso… sfiorando pedoni e animali che camminavano lungo la carreggiata. Data la velocita’ ed il buio noi ci accorgiamo solo all’ultimo delle loro sagome e la cosa ci fa sobbalzare e poi come in un video-game in 3D schiva veicoli, che sopraggiungono nel senso opposto di marcia, anche loro in sorpasso al centro della strada… e la cosa ci fa un po’ sorridere da incoscienti!! In soli 50 minuti arriviamo alla tanto sospirata destinazione – Hotel Mbuyuni ore 19:00 del 27 luglio-

P.s. c’era saltato in mente di prendere un mezzo a noleggio ma dopo aver visto questo, capiamo che sarebbe stato impossibile o molto difficile potercela fare da soli, solo chi è abituato a sopravvivere in queste strade riesce ad averla vinta, quindi alla fine abbiamo fatto la scelta giusta!

Arrivare in un posto nuovo e in un Paese così tanto lontano da noi fa sempre un non so che… il villaggio è un po’ avvolto nell’oscurità, il mare una macchia completamente nera però l’accoglienza è immediata e cortese. Nemmeno il tempo di mostrarci la camera e posare le nostre cose che la fame e il profumino dal ristorante ci catapulta seduti al tavolino a consultare il menù. Forse siamo un po’ di parte perche’ a noi questo tipo di cucina, un po’ speziata, ci piace ed in particolare impazziamo per il curry!

Subito dopo cena di corsa in camera a farci una bella doccia e… buonanotte.

Il rumore delle onde e del vento ci svegliano diverse volte durante la notte ma alla fine siamo in vacanza e basta girarsi dall’altra parte e riaddormentarsi.

Sinceramente una bella dormita “come si deve”, da quando siamo partiti, non l’abbiamo ancora fatta perchè ovvio c’è l’entusiasmo di fare tante cose e conoscere posti nuovi per cui come il buon detto dice “chi dorme non piglia pesci!” Anche gli hotel ci mettono del loro perché servono le colazioni dalle 06:00 alle 08:00; l’unica soluzione è arrenderci ai loro ritmi – a letto presto e levata presto cosicchè aumentano le ore di sonno.

Il ritmo di vita qui a Zanzibar non è assolutamente paragonabile al nostro, è respirabile dal primo giorno. Per certi versi sembra che qua il tempo si sia fermato. Per correre poi dove alla fine? Qua sembra che tutto sia già scritto, le persone si alzano con l’alba, pensano al cibo, non sempre facile da procacciarsi, sono felici se riescono nell’arco della giornata almeno a farsi un pasto decente, poi qualche lavoretto, che vien da chiedersi “che cosa fanno?”, perché nessuno di loro ha praticamente una vera e propria professione. Approfittano nel frattempo di chiacchierare con gli amici (perché uno, presumibilmente lavora e uno stuolo di persone guardano!) e così,arriva il tramonto molto anticipato qua perché siamo all’equatore, verso le 18:30 circa a rendere colorato il quadro sono le risate e le grida dei bambini che giocano anche se poi ci stringe il cuore nel vederli scalzi sporchi e con vestiti strappati perché sono questi i loro vestitini di sempre a parte quando indossano le divise di scuola. Pochi gli uomini che curano la loro immagine; le donne, per la maggiore ‘sfoggiano abiti tipici sicuramente dai colori molto sgargianti ed è facile vederle portare pesanti ceste in capo e perché no, spesso hanno anche il bimbo dietro la schiena avvolto nel «kanga», la fascia porta-bebè tipica dell’Africa. Sicuramente il livello di alfabetizzazione e di istruzione accomuna un po’ la Tanzania alla propria isola, riferendosi ovviamente alle zone turistiche, però per un turista che non mastica molto bene l’inglese trova indubbiamente meno difficoltà a Zanzibar… forse c’è più voglia di crescere, di migliorarsi.

Tic tac, tic tac… Driiiiinnnnnn… ore 07:00. Usciamo dalla nostra camera, classica luce delle prime ore del mattino e non crediamo ai nostri occhi. Uno spettacolo spettrale: il mare non c’è più! E’ rimasta solo la schiuma delle onde, le alghe, qualche conchiglia qua e là…solo alzando lo sguardo sbalordito quasi all’orizzonte notiamo che il mare è laggiù, si è completamente ritirato! Certo, questa non è altro che la bassa marea tipica di questa isola, ma credeteci, un conto è leggerne sulla guida turistica ed un conto e vederla dal vivo. Lo staff dell’albergo ci rasserena, dicendo che tra qualche ora il mare tornerà di nuovo a pochi metri da noi, e così è stato! E’ quasi visibile ad occhio nudo che il mare sta crescendo man mano riprendendosi tutto quello che aveva lasciato in ricordo. Che strano fenomeno!

Stamani non abbiamo programmi e fretta e ci decidiamo di prenderci una giornata ben meritata di relax, per cui colazione con molta calma, leggiamo su internet e sulla nostra guida i vari tour che possiamo fare sull’isola nei giorni che torneremo a Jambiani, prenotandoli e scambiamo 2 parole con un ragazzo, Sef Mirag, che lavora in questa struttura, chiedendo consigli su molti argomenti. Bene, perché non approfittare della bassa marea per una bella passeggiata sulla battigia? E così facciamo spingendoci verso sud.

E’ incredibile l’impatto con la sabbia, abituati alla nostra questa sembra stucco ma non tanto per il colore, di un bianco candido ma per la consistenza tanto polverosa quanto compatta al suo calpestio… Il sole vi riflette come fosse uno specchio, creando un bel contrasto di colore con l’azzurro del mare e il verde della vegetazione che gli fa da cornice. Simpatica anche questa momentanea prospettiva che ci offre il mare grazie al suo riflusso cosicché possiamo scoprire le abitazioni e i vari villaggi lungo la costa. Comunque non siamo i soli ad aver avuto questa idea perchè sulla sabbia ci sono già un sacco di orme di persone, di biciclette ma anche di animali come mucche per esempio!

Come per una coincidenza strana la nostra attenzione cade su un cartello esposto all’esterno di un’abitazione “Rent motorcycles and bicycles”, come se qualcuno leggendoci nel pensiero fosse corso ad appenderlo… non siamo abituati a trovare cartellonistica lungo la battigia. Alla fine la cosa giusta, al momento giusto, anche perché cosi’ possiamo andare a visitare altri posti piu’velocemente e senza doversi rigirare sui nostri passi. Andiamo in avanscoperta… attraversiamo un piccolo villaggio locale imbocchiamo l’unica strada importante di collegamento e andiamo verso sud. Dopo aver pedalato per qualche chilometro ci rendiamo conto che è un susseguirsi di resorts sulla nostra sinistra e sulla nostra destra terreno, terreno e terreno arido spoglio e ad interrompere la monotonia qualche palma in qua e là. Decidiamo allora di tornare al Mbuyuni anche perché si è fatta l’ora di pranzo.Una volta arrivati notiamo che finalmente il mare è arrivato accarezzando gli scogli sottostanti limitando la spiaggia a poche calette. L’entusiasmo ci porta a mangiare velocemente per poi correre a distenderci al sole. Ci prendiamo subito 2 lettini posizionandoli sulla battigia tra l’altro molto comodi se pur fatti in legno con la seduta di spago incrociato a mo’ di rete ma con sopra disteso un materassino di gommapiuma.

Passano così due piacevoli orette tra tintarella bagno pennichella e racchettoni e alla fine tutti e due insabbiati ci andiamo a fare una doccetta e ripartiamo a riconsegnare le biciclette. Solo una cosa ci preoccupa un po’, realizziamo che una volta fatta la consegna dei cicli, dobbiamo tornare indietro a piedi ma non lungo spiaggia, ormai sommersa dal crescere del mare, vista l’ora, ma ahimè via terra questa volta. Non possiamo aspettare che il mare inizi di nuovo a ritirarsi, vorrebbe dire per noi aspettare le 20:00 circa e non è una zona raccomandabile dopo il tramonto! Ci trovassimo fuori il villaggio a quell’ora in macchina sarebbe già diverso, ma non a piedi. Ecco una bellissima sorpresa! Arrivati a destinazione il ragazzo del noleggio gentilmente ci dice di poterle tenere anche per il nostro ritorno forse sapendo che non era buono per noi tornare a piedi per i motivi già detti e sarebbe poi venuto lui da noi a ritirarle… praticamente siamo andati là per niente ma ci è andata comunque di lusso! A proposito, il noleggio per metà giornata ci è costato solo 4$.

Torniamo quindi alla nostra base ed è tardo pomeriggio come stabilito per sfruttare le ore di luce e ci concediamo un momento di relax davanti ad una tazza di thé e plum-cake (Percy l’ha portati per Elena dall’Italia) seduti ad un tavolino in riva al mare che ci stava nuovamente abbandonando. Nel frattempo diventa buio,il tramonto purtroppo non lo vediamo perché siamo sulla costa orientale. Non ancora sazi ci prende la voglia di aperitivizzare con una birra accompagnata da un tubo di Pringles prima di cenare leggeri con 2 insalate. Chiamiamo i familiari per condividere con loro la nostra felicità, rassicurandoli che va tutto bene e poi ci accingiamo ad andare a dormire ma non prima di aver preparato una valigia da portare domani al Karafuu… e vi chiederete: cosa è il Karafuu? Beh domani ve lo spiegheremo.

Niente come non detto…una volta in camera non resistiamo alla tentazione di Morfeo (Dio del sonno) e rimandiamo tutto a domani. Lala Salama (buonanotte in swahili).

Sveglia anticipata ovvio ma che entusiasmo abbiamo!…In un batter d’occhio raggruppiamo tutte le nostre cosine in una valigia ed un trolley,sistemiamo la nostra camera,avviciniamo i bagagli al taxi del resort e via a fare una buona colazione.

Partiamo puntualissimi come dal nostro programma anzi ci prendiamo anche un po’ di tempo. Elena scatta ancora qualche foto e credetemi qua non si è mai sazi; sono posti talmente tanto ricchi di particolari che non finiresti mai di immortalarli. Il clic va da solo! Bellissimo poi quando lungo la spiaggia è sopraggiunta una mandria di mucchine fantastiche! e Percy, invece, si diletta a fare una bella passeggiata verso il largo fino a dove la bassa marea glielo consente, divertendosi a cercare stelle marine conchigliette o granchietti e come sempre dispettoso si diverte a giocare con quest’ultimi rincorrendoli.

Via, è l’ora di partire per il Karafu che in swahili significa “chiodi di garofano”, una spezia molto presente nella loro cucina, mai in maniera stucchevole però.

Il viaggio è breve, contrattiamo per 20$ e ci mettiamo già d’accordo per il ritorno il primo di agosto alle ore 11:00.

Arrivati davanti al Karafuu Hotel Beach Resort, innanzi a noi non si aprono le porte di un normale hotel ma quelle di un paradiso, rimaniamo senza fiato, senza parole… è bellissimo!

Ci vengono subito incontro ad accoglierci due ragazzi dello staff vestiti di bianco con fusciacca rossa in vita ed un caratteristico cappellino cilindrico appoggiato sulla testa con righe finissime bianche rosse arancio… Affidiamo loro i nostri bagagli intanto che noi facciamo il check-in. La ragazza della reception, dall’aspetto un po’ buffo, ci fa subito accomodare nella hall in uno dei tanti salottini e una volta accomodati davanti ad un drink di benvenuto si appresta a fare gli onori dell’albergo spiegandoci tutto ciò che offre. Descrive così anche la struttura tutto in un inglese pronunciato… diciamo alla swahili! Crediamo di aver catturato almeno i punti salienti: orario, collocazione di bar e ristoranti, quando è possibile bere gli alcolici e cosa sia compreso nell’ all-inclusive. Però anche qua c’è un angelo… giusto, siamo in paradiso, no? Ecco Luca che viene verso di noi! Luca parla italiano! Luca fa parte dello staff dell’Hotelplan che ruolo abbia veramente all’interno dell’organizzazione ad oggi non siamo ancora riusciti a capire ma quello che è sicuro èche l’abbiamo promosso nostro interprete!

Ci accompagna subito a fare colazione perché sono quasi le 10:00 e dopo non la danno più (ovvio è stata una cosa carina da parte sua perché noi non dovevamo averla) poi seduti al tavolino ci conosciamo meglio e parliamo un po’ del matrimonio ma ci spiega che lui è il porta voce di un certo Zacaria (a sentire il tono della voce di come lo nomina sembrerebbe il grande capo) e su tante cose infatti non sa rispondere o comunque preferisce raccogliere tutti i nostri dubbi e quesiti per poi aggiornarsi via via durante la giornata. Una cosa divertente che iniziamo a fare è cercarci i testimoni e Luca ci autorizza e consiglia di cercarli all’interno dello staff.

Ci portano alla camera numero 9. Più che camera è una casina di circa 50mq (più grande di casa nostra) con giardino e veranda vista mare in perfetto stile zanzibariano chiamata Junior Suite. E’ meravigliosa anche solo per essere a due passi dall’Oceano Indiano (ovvio in alta marea!). Al suo interno è completamente decorata con fiori freschi e petali sparsi ovunque anche sul letto dove in mezzo ci sono due cigni, maschio e femmina, fatti con gli asciugamani e poi come non bastasse ci portano subito un piatto di frutta fresca di benvenuto. Disfiamo velocemente le valigie mettendo tutte le nostre cosine a posto e andiamo subito al centro benessere Spa a prenotarci un massaggio rilassante di 2 ore, da fare l’indomani mattina prima di sposarsi, come una sorta di purificazione prima della cerimonia. Ci propongono anche di farci dei tatuaggi con l’hennè e sinceramente avevamo già una mezza idea così scegliamo un disegno uguale per entrambi consultando internet dal loro pc da farci scrivere poi all’interno i nostri nomi. Prendiamo l’appuntamento subito per oggi alle 16:00 anche perché alle 18 chiude.

Prossima tappa piscina, quindi passiamo a prendere gli asciugamani blu che fornisce il resort come pure il lettino prendi sole con materassino in gommapiuma… mica male no? La piscina è molto grande ed ha una forma particolare con all’interno un bar cosicchè uno può, mentre fa il bagno, sorseggiare un buon cocktail (il sunset lo fanno molto buono, è un frullato di frutta esotica con del rum bianco peccato che qua il ghiaccio non lo usino!) Un’ora di relax e poi andiamo a pranzare… no, un attimo! Ci tocca tornare indietro in piscina a recuperare le ciabatte perché senza non possiamo entrare al ristorante e vabbé poi abbiamo letto i cartelli che nè al bar o nè reception.

Il ristorante dove noi abbiamo la formula all-inclusive si trova su una terrazza affacciata sulla piscina con vista mare.

Qui una volta entrati veniamo subito ben accolti e coccolati dai camerieri. Il pranzo è a buffet dislocato in 5 angoli dell’enorme sala centrale e sinceramente abbiamo talmente tanta fame e siamo così curiosi di assaporare tutte le pietanze esposte che non sappiamo da che parte iniziare, anche perché i profumi buonissimi ci disorientano e ci attraggono da una parte e dall’altra. Soluzione? Ci riempiamo i piatti da paura e sinceramente ci vergogniamo un po’ ma alla fine chi ci conosce qua!

Da leccarsi i baffi ma la sensazione era quella di aver mangiato un maiale intero, avevamo difficoltà a respirare ma che bello però! Chissà se per cena ci faranno rientrare o ci tolgono la formula del tutto incluso, sicuramente non siamo delle migliori bocche da sfamare…

Rotoliamo via dal ristorante e gira e rigira ci fermiamo davanti alla porta della boutique dell’albergo. Il peggior posto per frenare le tentazioni all’acquisto e così è stato. Una tela, un batik, 5 copertine per foderare il nostro diario, una giraffa, 4 braccialetti, 2 calamite e un bellissimo soprammobile ricavato da un frutto locale, il kamatash, a forma di ampolla, essiccato, con intagli a mano e intarsi di madreperla. Usciamo contenti ma un po’ dimagriti ma solo di portafoglio perché i prezzi non erano molto convenienti, ma purtroppo qua intorno non ci sono negozi ma solo villaggi molto poveri di pescatori e l’unico posto per fare compere sarà Stone Town dove noi andremo la settimana prossima ma avremo talmente tante cose da vedere che non sappiamo quanto tempo avremo da dedicare allo shopping.

Portate le cosine in stanza andiamo a farci i tatuaggi… 13$ l’uno, un’ora ed entrambi avevamo un sole disegnato sulla pelle con i nostri nomi scambiati scritti all’interno. Un consiglio che ci danno è quello di farli asciugare bene prima di bagnarli e allora cosa di meglio che andare ad abbronzarsi al sole? Via di corsa in piscina.

Che bello! Luca ci ha appena informati della cena Swahili che si svolgerà nell’ala ovest del villaggio e direi che è un buon inizio… 19:30 pronti!

Purtroppo anche se in vacanza vorremmo gettar via l’orologio e vivere in base ai propri bisogni fisiologici dormire se si è stanchi, mangiare se si ha fame, e bere quando si ha sete, dobbiamo però seguire il tram tram dei resorts perché fuori da questo rischieremmo di saltare i pasti… Comunque un ritmo quotidiano te lo da anche l’ambiente stesso. Qua,a Zanzibar, per esempio, la balneazione è tanto legata ovvio all’effetto dell’alta e bassa marea. Al largo esistono delle piscine naturali di acqua cristallina e dal fondale non molto profondo, però facilmente raggiungibili solo con la bassa marea dove possiamo andare a piedi (consigliato l’uso di scarpette per evitare di farsi male pestando qualche riccio o granchietto e magari evitando di fare male a loro) percorrendo la passerella in cemento che porta fino a là come un trampolino.

Molto suggestivo il vialetto tutto illuminato da fiaccole che ci indica il villaggio Swahili. Tutto si svolge attorno ad uno spiazzo circolare dove poco dopo l’inizio della cena cominciano a suonare i djambè (tamburi a calice tipici africani) accompagnati da danzatori in costume. Siamo seduti su delle seggiole ricavate dai tronchi degli alberi. Molto comode, idem il tavolo. Il mangiare è squisito, molte cose sono cucinate alla brace e come sempre servite a buffet. Il gran finale! I danzatori si mettono in cerchio intorno ad una borsa da dove poi esce un pitone di circa 2 metri. Entusiaste le persone si mettono subito in fila per una foto ricordo e naturalmente, Percy non poteva mancare: pitone legato al collo la testa tenuta nella mano sinistra e Clik. E anche questa immagine rimarrà nei nostri archivi.

Per un attimo rimaniamo al buio, fenomeno sovente qui a Zanzibar o forse nelle isole in genere. Finito lo spettacolo raid veloce al bar sia mai ci seccasse la gola e nanna.

“La notte prima degli esami”. Domani sarà il 30 luglio e ci sposeremo! Riusciamo a dormire abbastanza bene, i pensieri ci lasciano in pace… pensieri belli, certo! Ma sono comunque motivo di ansia per la paura di ciò che avverrà l’indomani e se tutto andrà più o meno come da tanto immaginavamo… lo stato d’animo di entrambi sin dal primo giorno che abbiamo deciso di fare questo passo è la sicurezza di ciò che vogliamo fare e dei nostri sentimenti e sappiamo benissimo che tutto ciò ci gira intorno e che ci girerà anche il giorno del matrimonio è e sarà una cornice, quindi se rispecchia le nostre aspettative ne saremo soddisfatti altrimenti pazienza, è pur sempre una cornice e per questo esterna a noi e alla nostra storia.

Una volta svegliati non vediamo l’ora arrivino le 10:00 per andarsi a fare il tanto atteso Samawati in love – Bride or groom to be (il massaggio). Una sensazione da provare. Già, il tutto durato per ben 2 ore.

Completamente purificati rilassati e rigenerati ci riempiamo un po’ il pancino e andiamo nella suite… Elena approfitta nel frattempo della lavanderia per far dare una stirata al suo vestito un po’ grinzoso, reduce dalla valigia e promettono che per le 14 lo avrebbe riavuto in camera. Timidamente cominciamo a prepararci. L’emozione inevitabilmente inizia a farsi sentire. Non sappiamo da che parte iniziare, ma una cosa la facciamo e poi per 10 minuti giriamo a vuoto per la stanza, ne facciamo un’altra e per altri 10 minuti giriamo a vuoto di nuovo. Così comunque riusciamo a prepararci consigliandoci a vicenda. A Percy tocca dare consigli a Elena anche sull’acconciatura, trucco e accessori, mentre lui si veste a Elena manca ancora il vestito ma non vogliamo agitarci per questo (manca solo mezz’ora alla cerimonia! Grande prova di sangue freddo!), lo sollecitiamo per ben 2 volte e finalmente eccolo!

C’è un appunto che dobbiamo fare. Sinceramente non ci siamo sentiti molto coccolare e curare in proposito – preparativi svolgimento e quant’altro – in fondo da che mondo è mondo ogni matrimonio viene organizzato o solo dagli sposi o se c’è un organizzatore esterno è comunque un lavoro di collaborazione nel mettere a punto ogni dettaglio perché tutto si spera sia perfetto. Praticamente alle 16:00 deve iniziare la cerimonia e noi a mezz’ora dal via non sappiamo ancora di che morte moriamo! Vogliamo e riusciamo, nonostante tutto, a mantenere una pseudo calma e serenità perché tanto siamo consapevoli che a rimetterci saremo solo noi due, è il nostro giorno e non è un compleanno da poter rifesteggiare… a lamentarsi dell’organizzazione siamo sempre in tempo.

Chiamiamo Luca dicendogli che ci sentiamo un po’ soli e in un batter d’occhio ecco che arriva accompagnato da una collaboratrice, Angelica e i nostri 2 testimoni: Zaina e Richard.

Con loro hanno le nostre ghirlande, bouquet e braccialetto per le sposa anche quest’ultimo fatto interamente di fiori freschi intrecciati fra loro, il tutto già prende un’altra luce e la loro presenza ci rassicura ulteriormente. Ci dilettiamo subito a farci qualche scatto tra noi anche per sciogliere un po’ la situazione ma nonostante gli sforzi di rimanere naturali ,quasi sopra le parti e il massaggio mattutino anti-tensione, ci scopriamo quasi ingessati.

A seguire giungono il fotografo e il cameraman che come di soprassalto cominciano subito a fare il loro lavoro anche un po’ in maniera buffa e caotica, senza neanche controllare se l’ambientazione é quella giusta! Sicuramente la televisione con le notizie sportive dietro alle nostre spalle andrebbe spenta ed è inutile che il fotografo ci stia adesso riempendo di scatti mentre ci stiamo chiedendo a chi lasciare le chiavi di casa e rassettando un minimo la stanza… ma seppur strana la cosa non è il nostro lavoro per cui ci torna quasi male dire “calma calma!”

Usciamo di casa e diamo inizio a questo”lungo viaggio insieme”.

Elena: come abbiamo aperto la porta per uscire dalla suite per me è stato come entrare in un’altra dimensione. Mi sentivo diversa come se varcare la soglia fosse bastato perché la mia vita avesse un risvolto, una sensazione bellissima che mi partiva dal cuore, ne sono sicura… forse perché di qui in avanti non sarò più “io” nella mia vita (a parte tutti i miei adoratissimi animaletti!) ma “noi” ancor più di adesso e sicuramente in maniera ancora più intensa. E’ difficile tradurre in parole gli stati d’animo in genere ma questo è grosso modo ciò che mi ha investito improvvisamente non appena sceso il primo gradino.

Percy: L’emozione comanda il mio corpo, sono un po’ agitato ma cerco di non mostrarlo, appena usciamo dalla stanza trovo la mano di Elena e per la mano cominciamo a percorrere il cammino che porterà alla coronazione del nostro Amore. Passo dopo passo la tensione scende, il vederla sorridere mi rasserena, sono felice e orgoglioso di avere al mio fianco una donna speciale come lei, so che questo è solo l’inizio di una vita da trascorrere insieme!

I nostri testimoni vivendo anche loro una cosa nuova non sanno bene cosa fare e non so… ci siamo accorti poco prima della reception che stiamo camminando mano nella mano tutti e quattro, come i bimbi piccoli nelle gite scolastiche. Il fotografo come in trance continua a scattare foto, come se gli avessero detto: uno, due, tre via. Almeno altri 10/20 scatti a vuoto perché non siamo una coppia di sposi ma una quadriglia! Dobbiamo ancora sincronizzarci un po’. A questo punto in balia delle “foto” chiediamo aiuto al nostro angelo, gli lasciamo la nostra macchina fotografica e lo promoviamo così su due piedi anche nostro fotografo ufficiale. Accetta!

La spontaneità e l’improvvisazione a volte rendono le cose più divertenti e certo non devono mai farci dire “cheese” per strapparci sorrisi perché le risate nascono da sé.

Alla reception troviamo il funzionario dell’ambasciata, facciamo un brindisi insieme, rispondiamo ad alcune domande riscontrando anche la correttezza dei nostri dati e poi ci avviamo alla macchina per spostarci al luogo della cerimonia… Un gruppo di ragazze ci segue intonando canti tipici.

Non è stato facile posizionarsi all’interno della macchina. Sicuro che possiamo entrarci anche in 7 ma nel non sapere chi deve sedersi davanti e chi dietro, se noi o i testimoni, per 5 minuti è tutto un sali e scendi e un “tu qui e io là” e alla fine ci stiamo talmente divertendo che carichiamo con noi anche Luca e Angelica. Attraversando la foresta lungo una strada sabbiosa arriviamo a Kae, un’incantevole spiaggia bianca deserta. Davanti a noi un originalissimo gazebo interamente fatto a mano, con archi di fiori freschi di bouganville fuxia e foglie di palma intrecciate. Petali di fiori ovunque da disegnare anche dei cuori ed infine i nostri nomi scritti sulla sabbia con finissimi e teneri aghi di pino verde..questo è il nostro altare!

Se qualcuno ci chiedesse cosa è un giorno speciale? Sicuramente è un susseguirsi continuo di momenti unici indimenticabili e carichi di significato… Ogni attimo di questo giorno è una sorpresa da vivere.

Ha inizio la cerimonia, ci accomodiamo intorno ad un tavolo rettangolare in compagnia dei nostri testimoni, seduti di fronte a noi, a seguire il coro che ci accompagna per tutta la cerimonia e a capotavola sulla nostra sinistra il funzionario. Ci siamo!

Lui legge la formula e ahimè scopriamo che la cerimonia sarà tutta in lingua inglese, noi leggiamo le nostre promesse ed infine lo scambio delle fedi con leggera commozione da parte di Elena..les jeux sont fait :-). Bacio.

Arrivano i Masai da lontano sentiamo già le loro urla e in verità siamo un po’ preoccupati perché tutti ce li raccomandano con un sorriso sottobaffo. Niente di tutto ciò anzi molto divertenti e gioiosi proprio come vogliamo che sia questo giorno! Si dilettano nelle loro danze nei loro costumi tipici di color rosso rifiniti da corallini accompagnati da una musica a cappella senza accompagnamento musicale. Un solista annuncia il tema del canto, ed un coro risponde in maniera antifonale oppure con un solo vocabolo. Le canzoni accompagnano la danza, normalmente una serie di salti fatti a turno dagli uomini.

Chi sono comunque i Masai? Un popolo che da molta importanza al bestiame ed il latte e la carne sono i loro alimenti preferiti. Sebbene il loro stile di vita tradizionale fosse anticamente basato sull’allevamento del bestiame (potevano procurarsi gli altri generi alimentari con lo scambio), oggi i Masai hanno bisogno di praticare anche l’agricoltura. Conducono il bestiame da un pascolo all’altro, per dare all’erba la possibilità di ricrescere. Un tempo, questi spostamenti erano garantiti da un sistema di proprietà collettiva della terra, che dava a tutti la possibilità di condividere l’accesso all’acqua e ai pascoli. Oggi, invece, i Masai sono stati progressivamente costretti ad adottare uno stile di vita stanziale, e molti hanno trovato lavoro nelle città. La società masai è organizzata per gruppi d’età maschili, i cui i membri vengono iniziati a diventare guerrieri e successivamente anziani. Non hanno capi, ma ogni gruppo ha un ‘Laibon’ di riferimento, una sua guida spirituale. I Masai venerano un unico dio immanente in ogni cosa, che può manifestarsi in forme benevole oppure distruttive. Tuttavia, oggi molti Masai hanno abbracciato diverse fedi cristiane.

E adesso il taglio della torta… e tradizione zanzibariana vuole che gli sposi mangino la prima fetta imboccandosi a vicenda e inoltre che la offrano a tutti gli ospiti. Quindi viene tagliata a fette, messa in un piatto poi insieme la prendiamo e porgendola a ciascun invitato ad uno ad uno ne prendono una fetta con le mani. Nonostante la nostra cerimonia sia di rito civile italiano hanno cercato di mescolarci le loro usanze di buon auspicio come l’offrire il dolce, il brindisi o il farci genuflettere su una stuoia con davanti 5 ciotole contenenti cocco, noccioline, mandorle, banana e patatine fritte (tutti prodotti cotti e preparati da loro).

E come da “copione” matrimoniale hanno inizio le foto… la cornice è indescrivibile, addirittura siamo prossimi al tramonto quindi ci godiamo anche il graduale cambiar dei colori con il calare del sole, scopriamo così anche di essere su una spiaggia dell’isola esposta ad occidente, nell’emozione abbiamo perso un po’ la bussola!

Uno scrittore anonimo scrive per noi i nostri nomi sulla spiaggia con il buon augurio, peccato non sapere chi sia e non poterlo ringraziare per questo dolce pensiero.

Luca ci fa molto da spalla in questa avventura: interprete-collaboratore-psicologo-fotografo-animatore insomma il jolly della cerimonia! Preso poi anche lui dalla situazione arriva a scattare 200 foto.

Torniamo al Karafuu andiamo un’oretta in stanza per sistemarci prima di cena. Puntuali alle 20:30 siamo alla reception per essere accompagnati al ristorante “Le grand bleu”. In realtà ci avevano apparecchiato sulla spiaggia creando un angolo tutto per noi con decorazioni floreali. Davanti abbiamo percussionisti swahili con danzatrici. Purtroppo i masai, causa il vento forte, non hanno potuto continuare il loro spettacolo. La cena come da programma è a base di pesce fresco e aragosta tutto curato nei minimi particolari, con 2 camerieri forse un po’ apprensivi a disposizione. Finito lo spettacolo preferiamo spostarci all’interno perché il vento è troppo forte. Il ristorante al suo interno è davvero molto grazioso: un misto di stile marino ed etnico, le finestre sono degli oblò, il pavimento è fatto di sabbia ed i lampadari sono ricavati da tronchi portati dal mare sulla battigia. Il soffitto altissimo, spiovente, interamente in paglia e legno detto “makuti”.

Tutta la struttura e l’arredamento del Karafuu sono uno spettacolo unico da vedere, perfino alle toilettes è un piacere andare; niente è lasciato al caso.

Salutiamo e ci avviamo verso “casa”… peccato che non troviamo la camera addobbata come ci aspettavamo. Oltre quello che c’è di solito, ci sono all’esterno decorazioni fatte di foglie di palma intrecciata e fiori freschi molto particolari! Vediamo sul tavolino una bottiglia di champagne in un cestello con ghiaccio e due calici per brindare. Vabbè provvediamo noi ad addobbarla da soli. Siamo partiti organizzati dall’Italia con lumini bianchi da poter spargere dappertutto, candele profumate e petali bianchi di rosa finti ma veramente molto carini da vedersi. Un attimo e non potete immaginare che atmosfera romantica… non mancava neanche un sottofondo musicale chill out che proveniva dal nostro pc. Notte…

Toc Toc… ecco la nostra colazione in camera e ce la gustiamo molto lentamente all’ombra della nostra veranda vista mare. Cosa chiedere di più?

Oggi che non abbiamo più niente a cui pensare ci dedichiamo alla ricerca della scimmietta perché, come il catalogo Hotelplan descrive, ne esiste una addomesticata che si aggira nella struttura; cominciamo a girare, a chiedere a cercare ovunque senza alcun risultato positivo però alla fine la ragazza della reception, Angelica, ci racconta una storia un po’ triste: fino a poco tempo fà viveva una famiglia di scimmie al Karafuu ma purtroppo non tutti i turisti le vedevano di buon occhio a causa del loro vivere chiassoso in un ambiente in cui uno cerca sopratutto relax. In più, ultimamente, erano diventate un po’ troppo dispettose! Sembra che l’ultima marachella fatta dalle scimmiette sia stata di rubare un bicchiere su un tavolo del ristorante e quindi lo staff ha dovuto piano piano allontanarle… solo la mattina molto presto riescono comunque, furbette, ad avvicinarsi e si aggirano sempre nei pressi della piscina.

Ottima alternativa: sole; giusto per continuare a coltivare un po’ la nostra abbronzatura e perché no, anche una bella pennichella ci sta bene. Ci svegliamo giusto per l’ora di pranzo per poi ritornare subito a quello che “stavamo facendo”, che vitaccia sarebbe, eh!? Alle 16:30 viene a prenderci un taxi per portarci al porticciolo del villaggio di Kae dove ci attende un dhow per andare a fare la mini crociera romantica nella foresta di mangrovie. Una piccola luna di miele di 2 orette. Navighiamo zigzagando all’interno di un labirinto creato da queste piante. Il nostro “caronte”, in un italiano con accento buffo, ci racconta che i granchi tagliano i fiori di mangrovia, li portano nelle loro tane, scavate nel fondale, e così facendo le piantano, poi una parte viene mangiata mentre dall’altra estremità nascerà una nuova pianta. Che cosa affascinante questo ciclo di vita che crea è un ambiente in continuo mutamento e crescita. Navigare con queste imbarcazioni è una sensazione memorabile. Ancora più che con la barca a vela, si ha proprio la sensazione di scivolare a fior d’acqua….siamo seduti all’interno di uno scafo, ricavato dal fusto dell’ albero di mango completamente svuotato con maestria d’ascia …..e i bilancieri la mantengono in equilibrio assecondando le onde e cullandoci…A differenza della barca a vela qui si è seduti direttamente all’interno dello scafo stesso così che si ha l’impressione di essere parte integrante del mare…

Aspettiamo per rincasare il calar del sole anche perché non possiamo non approfittare di trovarci di nuovo esposti a occidente!…. e poi un tramonto visto dal dhow ha un che di evocativo e di senza tempo. Ormai sono già le19:00, il tempo di una doccia e di mettersi un po’ eleganti, così abbiamo deciso. E’ l’ultima sera al Karafuu e ci aspetta una cena orientale con sottofondo musicale. Non riempiamo i piatti come al nostro solito, forse dai dai abbiamo fatto il pieno! Peccato perché la formula all-inclusive ci ha fatto divertire a prendere delle abbuffate numero uno! Alzati andiamo nella saletta internet con la nostra password e username dataci dalla reception (5$ l’ora,che fuori casa vola come non mai, 25$ tutto il giorno). Inviamo le diverse e-mail ad amici e parenti con anteprima della nostra foto di nozze come avevamo promesso prima di partire. Poco dopo dobbiamo abbandonare la saletta troppo piccola, caldissima e piena di zanzare per scoprire che anche fuori sui divanetti c’è connessione wi-fi e stiamo sicuramente anche molto più comodi! Cogliamo l’occasione anche di riparlare con Luca del nostro soggiorno e finalmente riusciamo a convincerlo di farci stare qui ancora per una notte e poter partire domani. Quindi per un totale di tre giorni/2 notti. Ovvio stare qui è incantevole ma pensiamo anche che andando di nuovo al Mbuyuni risparmiamo un sacco di soldini che possiamo mettere nei prossimi tour che ci piacerebbe fare.Siamo contenti di questa scelta.

Così abbiamo trascorso questo primo nostro giorno da marito e moglie. Che strano, ma che bello!

Andiamo verso il nostro nido d’amore e che sorpresa! Non appena aperta la porta che spettacolo davanti ai nostri occhi:un alternarsi di lumini, fiori e petali (questa volta per la nostra gioia veri!) sparsi ovunque alcuni formano sopra il tappeto ed il letto due cuori ed i cigni che di solito sono separati adesso sono fusi insieme. Toccante anche questa immagine come se anche loro ci avessero seguito in questo percorso!

E’ arrivato il primo di agosto, giorno di partenza dal Karafuu. Facciamo la nostra ultima colazione seduti ad un tavolino con vista strategica e lasciamo la suite puntuali per le 10:00 perché altrimenti come d’accordo ci avrebbero fatto pagare 15 $ per ogni ora eccedente. Ci viene consentito l’uso della piscina con spogliatoio, ma non ne approfittiamo perché aspettiamo il fotografo ed il cameraman con i cd contenenti foto e filmino delle nozze. Nel frattempo facciamo il check out e nel riscontrare il conto ci accorgiamo che come sospettavamo vogliono farci pagare pure la bottiglia della cena di matrimonio che da catalogo è compresa. Chiariamo con tanto di wedding package alla mano e va tutto bene.

Il taxista del Mbuyuni stavolta anziché essere puntuale è arrivato addirittura in anticipo ma purtroppo noi alle 11:00 non possiamo ancora lasciare il villaggio perché del fotografo e del “compare” nessuna traccia, quindi rimaniamo d’accordo con il ragazzo che per mezzogiorno e mezzo tornerà a prenderci. Le ore passano, attendiamo ancora speranzosi alla reception ma l’unica ad arrivare è l’ora di pranzo, circa l’una e nessuno si fa vivo ma questa volta anche l’autista. Luca, molto presente, ci offre un sandwich e un acqua minerale che carinamente segna sulla sua stanza. Nel frattempo ecco le foto e video! Bene, ma il ragazzo che deve tornare a prenderci? Contattiamo il Mbuyuni, ci facciamo parlare direttamente Luca e scopriamo il qui pro quo: il taxista, rimasto male che non gli abbiamo pagato subito la prima corsa a vuoto, ha deciso di non tornare a prenderci senza avvisare! Noi pensavamo di poter saldare tutto insieme, una volta tornati al Mbuyuni ma solo adesso scopriamo che è un taxi locale e non privato di quel villaggio. Risolviamo prendendo un taxi da qua e risparmiamo anche, pagando solo 25$, contro i 40$ che avremo dovuto dare all’altro, tanto non lo rivedremo più!

Elena si commuove alla partenza, anche nel salutare Luca, perché è inutile sperare di ritornare in un posto per tipi come noi che amano scoprire sempre nuovi orizzonti. Luca è una di quelle tante persone che in queste occasioni conosci, con cui vivi anche intensamente condividendo esperienze vere e uniche come nel nostro caso, un matrimonio ma poi lascerai per sempre nei tuoi ricordi. Una volta raggiunto il nostro bungalow a Jambiani, lasciamo i bagagli per concederci una mezza giornata di “Hakuna Matata” cioè senza nessun problema, in piscina.

Giunta l’ora di cena, ci sediamo al tavolino ed ordiniamo tutte pietanze a base di pesce, perché vogliamo continuare a viziarci. Tutto molto buono. Un po’ sul pc e poi a letto presto perché per domani abbiamo prenotato il dolphin tour (60 $ in 2) e la sveglia cattiva ci sveglierà alle 6. Ma stamani non è stata la sveglia ad alzarci ma il bussare del taxista già scalpitante che ci ha fatto prendere un colpo! Ci alziamo di soprassalto, la sveglia l’avevamo spenta. Tempo di lavarsi i denti,vestirsi,mettersi il costume acchiappare maschera e videocamera, 20 minuti e siamo dentro la macchina. Oddio non c’è un buon odore! Facciamo tutto il viaggio con il finestrino aperto, anche se c’è ancora l’arietta fresca dell’alba… ma che ben venga!

La destinazione è Kizimkazi, villaggio sul mare, dove saliamo su di una barchetta a motore che ci porta a vedere i delfini nel loro habitat naturale… e ci sono! Percy, più temerario di Elena, non esita a tuffarsi in mezzo ai delfini al go! del ragazzo che porta la barca, mentre Elena esita fino a rinunciare, perché vedendo la distanza da riva e l’acqua piuttosto profonda, non si sente molto sicura e preferisce filmarli dall’alto. Siamo entrambi soddisfatti perché Elena ne vede tantissimi e Percy meno ma li vede da molto vicino, potendoli quasi sfiorare con la mano. I delfini si concedono poco e poi spariscono negli abissi, forse è per questo che sono il simbolo della libertà.

Il tutto dura un’ora: è molto divertente ma anche un po’ stancante; il ragazzo una volta che avvista i cetacei si appresta a dire Go! Go! Go! e tutti in mare ma poi dobbiamo subito risalire per andarli a cercare nuovamente quindi è un continuo su e giù dalla barca, come un gioco tra noi e i delfini.

Tornati a riva e ancora un po’ bagnati rientriamo in quella macchina maleodorante per tornare indietro. Sono solo le 9… giusto in tempo per la colazione.

Stamani preferiamo abbronzarci camminando lungo la spiaggia;quindi puntiamo verso Paje a nord. La spiaggia è molto diversa da quella che abbiamo davanti al villaggio; nonostante la bassa marea la sabbia è pulita e l’acqua anche se ritirata è cristallina, forse il fenomeno di alghe e residui marini davanti a noi è dovuto non alla bassa e alta marea ma forse ad una concentrazione strana di correnti. Esistono veramente le spiagge da sogno!

Scattiamo parecchie foto spingendoci molto lontani dalla riva passando da piscine naturali con acqua alle caviglie a tratti di completa secca. Incontrando ricci, conchiglie e granchietti, continuando a camminare scopriamo un allevamento di alghe riconoscibile da un’inconfondibile area delimitata da pali.

Zanzibar risulta essere particolarmente favorevole per questo tipo di coltivazione. I campi sono evidenziati dalla presenza di bastoni piantati nella sabbia a distanza di circa 30 cm, che, durante la bassa marea, emergono dalla superficie dell’acqua. I bastoni sono collegati tra loro da fili sui quali vengono attaccati pezzettini di alghe, che in circa due settimane riformano una massa algale pronta per la raccolta. Le donne vestite dei colorati parei tradizionali (kanga), si spostano tra i campi di alghe, s’inchinano, si parlano, scherzano, ridono, in una sorta di lentissima danza, dalle movenze sensuali e poi si caricano sulla testa sacchi pieni di alghe e li trasportano sulla riva dove le lasciano ad essiccare su rastrelliere o su stuoie per un paio di giorni. Verranno utilizzate poi per la produzione di addensanti per cosmetica, medicina, cucina, pasticceria e birreria.

Torniamo belli abbronzati ma anche un po’ insabbiati e affamati… quindi rimediamo subito con un buon pranzetto. Una volta sazi doccia e un po’di lavanderia. Finito di stendere, la sonnolenza ci rapisce, senza che noi opponiamo resistenza. Al risveglio è già il crepuscolo ma non importa perché fare più di quello che abbiamo fatto oggi qui è impossibile e non possiamo stare fissi tutto il giorno al sole che cuoce la pelle nonostante le creme ad alta protezione.

Un black-out improvviso nel villaggio fa scendere le tenebre e spinge tutti noi turisti verso il ristorante, l’unico posto illuminato grazie ad un generatore. Già che siamo qua approfittiamo di prenotare il secondo tour il blue safari (110 $ in 2) ed in cosa consiste ve lo racconteremo domani. Finalmente non appena finito di cenare torna la luce e così possiamo avviarci verso la camera. Per caso alziamo gli occhi al cielo che è completamente punteggiato di stelle. La luna si vede benissimo anche se è uno spicchio,questo ci fa pensare che domani sarà bel tempo. Sogni d’oro.

Buongiorno, vi piace questa foto? Speriamo di sì, perché noi andremo qui oggi e sarà questo che vi racconteremo, l’isola di Kwale, nella baia di Menai, nell’estremo sud di Unguja. Giunti al porticciolo di Kikungwi saliamo sul Mauzo, un’imbarcazione tipica locale della famiglia del dhow (o sambuco), oggi a nostra disposizione per salpare alla volta dell’isola. Capitan Mu ed il suo equipaggio + Hoko ci danno il benvenuto a bordo. Sono le 9:00 il mare è calmo, soffia una leggera brezza e il sole è già alto. La traversata è piacevolissima perché a bordo abbiamo un animatore inatteso, Hoko, un’adorabile piccola scimmietta di soli 5 mesi che ha riempito la nostra giornata!

In un’oretta raggiungiamo un isolotto, una lingua di sabbia talmente piccola da poter ad occhio nudo seguire tutto il suo perimetro. E’ bagnata da un’acqua tanto cristallina che rimane invisibile quando va ad accarezzare la sua battigia ma che poi sfuma in tutte le gradazioni dell’azzurro mano mano che il fondale si fa più profondo. Non ha un nome “è l’isola che non c’è ” è collegata a quella di Kwale solo nelle ore di bassa marea altrimenti è solo un punto bianco nel blu dell’oceano.

Ci tuffiamo a fare snorkeling: un vero spasso, sembra di essere in un acquario gigante, davanti ai nostri occhi una sorta di danza continua di pesciolini di tutte le dimensioni e dai colori più impensabili, illuminati dal sole smagliante, sono brillanti, ed hanno livree sgargianti… non hanno paura di noi, alla fine siamo noi ospiti nel loro ambiente, e ci passano molto vicini tanto da stuzzicarci a voler provare a toccarli, allungando le mani ma al nostro gesto, furtivamente sfuggono via. I coralli sono dappertutto con cromature diverse e nascosti vi troviamo ricci, stelle marine e anche due granchi che si scambiano effusioni amorose. Forse perché bianchi come il fondale pensavano di non essere visti, di passare inosservati e invece, sgamati, si sotterrano subito nella sabbia. Passiamo tutto il tempo ad indicarci a vicenda di guardare qui ,di guardare là ogni meraviglia sottomarina. E’ un “mondo” sommerso. Uno spettacolo vivente e ci prendiamo per mano come stessimo facendo una passeggiata e allontanandoci anche parecchio dalla riva. Attenzione: qua si trova un riccio di mare bianco, mimetizzato con la sabbia e veramente doloroso se veniamo punti dai suoi aculei perché automaticamente si spezzano, nelle loro estremità, rimanendo conficcati e difficili poi da togliere. All’improvviso, forse carichi di emozione, ci giriamo l’uno verso l’altro e a cenni, linguaggio dei sub, ci diciamo ti amo anche sott’acqua. Per qualcuno magari non sono momenti romantici ma solo troppo mielosi ma a noi piace viverlo così il nostro amore, con il cuore aperto, libero di comandare!

Soddisfatti ci avviamo verso riva dove i ragazzi hanno già costruito un tendalino per fare un po’ d’ombra e sotto, carini, hanno preparato un piatto di frutta fresca con ananas e cocco e bibite in ghiacciaia, proprio quello che ci vuole!

Parlando con loro ci ricordano che è iniziato il Ramadan ed è per questo che non assaggiano niente, non dovrebbero neanche lavorare ma forse nel loro caso sono anche un po’ costretti.

Il Ramadan detto anche il Digiuno è, secondo il calendario musulmano, il nono mese dell’anno e ha una durata di 29 o 30 giorni. La parola, in arabo, significa “mese caldo”, il che fa ritenere che un tempo (quando i mesi erano legati al ciclo solare) esso fosse un mese estivo. Il Ramadan è la rigorosa osservanza del digiuno diurno che ostacola anche il lavoro ed è tipico per il carattere festivo delle sue notti. La scimmietta spopola anche sull’isola! E’ dolcissima, ha preso anche noi come suo punto di riferimento infatti un po’ timida alle attenzioni di tutti si nasconde tra la nostre braccia. Poi il suo padrone decide che è meglio per lei tornare a bordo perché non si ecciti troppo e per stare più riparata dal sole ormai molto caldo. Noi intanto con frutta alla mano andiamo a fare una passeggiata. Dopo un po’ Capitan Mu ci chiama perché è l’ora di andare a mangiare e con la nostra barca approdiamo finalmente a Kwale. Al suo interno, nella vegetazione, troneggia il più grosso imponente e longevo baobab di Zanzibar! Una pianta preziosa, curativa, quasi magica. Rispettato dalle popolazioni africane che usano ogni sua parte ricavandone medicamenti, nutrimenti e molto altro. La sua vita è lunghissima: la maggior parte dei Baobab vivono 500 anni, ma in alcune parti dell’Africa sembra che ne esistano esemplari vecchi di 5.000 anni. Solitamente, questo gigante, tra i più antichi del nostro pianeta, si erge solitario, e può raggiunge facilmente i 20 metri d’altezza e i 12 metri di diametro. Date le dimensioni, il suo tronco scavato è stato utilizzato come prigione, come chiesa, a volte semplicemente come abitazione per intere famiglie ed addirittura in Zimbabwe, la cavità di un albero è usata come sala di attesa per autobus e può contenere fino a 30 – 40 persone.

La leggenda dice che un tempo il baobab era il più bell’albero della terra, si pavoneggiava per i suoi profumatissimi fiori e i suoi frutti, deridendo gli altri alberi che pregarono gli dei perché provvedessero a far cessare questo comportamento ingiusto. Così il dio della foresta, ormai stanco delle lamentele, decise di infliggere al baobab una severa punizione: lo sradicò dalla terra, lo alzò verso il cielo e poi lo conficcò nel terreno a testa in giù. Dunque secondo la leggenda i rami che noi oggi vediamo in realtà sarebbero le radici!

La barca la ormeggiano un po’ distante dalla “riva”; in questo momento è in corso il fenomeno della bassa marea quindi dobbiamo camminare qualche metro prima di raggiungere il piccolo villaggio di pescatori. Per non “perdersi” basta seguire il buon profumo proveniente dalla cucina! Ci sediamo ad un tavolino all’ombra di una tettoia anch’essa in stile Swahili e in uno baleno ecco che arrivano le nostre pietanze. Un vassoio enorme carico di prelibatezze appena pescate e sapientemente grigliate per noi, patatine fritte da leccarsi i baffi, piadine cotte e fritte e l’immancabile riso con salsa squisita al pomodoro e cipolline e,non e’ finito qua. Ecco che arriva il piatto forte: due aragoste! Le porzioni sono veramente abbondanti ci si farebbero tonde almeno altre 3 persone ma noi non ci intimoriamo e spolveriamo tutto! Hanno pensato bene di portarci anche un piatto pieno di frutta per pulirci la bocca ma non so se a questo punto basta!

Con il pancione pieno “pole pole”(piano piano in swahili) ci alziamo per continuare il nostro percorso. Una sbirciatina veloce alle bancarelle, troviamo anche un batik identico al nostro comprato al Karafuu a 20$ di più,ma sinceramente non pensavamo mai di trovare anche qua un mercatino, e poi, un po’ rammaricati, dietro il nostro cicerone ci addentriamo nella ricca vegetazione ed ecco che all’improvviso, nella sua maestosa figura, troviamo il baobab.

Il ragazzo ci racconta che anni fa’ un vento forte lo accasciò a terra, ma lui, grazie alla sua forza, non è seccato nutrendosi ancora dalle sue radici. Cosi’ messo ci sembra facile salirci cosi’ approfittiamo e scattiamo 2 foto. Nei pressi si trova anche una torretta completamente in legno intarsiato minuziosamente a mano, alta circa 30 metri che ci consente, per la prima volta, di godere di una vista panoramica mozzafiato della baia.

Prima di tornare alla nostra imbarcazione facciamo una piccola offerta per la costruzione di una scuola elementare;visto la realtà, lo facciamo con il cuore. In questo momento approfittiamo di dare una mancia a Capitan Mu per ringraziarlo della splendida giornata passata insieme, molto molto simpatico!

Riescono sempre a sbalordirci la bassa e l’alta marea; ci giriamo verso la barca ed è ormai ormeggiata al largo perché nel frattempo è salito il mare. Per un istante pensiamo ” E ora?”. Hakuna matata, tutto sotto controllo, come se niente fosse va uno dei ragazzi a prenderla a nuoto e l’avvicina a riva. Tornati a bordo ci rimettiamo subito a giocare con Hoko e facciamo rotta di rientro. Ai nostri piedi questa volta notiamo una piccola cassettina di legno con su scritto “tip boat” e decidiamo di lasciare una bella mancia giustamente meritata. In concomitanza con l’alta marea sul finire della giornata c’è anche un rafforzamento del moto ondoso e del vento ed alcune onde ci schiaffeggiano, bagnandoci e facendo entrare acqua a bordo, ma la tranquillità della “ciurma” abituata a navigare in certe condizioni o forse anche un po’ incoscienti ,ci mantiene sereni.

Arriviamo dondolando all’altra sponda. Il mare grosso ha sommerso completamente la spiaggetta del porticciolo, dove eravamo scesi da una scaletta scavata negli scogli e sbatte con violenza le onde contro la scogliera, creando cosi’ un’atmosfera un po’ inquietante! Capitan Mu ci fa preparare anticipatamente le nostre cose, salutiamo subito anche Hoko perché la barca potrà avvicinarsi solo per un istante alla scaletta per la paura di sbattere contro la scogliera, quindi saltiamo giù veloci e una volta girati di lei solo una scia,era già lontana. Anche questa giornata ed in particolare Hoko andranno ad unirsi agli altri, nei nostri ricordi.

Pole pole pole riattraversiamo con la macchina la foresta percorrendo una strada dissestata incontrando coltivazioni di papaya,banani e manghi. Attraversiamo piccoli insediamenti umani, inutile dire molto poveri,sembra di ripetersi, con case fatte di legno e fango.

Ci imbattiamo come all’andata nel solito gruppo di bimbi che ci corre incontro, purtroppo abbiamo lasciato a casa i nostri quadernini e pennarelli portati dall’Italia! L’unica cosa che possiamo regalare è una delle 2 maschere da mare un po’ piccola per noi, ma aspettiamo di incontrare un solo bimbo perché non sia motivo di diatriba… così abbiamo regalato un sorriso!

Raggiunta la strada principale il viaggio scorre più velocemente, veniamo nuovamente fermati al posto di blocco della polizia e come all’andata pretendono un “pizzo” da parte dell’autista visto che a bordo hanno notato turisti che per loro vuol dire scellini! Ma dopo una chiacchierata tra loro, non sappiamo ovvio cosa si dicano, l’autista accellera e si riparte. Arriviamo a Mbuyuni ,salutiamo Capitan Mu e gli diciamo che ci farebbe piacere fosse lui ad accompagnarci nell’ultimo tour (dopo domani) quando faremo Foresta di Jozani-Stone town-Prison island. Ci strizza l‘occhio con un sorriso e noi lo prendiamo per un si. Evviva! Corre via, contento di poter finalmente mangiare visto che è iniziato il tramonto! Ancor più d’obbligo che mai, una bella sgrumata sotto la doccia per togliere tutto il salmastro che abbiamo addosso e nei capelli. Per poco oggi non mettevamo le branchie! Non abbiamo molta fame e ci mancherebbe altro dopo tutto quel ben di Dio divorato a pranzo. Percy prende solo un insalata ed Elena salta proprio. Un po’ sul pc e a nanna senza sveglia questa volta, domani “giorno libero”.

Sono le 9:00 e continuiamo a crogiolarsi ancora nel letto ma poi ci rinveniamo che dopo le 9 la colazione non la servono più e quindi, anche se a fatica, sbuffando un po’, ci mettiamo addosso qualcosa di veloce e ci avviamo speranzosi di poter mangiare ancora qualcosa… ci va bene!!

Conosciamo 3 missionari italiani delle Marche, hanno fatto anche loro la Tanzania toccando zone molto più povere però e si stanno concedendo 3 giorni di relax qui sull’isola per poi tornare di nuovo sulla terra ferma per altre missioni. Tra l’altro ci raccontano anche alcuni aneddoti e riconosciamo come non sia facile fare il volontariato in queste zone, probabilmente è una vocazione che uno sente dentro di sé e ha bisogno di esternarla e certamente non si ferma davanti a certe realtà. Approfittiamo di dare loro i nostri famosi quaderni e pennarelli, gesto che viene apprezzato molto, in cambio ci chiedono le nostre e-mail per mandarci alcune immagini di quei luoghi.

Abbiamo una mezza idea di noleggiare 2 biciclette per farci una bella pedalata verso Paje; non sapevamo che anche al Mbuyuni affittano biciclette ed il prezzo è quello politico di tutti 5$ mezza giornata e 10 $ un giorno intero. Poi, però, desistiamo e preferiamo una bella passeggiata a piedi dopo pranzo. Arriviamo davanti ad una scuola di kite surf e qui decidiamo di tagliare verso l’interno attraversando un pub molto carino e ci ritroviamo ad un villaggio, con diversi negozietti, dall’aspetto meno turistico di altri e a noi questo piace, per cui decidiamo che possa essere il posto giusto per comprare i nostri souvenirs. Come sempre in questi posti ci troviamo a contrattare i prezzi ma poi alla fine siamo sicuri di aver fatto dei buoni affari, e loro rimangono comunque contenti!

Cos’è il kitesurf? Il kitesurf è una variante naturale del surf, al quale è stata aggiunta un’ala (anche se “Kite” letteralmente significa “aquilone”) che sfruttando le forze della natura regala agli sportivi sensazioni uniche quali l’ebbrezza e convinzione di trovarsi tra cielo e mare.

Soddisfatti dei nostri acquisti puntiamo velocemente verso casa, via spiaggia, per anticipare l’alta marea che ci costringerebbe a passare dalla strada, per noi un problema visto che siamo scalzi. Ce la facciamo.

Passiamo dalla stanza, posiamo le cose, ci docciamo e ci rilassiamo un po’ anche perché fuori si sta annuvolando, minacciando pioggia.

Come vi sarete accorti dalla lettura, qui le giornate, tolto i tour e qualche improvvisazione, scorrono in maniera molto metodica, scansionate dai soliti ritmi della colazione, del pranzo e della cena. E qui, più che in altri posti, anche dal flusso e riflusso del mare. Ma è una monotonia tutto sommato piacevole perché alla fine ci si abitua ed è anche rilassante, rispetto al nostro vivere frenetico italiano e lo sarebbe anche se non lavorassimo perché comunque tutto intorno a noi correrebbe!

Dopo cena ci mettiamo a sistemare le valigie perché sarà l’ultima nostra notte a Zanzibar e domani saremo via tutto il giorno per l’ultimo tour e ci faremo lasciare direttamente all’aeroporto. Abbiamo un sacco di souvenirs da mettere in valigia perché sappiamo che nel tempo sarà molto piacevole guardarli e lasciarci trasportare nei ricordi assaporandoli di nuovo uno ad uno, pole pole… porteremo nel cuore per tutta la vita le sensazioni ed emozioni uniche provate qua e chissà se un giorno, spinti a volerle riprovare, vi torneremo!

La sveglia come sempre puntuale fa il suo dovere, ma noi come sempre gli chiediamo ancora 5 minuti. Naturalmente ora è tardi ,quindi di corsa ci vestiamo per andare all’appuntamento alle 8:00 alla reception. Facciamo colazione ed Elena approfitta per fare altre 2 o 3 foto non contenta dei 23.584 scatti che ha già fatto! Ma gli mancava ancora la pianta di papaya che si trova proprio sulla nostra terrazza e il nostro improvvisato orticello di mangrovie. Sì, abbiamo piantato i 4 fiori di mangrovie che ci aveva regalato il ragazzo della mini-crociera di nozze. Un ricordo del nostro passaggio.

Ci vengono a prendere verso le 9:00. Che peccato, però, eravamo convinti venisse anche oggi Capitan Mu uffi. Ad attenderci c’è un altro ragazzo e poco dopo ci rendiamo conto che non parla niente di inglese e desistiamo subito dal voler socializzare. Prima tappa Foresta di Jozani, qui troveremo le scimmie dal manto rosso e dal manto nero-blu e non stiamo nella pelle! Il viaggio scorre veloce perché anche questo autista come l’altro, corre spericolato! Ad un certo punto si butta di lato perché incrociamo una scorta, a seguito del presidente, per evitare un frontale! E’ la seconda volta che incrociamo una scorta e sempre il solito carosello. Denota che le forze dell’ordine non hanno alcun rispetto della popolazione: la loro vita è niente di fronte ad un’ autorità! Anche le ambulanze, a sirene spiegate, corrono a tutta velocità contro mano e allora vedi aprirsi di fronte a loro un varco perché le macchine si tirano di lato! Facile immaginare come andrebbe a finire se non ci fosse spazio per farlo! Che la vita delle persone vale poco qua è percepibile da un occhio attento:dove sono le strisce pedonali? Le impalcature intorno alle case sono fatte di legni legati con corde senza neanche un telo protettivo. Le macchine come i camion sono ridotti ai minimi termini, i bus sono sovraffollati e stracarichi fin sui tetti di ogni ben di Dio. In Italia sono realtà ormai impensabili!

Raggiunta la prima meta, andiamo alla direzione del Parco, paghiamo il biglietto (4$ a testa) e ci affidano anche una guida con cui ci addentriamo nella foresta bellissima. Siamo subito in sintonia, parla un buon inglese e la cosa ci mette subito a nostro agio. Notiamo che tiene un taccuino con una penna nella mano e una volta chiestoci il corrispettivo nome in italiano di ciò che spiega, si appresta a trascriverlo. Ci spiega che crea un proprio vocabolario inglese-italiano voglioso di imparare la nostra lingua, sicuro che sia un buon investimento per il suo lavoro. Che tenerezza! Allora gli diamo una mano, lui va avanti con le spiegazioni e noi gli scriviamo il termine in inglese con accanto la traduzione, alla fine gli riempiamo 3 pagine di quaderno. Noi orgogliosi dell’aiuto che gli abbiamo dato e lui felicissimo, gli brillano gli occhi… assetato com’è di conoscere termini nuovi. Interessante e simpatico questo scambio culturale!

All’interno della foresta troviamo piante che da noi possiamo vedere solo nei vivai e dalle proporzioni enormi essendo nel loro habitat naturale. Rimaniamo a bocca aperta ad osservarle. Kenzie, palme da olio, mogano, eucalipto, mangrovie ed è interessante ascoltare come ognuna di queste abbia un significato importante nella vita di queste persone, per la maggiore sono medicamentose. Il terreno (da noi diremo sotto bosco) è davvero molto umido, in alcuni punti addirittura bagnato tanto da lasciar affiorare l’acqua ed in prossimità troviamo anche una conchiglia, sì, proprio quelle di mare! Pensate un po’!

Ed ora andiamo a cercare le scimmiette! Attraversiamo una strada per spostarci su un altro versante della foresta ed immediatamente ci accorgiamo di esserne circondati: corrono, si rincorrono, si arrampicano, si lanciano da un albero ad un altro, si dondolano insomma è un impresa riuscire ad immortalarle con la macchina fotografica o che la foto non venga mossa! Ok, telecamera alla mano, ci ricordiamo di averla dietro. Le scimmie dal manto rosso sono veramente tante divise in più nuclei familiari e le vediamo di tutte le dimensioni. Le altre è più raro vederle perché ci sono pochissimi esemplari sparpagliati in mille e mille metri quadri ma il destino vuole che se ne veda almeno una e riusciamo anche a riprenderla. E’ vero il manto è blu!

Vorremmo rimanere lì, è uno spasso vederle giocare. E’ un animale che ti comunica positività, allegria, dinamismo, energia e poi sono buffe all’aspetto. Quella rossa ha i peli ritti sulla testa, occhietti furbi, vispi e sempre attenti. Ci accorgiamo anche quanto siano suscettibili però, Elena inciampa in una radice, presa ad osservarle. Ed ecco il caos totale! Iniziano ad emettere suoni acutissimi, striduli e sembra parlino animatamente tra di loro. Insomma, per quanto abituate alle nostre visite, rimangono pur sempre animali selvatici e reagiscono a tutto ciò che è estraneo al loro habitat o ai suoni o rumori consueti. Inizia a piovere sempre più forte, ma le piante con i loro cappelli, più o meno folti, ci fanno da ombrello. Salutiamo il ragazzo, gli diamo la mancia e lo incoraggiamo a proseguire i suoi studi… Jambo Jambo e montiamo in macchina: prossima meta Prison Island.

Il tempo in effetti oggi lascia un po’ a desiderare ma ci consoliamo dicendo che per fare questo tipo di tour forse è meglio non aver il sole che batte a picco. Arriviamo al porto di cui non abbiamo un buon ricordo! Oggi siamo in un’altra parte del porto quindi non rischiamo cattivi incontri. Il nostro taxista ci lascia nelle mani di un signore, Maiusi, che ci accompagna dove arriverà il nostro traghetto. Arriva! Non si tratta di un traghetto ma ben sì di una barchetta completamente in legno, con un tendalino lungo per quasi la sua lunghezza con su scritto Capitan Harlock. Partiamo alla volta di Prison Island, incrociamo molte barchette come la nostra che fanno avanti e indietro con i turisti e portano i nomi più svariati. Che buffi! Juma e’ il nome del nostro nuovo capitano.

Approdiamo direttamente sulla battigia, piantiamo un palo nella sabbia e fissiamo la barca. L’acqua sempre azzurrissima ma la sabbia invece è lievemente meno bianca ma comunque incantevole. La prima cosa che salta all’occhio è un grosso resort, a due passi dalla riva, con un bellissimo pontile-porticciolo che corre fino al mare. Saliamo le scale e siamo al suo interno. Meraviglioso! Unico nella sua architettura e nei colori, tali da amalgamarsi all’ambiente circostante. Davanti a noi ci sono delle frecce che indicano a sinistra “turtles”e a destra “prison”. Andiamo dalle tarte, sono enormi ed enormemente dolci. A malincuore dobbiamo continuare il giro, il tempo come sempre è tiranno. Ci avviamo verso l’altra parte del resort dove troviamo la vecchia prigione. Adesso vi hanno adattato un bar con tavolini nel porticato. L’arredamento interno ed esterno del locale è carino ma qualcosa stride e non sappiamo quanto sia stato di buon gusto creare un posto di intrattenimento, di ozio dove un tempo e non molto remoto persone hanno sofferto anche torture. Finita la visita torniamo verso Stone Town e l’ora di pranzo inizia a farsi sentire. Arrivati al porto andiamo al punto dove c’eravamo separati dal nostro taxi ma di lui neanche l’ombra. Rimaniamo calmi ma non preoccupati, più che altro per i nostri bagagli! Non sappiamo quanti minuti di paura passano prima che lo si veda arrivare ma sembravano interminabili. Probabilmente era andato a parcheggiarsi da qualche parte in attesa della fine del nostro tempo di tour. Da tirargli le orecchie per lo spavento preso!

Ci troviamo nel traffico della città, il nostro autista fa una telefonata e, ad un certo punto, troviamo Miki, il cuoco del resort Mbuyuni, che bello! Parla non solo un inglese comprensibilissimo ma anche discretamente l’italiano. E’ sorridente e gioioso ed in vacanza fa piacere! L’incontro non e’casuale, probabilmente verrà con noi nel city tour come accompagnatore e noi ne siamo felicissimi. Intanto ci porta subito a mangiare!

Il ristorante e’ molto bello mangiamo veramente bene e decidiamo di offrirgli il pranzo. L‘autista rimane in macchina. Miki è musulmano ma ci spiega che lui non può fare il ramadam perché ha avuto problemi grossi allo stomaco e assolutamente non può saltare i pasti. In effetti e’alto alto e filiforme. Usciti dal ristorante svoltiamo subito a destra ed è stato come entrare in un labirinto o formicaio, allora ci accompagna lui.

Cos’é Stone Town? Stone Town è il cuore storico e culturale della città di Zanzibar, poco è cambiato negli ultimi 200 anni. E’ un luogo di vicoli tortuosi, vivaci bazar, moschee e grandi case arabe i cui originali proprietari facevano a gara tra di loro a sfoggiare la stravaganza delle loro abitazioni. Questa esagerazione si riflette particolarmente nelle porte finemente intagliate e tempestate di ottone. Stone Town è stata recentemente e giustamente dichiarata Patrimonio dell’umanità dall’Unesco.

Ci facciamo prendere di nuovo dallo shopping, scegliamo ancora oggetti per casa e a quanti rinunciamo! Poi c’é Miki che ci sostiene, ci porta dove è meglio comprare; è successo anche che una volta in trattativa, senza farsene accorgere, ha suggerito di andarsene… troppo cari o forse non dicevano cose belle. Boh ci dimentichiamo di chiedere il perché. Per trovare un Dhow come lo pensavo io giriamo molto ed entriamo in un sacco di negozietti ma niente, ma eccolo! Trattiamo il prezzo e riusciamo a portarlo via con 15$ voleva 25$! Che gioia il ricordo della nostra luna di miele. Siamo davanti al mercato dei generi alimentari, entriamo e c’é di tutto: formaggi, pesce, carne, granaglie. Scattiamo parecchie foto incantati dalla loro maniera di esporre le cose e ci accorgiamo che tutti gli utensili, ceste, vassoi che abbiamo trovato in giro fin’ora nei mercatini sono tutte cose che usano realmente nella loro quotidianità e non sono cose fatte solo per far spendere turisti.

Girando e girando da perdere la bussola, arriviamo davanti al cortile di una chiesa, l’edificio è anglicano. Facciamo un giro veloce dentro e ci salta subito agli occhi il ‘nostro’ marmo di Carrara prima che Miki ce lo indichi. Parte della nostra terra in tutto il mondo! Una volta fuori ci avviciniamo ad un monumento leggermente interrato in commemorazione degli anni di schiavitù subiti dagli africani: 5 schiavi con capo chino e la catena al collo e alle braccia. Cos’era la schiavitù? Gli schiavi hanno rappresentato, fin dall’antichità, una notevole fonte di guadagno per i mercanti che si dedicavano a questo commercio, esportando uomini dall’Africa verso l’Arabia, la Persia e l’India. Nel XVIII secolo, a causa di un notevole aumento della domanda, i mercanti arabi cominciarono a spingersi maggiormente verso l’interno dell’Africa per trovare altri schiavi che venivano, poi, venduti al mercato di Zanzibar Town. Gli Arabi erano molto abili a sfruttare le rivalità esistenti tra le diverse tribù, facendo in modo che, nei vari conflitti locali, i vincitori vendessero i nemici catturati come schiavi.I pasti consistevano in una ciotola di riso ed una tazza di acqua stagnante e le epidemie non tardavano a diffondersi, anche se i mercanti avevano un modo piuttosto sbrigativo per circoscrivere il contagio: gettare in mare gli schiavi infetti. Quando finalmente raggiungevano Zanzibar, gli schiavi erano esausti per la fame e per la forzata immobilità. Poiché i mercanti dovevano pagare la dogana su ogni singolo schiavo, quelli ritenuti incapaci di sopravvivere venivano gettati in mare prima di attraccare, ma erano comunque molti quelli che morivano negli uffici doganali o lungo la strada che conduceva al mercato. I sopravvissuti venivano lavati e “lucidati” con olio per renderli più pregiati. Le donne venivano abbigliate e, spesso, adornate con bracciali e collane nonché truccate con henné e polvere di antimonio. Solitamente si sistemavano nelle prime file gli schiavi migliori, lasciando per ultimi quelli più bassi o più deboli, ma tutti erano accuratamente esaminati dagli acquirenti per assicurarsi che fossero in grado di lavorare ed, infine, venduti al miglior offerente. In alcuni casi essi rimanevano sull’isola per lavorare nelle piantagioni ma molto più spesso, venivano imbarcati per raggiungere l’Oman o qualche altra località dell’Oceano Indiano. Grazie alla mediazione di Atkins Hamerton e John Kirk, il governo inglese riuscì a conquistare la fiducia del Sultano Said e di suo figlio Bargash, raggiungendo l’obiettivo di limitare e infine di eliminare questo disumano commercio. In realtà fu solo 50 anni dopo la chiusura del mercato degli schiavi nel 1873, che la schiavitù scomparve definitivamente dalla Tanzania (all’epoca Tanganyika). Nella cattedrale di Stone Town, costruita dove sorgeva il vecchio mercato degli schiavi, sono stati rispettati dei simbolismi molto significativi: l’altare sorge nel punto in cui c’era il palo dove gli schiavi venivano frustati ed una delle vetrate ricorda i marinai inglesi morti durante i pattugliamenti anti-schiavitù. Un’usanza piuttosto comune, stando al numero degli scheletri ritrovati in alcuni edifici, era quella di seppellire vivi degli schiavi quando si gettavano le fondamenta di una nuova costruzione.

Sembra semplicistico parlare di crudeltà… quello che proviamo noi in questo istante è tanta vergogna… vergogna di essere uomini, ma purtroppo non è finito qua il tour ci manca la visita ai sotterranei, dove gli schiavi sostavano giorni e giorni prima della vendita. Cunicoli di 5 metri quadri con altezza di 1 metro, dove ci stipavano fino a 30 anime poi c’era un canaletto più profondo dove potevano defecare e in seguito gli schiavisti facevano scorrere l’acqua per pulire il tutto…tante le morti anche per asfissia..poi da qui venivano incatenati, uno ad uno, in fila indiana, con catena al collo come cani, e poi portati al mercato. Usciamo un po’ scioccati e non so, ci viene da chiedere scusa a Miki. E lui abbassa gli occhi e ci dice di non preoccuparsi. Giriamo lo sguardo e vediamo Luca tutto intento a spiegare al gruppo di turisti italiani che accompagna e Percy, simpaticamente come lui sa sempre essere, gli dice: ma che dici? Ma non è vero, cosa racconti? Luca si gira con sguardo in cagnesco, digrignando i denti! Ma appena si accorge di noi scoppia in una grassa risata e ci abbraccia salutandoci di nuovo. Le coincidenze della vita, a quell’ora in quel giorno in quel luogo.

Piano piano ci avviamo verso la macchina che è ad attenderci davanti all’entrata del mercato. Qui un brulichìo di persone intente già a cucinare perché il sole se ne sta andando, anche se sono solo le 18:00 e finalmente possono mangiare. Direzione aeroporto. Abbracciamo Miki, veramente una bella persona, gli regaliamo un libretto Swahili-Inglese-Italiano che lui accetta con tanto entusiasmo. Ci dà il suo biglietto da visita e sempre nella speranza di potersi rivedere nella vita, ci salutiamo con commozione..

Eccoci qua al check-in, con le nostre valige e annessi e connessi sulla bilancia. Percy si accorge che colto da improvvisa stanchezza, una volta sistemato i bagagli sulla bilancia, ci si era pure appoggiato sopra! Il funzionario ci chiede 45 $ per il sovrappeso. Nel mio inglese riesco a spiegargli quanto sbaglino a tassare così il sovrappeso perché hanno solo da ringraziare i turisti strapieni di souvenirs. Dopo una bella trattativa arriviamo a 10$! Mica male, no? Però Percy gli dà 20$ e non avendo il resto si allontana dal bancone per andarli a cambiare, poi dà a noi 10$ e gli altri se li mette in tasca. Capito cos’era la tassa del sovraccarico?! Né più né meno che una tangente! E non è finita qua. Ci avviamo al controllo passaporti ed eccone un altro! Un funzionario ligemente vestito in divisa dopo aver dato una sbirciata ai passaporti ci chiede: some money? E noi, secchi, avevamo già capito: money for what? A quel punto con elemosina ci chiede soldi per lui ma Percy pronto, toglie dalla custodia della telecamera vecchie lempira, banconote honduregne, rosse come gli scellini, le accartoccia nella sua mano e gliele porge. In un vento, se le mette in tasca e si allontana. A quel punto l’atmosfera si era fatta un po’ pesante, forse per l’ambiente un po’ troppo corrotto e ci siamo detti di passare velocemente la dogana ed andare di corsa al gate, luogo sorvegliato e tutelato da leggi internazionali.

Che strana sensazione arrivati a questo punto: chissa’ se ci abitueremo mai alla fine di un viaggio! Un misto di tristezza, malinconia, un amaro in bocca, un nodo alla gola… stracarichi di souvenir ma anche di esperienze e sensazioni nuove, che ci hanno arricchito enormemente. La sentiamo dentro di noi questa cosa che ci spinge verso sempre nuove mete. Chissà, magari un giorno, torneremo dove sentiremo di averci lasciato parte di noi. Chissà dove.

P.S.: questo diario di viaggio è un regalo fatto di cuore da noi per le nostre famiglie… Non siamo scrittori quindi non vuole essere un”libro” e se lo trovate un po’noioso in alcuni punti pensate che è la nostra Tanzania… semplicemente così.. come l’abbiamo vissuta.

Jambo… Jambo…



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