I mille colori della Bolivia

Sconfinati deserti e altissime montagne
Scritto da: Debora e Luca
i mille colori della bolivia
Partenza il: 03/09/2011
Ritorno il: 23/09/2011
Viaggiatori: 2
Spesa: 3000 €

Sabato 3/domenica 4 settembre

Con un po’ di agitazione per il primo viaggio in altura partiamo per la nostra nuova avventura. Le ore di volo e attese negli aeroporti tra uno scalo e l’altro sono davvero tante perché partiamo da Milano-Linate alle sei del mattino e arriviamo a La Paz il giorno dopo, alle tredici ore italiane (31 ore) passando attraverso Londra e Miami e volando con British e American Airlines. La prima impressione su La Paz è ottima, temperatura 5°, aria secca e cielo azzurro; tutto secondo i piani, come pure la prima tachicardia nel salire le scale del carinissimo hotel Rosario (www.hotelrosario.com), vicino al centro della città. Dopo un po’ di indispensabile riposo, con la calma che in realtà non ci è consueta, affrontiamo il centro cittadino in un saliscendi di strade che mettono a dura prova cuore e quadricipiti. Presto impariamo che il passo lento è necessario e così facendo ci troviamo immersi in una folla festante riversata sulla strada principale per la prima festa del pedone. Alle due, la fame si fa sentire e dato che bisogna mangiare leggero in altitudine, optiamo per una untuosa milaneza con papas frita e arroz ma… sin salsa! Il piatto è notevolmente abbondante al ristorante Alaya e purtroppo ne restituiamo più di metà sentendoci in colpa. Per due piatti, con acqua da due litri, paghiamo la cifra di 70 Bol, mancia compresa (7 €). La prima stanchezza avanza e decidiamo di fare sosta in hotel dove Luca riposa a letto ed io m’immergo nella lettura al sole e nel silenzio della terrazza dell’hotel Rosario. Recuperate le forze e con solo un leggero mal di testa usciamo di nuovo per la passeggiata delle 17 dirigendoci verso Plaza Murillo e il Palacio Presidencial con la piazza gremita di gente, bambini e, come sempre accade nelle piazze delle città del Sud America, colombi! Si riuniscono intorno ai bambini che lanciano il mais venduto dalle signore con quelle buffe bombette e scialli colorati e, all’improvviso, si alzano tutti in volo non appena qualcuno accenna a una corsa. Da questo quadretto allegro e colorato presto ce ne dobbiamo andare perché il mal di testa, soprattutto il mio, sta salendo di grado. Non avendo voglia di uscire ancora per cena restiamo al ristorante Tambo Colonial dell’hotel, ben recensito dalla Lonely che, come al solito, non sbaglia. Alle 21:30 siamo già a letto, preoccupati per non capire se il mal di testa è legato alla stanchezza del viaggio o se il soroche ci ha colpiti. Per non rischiare, aggiungiamo mezza pastiglia di Diamox, medicinale specifico che il medico ci ha consigliato in via preventiva.

Lunedì 05

Dopo circa dieci ore di sonno la situazione è ben cambiata e, risollevati nel morale, dopo un’ottima colazione, con la nuova acquisita calma, verso le 10:30 iniziamo il ns. secondo giorno a La Paz. A noi le grandi città non piacciono particolarmente e, in condizioni normali, avremo iniziato il vero viaggio già dalla mattina ma, vista la necessità di adattamento all’altitudine dei ca. 3.650 metri, la scelta è stata azzeccata. In mezzo ad un traffico strombazzante che nulla ha a che vedere con la tranquillità della domenica del pedone, andiamo verso la Iglesia de San Francisco, chiesa fondata nel 1548, crollata sotto il peso di una forte nevicata e poi ricostruita nel 1750 in stile spagnolo. La 2° tappa culturale è dedicata al Museo di Etnografia e folklore, dove fotografiamo una bellissima galleria di maschere storiche. Dopo la pausa pranzo, con un banale hamburger al Burger King, affrontiamo la lunga ma piacevole passeggiata per il Mirador Laikakota… trovandolo chiuso! Il paesaggio della città alta arroccata sulla montagna è comunque visibile e fotografabile e il giro è valso uno splendido riposo, sdraiati nel parco, baciati dal sole. Ci immettiamo in una strada centrale per il rientro, piena zeppa di autobus con gli autisti urlanti e il clacson facile, per niente rispettosi dei disperati pedoni che tentano di attraversare la strada. Una sosta degna di nota è quella di metà pomeriggio in un bar a fianco alla chiesa di San Francisco (Cafè Banias) dove gustiamo una ensalada de frutas, preparata con molto buon gusto e sapore alla modica cifra di 12 Bol ciascuna (1,2 €). Sulla strada del rientro in Calle Sagarnaga facciamo i primi acquisti ma soprattutto curiosiamo trattenendoci per questo piacevolissimo aspetto per l’ultima mezza giornata che passeremo a La Paz . Alle 21 in punto parte il bus turistico in direzione Uyuni; constatiamo subito che non è proprio comodo come quelli usati in Perù ma i sedili sono comunque reclinabili, il riscaldamento funziona e ci offrono anche un pasto “simil aereo”. Fino all’una il viaggio tutto sommato fila liscio, dopodiché le cose cambiano perché ci spostiamo su un bus adatto alla strada sterrata che da Ururo ci porterà fino a Uyuni dove arriveremo alle 9:00 della mattina capendo così che era meglio scegliere la soluzione del treno! Rinfrancati alla vista della guida con il cartello dei ns. nomi, saliamo sulla jeep pronti per iniziare la giornata andando verso San Cristobal, minuscolo pueblo costruito intorno ad una chiesa in adobe, vecchia di 350 anni, con bellissimi affreschi al suo interno… così dice la Lonely e noi ci fidiamo dato che la troviamo chiusa! Consumiamo un dignitoso pranzo a base di pollo, patate e riso all’hotel San Cristobal e poi facciamo la passeggiata che rende bella questa giornata: una deviazione, sempre su strada sterrata, alla Valle de las Rocas, bizzarre formazioni rocciose, erose dal vento che ci fanno subito pensare ai ben più famosi Arches e Bryce Canyion negli Usa. Forse tra molti secoli e un diverso sfruttamento turistico potrebbero diventare mete fisse di nuovi circuiti vacanzieri. Noi per il momento assaporiamo questi infiniti silenzi, spezzati solo dal vento, seduti su una roccia a picco su una gola profonda, stupiti che anche la Lonely vi dedichi poche righe. Tra una sosta e l’altra per fotografare lama, vigogne e struzzi andini, arriviamo all’hotel di Villamar, un pueblo solitario in mezzo a rocce rosse. La struttura è semplice e pulita, il riscaldamento parte dopo le 19 mentre l’acqua calda è disponibile subito, così come delle caldissime termocopoerte sotto le quali ci accovacciamo alle 21 senza quasi neanche aver digerito la cena.

Mercoledì 07

La sveglia è alle sei per partire nel freddo pungente dei 4.500 metri di altitudine. La destinazione finale della giornata è San Pedro de Atacama in Cile, ma il viaggio è lungo e si presenterà con molte emozioni. Iniziamo lentamente la salita verso la vetta con il nostro altimetro che sale a 4.500-600-700 metri! La prima laguna che incontriamo è la Capina dove contrastano un blu pazzesco del cielo con il bianco del deposito di borace. Qui lavorano ca. 30 persone per la raccolta del minerale ed il carico sui camion che partono alla volta del Cile per la raffinazione e l’esportazione. Il primo pensiero sorge spontaneo: come fanno a vivere e lavorare queste persone in un luogo (come si usa dire) dimenticato da Dio? La seconda laguna regala entusiasmo alle stelle e il ns. bravo autista Humberto ci lascia soli per una buona mezzora. Abbiamo ormai imparato “a non fare i giapponesi” (è un ns. modo di dire senza offesa per nessuno): prima esploriamo con gli occhi il paesaggio, ne apprezziamo i colori, le forme, i movimenti, qui impercettibili, poiché esiste un’unica forma di vita (siamo scesi a 4.278 metri); poi scattiamo le fotografie con calma e giriamo qualche video. La Laguna Colorada è uno specchio d’acqua color corniola che si estende per 60 kmq raggiungendo la profondità massima di 80 cm. La colorazione rossa è dovuta ad alghe e plancton che prosperano nelle acque ricche di minerali, mentre i bordi sono orlati di brillanti depositi bianchi di sodio, magnesio, borace e gesso. Come se non bastasse, a questi colori si aggiungono il bianco e rosa del piumaggio ed il giallo del becco dei fenicotteri, incredibilmente presenti in Bolivia in grandi quantità a queste altitudini. Può sembrare una descrizione da cartolina, un po’ esagerata, ma in realtà garantiamo che il quadro è proprio questo: colori, aria fredda ma secca e tanto, tantissimo silenzio. Il vantaggio di viaggiare in settembre e non in agosto, oltre ad essere quello di trovare temperature più umane evitando il gelo e la neve (nel Salar non nevicava il primo agosto da 40 anni) è anche quello di non avere altri turisti (o molto pochi in alcune zone) con cui condividere le bellezze del luogo ma che rischiano inevitabilmente di “danneggiarne” i silenzi. Tristemente lasciamo i fenicotteri per raggiungere Sol de Manana, al quale la Lonely dedica immeritatamente poche righe senza entusiasmo. Il vento è di certo molto forte e questo potrebbe pregiudicare la visita e renderla brevissima: in realtà questo bacino di geyser a 4.850 metri ci affascina e ci riserva una tavolozza di colori con sfumature che passano dal giallo ocra, al rosso attraverso tutta la tonalità dei grigi. Le bolle di fango gorgogliante, le fumarole un po’ puzzolenti, tipiche dei vapori sulfurei, sono davvero belle e noi ci aggiriamo tra le fenditure con attenzione perché il terreno è ovunque “morbido”. Per pranzo la sosta è prevista alle Termas de Polques, una piccola sorgente termale a 30° dove è in programma anche il bagno, ma, nonostante il costume fosse già pronto, non abbiamo il coraggio di spogliarci per poi doversi rivestire all’aria aperta, considerate le raffiche di vento! Queste non ci abbandonano neanche alla Laguna Verde dove, nonostante il colore meraviglioso dell’acqua che contrasta con il Vulcano Licancabur alle spalle, ci fermiamo pochi minuti proprio per il freddo pungente. Nella stessa sequenza proposta dalla Lonely, attraversiamo il tratto di deserto con le Rocas de Dalì, una serie di rocce che sembrano dipinte nella sabbia dal maestro del surrealismo. Al termine di questa lunga ma piacevolissima giornata, arriviamo a San Pedro de Atacama, in Cile, all’hotel Casa de Don Thomas (www.dontomas.cl), dove si respira immediatamente “aria di internazionalizzazione” (tutti parlano inglese) e maggiore modernità rispetto alla Bolivia. Hotel carino, cameriere brasiliano innamorato dell’Italia e risotto di quinoa sensazionale!

Giovedì 08

La giornata si preannuncia lunghissima con la partenza alle 04:30 per il geyser del Tatio (4.200 m), un centinaio di “bocchette” che eruttano acqua e vapore, sparse qua e là. I -5/-7° si fanno sentire nonostante l’equipaggiamento da alta montagna che sfoggiamo, quindi alle 08:30 facciamo il primo rientro alla macchina per il desajuno a base di matè bollente per scaldare corpo e mente. Poi ci spostiamo verso un’altra zona, dove pochi audaci giovani “nordici” azzardano un bagno in una pozza termale; noi invece, popolo caliente del sud Europa, guardiamo, sorridiamo e fotografiamo. La strada del rientro all’hotel non è ovviamente una normale carretera, ma si presta ad altre soste per riprendere splendidi uccelli (huallata dalle zampe rosse, choca dal becco azzurro, gaviota dalla testa nera) che camminano sul torrente ghiacciato, oppure per inoltrarsi in una vallata costellata di cactus. Le ore centrale della giornata si passano in riposo, con passeggiata nel centro del paese, pranzo in una sala da thè mangiando una succulenta omelette (15 € in due pagati tranquillamente con carta di credito!), dormita pomeridiana e sole sulle sdraio del giardino dell’hotel. Alle quattro riprendiamo la jeep alla ricerca di bellissimi mirador per ammirare, da diverse angolazioni, la cordillera del sal, una serie di formazioni rocciose rossastre con inserzioni bianche dovute al sale con guglie alte, basse, tondeggianti che lasciano incantati. Entriamo nella Valle della Luna per ammirare il tramonto dalle dune, ma prima Humberto ci conduce alla grotta del sale, un percorso un po’ impervio fatto di cunicoli bui e stretti, dove bisogna stare attenti alla cabeza! In perfetto orario, ci avviciniamo al percorso che in ca. 20 minuti porta alla cima della duna, ma noi insieme ad altri intrepidi camminatori proseguiamo sulle guglie per altri 15/20 minuti fin proprio alla fine del camminamento e, in mezzo a francesi e spagnoli, attendiamo la discesa del sole dietro la montagna.

Venerdì 09

Si rientra in Bolivia, dopo un’ora al freddo, in coda, alla frontiera per il controllo del passaporto; rifacciamo la stessa strada dell’andata con passaggio ad Apacheta a 5.020 metri ma soprattutto nuova sosta alle lagune, verde e colorata. Se inizialmente pensavamo fosse una ripetizione, ci ricrediamo perché fermandoci in orari diversi possiamo ammirare colori differenti e anche più belli. La laguna verde si presenta di un colore “maldiviano” con una piccola differenza di 4.500 metri di altitudine. La laguna colorata viene eletta il panorama più bello visto al mondo, nonostante, nel nostro piccolo, abbiamo potuto ammirare tanti posti belli, anzi bellissimi. Humberto ci porta in tre diversi punti panoramici, sia in altezza sia a livello dell’acqua. Il colore si presenta ancora più rosso, intenso, cupo e in contrasto con il bianco dei depositi di minerali. I fenicotteri camminano sull’acqua e in alcuni tratti in cui la laguna torna azzurra si rispecchiano completamente. L’aria è particolarmente frizzante ed in alcuni momenti il vento è davvero pungente, come nella tappa successiva all’Arbor de Piedra, che si staglia nel Deserto di Siloli dove, ai piedi della montagna, si trova anche l’hotel del Desierto, della catena Tayka (www.taykahoteles.com). Questo hotel, insieme con quello di sale e di pietra, fa parte di un progetto gestito da comunità locali che ha contribuito a costruire queste strutture conducendone la gestione. Questo del deserto di Siloli è stato costruito con 18.000 blocchi di pietra ed è gestito da un gruppo di giovani molto disponibili e sempre sorridenti. La doccia è calda grazie ai pannelli solari e il riscaldamento viene acceso dalle sei alle undici, ma il caldo la notte è garantito da giganteschi piumini (manca invece il phon… meglio non dimenticarlo come ho fatto io!). Una nota merita anche la cena, perché ci troviamo a 4.400 metri, lontani molti km dal primo pueblo! Crema di verdura, pollo, riso e patate andine gustosissime, accompagnati da pane caldo sfornato in perfetto orario alle 19:30!

Sabato 10

La mattina alle otto il deserto di Siloli si presenta immacolato, una distesa di terra rossa, costellata di bassi cespugli color paglia. Lo attraversiamo diretti alla Ruta de Las Joyas, una strada che collega quattro lagune (Honda 4.115m, Chairkota 4.150m, Hedionda, Canapa 4.135m), in ognuna delle quali Humberto ci “scarica” in un punto e ci riprende quasi un km dopo lasciandoci passeggiare in tranquillità e, ancora, in assoluto silenzio. Il fatto di essere soli in questo paradiso ci permette di avvicinare a riva i fenicotteri che attendono il disgelo delle acque e forse anche per questo rimangono immobili alla presenza di umani. Vista l’assenza di vento e il sole che comincia a scaldare, Humberto prepara la mesa per il pranzo sotto le rocce colorate con vista sul vulcano Ollague, ancora attivo sul confine cileno. Con una deviazione dal programma, Humberto ci propone di allungare un po’ la strada e passare per San Juan, un villaggio a 3.660 m, abitato da un migliaio di persone dedite alla coltivazione della quinoa, un cereale che abbiamo già apprezzato in Perù, con cui si fa una squisita zuppa. E’ ricco di proteine e vitamine e, non a caso, viene consumato a queste altitudini per compensare la mancanza di altre sostanze nutritive. Presi dall’entusiasmo entriamo in una “bottega” e ne compriamo un chilo sperando di riuscire a portarlo a casa (missione compiuta!). A San Juan visitiamo una necropoli che custodisce i resti di alcune mummie conservate nelle chulpas, delle piccole tombe scavate nella roccia e ritrovate non più di 500 anni fa. C’è anche un piccolo museo che merita una visita. Prima del calar del sole arriviamo a San Pedro de Quemez, al secondo hotel della catena Tayka, costruito interamente, compresa la base del letto, in pietra locale, con la stessa filosofia degli altri hotel, cioè gestito da un gruppo di giovani. Anche questo posto ci accoglie con un appetitoso profumo di pane caldo.

Domenica 11

È arrivato il grande giorno del Salar, tanto ammirato nelle foto (poche sulle riviste, molte sul web) e superbamente descritto da Carla Perrone, autrice di “Deserti” (invito alla lettura), da lei attraversato in solitaria, con un carretto appositamente creato. In realtà facciamo prima un paio di soste alla Gruta de las Galaxias e Cueva del Diablo. Si tratta di una piccola grotta, scoperta nel 2003, colma di alghe e coralli di un antico lago, ora pietrificati; la Cueva invece contiene un piccolo cimitero preincaico disseminato di chulpas. A pochi km ci fermiamo anche nel piccolo villaggio di Aguaquiza, in tempo per vedere due arzilli ultrasettantenni, dediti alla tostatura della quinoa. Humberto intavola conversazioni con chiunque e alla fine, in cambio di banane, palta e pane, ce ne andiamo con due sacchetti di quinoa speciale, quella per le bevande e quella per le granaglie. Riprendiamo la marcia e, all’improvviso, davanti a noi appare l’immensa distesa bianca, 12.000 kmq immacolati: all’orizzonte s’intravedono velatamente i profili di montagne e vulcani; in questo momento non ci sono neanche veicoli in transito quindi il candore è ininterrotto e il silenzio totale; la guida si ferma e ci lascia campo libero per foto e riprese. Si diverte anche lui insegnandoci le pose “strane” come Luca che mi tiene su un palmo di mano o entrambi appoggiati sul collo di due bottiglie. Cerchiamo le foto “artistiche” sdraiati per terra per inquadrare gli esagoni di sale che si formano per lo spostamento d’acqua causato dal vento. Alle 12:30 scaliamo i 200 metri di altezza della collina dell’Isla Incahuasi, entusiasti alla vista del cielo vivacemente blu, dei cactus variegati verdi con sfumature color rosso e paglia e dell’onnipresente bianco a 360°. Un’ora se ne va e non ce ne accorgiamo, altri minuti passano alla vicina Isla Pescado, frequentata da nessuno ma conosciuta dal ns. mitico Humberto. Credendoci appagati di una magnifica giornata, ci godiamo la corsa a 100 all’ora lanciati verso il vulcano Tunupa, sotto il quale è stato eretto il terzo hotel della catena Tayka, quello di sale, costruito in 18 mesi, da 32 famiglie del pueblo di Tahua con 35.000 blocchi di sale. Ma non è finita per oggi: Humberto ci dà 15 minuti per lasciare in camera le valigie, ci fa ripartire con la macchina per ca. 10m, poi si ferma in mezzo al Salar, ci fa scendere e ci dice di attendere la sua chiamata mentre lui avanza con l’auto. Dopo alcuni minuti lo raggiungiamo, lui sposta l’auto e appare una tavola apparecchiata con vino rosso, patatine e noccioline. Quasi commossi, dopo aver versato un po’ di vino sulla pachamama in segno beneaugurante, attendiamo infreddoliti il tramonto sul Salar.

Lunedi 12

Oggi era prevista la salita al vulcano Tunupa partendo da 4.200 m per arrivare al mirador a 4.700 m con 4 ore di camminata in salita e 3 in discesa; decidiamo però di accettare i ns. limiti e non fare gli eroi, vista la ns. mancanza di preparazione atletica adeguata e così optiamo per la via breve: partenza da Coquesa a 3.700 e arrivo a 4.100 con 45 minuti di cammino, fatto agevolmente! All’arrivo, ci troviamo di fronte l’intera distesa del Salar e alle spalle il vulcano con un’esplosione di colori della terra con l’aggiunta del bianco innevato; nei terrazzamenti più in basso un pastore fa risuonare nel vuoto le sue urla contro un gruppo di lama che evidentemente non va nella direzione da lui voluta. Sul sentiero del ritorno sostiamo in una piccola grotta, dove sono state ritrovate alcune mummie del 1.200 d.C. conservate e riparate nella montagna. Riprendiamo la via per Uyuni rientrando nel Salar per uscirne tre ore più tardi a Colchani. E per pranzo come si fa? Sul percorso non esistono ristoranti e allora… di nuovo nel mezzo del nulla spunta la piccola tavola da campeggio e i contenitori di cibo caldo che Humberto si è fatto preparare: bistecca di lama, patate andine, fusilli (!!!) conditi con gustoso sugo di pomodoro, peperoni, cipolla e wurstel. Che risate! A Colchani vediamo le condizioni di lavoro di chi, con piccozza e pala, rompe il sale, lo raduna in cumuli e lo carica sui camion (dalle otto alle cinque), indossando stivali di gomma, passamontagne e occhiali per ripararsi da sole e bianco accecante (indispensabili berretti e occhiali). A Colchani facciamo un po’ i turisti girovagando per le “botteghe” di artigianato che in verità espongono tutte la stessa merce. Arriviamo a Uyuni all’hotel Tambo Aymara (poco riscaldamento e poca acqua calda) verso le quattro in tempo per una passeggiata e una connessione internet (eterna!). Per cena sperimentiamo il risto pub La Loco, dove per 188 Bol mangiamo bistecca di lama con quinoa, cerveza, crepes al cioccolato e l’immancabile mate’ de coca.

Martedì 13

Per il trasferimento Uyuni-Potosì sono previste ca. 4 ore di viaggio, per nulla noiose, in quanto la strada, in parte anche asfaltata, si snoda tra montagne e canyon con molti lama che pascolano erba secca ai lati della strada. E così a mezzogiorno all’hotel Santa Teresa salutiamo Humberto, con obbligatorio scambio d’indirizzi, promettendogli che se qualche amico vorrà fare il ns. stesso viaggio, daremo i suoi riferimenti. Con 9 € in due pranziamo a “El Fogon” con tortillas espagnoles, patate fritte, acqua e matè, grazie al quale forse il ns. acclimatamento a queste altitudini è stato veloce. Il primo pomeriggio lo dedichiamo a gironzolare per le vie del centro e subito saliamo sulla Torre della Compagnia di Gesù, unico campanile rimasto dopo il crollo dell’annessa chiesa. Si gode naturalmente una bella vista sulla città e la guida ci fa notare da ogni angolazione i vari campanili delle 80 chiese. Accanto all’hotel si trova l’omonimo convento che ospita ancora una piccola comunità di suore di clausura. La visita guidata al museo (52 Bol compreso il permesso di fotografare) è meritevole anche per la vista delle opere d’arte, frutto dei regali delle famiglie delle giovani donne aristocratiche che entravano in convento. Una delle attrazioni di Potosí è la visita alle miniere d’argento, dove ancora oggi 25.000 minatori lavorano in condizioni disumane. Il pensiero di arrivare alla miniera come turisti, con le nostre belle macchine fotografiche, portando in dono sigarette e foglie di coca, ci ha fatto desistere dalla visita. Per pigrizia e per voglia di non prendere freddo (la città si trova a 4.000 metri) restiamo a cena nel ristorante dell’hotel; li classifichiamo entrambi “anonimi”, contrariamente a quanto espresso dalla Lonely.

Mercoledì 14

La giornata è libera fino alle 16, quando la nuova guida dell’agenzia viene a prenderci per il trasferimento a Sucre (3 ore). Alle nove siamo alla Casa della Moneda per la visita guidata di ca. un’ora, molto interessante per tutta la storia del conio, dalla fusione del metallo alla laminatura e stampa con macchinari originali. Anche la Cattedrale e la torre campanaria meritano una visita accompagnati da un appassionato Potosino doc. Il pranzo con un trancio di pizza (cosa per noi strana dato che non mangiamo mai italiano all’estero) lo facciamo al Cafè Plaza, osservando dalle grandi finestre la quotidiana vita della città e dei suoi colorati campesinos. Poco prima delle sette siamo a Sucre all’Hostal SuMercede, molto carino in stile coloniale.

Giovedì 15

Dopo una gustosissima colazione (la più ricca di tutto il viaggio) organizziamo la visita della città scoprendo con enorme delusione che tutti i monumenti scelti sono chiusi, alcuni per restauro, altri, le chiese, non si sa per quale motivo! Nonostante ciò è piacevole girovagare per la città grazie anche ad una temperatura gradevolissima. Come a Potosí ci piace sedersi al sole su una panchina in Plaza 25 Mayo e osservare “l’andirivieni” incessante di svariati personaggi, ognuno degno di nota e di … fotografia. Degni di menzione sono anche gli squisiti cioccolatini di “Para Ti”, una vera delizia per il palato. Per cena ci affidiamo alla Lonely e la scelta ricade su Los Bajos, la più antica chorizerias di Sucre, nonché la migliore per rapporto qualità/prezzo: 4 chorizo, buffet di verdure e due birre Pacena Black da 0,75l 62 Bol (6 € in due). Ti adoro Bolivia!!!

Venerdì 16

Alle 11:30 si parte per i due giorni di trekking. Ad un’ora di auto da Sucre, in compagnia di Leni, iniziamo il cammino pre-ispanico, una pista lunga ca. 6k m, ben conservata, che parte dal santuario di Chataquila e, dopo ca. 3 ore, arriva al villaggio di Chaunaca. Il percorso si snoda interamente in discesa sulla Cordillera de Los Frales, in mezzo a rocce di diversi colori e piante profumate che la ns. brava guida non manca di farci odorare. Alle 15:00 entriamo nella deliziosa Samay Huasi, una casa coloniale di proprietà di una famiglia di Sucre, che ci accoglie con un pranzo squisito, iniziando il rinfresco con succo di tumbo, un frutto locale, dolcissimo. Dopo essersi ripresi dalle fatiche della camminata, ci aspetta il bagno al fiume, in acque limpide e freddine; la doccia calda è quindi molto apprezzata e la stellata che possiamo gustarci sul tetto della hacienda, immersi nel buio più totale, ci appaga enormemente. Il cielo è limpidissimo, le luci della casa vengono spente per noi (tutt’intorno c’è il nulla) e in silenzio possiamo restare sulle comode poltrone a scorgere la Croce del Sud e godere della Via Lattea proprio sopra le nostre teste, fino a quando non suona la campanella per la cena.

Sabato 17

Alle nove, salutata la signora Silvia ed il figlio, ci incamminiamo verso il Cratere di Maragua, senza in realtà sapere che avremo affrontato 16 km di strada leggermente in salita, ma su un ottimo sentiero; il ns. programma di viaggio prevedeva l’arrivo di un’auto che in un’ora ci avrebbe portato al cratere. Morale: l’auto è arrivata, ma alle 13:30 per portarci il pranzo direttamente al villaggio. La camminata ci è comunque piaciuta (ci è mancata solo la protezione solare!), i colori delle rocce anche qui sono molto forti e variano dal rosso, al verde, al viola (mai visto prima!) per la notevole presenza di minerali. Prima di rientrare in auto a Sucre ci resta il tempo per un ultimo bagno rinfrescante, sotto il sole cocente, nei pressi di Chaunaca. Questi due giorni che avevamo inserito ad hoc in modo tale da essere a Sucre la domenica per andare al mercato di Tarabuco, alla fine si sono rivelati un’eccellente scelta, meta turistica ancora poco frequentata, ma assolutamente meritevole.

Domenica 18

La stessa cosa invece non possiamo dire proprio di Tarabuco, mercato tradizionale molto pubblicizzato, dove la domenica i campesinos si incontrano per fare affari. Noi lo abbiamo trovato esclusivamente turistico, con una serie di bancarelle che espongono i souvenir, gran parte dei quali presenti anche in altre zone del Paese. Il corrispondente mercato del giovedì di Pisaq, in Perù, al contrario, ci era piaciuto tantissimo. È d’obbligo però scrivere che la visita al mercato ha dato la possibilità alla nostra guida di spiegarci nel dettaglio le raffinate tecniche di tessitura, tipiche sia di Tarabuco sia della comunità Jalq’a, che producono dei veri capolavori, che giustamente si distinguono anche per il prezzo, adeguato all’enorme lavoro che le donne fanno al loro telaio, impiegando due mesi per tessere una tovaglietta di 60 cm. Al termine della vacanza è arrivata la pioggia e quindi, dopo un lauto pasto al ristorante Los Balcones nella piazza principale a base di Pique a lo macho, piatto tipico con pezzi di pollo, manzo e salsiccia alla griglia con contorno di patate, cipolle e peperoni (150 Bol), ci ritiriamo forzatamente in hotel. La preoccupazione per il volo Sucre-La Paz del giorno successivo sale, in quanto, se la pioggia continua, gli aerei non volano e l’alternativa è il trasferimento in auto di ca. 12/14 ore, di cui più della metà su strada sterrata.

Lunedì 19

La sveglia suona e… i raggi del sole entrano dalla finestra. Siamo salvi! In qualche modo arriviamo in aeroporto, poiché tutte le strade sembrano bloccate per proteste varie! Alla fine riusciamo ad arrivare a La Paz, fare gli ultimi acquisti in Calle Sagarnaga e cenare al Tambo Colonial completando il pasto con una divina mousse al cioccolato con sorbetto alla menta!

Martedì 20

Oggi iniziano le note di sventura che velocemente elenchiamo: sveglia alle 03:00, inizio check-in alle 04:10 (lentissimo), il volo American Airlines La Paz-Miami delle 06:25 viene annunciato prima in ritardo poi, alle 11:30, definitivamente annullato, facendoci saltare la connessione Miami-Londra. Centinaia di persone in tilt, inizia la lunga coda perché tutti cercano voli alternativi che… non esistono. Noi abbiamo l’occhio sveglio e troviamo la coda giusta che in sole due ore ci porta davanti al banco per scegliere… il male minore: partire dopo due giorni cambiando giro, cioè La Paz-Lima-Madrid-Milano in 35 ore tra voli e scali. Prendere o lasciare! Sconsolati prendiamo i nostri vouchers per taxi, pranzi, cene e hotel, recuperiamo le valigie e ci dirigiamo all’hotel assegnato: hotel Europa, super 5 stelle.

Mercoledì 21

Sbollita la rabbia approfittiamo della giornata libera per prenotare tramite America Tours la giornata a Tiahuanaco con guida bilingue molto preparata. Visita meritevole. Alle quattro del pomeriggio rientriamo, sistemiamo nuovamente tutto, valigie, cena, nanna.

Giovedì 22 La disavventura continua… il volo per Lima delle 08:42 non parte perché l’avion es en manutention a Santa Cruz. Vogliono darci nuovi vouchers e comunicarci le news nel pomeriggio. Si scatena la furia che è in noi: rifiutiamo i vouchers, stazioniamo come falchi davanti al banco check-in della Taca Perù in attesa che terminino i controlli dei passeggeri in coda, che rassegnati tornano in città! Noi invece attendiamo news su un possibile volo sempre per Lima ma con la Lan. A mezzogiorno riusciamo a ottenerlo e felici per la vittoria della battaglia (la guerra non è finita!) prendiamo il biglietto per il pranzo in aeroporto per non perdere i primi posti al check-in delle due. In realtà, alle 13:30, siamo già in coda con un certo sentore di nuove grane. Infatti, dopo aver emesso i biglietti, l’impiegato ci dice che li trattiene lui perché non è sicuro che si possa partire dicendoci di attendere le quattro per le comunicazioni; questo ovviamente solo per i “reduci” della American Airlines di due giorni prima. La volontà omicida sale in noi ma la signora è inflessibile di fronte a tutti, a chi le parla dolcemente in inglese e a chi le lancia mille improperi in spagnolo. Non ci resta che attendere fiduciosi le quattro per veder terminare finalmente la nostra disavventura per il rientro in Italia che avviene venerdì alle dieci della sera.

Purtroppo gli ultimi due giorni hanno oscurato i precedenti sedici che invece sono stati meravigliosi. Le persone che abbiamo incontrato per strada e negli hotel e i paesaggi mozzafiato ammirati hanno rafforzato in noi l’idea che, da questo viaggio, torniamo, come dal Perù e dalla Baja California, con un rinnovato mal di sud America (fatta eccezione per le compagnie aeree).

Una nota particolare merita infine l’agenzia alla quale ci siamo rivolti, ben referenziata da un’amica che l’aveva utilizzata per altri viaggi: Mashipura Viajes, con sede in Ecuador, ma con base anche in Italia, a Trento. Per la Bolivia si appoggiano a Terra Andina, efficiente, precisa e organizzata con sede a La Paz e con eccellenti guide.

Per fortuna l’America Latina è ancora grande, quindi Hasta luego!!!



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