Piazza Maggiore, cuore iniziatico di Bologna!

Nel XVI secolo viene alla luce l'impianto architettonico più armonico di Bologna: la Piazza
Turisti Per Caso.it, 25 Ago 2010
piazza maggiore, cuore iniziatico di bologna!
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Nel XVI secolo viene alla luce l’impianto architettonico più armonico di Bologna: la Piazza. Coi suoi palazzi, la sua chiesa e la sua fontana diventa il nucleo di una storia senza fine, il cuore pulsante di un’intera città.

La fontana del Nettuno

Il riassunto artistico di un vissuto storico si condensa in ogni sua pietra, in ogni suo angolo e permette di intraprendere un ipotetico volo, toccando i punti di maggiore interesse, a partire dalla splendida fontana del Nettuno. Il decollo avviene di fronte all’imponente Gigante, il dio marino Nettuno, disegnato dal palermitano Tommaso Laureti e realizzato da Giambologna di Douai nella seconda metà del XVI secolo. Su questo grande scoglio marino, in un tripudio di sirene, putti e rivoli d’acqua, si erge maestoso l’italico dio delle acque: Nettuno. All’inizio fu una deità ctonia terrestre, che estendeva il suo dominio sulle sorgenti, sui laghi, sui fiumi; ebbe scarsa importanza nell’Olimpo romano, dove la sua immagine era identificata nel dio dei cavalli e delle corse. Solamente nel momento in cui la sua figura fu sovrapposta a quella del dio greco Poseidone, acquistò rilevanza ed entrò in connessione con le grandi distese d’acqua e gli abissi. Le numerose mogli, che gli furono attribuite, a partire dalla dea marina Salacia, diventarono la rappresentazione di quello stuolo di divinità femminili collegate al culto lunare, che imperava nel bacino mediterraneo. Questo trasforma il monumento nel simbolo cittadino di una realtà interiore e nascosta, che la città cela dietro una facciata di simpatia e giovialità.

L’impianto della fonte è di forma quadrata alla base, a rappresentazione geometrica del numero quattro, numero della stabilità che traduce il collegamento con la materialità durevole, sottolineato maggiormente dal sovrastante scoglio, simbolo della terra che sostiene la verità e la perfezione. Le sirene alla base dello scoglio sono le nutrici di una nuova speranza: dalle loro mammelle sgorga acqua come fosse il latte paradisiaco, nutrimento necessario all’evoluzione spirituale; ma esse sostengono pure le illusioni terrene, i piaceri del mondo, che attentano all’animo dell’uomo, contrastandone l’ascesa. Interviene allora l’intermediazione dei putti, che diventano un filtro tra il dio e l’uomo, il cielo e la terra. Nell’immagine del bambino si legge tutta la purezza, espressa in termini di potenzialità da coltivare, come un fiore in boccio che attende un raggio di sole per aprirsi. Insieme ai putti troviamo dei delfini, sovrani tra tutti i pesci, salvatori e guida delle anime nell’oltretomba, segnali di rinascita. Per i Romani i delfini configuravano il viaggio attraverso il mare dell’illusione che porta alla morte, fino all’Isola dove regna l’eterna beatitudine. Ed ecco Nettuno, il Gigante, che …in men che non si dica, placa il mar grosso e pone in fuga le raccolte nubi e fa risplendere il sole (Eneide). Nel bagliore del sole riluce il suo attributo, il tridente, immagine di fecondità e rinascita, che attraverso le sue tre punte, passato, presente e futuro, permette di risalire i gradini dei tre mondi: il piano materiale, la parte spirituale e l’integrazione dei due precedenti col mondo superiore.

Oltre al significato simbolico dell’opera è interessante notare il ruolo, che la fontana ebbe nella politica antiereticale a Bologna. La città è sempre stata un importante centro culturale, che accoglieva le idee dall’esterno, per rielaborarle all’interno del celebre Studio universitario. Per questo motivo, nella prima metà del Cinquecento, Bologna era ricca d’idee ereticali riformate, provenienti dal Nord Europa. Nel 1549 l’inquisitore Girolamo Muzzarelli descrisse una città dove si trovava una grande intrecciatura d’eresie. Nel 1565 l’annientamento dell’eresia si poteva dire terminato, dopo il Concilio di Trento, e si poteva celebrare la vittoria con progetti monumentali come quelli che furono affidati a Giambologna. L’artista fiammingo non fu scelto a caso, egli proveniva da quell’Europa settentrionale, focolaio di devianze religiose, e, mettendosi al servizio della Chiesa, dovette fondere la tradizione classica con la sua origine germanica, a simboleggiare la canalizzazione nell’alveo delle antiche tradizioni cristiane dell’eresia religiosa transalpina. La Fonte del Nettuno fu pensata per riaffermare il messaggio cristiano in una veste nuova, in un punto della città fortemente energetico: all’intersezione degli antichi cardi e decumani, diametralmente opposta alla chiesa dei bolognesi, il tempio civico di San Petronio, circondata dai palazzi dove trovava sede il potere ecclesiastico e secolare.

Per la Fonte del Nettuno, Giambologna infranse la tradizione per quasi tutti gli aspetti formali. Il piedistallo su cui si erge il dio del mare, alto, rettangolare, a due piani, è mutuato dal faro d’Alessandria. Il faro, segnale di luce e salvezza, era considerato una delle Sette Meraviglie del Mondo, e le Meraviglie erano considerate prodotti dell’Arte Regia, in quanto dono supremo degli dei. Esse riaffermavano il dominio delle sfere celesti e, infatti, in queste mitiche costruzioni sono frequenti i richiami alle divinità astrali. La simbologia massonica si appropriò di queste allegorie affermando che le Sette Meraviglie erano patrimonio della memoria collettiva, per questo rientravano nel mondo dell’archetipo, integrandosi dialetticamente con altri canonisettenari. La forma del dio – la gamba destra ripiegata all’indietro all’esterno, l’anca sinistra spinta in avanti, il braccio destro rivolto verso il basso e dietro la figura, il braccio sinistro benedicente – acquisisce un movimento a spirale, che toccando virtualmente le quattro direzioni, lo rende un centro assiale cosmico. Da questa posizione privilegiata Nettuno, come l’acqua che rappresenta, sembra volere scendere nella piazza a fecondare la città. Il suo ventre appare fortemente accentuato, denotando un collegamento cabalistico con Yesod, il nono sefirà del glifo dell’Albero della Vita. L’Albero della Vita è un percorso attraverso i vari simboli della cabala. Esso è considerato come la rappresentazione di tutto ciò che è causa e genera un effetto, esprimendosi con l’immagine della discesa della Luce divina, fino ad una materializzazione terrena attraverso nove attributi. Yesod è il fondamento dell’Albero della Vita, il sentiero dell’occulto e delle iniziazioni, in connessione con le acque interiori, dove l’energia fisica è sublimata dopo l’incontro con le paure dell’inconscio: i mostri che dimorano simbolicamente nelle acque, fisicamente nel ventre dell’uomo. Solamente attraverso un’opera di discernimento, l’uomo riesce a trascenderle, per avviare una ricerca spirituale, che non si perda nell’oscurità della nostra memoria. Inoltre Yesod è collegato alla sensibilità e al pianeta Nettuno e l’immagine magica connessa a questo sefirà è un bellissimo uomo nudo.

Il Nettuno mette anche in evidenza il suo tridente, in evidente collegamento con l’omofonia che il termine suggerisce: tridente/Concilio Tridentino, col quale si schiaccia l’eresia.

Attorno a lui vi sono dei putti che abbracciano dei delfini, che secondo la tradizione rappresentano l’amore. Il delfino era l’emblema della persuasione, come pure le sirene, ma l’acqua che sgorga dai loro seni le trasforma nella personificazione della funzione vivificatrice dell’elemento Acqua.

La piazza si trasforma in uno scrigno prezioso custode della memoria storica della città ed il suo selciato esprime l’elemento legante della comunità. Nei suoi mercati, nel suo commercio e nel riunirsi costante di persone al suo centro è diventata un punto d’aggregazione e di comunicazione. Rammentiamo l’incoronazione di Carlo V avvenuta nel 1530, che ha vestito la piazza di simbolici richiami magici. Nel corteo dell’imperatore figuravano i Quattro Grandi Principi dell’Impero: uno portava lo scettro, un altro il globo, il terzo la spada e l’ultimo la corona. Questi oggetti imperiali sono simboli di potere terreno, ma affondano le loro radici nel mondo del simbolismo: lo scettro deriva dal bastone del comando, la bacchetta magica che alimenta il Fuoco; il globo visualizzato nella perfezione del cerchio domina i sentimenti dell’Acqua, l’anima; la spada neutralizza il nemico e diffonde un nuovo pensiero, che si libra nell’Aria come una raffica di vento; la Terra è collegabile infine alla rotonda corona aurea, l’oro materiale che diventa feconda via di trasmissione del sapere antico.

Poi ancora i roghi delle streghe e tante altre situazioni che hanno caricato piazza Maggiore d’energie potenti racchiuse nel suo forziere magico.

La grande statua di papa Gregorio XIII, bolognese, posta sulla porta principale d’ingresso del Palazzo D’Accursio, sede del Comune, domina l’area. Architettata da Galeazzo Alessi, compiuta da Domenico Tibaldi, modellata da Alessandro Menganti e fusa da Anchise Censori nel XVI secolo, troneggia imponente ad eterna memoria del riformatore del calendario. Come sappiamo il calendario giuliano, in vigore dal 46 a.C. Era calcolato in base ad un anno solare di 365 giorni e 6 ore, mentre l’effettivo è di 365 giorni, 5 ore, 48 minuti e 49 secondi. Questa minima differenza comportava un disavanzo di 3 giorni ogni 400 anni, il che significa, riportato al XVI secolo, un disavanzo di circa 10 giorni. Al papa bolognese il compito di restaurare questo inconveniente aiutato dalla Meridiana contenuta nella Chiesa di San Petronio. Essa era già stata tracciata nel 1576 dal domenicano Ignazio Danti, e la sua caratteristica era quella di segnalare il mezzogiorno solare di Bologna oltre che le date più importanti dell’anno, tra cui gli equinozi ed i solstizi. Attraverso questo strumento si poté verificare ed avere prova visibile della differenza tra il calendario civile giuliano e il decorso del sole. Il 3 marzo 1582, dopo alcuni progetti bloccati, Gregorio XIII emanò la Bolla definitiva che prevedeva le modifiche necessarie al calendario: nell’ottobre di quello stesso anno furono sottratti 10 giorni, per questo dal giorno 5 si passò immediatamente al 15, e i 10 giorni che vanno dal 5 al 15 ottobre 1582 non sono mai esistiti nella storia! La cosa suscitò grande clamore e sospetto, basti pensare che i protestanti tedeschi in quest’opera videro lo zampino del demonio.

I Palazzi della Piazza

Sempre affacciato sulla Piazza appare Palazzo Re Enzo e il Palazzo del Podestà. Quest’ultimo fu eretto all’inizio del XIII secolo per contenere il Comune di Bologna e presto denominato Palatium Vetus, per poterlo differenziare da quello sorto qualche decennio più tardi chiamato Novum (Palazzo Re Enzo), o della Giustizia, in quanto in esso vi era resa giustizia. Dell’impianto originale restano poche tracce, tra queste l’antica torre dei Lambertini, che fu successivamente incorporata nella residenza del Capitano del Popolo, sul lato che guarda Via degli Orefici, che sembra avere ospitato il più antico orologio pubblico della città. La leggenda vuole che questa torre sia tuttora abitata dalle presenze della famiglia Lambertini, che a volte si incontrano con i Capitani del Popolo, usurpatori dell’antica residenza e con i fantasmi delle donne rinchiuse in essa, quando dal 1327 al 1328 fu carcere femminile. All’interno del Palatium Novum erano custodite al piano terreno le macchine da guerra ed il Carroccio, grosso carro che sosteneva un altare, simbolo del Comune, la cui perdita nel corso di una battaglia era considerata una sconfitta. Il Palatium Novum fu chiamato poi Palazzo Re Enzo, dal nome del figlio di Federico II, Enzo Re di Sardegna, che fu preso in ostaggio dalla città di Bologna durante la battaglia di Fossalta nel 1249 e tenuto imprigionato, probabilmente nella sala del piano superiore, fino alla sua morte nel 1272. Per quanto riguarda la facciata romanica di Palazzo del Podestà, di fronte alla chiesa di San Petronio, essa fu rifatta e completata nel 1494 per volontà di Giovanni II Bentivoglio, anche se l’architettura restò incompleta dei cornicioni e dei merli, per la cacciata della Signoria bolognese dalla città. L’aspetto più affascinante e misterioso di questa ristrutturazione sono le oltre tremila rosette scolpite nei pilastri del porticato, una diversa dall’altra, come diverse sono le stelle del firmamento celeste. Se accettiamo l’assioma flores/fiori come stelle di Abu-Mazar, antico astrologo arabo che influenzò l’astrologia medievale, il frontale di questo palazzo diventerebbe un immenso cielo stellato che illumina la piazza intera.

Il punto d’incontro tra questi due palazzi è il crocicchio, il cui voltone risulta subito magico nell’atmosfera che lo governa. Per significato simbolico, l’incrocio assume l’aspetto di confronto tra forze opposte, ma non contrastanti, divenuto l’unione di forze occulte e acquisendo sempre più la connotazione di luogo magico. Ancor più sorprendente nel fenomeno acustico del telefono a eco, dove la parola rivolta sottovoce ad un angolo, è percepita con chiarezza dalla persona che pone l’orecchio nel polo opposto. Il crocicchio si trasforma in un campo energetico dove vibrazioni sottili creano invisibili canali di comunicazione. Nell’ultimo conflitto mondiale fu definito la Croce del Sud, e la croce riproduce l’immagine del quadrivio, incontro spazio-temporale, universale ed incantato, come incantata è la città che lo accoglie.



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