Vietnam e Cambogia 5

Il Vietnam mi ha affascinato per le antiche tradizioni, i tragici ricordi di guerra e lo slancio verso il futuro, la Cambogia per il maestoso ed imperdibile sito di Angkor
Scritto da: airada
vietnam e cambogia 5
Partenza il: 06/11/2011
Ritorno il: 22/11/2011
Viaggiatori: 2
Spesa: 4000 €
VIETNAM-CAMBOGIA 6-22 novembre 2011

Questo viaggio mi era stato proposto varie volte ma, non so perché, l’avevo rimandato per seguire altre priorità. Poi quest’estate ho avuto una specie di richiamo, spinta soprattutto dai commenti più che entusiastici di altri viaggiatori: ed eccomi qui a raccontare la mia esperienza molto positiva. Il Vietnam mi ha sorpreso per il suo fascino sottile tra ricordi di stampo cinese (rivisitato in stile locale), testimonianze della terribile guerra e slancio dinamico verso una modernità (consumismo, sviluppo?). Molto vario tra le zone nord, centro e sud. La Cambogia ha lo splendido e maestoso sito di Angkor che deve assolutamente essere visitato dal viaggiatore curioso e amante delle cose belle. Anche se la Cambogia ha bei paesaggi consiglio di abbinarla ad un’altra nazione (il Vietnam è perfetto).

DOMENICA 6 NOVEMBRE: 1° giorno ITALIA / BANGKOK

Il volo Thai TG 945 pare in orario. Saliamo sull’aereo: per fortuna i posti sono comodi con un certo spazio per allungare le gambe. Le hostess indossano costumi thailandesi in shantung colorato, i sedili alternano il giallo, viola e fucsia: la musica Thai di sottofondo ci avvolge.

LUNEDI’ 7 NOVEMBRE: 2° giorno BANGKOK/ HANOI

Oggi giornata un po’ movimentata: dopo un arrivo stancante (ma con un bel volo) a Bangkok, prendiamo coincidenza per Hanoi, puntuale. Noto che l’aeroporto di Bangkok è veramente bello, non lo ricordavo così, forse lo hanno ampliato. L’albergo è in centro, in una zona piena di negozi particolari, su una strada che porta al lago Hoan Kiem. Alle 16.30 ci viene a prendere la guida che ci porta al teatro Thang Long per assistere a uno spettacolo di marionette sull’acqua, cosa tipica vietnamita. In effetti è particolare, pur essendo un po’ monotono per il tipo di musica cantilenante e per il fatto che è in lingua vietnamita: c’è una specie di vasca con un tempio sullo sfondo e da dietro il sipario dei burattinai fanno muovere pupazzetti, animali e drago finale. Alla fine dello spettacolo volevamo tornare in hotel a piedi, ma purtroppo scoppia un violento acquazzone che ci costringe a prendere il bus ed attendere la fine della pioggia per fare la nostra passeggiata (per fortuna sarà l’unica pioggia della vacanza, veramente una grandissima fortuna!!). Terminato lo scroscio, usciamo nell’aria calda-umida e percorriamo la via fino al lago, divertendoci a curiosare tra negozi antichi, moderni, vecchi, caratteristici, tra l’architettura particolare di questa città con case strette e alte, camminando su marciapiedi pieni di gente che mangia seduta davanti ai negozi e scansando miriadi di motorini che sfrecciano, passando anche sui marciapiedi e portando fino a 4 persone. Tutti hanno una mascherina anti-smog di vari colori e stoffe. E’ tutto particolare e tipico.

MARTEDI’ 8 NOVEMBRE: 3° giorno HANOI

Oggi è nuvoloso ma per fortuna niente pioggia. Giornata dedicata alla scoperta di Hanoi: per prima cosa andiamo in bus al Mausoleo di Ho Chi Minh, situato in una grandissima piazza. E’ tutto molto austero e “comunista”: ci mettiamo ordinati in fila insieme a scolaresche vietnamite e a turisti, privi di apparecchiature elettroniche e fotografiche (che abbiamo dovuto lasciare), e costeggiamo il mausoleo grigio fino alla porta d’ingresso. Ai suoi lati ci sono lunghe scritte relative a Ho Chi Minh (la lingua vietnamita non ha ideogrammi come la cinese, ma usa i nostri caratteri) e accanto all’entrata corone di fiori gialli. E’ pieno di guardie in uniforme bianca che invitano al silenzio assoluto e ad assumere posizioni rispettose con le “mani giù”. La processione passa davanti alla tomba dove c’è la figura imbalsamata del generale con 4 sfortunate guardie che restano sempre in piedi ai lati, in un gelo “tombale”. Il tutto è molto suggestivo perché trasmette l’importanza e il rispetto che il popolo vietnamita ha verso questa figura fondamentale per la loro indipendenza. All’uscita finalmente possiamo scattare qualche foto e inquadriamo anche dei giovani che raccolgono non so cosa nel prato di fronte, con in testa il caratteristico cappello a cono di paglia che vedremo tanto spesso nei giorni seguenti. Accanto al mausoleo si trovano anche il Palazzo presidenziale, un bell’edificio coloniale costruito nel 1906 come palazzo del governatore generale d’Indocina, e la Palafitta di Ho Chi Minh, costruita secondo lo stile delle minoranze etniche del Vietnam, e dove il leader visse in modo discontinuo dal 1958 al 1969, anno della sua morte. Seconda tappa della mattinata la Pagoda a pilastro unico, costruzione veramente particolare in stile cinese, poggiata su un pilastro che emerge da un laghetto. Lì accanto 2 templi buddisti che si affacciano in un cortiletto. Anche se questa tipologia di templi carichi di statue dorate, porte rosse laccate, incensi, offerte votive di frutta e biscotti (anche birra…) non sono una novità per me, trovo interessante collocarli in questa realtà vietnamita che comunque mantiene una sua propria identità. Terza tappa: il Tempio della Letteratura, costruito nel 1070, con vari cortili, separati da portali in stile cinese, che conducono al tempio dedicato a Confucio, la cui grande statua in rosso e oro è circondata da 4 suoi seguaci. Nel 1076 il luogo divenne sede della prima università del Vietnam che istruiva i figli dei mandarini e tale rimase fino al 1802, quando l’imperatore Gia Long decise di trasferire l’Università Nazionale ad Hué, la nuova capitale. Nel secondo cortile c’è una lunga fila di lastre di pietra che sormontano tartarughe (simbolo di longevità, immortalità e trasmissione dei valori spirituali) ognuna costruita, fin dall’antichità, per ricordare il completamento degli studi dei vari studenti. La differente lavorazione della pietra, più o meno ricca, dipendeva dalla situazione politica del momento poiché era il governo che ne ordinava la costruzione. Quarta tappa: il lago Hoan Kiem (lago della spada restituita) con il caratteristico ponte rosso (The huc-sole nascente-1885), simbolo della città, che conduce ad un’isoletta sul lago che ospita il Tempio di Ngoc Son (Tempio Monte di Giada-XVIII sec.), molto carino e suggestivo anche se con il sole tutti i colori avrebbero guadagnato intensità… ma pazienza forse quest’aria “umidosa” è anche caratteristica del paese. Il nome del lago deriva da un’antica leggenda secondo la quale un re guerriero del 1400, dopo molte vittorie, restituì la sua spada ad una tartaruga gigante che viveva nel lago. Leggenda a parte, qui vive realmente una tartaruga gigante a guscio molle, uno dei 4 esemplari viventi. Dopo pranzo ci rechiamo in un paesino vicino ad Hanoi per assistere ad uno spettacolo folkloristico: le musiche, si sa, sono cantilenanti e tutte simili, ma comunque l’esibizione è carina, ambientata in un cortile con una moto ed un furgone come sfondo e un vecchietto di 92 anni, scalzo, che suona uno strumento tipico con una corda. Appese tutt’intorno tante gabbiette in bambù di uccellini. Al ritorno ad Hanoi giro un po’ nella città vecchia per arrivare al mercato Chợ Đồng Xuân, citato nella guida. Cammino per circa un’oretta per strade affollatissime di negozi, tra una quantità impressionante di motorini, in una zona più “popolare” di quella vicino all’hotel. Il mercato in realtà è deludente, abbastanza anonimo (forse anche perché in chiusura), ma il giro vale senz’altro la pena per sentirsi immersi nel cuore vivo di Hanoi e per scattare tante foto.

MERCOLEDI’ 9 NOVEMBRE: 4° giorno HANOI/HA LONG BAY

Oggi baia di Ha long nel golfo del Tonchino: da Hanoi impieghiamo circa 4 ore perché qui i limiti di velocità sono molto bassi. Facciamo una sosta nei soliti negozi convenzionati, anche se questo è un po’ diverso, impiegando come artigiani di quadri in seta ricamati e di lacche, ragazzi handicappati, figli di reduci di guerra. Abbiamo una grandissima fortuna: il sole! All’arrivo all’imbarcadero saliamo su una giuncal dove ci sono 5 cabine (tra cui la nostra) e il ristorante. Gli altri dormiranno in un’altra barca. La cabina è carina, tutta in legno: bagno piccolo ma pulito. Posato il bagaglio a mano (abbiamo lasciato la valigia più grande ad Hanoi), andiamo a pranzo mentre la giunca inizia lentamente la navigazione. La baia è piena di queste imbarcazioni tipiche, segno evidente di turismo in espansione. Il nome Ha Long significa “dove il drago scende in mare” per una leggenda locale: molti anni fa, mentre i vietnamiti stavano combattendo gli invasori cinesi, gli dei mandarono una famiglia di dragoni che, per aiutarli a fermare i nemici, iniziarono a sputare gioielli che si trasformarono nelle isole ed isolotti attuali. Devo dire che la fama della baia è tutta meritata perché le foto non rendono la sensazione speciale di navigare tra miriadi di isole (circa 3000) che non sono altro che blocchi di calcare verdeggianti e ripidi. Ti circondano avvolgendoti in un’atmosfera unica, veramente bella. L’acqua è verdastra, non trasparente e non invita al bagno (anche perché a tratti c’è un po’ di venticello), ma non fa niente: qui lo spettacolo è più per gli occhi. Dal ponte superiore lo scenario è ancora più adatto a scattare foto! Arriviamo in un’insenatura con un attracco e scendiamo per visitare una grotta (Hang Sung Sot, la grotta delle sorprese, scoperta dai francesi nel 1901), per accedere alla quale saliamo parecchi gradini: l’interno è molto bello, immenso e movimentato, con un’illuminazione appropriata. Impieghiamo quasi un’oretta per visitarla tutta, percorrendo camminamenti e strettoie. Risaliamo sulla giunca e facciamo una merenda a base di frutta: assaggio il frutto del drago, molto diffuso qui, che all’esterno sembra una specie di carciofo rosa e all’interno è bianco a puntini neri (è un po’ insipido ma a me piace). Partiamo per una seconda escursione: questa volta saliamo su una barchetta a remi e veniamo poi trasbordati in un’altra imbarcazione che ci porterà, passando sotto una grottina, in un lago marino interno dove la luna piena inizia a spuntare: è molto bello!

GIOVEDI’ 10 NOVEMBRE: 5° giorno HA LONG BAY/hANOI

Sveglia alle 6.30 per escursione all’isola con la spiaggia: anche oggi c’è il sole ed è una meraviglia. Appena sbarcati affrontiamo una ripidissima e lunga scalinata che ci porta su in cima dove c’è una pagodina-belvedere e che panorama! A 360° l’occhio spazia su un mare affollato di isole-scoglio a faraglione, creando un effetto scenografico notevole, grandioso e magnifico! Naturalmente il sole gioca il suo ruolo. Nel pomeriggio torniamo ad Hanoi ma, prima di arrivare in hotel, ci fermiamo nel quartiere più francese ed elegante, con il palazzo del Governatore, l’ambasciata italiana, negozi di lusso, il teatro dell’Opera, inseriti in viali alberati e giardini. Tornati nella zona dell’hotel, ci incamminiamo verso la Cattedrale di S. Giuseppe dove arriviamo dopo aver attraversando vicoli veramente caratteristici con i marciapiedi pieni di tavolini bassi e mini sedie dove intere famiglie mangiano cucinando su fornellini a gas o mini griglie a carbone. I cibi sono i più svariati: fritti in olii neri, vermicelli di soia, zuppe, frutti di mare, verdure varie. Ad un certo punto scopriamo un tempietto molto carino nel quale non entriamo per non toglierci le scarpe. E poi finalmente la chiesa la cui facciata richiama Notre Dame, ma questa è tutta annerita dallo sporco, cosa però che le dà un certo tono nostalgico di ricordo del passato francese e soprattutto è una struttura contrastante con il quartiere che la circonda. Ho saputo dalla guida che i cattolici in Vietnam sono il 10% della popolazione e seconda religione dopo il buddismo. Tornando in hotel vediamo una cosa curiosa in un negozio: i due “manichini” in abito da sera sono….umani! Si tratta di due ragazze che parlano tra loro e si muovono: vetrina dal vivo!

VENERDI’ 11 NOVEMBRE: 6° giorno HANOI/HUE

Arriviamo a Huè, piccola cittadina del Vietnam centrale, dopo aver fatto un volo di un’oretta con Vietnam Aerlines. Per fortuna c’è un bel sole caldo. L’hotel è veramente bello, in stile coloniale. Huè è stata capitale del Vietnam dal 1802 al 1945 (quando i francesi, che l’avevano conquistata nel 1885, sono andati via e lo stato è diventato una repubblica comunista sotto Ho Chi Minh) durante il regno dei 13 imperatori della dinastia Nguyen, fondata da Gia Long. Abbiamo una nuova guida che ci porta subito a visitare la Cittadella imperiale (costruita nel 1687, il monumento storico più grande e importante del Vietnam), che trovo veramente molto bella, con una particolare atmosfera di grandezza passata, quasi malinconica, che traspare dalle mura annerite, dalla pittura sbiadita con i colori gialli e rossi non troppo brillanti e con le decorazioni sulle moltissime porte e portali, un po’ scrostate e scurite. Per entrare nella cittadella attraversiamo un ponte su un fossato coperto d’acqua (largo 30 metri) e una delle 10 porte fortificate nelle mura esterne (lunghe circa 10 km.) che la circondano: su di un bastione laterale, la Torre della bandiera, (che con i suoi 37 m. è il pennone più alto del Vietnam) sventola, suggestiva, la bandiera vietnamita rossa con una stella gialla al centro. Appena varcata la porta, sulla destra si sono quattro dei nove cannoni sacri in ottone, protettori simbolici del palazzo e mai usati per scopi bellici; rappresentano le quattro stagioni (gli altri cinque, situati accanto ad un’altra porta, indicano i cinque elementi: metallo, legno, acqua, fuoco e terra). Attraversando un altro fossato ci troviamo di fronte alla bellissima porta Ngo Mon, la più famosa delle quattro via di accesso alla Città Imperiale che è costruita sul modello della Città Imperiale di Pechino (con profondi influssi della cultura vietnamita) ma, pur essendo meno spettacolare, è altrettanto ricca di fascino, se non più emozionante. Nella porta ci sono vari ingressi: quello centrale era riservato all’imperatore, mentre i funzionari e gli altri membri della corte usavano quelli laterali. Il tutto è sovrastato dal Belvedere delle Cinque Fenici da dove l’imperatore si affacciava nelle ricorrenze. All’interno della Città Imperiale c’è la Città Proibita, dove potevano entrare solo l’imperatore, le sue mogli e le concubine; ma questa è in restauro, poiché fu completamente distrutta durante la guerra del Vietnam (nel 1968, durante la festa del Tet, capodanno vietnamita, i vietcong sferrarono un attacco a sorpresa in questa zona: lo scontro, molto sanguinoso, fu vinto materialmente dagli americani ma, dal punto di vista d’immagine, dai vietcong. Huè fu invasa dalle truppe del nord che massacrarono molti cittadini e gli americani, per riprenderla, la attaccarono pesantemente). Ci addentriamo tra padiglioni, piazze, splendidi corridoi di porte laccate rosse e argento, portici colonnati, portali con decorazioni a rilievo in conchiglie, le bellissime nove urne dinastiche in bronzo, il tutto disposto su prati e giardini di un bel verde rigoglioso, frutto delle recenti piogge-inondazioni: solo qualche giorno fa l’acqua era alta e ricopriva la pavimentazione della Cittadella impedendone la visita. Siamo stati fortunati ad avere una giornata così bella e calda. Lascio a malincuore questo luogo affascinante e, dopo un po’ di strada in bus tra vegetazione semi-tropicale e case di periferia, arriviamo ad un ristorante molto carino a due piani, costruito a palafitta su un laghetto, tutto rivestito in teak. Concludiamo le visite della giornata con una sosta ad un mercato abbastanza grande sia di generi alimentari che casalinghi, abbigliamento, souvenir, dove continuiamo a comprare ricordini. Pur non essendo niente di speciale ha comunque qualche esposizione di prodotti tipici come pesce essiccato, classici cappelli a cono, vari tipi di cereali e spezie. Finalmente una meritata sosta in camera per recuperare un po’ la levataccia delle tre di stamattina.

SABATO 12 NOVEMBRE: 7° giorno HUE/DANANG /HOI AN

Il tempo è bello anche oggi! Dopo colazione il bus ci porta ad un imbarcadero, con delle carinissime barche con la prua a forma di dragoni colorati, per una crociera sul fiume dei Profumi (il nome si riferisce all’antichità quando dai boschi circostanti arrivavano profumi di fiori): appena saliti a bordo ci affolliamo intorno alle bancarelle allestite all’interno della barca per l’assalto ai souvenir (che in realtà sono sempre gli stessi…), però poi mi concentro sul panorama che ammiro dall’esterno. Sul fiume passano sia barche turistiche come la nostra, sia le tipiche imbarcazioni vietnamite allungate, con una parte coperta da un tetto curvo e che trasportano materiali: le rive sono verdeggianti. Arriviamo alla Pagoda (monastero) Thien Mu (dama celeste), dove scendiamo per la visita. Lungo la strada: caratteristiche bancarelle e vecchiette vietnamite, con i cappelli a cono, accovacciate in terra con mercanzie varie. Al di là di una scalinata si erge la pagoda, a sette piani, di colore rosa-mattone: fu costruita nel 1600 dal governatore della città ispirato dalla leggenda di una donna (la dama celeste) che seduta sul sito profetizzava la costruzione di una pagoda come auspicio per la prosperità del paese. Il complesso è stato in seguito ristrutturato. Ai lati della Pagoda ci sono due belle campane il bronzo e, dopo un portale con figure colorate in rilievo, c’è un ampio spazio dove sorge un Tempio abitato da monaci che accolgono bambini orfani: ed infatti incontriamo dei carinissimi bimbi che studiano intorno ad un tavolo. E’ un luogo molto rilassante e gradevole. Ripreso il bus andiamo a visitare la tomba dell’imperatore Tu Duc (1829-1883, quarto della dinastia Nguyen ed ultimo a regnare in modo indipendente prima della colonizzazione francese). Il luogo in realtà è come una cittadella imperiale perché il sovrano vi soggiornava di preferenza: è molto “selvaggio” nel senso che non è ristrutturato, sembrando più antico dei suoi quasi 150 anni e questo gli dà un’atmosfera particolare. Ci sono vari palazzi dove Tu Duc viveva e lavorava, la tomba sua e della moglie, il grande parco-giardino con un torrente interno. Il regno di Tu Duc fu caratterizzato da vari conflitti: il fratello maggiore, spodestato, guidò una rivolta di contadini, scontenti per le pesanti tasse, e cattolici perseguitati; i francesi mandarono una spedizione militare apparentemente per difendere i cristiani ma in realtà per colonizzare il paese e ci riuscirono sconfiggendo i cinesi intervenuti in aiuto dell’imperatore. Alla sua morte i francesi iniziano una politica di “depredamento” delle risorse del Vietnam (tipo caucciù) che venivano mandate in madrepatria. Nel teatro c’è la possibilità (a pagamento) d’indossare gli abiti imperiali per una foto. Riprendiamo il bus per Danang: la strada è diventata improvvisamente tortuosa in un paesaggio particolare tra montagne verdissime e vegetazione tropicale. Passando per Danang (primo porto del Vietnam nel quale sbarcarono prima i francesi e poi gli americani) vediamo dal bus una città in forte espansione con bellissimi e moderni impianti sportivi e grandiosi alberghi lungo il mare, stile Sharm. Breve considerazione: qui c’era la principale base navale americana, ora naturalmente vietnamita, e in questa zona si sono svolti moltissimi combattimenti. Gli abitanti di questa nazione, uscendo da un regime comunista più rigido, stanno ora cercando di emulare proprio la nazione e il capitalismo che hanno combattuto per 15 anni (1960-1975). Arriviamo a Hoi An e dopo cena facciamo una puntatina nella città vecchia: in un’oretta e con 2.50 euro a testa (siamo in 4) prendiamo un taxi e arriviamo in un posticino magico: passato un ponticello sul fiume, percorriamo delle stradine buie illuminate da lanterne rosse, gialle e bianche, con ristorantini e baretti deliziosi (con musiche moderne e pochi turisti), inseriti in case antiche.

DOMENICA 13 NOVEMBRE: 8° giorno HOI AN

Tempo bello: apro la finestra e il fiume scorre calmo davanti a me (l’hotel si trova tra fiume e mare). Dopo colazione con il bus andiamo ad Hoi An e ci dirigiamo a piedi al ponte coperto giapponese (uno dei punti più caratteristici della città, costruito nel 1593 per collegare la parte giapponese a ovest con quella cinese ad est). Il ponte, che segue nella struttura e decorazioni il sobrio stile giapponese, attraversa un piccolo affluente del fiume Thu Bon, corso d’acqua principale della città, che fu un il più importante porto commerciale del Vietnam verso il XVI-XVII sec., abitato da cinesi, giapponesi, indiani e olandesi. Nel 1999 Hoi An è stata dichiarata patrimonio dell’unesco proprio per i suoi edifici che mostrano una fusione unica di tradizione locale ed influenza straniera. All’inizio e alla fine del ponte ci sono da una parte due statue (una di fronte all’altra) del cane (simbolo dei fedeltà) e due della scimmia (simbolo d’intelligenza). Nel centro c’è un tempio taoista per il dio Bac De. Nel quartiere giapponese, presto andato in decadenza, ci sono un’infinità di negozietti carini, inseriti nelle antiche case, e naturalmente costringiamo la guida a darci un’oretta per lo shopping. Qui non ci sono solo i soliti souvenir, ma anche articoli più curati e di gusto. Visitiamo poi la casa di Phung Hung (1780), sede della stessa famiglia per otto generazioni, che si arricchì col commercio di: legno, profumi, spezie, sete e porcellana, vendute nel negozio davanti all’abitazione. La casa è sorretta da 80 colonne in legno ed ha influenze cinesi (persiane delle finestre e gallerie) giapponesi (lucernari in vetro) e vietnamite (concezione generale della casa). Riattraversiamo il ponte verso est e andiamo alla Pagoda di Quan Cong (1653), costruita in onore del generale cinese omonimo di cui vediamo al centro la statua con due cavalli ai lati e, più a sinistra, la dama celeste protettrice dei marinai (infatti c’è anche una barca piena di offerte votive). Dopo pranzo ci imbarchiamo su una delle numerose barche che portano i turisti a fare una piccola crociera lungo il fiume. La navigazione è piacevole: l’acqua, abbastanza sporca di colore giallo-marroncino, serve per tutto: dalla pesca al lavaggio utensili e persone. Costeggiamo anche il mercato che sembra (come tutti in questi paesi) abbastanza degradato. La vegetazione, in compenso, insieme a gradevoli abitazioni e villette, è rigogliosa. Dopo una breve sosta in camera, andiamo lungo la spiaggia per una bella passeggiata al tramonto per respirare un po’ di aria di mare. E’ veramente bello.

LUNEDI’ 14 NOVEMBRE: 9° giorno HOI AN/SAIGON

Partenza alle 8 per Danang in bus per visitare il museo Cham, costruito durante la colonizzazione francese e che ospita la più completa collezione di arte, circa 300 opere (originali in pietra e terracotta, provenienti da tutto il paese), relativa a questa civiltà che si sviluppò tra il VII e il XV sec.). Inizialmente la cultura chăm fu strettamente legata alle tradizioni culturali e religiose della Cina, poi nel regno Champa penetrò la cultura indiana e venne adottato il sanscrito e l’induismo. Ammiriamo delle suggestive statue e bassorilievi che rappresentano il dio Garuda (con il corpo di uomo, ali rosse e becco d’aquila), il dio elefante Ganesha e la Trinità Brahma, Vishnu e Shiva. Finita la visita andiamo in aeroporto dove prendiamo un volo della Vietnam Aerlines che ci porta a Saigon (nome attuale Ho Chi Minh) in un’oretta. Arriviamo nel bellissimo hotel Rex, situato in un punto strategico-centrale della città e consumiamo il pranzo nel ristorante a piano terra in stile cinese, molto pomposo-chic. La prima visita che facciamo a Saigon è in un posto che secondo me non si deve perdere: il Museo dei crimini di guerra. All’esterno, nel cortile, ci sono elicotteri, piccoli aerei, carri armati e bombe, credo tutti reperti originali risalenti alla guerra del Vietnam, poi, al piano terra, moltissimi manifesti che testimoniano soprattutto i dissensi mondiali contro la guerra. Al piano superiore, invece, le foto più toccanti che ritraggono soldati americani e vietnamiti nelle situazioni più atroci del conflitto: torture, mutilazioni, marce nei fiumi e nella foresta, corpi straziati dalle bombe o deformi per gli effetti del napalm. Immagini che è giusto guardare, ma alcune sono proprio molto forti e agghiaccianti! Naturalmente la maggior parte degli orrori illustrati sono quelli fatti dagli americani alla popolazione locale o ai vietcong, ma io penso che purtroppo in ogni guerra venga fuori il lato animalesco dell’uomo che spesso, essendo un soldato agli ordini di superiori, non può nemmeno discutere le decisioni. E sicuramente i vietcong non scherzavano nemmeno loro: ho provato, visitando questi luoghi, di immaginare come poteva essere la permanenza degli americani qui, nelle risaie, nella boscaglia con la guerriglia in agguato, nei fiumi, combattendo una guerra non loro…non dev’essere stato facile. La condanna è nelle motivazioni iniziali di un conflitto, che sono sempre economiche e politiche e partono da uomini che non saranno gli esecutori diretti di atrocità. Mi vengono in mente tutti i film relativi a questa guerra, ai reduci tornati in patria mutilati, assuefatti alla droga che qui in Vietnam li aiutava a sopravvivere: non mi sento di essere completamente dalla parte dei vietnamiti contro i soldati americani (ma questo è il mio punto di vista). Riscendendo nel cortile vediamo anche le famigerate “gabbie di prigionia”, altra cosa terrificante che mi evoca immagini di film. Ancora scossi per le cose viste, veniamo catapultati in una realtà opposta: il mercato Cho Binh Tay, situato a Cholon (grande mercato), estesissimo quartiere cinese di Saigon in cui vivono mezzo milione di persone. Una curiosità: ho letto che in questo quartiere abitava il personaggio del film “L’amante” e durante la guerra era pieno di fumerie d’oppio. Il posto è da vedere, veramente incredibile: dovrebbe essere un mercato all’ingrosso ed infatti è traboccante di merce distesa, fittissima, nei vari banchi. I corridoi tra le bancarelle sono strettissimi; all’uscita iniziamo l’impresa di attraversare la strada: bisogna avanzare con passo deciso senza correre, saranno i motorini a scansarti, ma devo dire che non è tanto piacevole trovarsi (specialmente di sera) in mezzo alla strada in pieno traffico con la paura di essere investiti, del resto anche ai semafori non sempre è sicuro passare con il verde, non tutti rispettano il rosso. Qui a Saigon i motorini sono ancora più numerosi di Hanoi: passano poche macchine e “fiumane” (non si può credere) di moto con sopra persino quattro persone, bimbi schiacciati in mezzo e merci di tutti i tipi. Ultima visita della giornata: la chiesa di Notre Dame (solo esterno) ed il Palazzo delle Poste centrali (edificio coloniale molto bello con interni liberty e con sopra una torre in acciaio, progettato dal famoso architetto Gustav Eiffel). Decidiamo di tornare a piedi in hotel per attraversare questo affascinante quartiere 1 (ex francese) che (specialmente di sera tutto illuminato) è molto scenografico: splendido, proprio accanto all’hotel Rex, il Municipio. Uscendo dal ristorante al 5° piano, la location è stupenda:ci troviamo sulla famosa terrazza “Five o’clock Follies”, quartier generale dei corrispondenti della stampa straniera che qui ricevevano i bollettini relativi alla guerra del Vietnam dagli addetti alle relazioni stampa dell’esercito americano (e molto spesso queste notizie erano gonfiate e non veritiere). L’ambiente è molto carino, con tante lanterne di bambù di forme diverse sospese sui numerosi tavolini ed un’ enorme corona girevole (in onore al nome dell’hotel) che spicca notevolmente anche guardando dalla strada in basso. Il panorama su Saigon illuminata è emozionante (non solo per il colpo d’occhio, ma per me soprattutto associando l’immagine presente all’immaginazione del passato.

MARTEDI’ 15 NOVEMBRE: 10° giorno SAIGON

Stamattina partenza alle 7.30 per i famosi tunnels di Cu Chi (una vasta rete sotterranea di gallerie fuori Saigon di circa 200 km. usata, negli anni ’40, dai Viet Minh contro i francesi e negli anni ’60 dai Viet Cong contro gli americani): ci sono due zone di visita e noi andiamo a Ben Duoc, quartier generale del partito regionale di Saigon, considerata oggi testimonianza nazionale di guerra. Le gallerie sono disposte su vari livelli, con zone per cucinare collegate a sistemi di smaltimento dei fumi, con prese d’aria mimetizzate all’esterno da termitai, ed anche con uscite verso il fiume Saigon (da cui prende il nome la città) per eventuali vie di fuga. Devo dire che questa visita è stata per me molto emozionante perché mi sono sentita immersa in luoghi storici (immortalati in tanti film e ricordi di cronache ascoltate in gioventù): in realtà però questi tunnel si trovavano vicino ad un’importante base americana e sono stati presto “bonificati”, ma comunque rappresentano un esempio di come funzionava questa rete sotterranea nel resto del paese. Per consentire l’accesso ai turisti gli ingressi sono stati scoperchiati e i tunnels ampliati: nonostante questo per entrarci ci si deve accovacciare ad angolo retto e camminare in cunicoli strettissimi che, per fortuna, dopo poco hanno uscite in superficie (i tratti per i turisti). Io mi faccio coraggio (ma quasi tutto il gruppo lo fa, anzi alcuni anche in più punti) ed entro nel tunnel, cercando però di essere tra le ultime, per tornare facilmente indietro in caso di panico. Solo all’uscita scopro che i miei compagni hanno visto dei pipistrelli attaccati alle pareti, se lo avessi saputo prima non credo che sarei entrata! E pensare che all’interno, accovacciati in terra accanto a delle lucine, ci sono due vietnamiti che indicano la strada e restano sottoterra per ore. Immersa in questa boscaglia (non è la giungla originale, distrutta dal napalm e dalle bombe) immagino le truppe americane che all’improvviso vedevano sbucare dal suolo guerriglieri vietnamiti che li attaccavano di sorpresa o cadevano in trappole mimetizzate (ne vediamo di vari orribili tipi) rimanendo infilzati in spuntoni di ferro. Un “finto soldato” ci fa vedere un ingresso nel suolo talmente piccolo (un rettangolino grande come una mattonella e coperta di foglie mimetiche), da permettere l’entrata solo ad un corpo esile (caratteristica della loro razza): “l’attore” s’infila nel buco, si appoggia il “coperchio” sulla testa richiudendo l’ingresso e poco dopo riemerge da un’altra apertura simile, poco più avanti. E’ veramente un’esperienza unica! Ripreso il bus, percorriamo una nuova regione (nella zona in cui fu scattata la famosa foto della bimba nuda che correva scappando dalle bombe che avevano colpito il suo villaggio), per andare ad assistere ad un rito molto particolare che esiste solo qui in Vietnam: una cerimonia della religione Cao Dai (somma divinità), una specie di mix tra buddismo, taoismo e confucianesimo con qualche tocco di cristianesimo, fondata nel 1926 e credente in un unico Dio, rappresentato da un occhio divino. Attualmente i suoi seguaci in Vietnam sono circa 7-8 milioni; noi andiamo a visitare l’enorme tempio che è la sede principale di questa religione e che si trova solo in questa regione, mentre altrove ci sono solo templi più piccoli. Lungo la strada incontriamo delle ragazze in bicicletta con il “ao-dai” bianco (la tunica tradizionale femminile con spacchi per lasciare libere le gambe coperte da pantaloni). L’immensa sale interna del tempio ha lateralmente delle colonne a tortiglione coloratissime, con draghi e altre decorazioni. Sul fondo spicca l’altare dell’occhio divino, inserito in un triangolo, che è l’icona del Cao Dai. Ad un tratto, con un sottofondo di campane, entrano i partecipanti alla funzione, tutti in bianco (in prima fila i sacerdoti sono in rosso, giallo e blu). Naturalmente per noi la cerimonia è un po’ troppo lunga e lamentosa, ma è comunque spettacolare, molto scenografica e particolare per la sua specificità. Impieghiamo circa 3 ore per tornare a Saigon, dove continuiamo ad esplorare la città: entriamo nell’hotel Caravelle, molto amato dai corrispondenti di guerra e completamente ristrutturato, e saliamo al roof garden del 9° piano: anche da qui c’è una bellissima vista! Lì accanto, dopo il Teatro dell’Opera (ora Teatro Municipale) c’è un altro hotel famoso, il Continental, dove, all’inizio degli anni cinquanta, lo scrittore inglese Graham Greene scrisse il romanzo “L’americano tranquillo”. Questo albergo mantiene ancora il suo aspetto coloniale e sotto di esso scopriamo una boutique eccezionale per originalità e qualità (e prezzi…) di una stilista vietnamita che mescola nella sua arte di design (vestiti e oggetti di arredamento) elementi della guerra, della storia antica e del futuro, ottenendo risultati splendidi ma soprattutto impersonando lo spirito moderno di questo paese: tra passato e futuro.

MERCOLEDI’ 16 NOVEMBRE: 11° giorno SAIGON / DELTA DEL MEKONG

Oggi Mekong: con il bus ci addentriamo nel territorio del delta dove il paesaggio si snoda tra risaie, banani, cocchi, prati molto verdi e gente che ogni tanto spicca tra l’erba con i cappelli di paglia a cono. Saliamo su una barca ed iniziamo la navigazione lungo uno dei bracci del fiume tra quattro isole verdeggianti. Pur essendo piacevole, questa navigazione (all’inizio) non mi dà una particolare emozione (rispetto al ricordo della mia prima navigazione sul Mekong in Thailandia, nel 1985). Piccola sosta per assaggiare frutta tropicale e sentire canti tipici in un punto di eco-turismo, poi ancora un po’ di navigazione e discesa per visitare una zona dove lavorano le caramelle al cocco: qui incontriamo un uomo che ha un enorme pitone “buono” avvolto intorno al collo. Dopo aver percorso un sentiero molto bello che costeggia dei canaletti, tombe e una pagoda, ammirando lussureggianti cocchi d’acqua che servono, intrecciati, per costruire tetti di capanne, saliamo su dei carrettini trainati da un cavallino sgangherato. Su questo mezzo tipico locale, con in testa cappelli di paglia a cono per entrare meglio nel contesto, arriviamo ad un mercato che attraversiamo per riprendere la nostra barca. Questa escursione è molto “movimentata” e via via diventa sempre più affascinante: navighiamo ancora un po’ per sbarcare su una sponda molto rigogliosa e percorriamo a piedi un bel tratto molto suggestivo attraversando anche un ponticello di legno sospeso sull’acqua di un fiume interno. In mezzo alla vegetazione si trova il ristorante per la sosta pranzo, che si rivela migliore di altri, offrendo uno strano pesce che sembra imbalsamato e la cui polpa viene avvolta, insieme ad un pezzetto di ananas, spaghetti di riso e cetriolo, in un fazzoletto di carta di riso. Dopo pranzo inizia una bellissima escursione in barchine da quattro persone guidate con un solo remo da un ragazzo o ragazza (tipo gondola): il paesaggio è bellissimo, sembra di vivere in uno dei film della guerra del Vietnam, mentre scivoliamo silenziosamente sull’acqua. Al termine riprendiamo la barca per tornare al punto di partenza dove ci attendono file di negozietti che ci “trattengono” per qualche acquisto.

GIOVEDI’ 17 NOVEMBRE: 12° giorno SAIGON / SIEM REAP

Stamattina sveglia alle 5 e via in aeroporto con destinazione Siem Reap. Il volo è della Vietnam Aerlines delle 8.35, aereo piccolino, ma volo tranquillo. Atterriamo a Siem Reap in un bellissimo aeroporto, stile isola caraibica. Otteniamo il visto con facilità: qui c’è un bancone con tanti impiegati affilati che si passano i documenti tra di loro finché l’ultimo restituisce i passaporti. Si capisce subito che il turismo è molto sviluppato e organizzato: anche l’hotel è molto scenografico, specialmente la hall, tutta rivestita con pannelli di legno intarsiato e con uno splendido lampadario in cristallo. Fa caldo: la prima visita è al Rolous, il sito più antico e il luogo dell’antica capitale khmer (IX sec.) Il primo tempio, indù, è il Preah Ko (toro sacro, cavalcatura di Shiva, a cui è dedicato: il colpo d’occhio è molto bello, 6 torri in mattoni rossicci spiccano in un ambiente rurale. All’arrivo veniamo accolti da un gruppetto di bambini, che d’ora in poi saranno una costante davanti ai principali siti, con gli occhioni scuri, i visi molto espressivi, la loro dignitosa povertà e le borsette e sciarpette da vendere. L’atmosfera è molto diversa dal Vietnam: qui c’è più povertà. Sul davanti del tempio ci sono statue del toro sacro: saliamo dei gradini e ammiriamo da vicino le elaborate e ben conservate decorazioni delle porte (vere e false), architravi e colonne. Lo stile mi ricorda quello dell’indiano Khajuraho, del resto l’ispirazione è induista. Il secondo tempio è il più scenografico: è il Bakong, monastero sempre dedicato a Shiva. Attraversando un percorso che doveva avere delle colonne ai lati, arriviamo al grande tumulo (che rappresenta il mitico monte Meru, dimora degli dei indù), che si eleva gradualmente in 5 livelli, per accedere ai quali saliamo alti gradini in arenaria grigia. Sulla sommità c’è il santuario centrale e una grande torre a forma di fiore di loto. Ai bordi dei primi livelli ci sono statue di elefanti e le gradinate per salire e scendere sono poste sui 4 lati del monumento, davanti al quale c’è una specie di stagno. Accanto c’è una pagoda (la pagoda è un monastero, il tempio un luogo solo di preghiera) per monaci buddisti (in abito marrone mentre i bonzi in arancione), Per ultimo, al tramonto, visitiamo il tempio Lolei, molto simile al primo, anch’esso affiancato da un pagoda, al cui interno assistiamo ad una preghiera di monaci bambini. Il mio primo impatto con i templi cambogiani è “morbido”: affascinante per i colori del verde della vegetazione, il rossiccio delle torri e la bellezza delle decorazioni, ma ancora non mi sono emozionata… vedremo domani con i templi più famosi.

VENERDI’ 18 NOVEMBRE: 13° giorno SIEM REAP

Partenza alle 8: sole, cielo azzurro e le meraviglie di Angkor Thom! Rimaniamo senza parole davanti allo spettacolo straordinario di questo sito, superiore alle aspettative ed ai racconti. Il primo impatto con il tempio di Angkor Thom è una strada scenografica che conduce alla porta meridionale della città, una delle quattro entrate poste ai 4 punti cardinali (ad ovest la porta dei fantasmi, ad est doppie porte dei fantasmi e della vittoria). Guardando la porta, a sinistra c’è una lunga fila di enormi statue di dei ed a destra di demoni (154 in tutto). Le mura che circondano la città sono mastodontiche, alte 8 metri e lunghe 12 chilometri, circondate da un ampio fossato. La porta Sud (la meglio conservata) è sormontata da una torre alta 23 metri con 4 facce ai lati che rappresentano la divinità ma impersonano il re Jayavarman VII (XII sec.), che fece costruire questa città sacra nel massimo splendore dell’impero Khmer. L’impatto è veramente emozionante: per fortuna il cielo è azzurro e crea uno splendido contrasto con le pietre grige del monumento! Per raggiungere il centro del tempio (Bayon) usiamo un bus più piccolo e qui inizia una meraviglia: a prima vista il Bayon sembra un agglomerato compatto di torri e terrazze, ma addentrandoti a poco a poco la massa scura sembra allargarsi e dipanarsi in una serie di gallerie ricche di bassorilievi (accurati e bellissimi che rappresentano sia scene di vita quotidiana che grandi battaglie come quella contro i Cham) a cui si accede attraverso porte con stipiti e architravi decorati riccamente con motivi elaborati. A tratti s’incontrano “infilate” di porte che creano un effetto suggestivo (talvolta con statue di Budda con offerte votive). Gradualmente saliamo ripide scalinate conquistando le terrazze superiori e avvicinandoci alle maestose 54 torri (sempre con le 4 facce ai alti, volti enigmatici e imponenti). Sono senza parole: dovunque mi giro spunta una torre e si accavalla e sovrappone alla visione delle altre. Il percorso è una specie di groviglio tra sali e scendi: emozionante! Riscendiamo alla base del tempio e, attraversando terreni verdi, stagni, alberi con tronchi elaborati, arriviamo al Baphuon, tempio indù a piramide, sul quale non saliamo ma che costeggiamo per ammirare, sul lato occidentale, un grande Budda sdraiato, sempre di massi di arenaria, probabilmente aggiunto in un secondo tempo (in realtà stento un po’ ad individuarlo). Pian piano ci addentriamo nella vegetazione percorrendo un sentiero che costeggia il luogo dove sorgeva il palazzo reale che, essendo in legno, fu distrutto dai Cham. Di fronte sorge il Phimeanakas (o tempio-palazzo celeste, usato solo dal re): ha una base rettangolare sormontata da una piramide trapezoidale, tipo quelle azteche, con scalinate sui 4 lati. Io non resisto all’impulso di salire sulla sommità e da lì ammiro un bellissimo panorama sulla boscaglia. Terminiamo il giro affacciandoci dalla terrazza degli elefanti (chiamata così per gli elefanti scolpiti sul muro di sostegno), un complesso di 5 piattaforme (3 più grandi e 2 più piccole) dalla quale il re e la sua corte assistevano alle parate che si svolgevano in un immenso spiazzo sottostante: sullo sfondo 12 padiglioni (uno per ogni mese) che servivano da “camerini” per i danzatori. Più in là c’è la terrazza del re lebbroso, che però vediamo solo da lontano. Fa un gran caldo e, prima di riprendere il bus piccolo, compriamo qualche bibita fresca. Nelle soste continuiamo ad essere assediati dai bimbi-venditori che chiedono dollari: sicuramente la povertà in questo paese è forte e mi dispiace per questi piccoli, purtroppo non credo che il problema si risolva solo acquistando qualcosa da loro, che talvolta sono anche un po’ assillanti. La stessa guida dice che è meglio lasciare dei soldi presso le scuole che direttamente ai bambini (e poi chissà chi c’è dietro di loro). Anche la Cambogia ha sofferto durante la guerra del Vietnam, subendo le bombe americane al confine e, dopo la fuga del re, ha patito moltissimo con il governo di Pol Pot fino al 1979. La stessa guida, come ogni famiglia cambogiana, ha perso molti cari durante questo terribile regime, gente uccisa anche senza motivo. Da una decina di anni la zona di Angkor, che prima era deserta, sta sperimentando un’impressionante sviluppo turistico, con la costruzione di moltissimi grandiosi hotel tipo quelli di Sharm e lo stesso paesino è ora diventato un affollato centro pieno di turisti in tutti i mesi dell’anno, anche durante i monsoni. Ripreso il bus, arriviamo all’ultimo sito della giornata: il Ta Prohm, dove sembra di entrare nel set di Tomb Raider (effettivamente girato qui da Angiolina Jolie). E’ il più spettacolare e reclamizzato per le enormi radici degli alberi del cotone che hanno avviluppato le rovine in un abbraccio quasi soffocante: il luogo ispira un’infinità di scatti. Un re khmer fece costruire questo monastero buddista che all’epoca ospitava villaggi, 80000 monaci con 600 danzatori. Il tesoro del suo capo consisteva in 35 diamanti e 40000 perle. Distrutti dalla stanchezza e dal caldo (circa 35°), pranziamo in un ristorante di fronte ad Angkor Vat che visiteremo domani e, dopo una breve sosta al mercato di Siem Reap, torniamo in hotel.

SABATO 19 NOVEMBRE: 14° giorno SIEM REAP

Stamattina, dopo qualche discussione, decidiamo di aggiungere un sito al programma e andiamo a Kbal Spean. Per me e altri la gita si rivela bellissima, certo faticosa perché non sempre il sentiero è pianeggiante, talvolta è in salita tra i sassi, ma ne vale la pena. Il luogo è poco turistico, situato in un ambiente incontaminato e si arriva in una zona quasi magica dove inizia una cascata che scorre su pietre intagliate con una splendida immagine di Visnù da una parte e Shiva sdraiato da un’altra. Ci sono anche tanti linga (pene di Shiva), scolpiti su altre rocce. Luogo mistico. Scendiamo un po’ per vedere la cascata dal basso: tante farfalle e libellule colorate svolazzano intorno, bellissime. Riaffrontiamo il cammino di ritorno tra liane, massi enormi con colori strani. All’arrivo un bel succo di cocco fresco mi ridà un po’ di energia insieme agli immancabili bambini dai quali compro le tipiche sciarpine cambogiane a righe o a quadretti. Il secondo sito della mattinata è il Banteay Srei, bellissimo tempio del X sec. dedicato a Shiva e detto “delle donne” perché gli intarsi delle pietre sono talmente elaborati e ricchi che si pensa siano stati fatti da donne. Il complesso è piccolo, si visita in poco tempo, ma è molto raffinato e particolare. La sosta di oggi è in una tipica e bella casa cambogiana il cui proprietario (un amico della nostra guida) la mette a disposizione per il pranzo dei turisti. E’ in legno scuro e costruita tipo palafitta: salendo una ripida scala arriviamo ad un disimpegno sul quale si affaccia una raffinata stanza da letto, arredata con molto gusto. Sulla terrazza un tavolo da pranzo apparecchiato con cura con un bel runner di seta e particolari composizioni di fiori: da un lato un bimbo suona uno xilofono tipico cambogiano. Ci godiamo il panorama verde di banani e piante tropicali, con le pietanze locali disposte nel piatto in modo coreografico e abbastanza buone. Ed ora verso la meta “clou” del viaggio: Angkor Vat (il nome significa “città che è un tempio ed è il singolo monumento religioso più grande del mondo). Ci arriviamo attraverso una strada rialzata sul fossato pieno d’acqua che ha delle balaustre intagliate a forma di “naga” (serpente) con le teste rialzate alla fine e decorate (molto belle): il tempio induista (costruito dal re Suryavarman II, zio di Jayavarman VII, che aveva innalzato Angkor Thom) è caratterizzato da 5 torri a forma di germoglio di loto. Unico peccato per le nostre foto è la presenza di antiestetiche impalcature verde brillante che rovinano l’imponenza del monumento. A differenza di Angkor Thom, qui le 5 porte di accesso sono tutte sul lato occidentale (è singolare che questo tempio indù sia l’unico orientato ad ovest) e le mura sono meno imponenti. A poco a poco ci avviciniamo al complesso centrale, foto di rito davanti allo stagno con lo sfondo di Angkor Vat e, salendo una scalinata, arriviamo ad una serie di gallerie con “infilate” di porte e stupendi bassorilievi (lunghi 600 metri con 2000 incisioni) con episodi mitologici molti dei quali tratti dal poema epico indù Mahabharata. Ci sono naturalmente delle analogia strutturali con Angkor Thom, ma ogni tempio ha la sua peculiarità. E’ tutto grandioso e man mano che ci inoltriamo nel cortile interno le 5 torri dal basso appaiono gigantesche. Per salire al tempio vero e proprio (che anche qui rappresenta il mitico monte Meru) usiamo una ripidissima scalinata di legno (che è stata messa accanto alla scala originale in pietra ancora più ripida, per motivi di sicurezza). Dall’alto la vista è mozzafiato sul cortile in basso, sul verde della boscaglia esterna, sulle vasche per le abluzioni dei cortili interni, sulle torri che spiccano in alto già rossicce per la luce del tramonto (infatti la visita a questo tempio è sempre programmata per il pomeriggio), sui bassorilievi splendidi delle “apsarà” (danzatrici) che risaltano sulle pareti. Col tempo il buddismo prevalse sull’induismo e nel tempio centrale ci sono molte statue di Budda. E’ meraviglioso, superiore alle aspettative: di tutti i complessi visti non so e non voglio fare una classifica, ognuno ha un qualcosa di particolare che ti affascina, pur avendo elementi simili, ognuno merita di essere visitato. Tornando al bus gettiamo un ultimo sguardo alla mole del tempio che si riflette nell’acqua del fossato con lo sfondo rossiccio del sole calante: è il giusto commiato a Siem Reap.

DOMENICA 20 NOVEMBRE: 15° giorno SIEM RAEP/SAMBOR PREI KUK/PHNOM PENH

La giornata di oggi è più faticosa perché è un lungo trasferimento da Siem Reap a Phnom Penh su strade abbastanza sconquassate. Anzi la deviazione che facciamo per visitare il sito di Sambor Prei Kuk ci costringe a percorrere un terreno sterrato pieno di buche e il bus fa un sacco di sobbalzi, ma il paesaggio intorno è molto suggestivo pieno di case in legno su palafitte, buoi affondati nelle risaie, spaccati di vita contadina cambogiana. In realtà il sito che visitiamo (il più antico di tutti gli altri perché risale al VII sec.) pur essendo suggestivo, con torri ottagonali in mattoncini rossi disseminate in una bella vegetazione e abbellite da alcuni bassorilievi, forse non merita la lunga e faticosa strada. Questa zona ha subito forti bombardamenti americani alla fine della guerra del Vietnam, che hanno distrutto molte torri: si pensava che i vietcong si nascondessero nella fitta boscaglia. In Cambogia sono state scagliate circa 9 milioni di mine e ne restano ancora 6 milioni inesplose! Lungo la strada del ritorno, durante una sosta “idraulica” vediamo delle bancarelle che vendono “specialità” culinarie molto particolari: cavallette, scarafaggi e ragni fritti!

LUNEDI’ 21 NOVEMBRE: 16° giorno PHOM PENH/BANGKOK

La giornata di oggi, analizzata col senno del poi, non è particolarmente speciale: forse accusiamo la stanchezza, ma Phnom Penh ci appare una città diversa e meno interessante di quelle Vietnamite. Non ci sono particolari grattacieli, molte ville e case basse, tanto verde, parchi, giardini, monumenti in stile orientale, dorati o in pietra, ponti sul Mekong. Visitiamo il palazzo Reale che assomiglia, per lo stile architettonico a quello di Bangkok, ma molto meno scenografico. Gli edifici sono stati ristrutturati nel 1900 e vediamo la sala del trono (sul quale il re si siede solo per una volta quando viene eletto), la pagoda con il pavimento d’argento (formata da piastrelle in argento massiccio che s’intravedono sotto dei tappeti) che contiene un grande Budda in oro ed uno più piccolo scolpito in una pietra che non so se è giada o smeraldo. Guardiamo anche qualche altro padiglione contenente oggetti e foto relative al sovrano attuale ed ai suoi genitori. Ci rechiamo poi al Museo storico, un bell’edificio rossiccio con interessanti reperti Cham, pre-angkoriani e angkoriani. L’ultima gita è la più angosciante: visitiamo una scuola, ora Museo degli orrori della guerra, in cui abbiamo una testimonianza diretta delle atrocità perpetuate dal regime di Pol Pot tra il 1975 e il 1978. In queste aule, adattate a prigioni, furono torturate e uccise circa 170000 persone tra giovani e vecchi, donne, uomini e bambini. Le foto che testimoniano queste crudeltà sono davvero agghiaccianti. Quando cadde il regime, l’esercito vietnamita trovò in vita soltanto 7 persone: di queste conosciamo l’ultimo superstite dello sterminio, un vecchietto che ha scritto un libro sull’accaduto e che accetta con un saluto cambogiano (le mani giunte ed un inchino del capo) le nostre piccole offerte. Dopo il pranzo a buffet in un ristorante cittadino, piccolo giro in un mercato (l’ultimo) e via all’aeroporto, dove arriviamo con un bell’anticipo. Ritorno tranquillo e faticoso via Bangkok-Milano-Roma.



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