Una scheggia d’emozione

Pomeriggio australe , Stuart Highway, 50 km a sud di Darwin, fabbrica dei Dijereidoo, ad un tratto la commessa, intenta a spiegarmi le diverse tonalità di questo strano “tubo che canta”, mi lascia in mano un piccolo di pitone: sbigottimento sovrapposto a entusiasmo. E’ la prima volta che tengo in mano un rettile, non è per niente viscido...
Scritto da: Riccardo Ricci 1
una scheggia d'emozione
Partenza il: 01/08/2005
Ritorno il: 23/08/2005
Pomeriggio australe , Stuart Highway, 50 km a sud di Darwin, fabbrica dei Dijereidoo, ad un tratto la commessa, intenta a spiegarmi le diverse tonalità di questo strano “tubo che canta”, mi lascia in mano un piccolo di pitone: sbigottimento sovrapposto a entusiasmo. E’ la prima volta che tengo in mano un rettile, non è per niente viscido come le sue squame lucenti lascerebbero presagire, anzi, sentire le sue spire così potenti e forti scorrere tra le mie dita mi lascia immaginare quanto fatale possa essere la sua morsa quando da adulto vagherà per il bush in cerca di cibo. Che sensazione primordiale.

Ma eccolo il bush: eucalipti nani e cespugli di spinflex che si rincorrono all’infinito, terra rossa che profuma di antico, cielo blu a fare da specchio al nostro vagabondare.

Guido veloce sul track, il potente fuoristrada asseconda alla perfezione il mio gas, e il mio animo diventa di ragazzo. Nuvole di fumo a marcare il passaggio, termitai giganti attorno a noi, occhi fissi sull’orizzonte finchè il miraggio diventa via via piu nitido; la pista si tramuta in sentiero e la nuvola che per chilometri è stata la nostra ombra, si posa inesorabile su di noi. Entriamo a passo d’uomo in una “grotta verde”, gli alberi sopra di noi sembrano infatti abbracciarsi in un sodalizio contro il sole cocente, procediamo a passo d’uomo e a tratti fra la fitta vegetazione intravediamo le colline; è lassù che vogliamo arrivare, lassù ci attende la famosa Jim Jim Falls.

La carreggiata si fa profonda, due fuoristrada sono bloccati ma qualcuno li sta già aiutando, passiamo a fianco e la mia Fughi si assicura che non abbiano ulteriori problemi: il ranger in perfetta tenuta da “boy scout”, che li sta traendo d’impaccio, si gira e in marcato accento australiano ringrazia e saluta.

Procediamo, oramai ci dovremmo essere, ultime buche e dopo l’ennesimo guado una radura- parcheggio si apre di fronte a noi. Ce lo aspettavamo. Due km da fare sul letto di un fiume in secca saltellando su enormi massi ed ecco che un billabong favoloso si apre davanti a noi; la tentazione di un tuffo mi assale ma prontamente la Fughi mi fa notare il cartello, “No swimming, saltwater crocodiles”.

Sfortunatamente anche queste acque sono infestate dai temibilissimi coccodrilli marini, desistiamo e riprendiamo il cammino. Aggiriamo quindi la bellissima laguna tenendoci a una discreta distanza dall’acqua e procediamo verso la cascata ridotta a un rigagnolo causa la stagione secca. Foto su foto, la mia Fughi come una reporter consumata non ha paura nè ad arrampicarsi nè a sdraiarsi pur di conquistare l’angolazione del momento.

D’altronde le foto saranno i nostri trofei da esibire nei tranquilli salotti cittadini.

Se vogliamo parlare di foto allora non possiamo non affrontare ciò che da 47 giorni sovrasta il nostro letto; ingrandimento gigante di una foto panoramica di Whiteheaven Beach, una delle 10 spiagge piu belle al mondo ( “ma chi mai è il fortunato ad aver stilato la classifica” è la prima domanda che ci si chiede!?).

Chi entra in camera dopo aver sospirato non può non nascondere la curiosità nel sapere cosa sta dietro a quella foto.

E’ buio, e siamo sul ponte della Solway Lass, un bellissimo veliero di inzio secolo che in origine fu mercantile e oggi è nave da crociera. Gregg ,”the captain”, scrutandoci uno ad uno si lancia nel briefing di benvenuto e ci impartisce le “regole” di bordo. La ciurma è variegata, tanti europei, noi i soli italiani, meglio cosi! Usciamo dalla baia, il mare si alza e il vento ruggisce sulle scotte del ponte; ben protetti dalle nostre cerate e aggrappati a una calda tazza di the non riusciamo a staccare gli occhi da un cielo di stelle. Io e la mia Fughi ascoltiamo la vita che ci sta attorno e ci teniamo le mani forte forte. Le parole non servono.

La mattina dopo è fredda e nuvolosa, un fastidioso vento da sud sferza il ponte della barca, un po’ di delusione ci assale; ad un tratto pero un grido si alza da poppa: “Whale!!Whale at three o’clock!!”. Scattiamo in piedi, stringiamo gli occhi verso l’orizzonte e ad un tratto tra le onde ecco alzarsi l’inequivocabile spruzzo d’acqua di una balena! Il capitano, intanto, ha gia corretto la rotta e con i motori al minimo si dirige verso quel punto.

Gli occhi sono fissi sul cetaceo, riusciamo ad arrivare ad una discreta distanza. Saremo a circa 15 metri e la balenottera è davvero imponente. La sua pelle sembra liscia e si intravedono i caratteristici molluschi attaccati alla testa.

Armato di macchina fotografica scatto foto a più non posso quando per magia il sole decide di far capolino fra le nuvole: sarà l’inizio di un paradiso multicolore.

Tutto ciò che ci sta attorno muta, il mare da grigio si tinge di un blu profondo, le acque basse sfumano in diverse tonalità di verde bottiglia, le spiagge bianche disegnano profili multicolori fra colline selvaggie e cieli vergini.

Lasciata la balenottera proseguiamo verso la punta orientale della spiaggia. Sbarcati con l’onnipresente palla insceniamo una breve partita di calcio finchè la tentazione si fa realtà: corsa, salto, tuffo e sembra di rinascere una seconda volta.

La spiaggia alla nostra sinistra si dipana in una mezza luna lunga, lunga, che meraviglia poterla osservare così con poca gente.

Il silenzio piano piano ci avvolge, socchiudiamo gli occhi e ci lasciamo cullare da una profonda sensazione di benessere.

Il tempo si dilata. Il sole è alto. I nostri pensieri anche.

Ad un tratto la sirena della nave si libera nell’etere: è il segnale della partenza.

A malincuore raccogliamo i segni del nostro passaggio e ci avviamo verso il tender che ci riporterà alla nostra casa galleggiante.

Eccovi una piccola scheggia di un’emozione che per noi è durata ventidue giorni, che brucia ancora come una fiamma curiosa e che si alimenta nella ricerca didascalica di altre sue simili. Non rimarrà sola:un atlante è gia aperto sul nostro letto.



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