Un, due, tre…ntino
Lungo la strada vi sono numerosi cartelli con il logo della manifestazione quindi non ci si può sbagliare; li seguiamo inerpicandoci sul costone di una montagna ed, essendo il concerto l’indomani, riusciamo a posteggiare nello spiazzo più agevole possibile, in cima alla strada, dove oltre non si può procedere. Sistemiamo gli zaini e camminiamo per una buona mezz’ora fino a giungere al passo oltre cui inizia una discesa fra le fronde degli alberi. Una spettacolare sorpresa appare ai nostri occhi una volta usciti dal bosco: in mezzo a un’ampia radura si staglia un rifugio delle favole, tutto di legno con panchine e fiori! Sono le 17 passate e sistemiamo gli zaini nella camerata; tutto qui è così bello, di una pace surreale. Dietro al rifugio Potzmauer si trova una parte di bosco dove diverse figure di animali sono state intagliate negli alberi dall’Associazione scultori Cembra; c’è il gufo, l’orso, la rana, lo gnomo… Fantastico!
Per cena ci vengono offerte prelibatezze varie: speck locale, della carne argentina buonissima con funghi, gli spatzle. Diciamo che la quantità e la qualità della cena sopperiscono decisamente le notevoli lacune del ‘non pranzo’ di oggi! Pieni come uova usciamo dal rifugio per fare due passi nella radura: è tutto buio, si sentono solo i rumori del bosco e sopra le nostre teste si staglia un cielo stellato pazzesco, tanto che ci sdraiamo nel prato a cercare delle stelle cadenti, mentre in lontananza risuona l’eco della fisarmonica suonata dal gestore Roberto.
Sulla scia del fantastico trattamento che stiamo ricevendo (da re!), ci vengono offerti dei bicchierini di grappa nostrana mentre ci dilettiamo in qualche partitella a carte. In questo posto da sogno davvero il tempo si è fermato. Ci prendiamo ancora un po’ di tempo per gustarci tutto il relax, fino a che ci cala la palpebra; andiamo a nanna prima della mezzanotte. La camerata può contenere ad occhio e croce una trentina di persone e quasi tutti i letti sono occupati (noi abbiamo prenotato per sicurezza).
25 AGOSTO – IL CONCERTO DI MAX GAZZE’
Nella stanza si sentono movimenti già dalle prime ore del mattino, soprattutto di persone che si sono fermate a dormire al rifugio per poi riprendere le loro camminate sulle montagne trentine. La colazione che ci viene offerta è spettacolare, con la marmellata di lamponi fatta in casa (non credo di averne mai mangiata una così buona) e latte di malga. Slurp. E’ proprio bello vedere come la conduzione familiare e semplice del rifugio (la figlia del gestore porta al tavolo la moka e si fa pure il bis!) denoti allo stesso tempo un alto livello ristorativo con un’attenzione costante all’ospite. C’è una bella giornata di sole quindi ci sistemiamo sulle panchine esterne per decidere cosa fare una volta terminato il concerto; sono le 10 am ed iniziano ad arrivare i camioncini con l’attrezzatura necessaria. Una delle organizzatrici stende una corda sul prato che serve per dividere la zona del pubblico dall’area dove Max Gazzé suonerà. E’ curioso notare come una corda appoggiata sull’erba venga usata a mo’ di transenna; e non vi sono nemmeno guardie del corpo!!! Ahaaha. A quell’ora ci sono poche persone presenti (in pratica solo chi ha dormito al rifugio la notte precedente) quindi ci prendiamo la ‘pole position’ stendendo la nostra bella coperta a ridosso della corda.
Il sole di mezzogiorno è caldissimo e nella radura non c’è un filo d’ombra; pranziamo con polenta e carne mentre si stanno assiepando centinaia di persone tutt’attorno al rifugio. Alle 13 arriva Max Gazze’ e la sua band; poco dopo le 14 iniziano a suonare e che dire? Siamo a 5 metri da loro a goderci un concerto fantastico in un posto da favola. Qui tutto è così incredibile e davvero indimenticabile! Alla conclusione del concerto decidiamo (a malincuore) di andar via abbastanza alla svelta onde evitare qualsivoglia ressa da sgombero; inoltre non vorremmo rimanere bloccati nella stretta strada che dal parcheggio torna sulla statale. Ripercorriamo quindi la Val di Cembra verso sud fermandoci in un supermercato di Trento per acquistare cibarie varie per poi proseguire verso Longarone dove l’indomani visiteremo la DIGA DEL VAJONT. Il viaggio sembra interminabile e la stanchezza della lunga giornata sotto il sole si fa sentire.
Giunti al paese luogo della disgrazia del 1963 giriamo per una mezz’oretta con l’auto alla ricerca di una piazzola/prato ove mettere la tenda ma nessun posto ci sembra adatto; mi coglie un senso di vera tristezza e grigiore, non so… alla fine decidiamo di non accamparci. Ci fermiamo ad un lavatoio in una zona periferica a ridosso di un bosco dove ci laviamo ‘alla buona’con l’ausilio della luce creata dalle frecce di stazionamento dell’auto: è ora tarda e tutt’attorno è buio pesto! Siamo veramente stanchi, così sostiamo in un posteggio dove ceniamo con i nostri bei panini e ci apprestiamo a passare la notte…in auto. Bhé, la scomodità non si avverte quando il sonno è profondo! La mattina siamo svegli presto, alle 7 e saliamo subito alla diga dove non c’è anima viva dato l’orario.
Visitiamo tutta la zona circostante leggendo con attenzione i pannelli ove sono riportate delle informazioni dettagliate relative al disastro, una storia da pelle d’oca. E’ una sensazione indescrivibile trovarsi proprio lì ed immaginarsi la dinamica dell’accaduto: una parete della montagna che si stacca piombando nel bacino artificiale, generando un’onda d’urto catastrofica che sovrasta la diga e si riversa nella stretta gola sottostante prima di abbattersi su Longarone.
Vi è anche la possibilità di fare visite guidate sulla cresta della diga ma sono le 8 della mattina ed è troppo presto. Proseguiamo poi verso Erto, paese anch’esso colpito dalla esondazione. Scomodo ‘intruso’: si accende la spia dell’avaria abs. Yuppy! Dopo esserci fermati un attimo per leggere il manuale della Seat, titubanti scendiamo a Longarone per una buona colazione e proseguiamo poi in direzione di Cortina d’Ampezzo, cittadina chic incastonata fra le meravigliose Dolomiti. Il lusso sfrenato che si percepisce osservando dai finestrini dell’auto ci induce a proseguire dritto. Giungiamo poi a Misurina e sostiamo per un pranzo veloce presso il Lago di Antorno, uno spettacolo sotto le Cime di Lavaredo; purtroppo però non riusciamo a capire se quelle montagne siano veramente Le famose Cime (dato che sono solo due e la tipica immagine da cartolina è totalmente diversa da quella che ci si prospetta di fronte!). Quindi, fiduciosi, proseguiamo lungo la strada fino ad essere bloccati da alcune sbarre; accanto staziona un cartello che indica l’ingresso alla strada panoramica delle Cime di Lavaredo, al ‘modico’ costo di 22 €!
Delusi dal triste dictat dell’economia, mi sovviene che i miei genitori qualche anno fa avevano soggiornato a Sesto e raccontavano che dal loro albergo si vedevano le cime, ok andiamoci! Risultato: non si vede proprio un bel niente. Telefono e mio papà confuta totalmente la mia convinzione spiegandomi che per vedere le cime frontali occorre camminare per più di un’ora lungo un sentiero di montagna. Decidiamo quindi di tornare indietro (avremo perso 40 minuti buoni) e di percorrere la strada panoramica, convincendoci che quello è l’unico modo carrabile per vedere le 3 conformazioni di roccia. Sganciamo la grana e affrontiamo una salita ripidissima (torna il pensiero della spia abs accesa…) fino a giungere a quota 2.320 mt slm presso il Rifugio Auronzo. Posteggiamo l’auto in uno dei due grossi parcheggi sterrati pieni di auto provenienti da svariate nazioni d’Europa e camminiamo lungo il comodo sentiero che porta al Rifugio Lavaredo, costeggiando le cime e giungendo proprio ai piedi delle stesse. Peccato che ci troviamo sul retro delle famose rocce e quindi non godiamo della famosa immagine tipica che è invece presa frontalmente. Peccato!
Riprendiamo il nostro viaggio verso Dobbiaco e per mera casualità ci fermiamo nel posteggio dell’albergo Drei Zinnen… ehmbé… ci dev’essere una ragione per cui si chiama così… ed infatti giusto il tempo di guardarci intorno ed eccole lì! Finalmente le vediamo fra i pendii delle montagne circostanti! Che soddisfazione!
Felici di questa bella giornata proseguiamo fra i campi e le valli rigogliose di Brunico e Bressanone fino a delimitare il confine con l’Austria, 285 per poi collegarci con l’autostrada del Brennero e rientrare a casa dopo tre giorni intensi e favolosi spesi all’avventura, così come piace a noi! Ciao e alla prossima!