Tour in Namibia 2
Il viaggio più economico è un po’ lungo perché bisogna fare scalo a Johannesburg via Londra. Arriviamo a Windhoek, la capitale, in tarda mattinata e decidiamo di fare subito un giro nel pomeriggio. E’ una cittadina graziosa, situata sull’altopiano centrale a 1660 m, circondata dalle montagne Auas, la seconda catena montuosa più alta della Namibia. La cittadina reca ancora tracce del passato coloniale tedesco (dal 1884 al 1919) che si riflette non soltanto nell’architettura colorata, ma anche nella fusione di cultura europea e sudafricana (l’indipendenza dal Sudafrica risale al 1990). Qui non sembra di essere davvero in Africa perché le persone sono vestite all’occidentale. In ogni caso è il paradiso dello shopping etnico e conviene approfittarne perché l’assortimento di oggetti artigianali è rappresentativo della Namibia.
Al mattino presto partiamo verso sud in direzione del Deserto Kalahari per circa 280 km. La strada è asfaltata e non c’è traffico, e per ora la temperatura è intorno ai 21° che più tardi raggiungeranno i 45° all’ombra. Il clima è secco e il trucco, ci dicono, è di bere molta acqua. Si attraversano colline dalla forma circolare dette “koppies” e forte è il contrasto tra la terra rossa e la sabbia dorata delle imponenti dune. Sul ciglio della strada incontriamo babbuini neri alla ricerca di cibo, famigliole di facoceri che si nascondono subito nella sterpaglia e cavalli selvaggi che vagano come fantasmi. A questo proposito esiste una storia romantica del barone Heinrich von Wolf che, per amore, nel 1909 fece costruire nel deserto un imponente castello (Duwisib) per sua moglie e insieme importarono cavalli per iniziare ad allevarli in questa Terra inospitale. Alla loro morte i cavalli furono liberati e col tempo divennero selvaggi. E’ probabile che oggi noi vediamo i loro discendenti. “Il vento del Paradiso è quello che soffia tra le orecchie di un cavallo”.
Il nostro lodge è situato in una riserva privata ricca di moltissime specie di animali, come orici, springbok, zebre, gnu e struzzi. Nel tardo pomeriggio viviamo l’esperienza del nostro primo fotosafari naturalistico in Namibia per assaporare la luce del tramonto. Coi nostri compagni di viaggio sorseggiamo una fresca bibita in cima a una duna godendo di uno dei panorami naturali più intatti di questo Paese. La Namibia è attraversata dal Tropico del Capricorno e un cartello ne segnala il punto esatto. Una sosta per la foto è d’obbligo e ci coinvolge tutti allegramente. Il nostro primo pernottamento nel lodge africano si rivela ricco di suoni che nella notte rimbalzano intorno a noi tanto da farci sentire al centro di un scenografia cinematografica. Grugniti, tonfi, rumore di zoccoli ci ricordano di essere in Africa e ci addormentiamo sereni.
Il giorno seguente partiamo presto perché ci attendono 400 km circa diretti verso ovest nel deserto geologicamente più antico del mondo, il Namib, dichiarato recentemente parte del Patrimonio dell’Umanità, detto anche deserto rosso. E’ un insieme di vallate, canyon e montagne che nel corso del giorno si colorano di pesca, arancio e albicocca con una suggestione di colori e forme che soltanto un bravo pittore sa dipingere. Proseguiamo verso Sesriem, l’entrata all’area di Sossusvlei, che però visiteremo il giorno dopo per ammirare le dune di sabbia più alte del mondo. Oggi restiamo nel Goondwana Namib Park tra arbusti di un verde pallido e alti alberi posizionati sul letto di un fiume asciutto. Indescrivibile il paesaggio che ci avvolge. L’immensità del deserto infinito, lo sterminato orizzonte di dune, la spietata bellezza della natura che qui crea scenari unici. La particolarità di questo Parco è che le sabbie rosse delle dune incontrano le pianure di ghiaia grigia e le saline bianche, il tutto arricchito da diverse specie di animali selvatici come zebre, antilopi e varie specie di uccelli.
All’alba del mattino seguente visitiamo l’area del Dead Vlei, una depressione circondata da dune enormi dai forti contrasti cromatici tagliata fuori dal corso del fiume Tsauchab circa 500 anni fa. Dopo una piacevole passeggiata di oltre un km raggiungiamo il vlei: il silenzio è quasi irreale, il suolo argilloso è costellato di antichi alberi “camelthorn” (letteralmente “spina di cammello”) risalenti a circa 800 anni fa. Questi alberi pietrificati ne avranno viste delle belle! I colori sono incredibili: il nero degli alberi morti, il bianco del terreno argilloso, le montagne di dune rossastre si stagliano contro il cielo azzurro intenso. Una fotografia da sballo! Poi ci appaiono le dune di Sossusvlei, la cui sabbia vira sotto i raggi del sole da un viola chiaro ad un rosso-arancio sgargiante. Sono dune molto alte con creste affilate che svettano impettite. Il paesaggio cambia continuamente perché le dune sono dinamiche cioè si muovono modellate dal vento assumendo forme diverse e i colori mutano a seconda della luce. In questo momento della giornata sono di un bel color albicocca! Le dune sono uno spettacolo di assoluta perfezione e quel loro rincorrersi crea emozioni indimenticabili.
Famosa e molto fotografata è la duna 45, così chiamata perché posta al km 45, ma a noi è piaciuta di più la Big Daddy alta 305 m che abbiamo “scalato” non senza difficoltà. Affondiamo i piedi nella sabbia e la sensazione è di un abbraccio caldo e morbido. Effetti speciali imprevedibili, la combinazione dei colori che racconta la storia della siccità, delle piogge invernali e del freddo della notte. Si avverte il respiro del deserto, la terra immobile, un grande spettacolo della natura. Sossusvlei, che in boscimano significa “il luogo dove le acque terminano”, è una depressione argillosa dove il fiume Tsauchab non può scorrere perché le dune ne impediscono il passaggio. Osserviamo alcune mongolfiere che ondeggiano nel cielo azzurro e invidiamo i turisti che possono godere del panorama dall’alto. Come disse un saggio: “Chi viaggia nel deserto ritrova ciò che non sapeva di aver perso”.
Ritorniamo a Sesriem per visitare il suo importante canyon che risale a 18 milioni di anni fa e che si è formato in seguito a un processo erosivo. Il canyon è lungo circa un km, profondo fino a 30 m e il suo nome significa “sei cinghie” (ses rieme) dal numero di strisce di cuoio legate tra loro che in passato gli esploratori usavano per attingere acqua dal fondo senza dover percorrere il canyon scosceso. Il primo tratto del percorso corre tra incredibili cordoni di dune nella vallata creata dal fiume Tsauchab. Il canyon è anche un efficace nascondiglio per molte specie di uccelli che qui nidificano. Particolare è l’uccello “tessitore” che costruisce sugli alberi piccoli nidi per la femmina, ma esistono anche enormi “nidi condominiali” cioè un insieme di tanti piccoli nidi dove ogni coppia ha il suo ingresso privato.
Il mattino seguente ci dirigiamo verso l’Oceano Atlantico attraversando il Parco Namib Naukluft che, oltre a essere il terzo parco più grande di tutto il continente africano, è anche il santuario naturale per la zebra di montagna che ha le strisce bianche, marroni e nere. Tra le tante attrattive di questo Parco le due più celebri sono certamente le piante Welwitschia Mirabilis e la spettacolare Valle della Luna. Le Wetwitschia sono tra le piante più rare e antiche in grado di raggiungere i 2000 anni di età. La loro caratteristica è di avere soltanto due lunghe foglie, di essere impollinate da un piccolo insetto giallo e nero, di avere radici di 3 m e di vivere solo di umidità. Proseguendo lungo il percorso costellato da queste piante-fossili ci fermiamo nella Valle della Luna, il cui nome è dovuto al suggestivo paesaggio lunare che questo luogo ha creato nel letto asciutto del fiume Swakop. Proseguiamo per Swakopmund, che significa “bocca alla foce del fiume Swakop”, città a nord sulla costa incastonata tra le dune del deserto e l’Oceano Atlantico, che testimonia apertamente la colonizzazione tedesca. L’atmosfera è calma e rilassante. Qui la sorpresa è il clima freddo e umido che raggiunge appena i 10° e dobbiamo indossare giacche a vento per ripararci dal vento forte. La nebbia spesso avvolge ogni cosa a causa della corrente fredda del Benguela che si scontra con l’aria calda del deserto. Poiché abbiamo tempo libero a disposizione decidiamo di fare una splendida passeggiata nella località marina per meglio assaporare la bellezza della costa che è luogo di vacanza ambito dai namibiani. Stasera gusteremo dell’ottimo pesce appena pescato che ci attende in un caratteristico ristorante sul mare.
Di prima mattina, e col tempo sereno, partiamo per una crociera di quattro ore in catamarano a Walvis Bay. Attraversiamo la laguna in direzione di Pelican Point. Sulla lunga spiaggia di Cape Cross vive una colonia di 100.000 otarie, mentre branchi di delfini nuotano e saltano gioiosi intorno a noi. Enormi pellicani, cormorani neri e tanti gabbiani chiassosi abitano questo tratto di costa namibiana lambito dalle onde fragorose dell’Oceano Atlantico. All’improvviso un’otaria salta sul catamarano e viene premiata con pesci dal marinaio che tanti anni prima, ci racconta, di averla salvata da morte sicura. Riconoscente l’otaria lo riconosce e, tutte le volte che lui transita in quel tratto di oceano, salta a bordo per salutarlo sotto gli occhi attoniti dei turisti. Anche i grossi pellicani saltano sul tetto della cabina alla ricerca di pesce e si mettono in posa per i turisti. A bordo ci offrono un piacevole intermezzo per gustare ottime ostriche namibiane e tartine miste accompagnate da spumante che ci fanno sentire in Paradiso.
Nel pomeriggio ci attende una corsa in 4×4 sulla costa a Sandwich Bay, un luogo incredibile tra oceano e dune. Passiamo davanti alle saline della Namibia, che esporta grandi quantità di sale, e le vasche vanno dal rosa intenso al bianco argento quando il sale affiora. Finalmente arriviamo sulle dune. Il loro aspetto cambia continuamente sferzate dal forte vento: è un mondo surreale con dune maestose in attesa di inghiottire ogni cosa, arbusti secchi piegati dal vento e il mare minaccioso che cerca di erodere la sabbia. Sembra che il tempo si sia apparentemente fermato, sospeso per una ragione incomprensibile in attesa di qualche magia. Lascio scorrere una manciata di sabbia tra le dita e noto che sono tanti granelli multicolori a comporre l’insieme dorato. Noi transitiamo con la jeep sulla costa con l’oceano sulla destra e le alte dune a sinistra schivando le grandi onde, ma il nostro autista è molto esperto e gioca con le nostre paure. Alla fine della baia, che nel secolo scorso aveva un porto attivo, col tempo le correnti hanno insabbiato il porto trasformandolo in palude. Oggi questa zona ospita migliaia di fenicotteri rosa per la gioia dei visitatori.
Il mattino seguente partiamo verso nord, con una tappa di oltre 500 km, diretti nella regione di Damaraland, (terra dei Damara) antico deserto roccioso disseminato da una grande quantità di licheni di cento specie diverse, alcune risalenti a 2000 anni fa. Percorriamo un pezzo della famosa Skeleton Coast e riusciamo e scorgere un vascello indiano color ruggine naufragato a pochi metri dalla costa. Ci sembra di udire le urla dei marinai naufragati su questa costa inospitale. Chissà se è soltanto suggestione oppure… il vento che si prende gioco di noi. Potrebbe essere la scenografia di un film di Hitchcock dall’aspetto lugubre e misterioso. E’ davvero un tratto di oceano pericoloso e molti uomini sulle loro navi sono naufragati miseramente su questo litorale in tutte le epoche. E’ il più grande cimitero di vascelli naufragati al mondo!
In questa zona si trova Wlotzkasbaken, un piccolo villaggio di pescatori fondato nel 1936, le cui abitazioni, tutte private, hanno una cisterna di acqua sul tetto. Visitiamo anche Hentiesbay, cittadina fondata nel 1929 da un pescatore locale di nome Hentie van der Merwe, che era rimasto piacevolmente colpito dalle sorgenti termali esistenti all’epoca e che oggi purtroppo sono esaurite. Questo percorso è un alternarsi di ampie vallate e montagne dalle forme bizzarre. Tra tutte svetta Brandberg, la montagna più alta della Namibia di 2579 m. Qui i boscimani (San) crearono il loro centro spirituale decorandolo con numerosi graffiti e pitture rupestri. Nel pomeriggio raggiungiamo la “Montagna Bruciata” e le “Canne d’Organo” formazioni geologiche che al tramonto si tingono di colori spettacolari. Visitiamo Twyfelfontein, una foresta pietrificata Patrimonio dell’Unesco con antiche incisioni rupestri (oltre 2500) risalenti al Paleolitico. I Damara, gli antichi abitanti di questo territorio, la chiamavano “sorgente dubbiosa” per la presenza di un’improbabile sorgente di acqua fresca tra le montagne. E’ un grande museo all’aria aperta dove ogni roccia racconta una storia diversa fatta di sensazioni e di atmosfere. Le incisioni sono sparse su tutta la superficie dell’area e noi ammiriamo le formazioni rocciose che nel corso di milioni di anni il tempo ha eroso e che oggi assumono forme uniche. Quest’affascinante zona svela l’evolversi della Terra sin dalle origini. Formazioni di rocce, color oro e rosse, dove probabilmente milioni di anni fa dinosauri o altri animali preistorici hanno cacciato e passeggiato lasciando le loro impronte, ci circondano creando un ambiente particolare. Ora sappiamo che l’Africa è nostra Madre e che siamo tutti discendenti di umani dalla pelle scura che salirono nelle fertili terre del Nord perché rappresentavano il nuovo, il futuro. E’ qui che l’homo sapiens è passato alla posizione eretta ed è diventato umano e noi riflettiamo su tutto questo proprio nel deserto della Namibia!
Lungo il tragitto che ci conduce al nostro lodge visitiamo un villaggio di Herero, pastori nomadi, dal carattere molto forte che i colonizzatori tedeschi luterani vollero “civilizzare” costringendo le donne a vestire secondo la moda europea dell’epoca. Ancora oggi queste donne indossano abiti fatti con 25 m di tessuto a formare larghe gonne e sottogonne e un corpetto accollato. In testa portano grandi cuffie simili a un tricorno e non si capisce bene con quale criterio siano state fatte queste scelte dai missionari. L’unica disubbidienza di queste donne è stata di utilizzare stoffe a tinte vivaci. Oggi un gruppo di donne ha organizzato una produzione di articoli artigianali come cuscini variopinti, bamboline a loro somiglianza e vari oggetti ornamentali che vendono ai viaggiatori di passaggio. Una di loro sta cucendo stoffe colorate con una vecchia Singer! I bambini corrono intorno e noi doniamo loro bottiglie di acqua e mele che accettano con grande gioia. Esiste una pagina di storia drammatica che riguarda gli Herero: il loro genocidio. Tra il 1904 e il 1907 avvenne lo scontro tra le truppe tedesche e gli Herero che furono sterminati avvelenando i pozzi d’acqua e rinchiudendoli in campi di concentramento. In Germania furono effettuati esperimenti medici sulla razza e una ventina di teschi ritrovati a Berlino furono restituiti alla Namibia nel 2011. Da una popolazione di 100.000 Herero alla fine del conflitto ne rimasero soltanto 25.000.
Il mattino seguente si parte per il famoso Etosha National Park, enorme riserva naturale, dove ci auguriamo di vedere molti animali selvatici durante il fotosafari che ci attende. Etosha significa “grande posto bianco” ed è noto anche come “la terra delle acque asciutte” a causa della grande depressione salina (Pan) all’interno del Parco, coperta d’acqua soltanto alcune settimane l’anno. Un’antica leggenda San racconta che un giorno tra i villaggi esplose una dura guerra che decimò la popolazione maschile. Le donne piansero così tanto, che le lacrime formarono un lago. Il caldo sole africano però fece evaporare tutte le lacrime, e restò solo questa distesa salina.
Piacevole la sosta a un tradizionale villaggio Himba. Gli Himba sono un’etnia semi-nomade del Nord-Namibia. Sono persone alte e statuarie, dal carattere orgoglioso e amichevole, originarie di questa zona da centinaia di anni, che hanno saputo mantenere inalterati i propri valori e la propria cultura, continuando a vivere in capanne costruite con pali di legno Mopane e ricoperte all’esterno da uno strato di argilla ed escrementi di animali, allo scopo di ripararsi dalle temperature torride del giorno. Possiedono un gran numero di capre e mucche, che sono la loro ricchezza e prosperità e che perciò vengono macellate raramente e soltanto in occasioni importanti. Le donne hanno pettinature elaborate fatta di tante trecce e indossano originali gioielli. Usano spalmarsi il corpo con ocra rossa e grasso per proteggersi dal clima del deserto e per questo motivo sono noti come “pellerossa d’Africa”. Comperiamo volentieri alcuni semplici oggetti prodotti dalla donne Himba per dare loro un aiuto concreto senza offenderle. I bambini sono incredibili, si stringono intorno a noi curiosi, e osservano tutto coi loro vivaci occhi neri.
Prima colazione nel lodge sulla terrazza affacciata sulla savana e, poiché i cancelli del Parco aprono all’alba, ci affrettiamo a goderci la visita accompagnati dal sottofondo musicale del canto degli uccelli, che annunciano un nuovo gaudioso giorno in Africa. Il Parco Nazionale Etosha si estende per oltre 22.000 kmq con una vegetazione di savane erbose estese sino all’orizzonte, alternate a fitte aree boschive. La parte centrale è un immenso piatto deserto, detto Etosha Pan, depressione salina che copre circa un quarto dell’intera superficie scintillante di riflessi argentei nelle ore più calde del giorno. Qui l’acqua è due volte più salata di quella del mare e quindi gli animali non vi si abbeverano, preferendo le pozze di acqua dolce alimentate da falde artesiane, preziosa fonte di vita per specie diverse di animali. In questo Parco non bisogna avere fretta, il tempo è calcolato coi parametri africani, tutto scorre coi ritmi della natura. Non siamo allo zoo, e se vogliamo vedere gli animali dobbiamo aspettare in silenzio, sapendo che solo la pazienza ci premierà con immagini indimenticabili. Quindi passiamo la giornata spostandoci vicino alle diverse pozze d’acqua in attesa di scorgere gli animali che, sotto il sole cocente, vengono a dissetarsi o a bagnarsi regalandoci uno spettacolo davvero emozionante. In un attimo sentiamo in lontananza un barrito e assistiamo al litigio tra un rinoceronte e un’elefantessa che difende il suo piccolo. Un grande polverone e poi tutto si calma. Dopo poco le scene che si aprono davanti ai nostri occhi sono da documentario: gli elefanti che prima si tirano addosso la terra come fosse talco e poi si spruzzano l’acqua, le giraffe che ti squadrano coi loro grandi occhi dalle lunghe ciglia, il ruggito dei leoni che sono mollemente sdraiati all’ombra degli alberi, l’eleganza delle zebre in bianco e nero, gli orici con le loro lunghe corna perfette, gli gnu neri e selvaggi. Struzzi, antilopi, sciacalli e iene completano il quadro della natura. Verso sera ascoltiamo ancora una volta i suoni dell’Africa mentre gli ultimi raggi di sole ci regalano l’immancabile magnifico tramonto che segna la fine di un’altra giornata.
Il giorno dopo ci regaliamo l’ultimo safari mattutino prima di ripartire e abbiamo la gioia di incontrare ancora branchi di zebre, numerose giraffe, antilopi di ogni dimensione, qualche struzzo intento a divorare sassi, una coppia di leoni che beve e maestosi elefanti che sembrano volerci salutare sventolando le loro orecchie e darci appuntamento alla prossima volta.
Sulla strada per Windhoek possiamo osservare le montagne Omatoko, due cime dalla curiosa forma di cono di gelato rovesciato, che ci strappano un sorriso. Un buon cono gelato italiano sarebbe per tutti un bel miraggio!
Nel pomeriggio concludiamo il nostro viaggio a Windhoeak girovagando per la capitale. La curiosità di questa città è che, malgrado l’atmosfera continentale, i colori, i suoni e i ritmi sono quelli di una moderna città africana con negozi che alternano abiti e oggetti importati dall’Europa a capi colorati e artigianato proveniente dall’Africa. Vicino al nostro hotel visitiamo un grande mercato artigianale dove sono esposti oggetti tipici di produzione locale. Sulla via principale di questa città troviamo un grande palazzo di marmo nero sede della Namdeb, la società che gestisce la vera ricchezza di questo Paese, i diamanti. E’ possibile ovviamente visitare il negozio annesso che vende gioielli con diamanti. La nostra attenzione è attirata dalla chiesa luterana tedesca del primi del ‘900 in stile gotico – art nouveau, Christuskirche, che è il simbolo di Windhoeak, visibile da ogni angolo della città. La nostra guida ci accompagna all’ultimo piano dell’Hotel Hilton. Qui i namibiani e i turisti si riuniscono per un aperitivo romantico in attesa di assistere al tramonto sulla città. Anche noi partecipiamo all’evento e la luce che avvolge il panorama è di un caldo color oro prima che il sole rosso scenda oltre la montagna.
La mattina seguente, in attesa del volo di ritorno, ci concediamo l’ultimo giro della città che è divisa in quartieri. Le due cose che ci hanno colpito negativamente sono il filo spinato sulla cinta delle case dei bianchi e la bidonville alla periferia, dove i poveri vivono in baracche di lamiera con acqua in strada e servizi igienici, uno ogni 50 famiglie! Questa è una delle tante sfaccettature sociali di questo Paese tranquillo e pacifico che forse deve ancora trovare il modo di appianare i dislivelli economici che tuttora esistono. Noi da parte nostra doniamo quaderni e penne ai bambini che vanno a scuola anche se sappiamo che è una goccia nel mare.
In ogni caso l’Africa ci è entrata nel cuore. Resteranno nel nostro ricordo i volti sorridenti e provati dei namibiani, specialmente i bambini coi loro visetti simpatici, e le donne molto serie, quasi severe e misteriose.
Ricorderemo i paesaggi sconfinati e il deserto che disegna una linea netta dal rosso della terra all’azzurro del cielo. Questa immagine entra negli occhi e rimane impressa nella memoria come una fotografia. Montagne rocciose, pianure desertiche, colori brillanti, è come un terrestre si immagina il pianeta Marte! Il colore rosso/giallo domina sui colori che compongono il paesaggio. Questa incredibile bellezza naturale accompagna i viaggiatori attraverso un paesaggio mozzafiato: la luce del sole che riflette sulla sabbia è magica e il silenzio assordante interrotto soltanto dall’alito del vento.
Ricorderemo i suoni della savana nel cuore della notte, che un po’ fanno paura perché non li conosciamo, ma che sono la testimonianza di quanto sia abitata da animali di ogni genere, come un tuffo nel passato di un Continente che dona sempre emozioni indescrivibili ancora oggi. E’ la ricchezza della fauna selvatica che distingue l’Africa da tutti gli altri continenti e vale la pena di preservarla a vantaggio di tutta l’umanità. Il principale difetto dell’Africa è che una volta che si è stati, è inevitabile voler ritornare!