Tibet, emozioni dal tetto del mondo

Un viaggio in Tibet, dove si respira ancora la spiritualità dei luoghi, il misticismo dei monasteri, la religiosità dei tibetani, è un’esperienza umana e culturale da provare e vivere almeno una volta, nonostante le difficoltà
Scritto da: Uzbe
tibet, emozioni dal tetto del mondo
Partenza il: 24/05/2012
Ritorno il: 01/06/2012
Viaggiatori: 12
Spesa: 4000 €
Il Tibet, ai confini con il cielo, tra natura e spiritualità, è uno delle mete che suscitano profonde emozioni al solo nominarle. Un viaggio in Tibet, sul “Tetto del mondo”, dove si respira ancora la spiritualità dei luoghi, il misticismo dei monasteri, la religiosità dei tibetani, è un’esperienza umana e culturale da provare e vivere almeno una volta, nonostante le difficoltà.

24 Maggio 2012 – Lhasa

Dopo tre giorni passati in Nepal, abbiamo preso il volo da Kathmandu per Lhasa. Circa un’ora e mezza di volo con viste spettacolari sulle vette innevate dell’Himalaya, una grande emozione che ci ha fatto stare con la bocca aperta incollati all’oblò e all’oculare della reflex. Poi le valli verdeggianti, corsi d’acqua maestosi e l’atterraggio in Tibet. Un po’ di titubanza ai controlli, dal momento che lo scorso anno un gruppo, del quale dovevamo fare parte, il giorno precedente la partenza si era visto annullare il viaggio per la chiusura, da parte del governo cinese, della frontiera tibetana. La situazione, purtroppo, è tuttora sempre sul filo del rasoio. E, in effetti, i controlli sono stati molto minuziosi e, incredibile nell’era di internet, sono state sequestrate le guide del Tibet perché contenevano delle immagini del Dalai Lama. Incontrata la guida tibetana, che naturalmente spiaccicava solo cinese e quindi ci faceva da intermediario la nostra guida nepalese, ci siamo diretti a Lhasa (3650 metri), che in tibetano significa “trono di dio”. Nonostante la deturpazione conseguente all’occupazione cinese (1950), l’antico e sacro patrimonio culturale continua a vivere nell’immenso Potala, nell’antico Tempio Jokhang, nel kora, il circuito di pellegrinaggio del Barkhor e nei grandi centri monastici di Sera, Drepung e Ganden. Sosta sulle rive del fiume sacro Brahmaputra per ammirare la verde vallata di Tsangpo e in lontananza il Potala, simbolo del Tibet, residenza del Dalai Lama fino all’invasione cinese e al suo esilio nel 1959. I cinesi hanno costruito una metropoli vicino alla città vecchia ed abbiamo pernottato per tre notti in un nuovo albergo, molto bello, ma con la cucina da dimenticare. Dopo la cena, si fa per dire, una lunga passeggiata, fino al limitare della città vecchia, per l’acclimatamento in alta quota. Un problema questo che ha creato qualche problema, non in modo grave, in verità, ad alcune persone del gruppo: inappetenza, insonnia, eccessivo affaticamento, malessere, nausea. In generale, grazie anche al diamox, per chi l’ha preso, nessuna conseguenza degna di nota. Camminando in piano, senza strafare, no ci sono problemi. In salita e salendo le scale, invece, bisogna fermarsi a rifiatare spesso, per non trovarsi in debito di ossigeno e con la lingua penzoloni.

25 Maggio 2012 – Lhasa

Un po’ di eccitazione, dopo tanti anni di attesa, per vedere finalmente il Potala, prima tappa del programma, che si vede da ogni direzione a chilometri di distanza. Un tempo sede del Dalai Lama e del Governo tibetano, è una meraviglia architettonica, con oltre un migliaio di stanze, distribuite su 13 piani, che contengono pitture, sculture e tesori incalcolabili. La prima costruzione del sovrano Songtsen Gampo risale al VII° secolo, ma quella attuale è iniziata nel 1645, con il V° Dalai Lama. Il Potala racchiude il Palazzo Bianco, un tempo residenza del Dalai Lama e il Palazzo Rosso destinato alle funzioni religiose. In una splendida giornata di sole e ottimo clima, affrontiamo la visita, scandita dal tempo imposto dai cinesi, scalando non senza fatica gli oltre mille gradini e visitando numerosi edifici, sale e cappelle, rigorosamente in senso orario, mischiati ad una moltitudine di pellegrini che fanno girare le ruote di preghiera, deponendo sugli altari delle cappelle le offerte e il burro di yak, che emana un odore un po’ nauseante, specialmente quando sei in debito di ossigeno per l’altitudine e i tanti gradini scalati, per alimentare le lampade votive. L’antico quartiere Shol, che sorgeva ai piedi del Potala, è stato praticamente abbattuto durante l’invasione cinese per lasciare spazio ad enormi ed impersonali edifici moderni. L’unico luogo dove è rimasta integra l’architettura tibetana è quello attorno al tempio di Jokhang, dove aleggia l’atmosfera di una volta. Pranziamo sul terrazzo di un ristorantino con cucina nepalese, dal quale si gode di una bella vista sul mercatino sottostante, ma anche con l’inquietante presenza, sul tetto di una casa vicina, di un militare cinese appostato dietro il treppiede di una mitragliatrice. Quella dei militari sarà una presenza costante e massiccia, che ci accompagnerà per tutto il viaggio, anche se in misura minore a mano, a mano, che ci siamo allontanati dal triangolo Lhasa-Gyantse-Shigatse.

Pomeriggio dedicato al Monastero di Jokhang, uno dei santuari più sacri del Tibet. Per arrivarci percorriamo il circuito del Barkor invaso di pellegrini dalla pelle bruciata dal sole e dal vento, con le inseparabili ruote di preghiera o che manifestano la loro devozione coprendo gli spazi sdraiati per terra (i tibetani pregano con tutto il corpo). Stonano le incessanti ronde di militari cinesi armati che compaiono ad ogni angolo. Attraversiamo Barkhor Square, colorata e fiorita e raggiungiamo il Monastero di Jokhang avvolto dai fumi di due incensieri (sangkang, in tibetano) posti all’ingresso. Fu edificato nel VII° secolo per ospitare la venerata statua del Jowo Sakyanubi, portata in Tibet dalla principessa cinese Wen Cheng, una delle mogli del re Songtsen Gampo. Visitiamo numerose cappelle, prima di raggiungere le terrazze dalle quali si possono ammirare splendidi tetti dorati, i kenkira, cilindri di bronzo dorati e cesellati, che contengono preghiere scritte su strisce di carta, i Sa-dag, cilindri ricoperti con lunghe code di yak, spaziando con lo sguardo sino al Potala. Dopo cena, lunga camminata per rivedere il Potala di notte, illuminato dai giochi colorati delle fontane danzanti al suono della musica: uno spettacolo. Per il ritorno, non trovando un taxi, siamo saliti sul risciò, una pedalata impegnativa per qualche chilometro fino all’hotel, in mezzo al traffico a quell’ora, per fortuna, non troppo intenso.

26 Maggio 2012 – Lhasa

Secondo giorno a Lhasa per visitare i monasteri dei dintorni. A circa 8 km si trova quello di Drepung. Prima dell’invasione era il più grande e ricco del Tibet e ospitava circa 8000 monaci, oggi sono rimasti solo in 200. Fondato nel 1416 dal monaco Jamyang Tashi Palden, discepolo di Lama Tzong Khapa, fu per secoli la prima università monastica del paese. Ingrandito dal V° Dalai Lama, comprende il palazzo Ganden, 4 collegi e la cappella dedicata a Buddha Sakyamuni con numerose preziose immagini. Spiccano moltissime finestre contornate da un bordo nero, sormontate da stoffe svolazzanti che, con il loro movimento, tengono lontani gli spiriti maligni. Passaggio poi al Nurbulingka, o Palazzo d’Estate, residenza estiva del Dalai Lama dal 1780 al 1950, patrimonio dell’Unesco, circondato da un bel parco con giardini fioriti. Nel pomeriggio visita del Monastero di Sera, a 6 km da Lhasa, addossato ad una parete della montagna, mischiati a gruppi di pellegrini in preghiera. Importante centro della cultura Gelug-pa, fondato nel 1419, ebbe anche un notevole rilievo a livello politico. Contiene nelle cappelle e nei palazzi importanti opere d’arte, tra le quali un’antica statua del Buddha Sakyamuni del XV° secolo. Assistiamo nel cortile, all’ombra degli alberi, al dibattito tra i monaci che discutono le teorie buddiste apprese durante gli studi, sottolineandole con chiassosi battimani. Cena in albergo da dimenticare: tanto fumo (lusso) e poco arrosto (pastrocchietti indefinibili e brodaglie dove fluttuano sostanze indecifrabili).

27 Maggio 2012 – Lhasa-Gyantse

Partenza al mattino, con un pulmino, anziché i fuoristrada, per la Friendship Highway, la Strada dell’Amicizia, lunga 865 km, che collega Lhasa a Kathmandu (Nepal) ed è considerata uno degli itinerari più straordinari del mondo, con passi che superano i 5000 metri. Nel corso del viaggio, si percorre la valle dello Yarlung con bei panorami, s’incontrano piccoli villaggi, campi coltivati, superiamo tre passi contrassegnati dalle tipiche bandiere di preghiera: il Kamba-La (4794 m.) con vista incantevole del lago Yamdrok, uno dei quattro laghi sacri del Tibet, dove scendiamo per le foto e salgo in groppa ad uno yak, con sciarpa e copricapo tibetano; poi il Karo-La (5010 m.), che lambisce l’imponente ghiacciaio del Noziw Kang Sa (7223 m.), che quasi sfiora la pista e infine il Simi-La (4500 m.), prima di arrivare a Gyantse (3900 m.), tra le città meno contaminate dall’invasione cinese. Quando arriviamo il tempo è minaccioso. Visitiamo il Monastero Pelkhor Chode, risalente al 1418, con lo splendido Chorten Kumbum, lo stupa di stile nepalese costruito nel 1440, con 108 cappelle e 10.000 statue, il più alto del mondo, risalente al 1427. Il complesso è cinto da mura sino alla sommità della collina sulla quale domina lo Dzong.

28 Maggio 2012 – Gyantse-Shigatse

Mattinata splendida e cielo terso. Chiediamo di fare un nuovo giro per vedere il monastero e lo stupa con gli stupendi colori della limpida mattina tibetana e ci accontentano. Attraversiamo il villaggio con scene di vita quotidiana, le mucche per strada, le donne che portano i bidoni del latte sulle spalle e ci addentriamo nel complesso dove già spuntano i pellegrini con le loro ruote di preghiera e facciamo delle belle foto. Partiamo quindi per Shigatse (3900 m.), seconda città del Tibet, distante solo 90 km, un tempo sede del Panchen Lama, la seconda autorità religiosa e civile del Tibet. Lungo la strada incontriamo contadini intenti ad arare i campi con gli yak e ci fermiamo presso un’antica macina del grano, prima di raggiungere l’hotel dove, a sorpresa, ci riservano una bella ed accogliente camera. Nel pomeriggio visitiamo lo straordinario complesso di Tashi Lumpo, uno dei pochi preservato dalla Rivoluzione Culturale, fondato nel 1447 dal primo Dalai Lama, Gendun Drup, attorno al quale troviamo una moltitudine di pellegrini tibetani che, dopo il pic-nic sotto gli alberi, iniziano la salita in preghiera. Il Monastero, dove vivono circa 1000 monaci, ospita una gigantesca statua di Maitreya, il Buddha del futuro, alta 26 metri, e nelle tante sale sculture, affreschi, antichi archivi e preziose opere d’arte. Terminiamo la giornata con un giretto in città ed un po’ di shopping.

29 Maggio 2012 – Shigatse-Shegar

Poco dopo la partenza, sosta al Monastero di Nartang, che risale al XII° secolo e contiene una preziosa raccolta di matrici in legno del Canone Buddistha Tibetano, dove i monaci nel cortile fanno toilette sotto una fontana all’aperto. A fianco del monastero sorge uno stupa. Ripartiamo e lungo la strada con bei panorami ci fermiamo a fotografare una piccola comunità al lavoro con aratro trainato dagli yak e le donne in costume che seminano. Cielo limpido e aria tersa fanno da cornice a piccoli villaggi affacciati sul fiume Dixia, uno scenario che ci accompagna sino al passo Tsho La (4.500 m.) e poi giù, attraversiamo la cittadina di Renda e risaliamo a toccare i 5.248 metri (la quota più elevata del viaggio) del passo Lhakpa La. Lungo la pista tende nere di nomadi, con disegnata la svastica, simbolo della reincarnazione e greggi di pecore sparse sulle immense praterie dell’altopiano tibetano. Arriviamo finalmente a Shegar, a quota 4.350 metri, dove visitiamo le rovine dello Dzong appeso ad un’alta rupe e il Monastero Gelug-pa, fondato nel 1266, raso al suolo durante la rivoluzione culturale e poi ricostruito. Per raggiungerlo, lungo la mulattiera, non senza fatica, data l’altitudine, si attraversa il villaggio con scene di vita quotidiana e dalla sommità si possono ammirare stupendi panorami. Nel monastero statue, dipinti, ornamenti e, in una stanza fumosa, alcune donne accaldate a preparare centinaia di lumini votivi con il burro di yak. Nell’alberghetto, l’unico che c’è in zona, meno peggio del temuto, sono andate a ruba le melanzane al funghetto. Solo quelle, per cena, almeno per me.

30 Maggio 2012 – Shegar-Zhangmu

Lunga giornata di trasferimento, quasi 250 km, per raggiungere l’ultimo centro tibetano, quasi al confine con il Nepal. Lungo la strada incontriamo un intero villaggio di tibetani in pellegrinaggio verso un monte sacro, con carri, masserizie e donne che durante tutto il cammino fanno girare le ruote di preghiera. Ci chiedono delle medicine e ripartono con i bambini più piccoli appollaiati sui carri. Dopo aver macinato tanta strada, improvvisamente all’orizzonte, sullo sfondo dell’altopiano, possiamo abbracciare con lo sguardo a tutto campo la catena dell’Himalaya. Fantastico e da restare senza fiato. Maestoso l’Everest, in tibetano Chomo-Langma, (8.848 m.), con ai lati il Cho Oyo (8.201), il Lhotse (8.516) e Cancenzonga (8.586). Poi attraversiamo la verde valle del Po Chu e nell’ultimo villaggio tibetano, verso il confine con il Nepal, ci fermiamo a visitare il Monastero edificato attorno alla grotta di Milarepa, eremita fondatore dell’ordine Kagyupa tra XI° e XII° secolo e poeta. Scrisse: “nelle deserte pietraie dei monti troverai uno strano mercato: vi puoi barattare il vortice della vita con una beatitudine senza confini”. Poi la strada peggiora molto, come il tempo, c’incanaliamo in una gola buia, il traffico di camion aumenta e s’incontra qualche sgangherato autobus. Piove quando arriviamo a Zhangmu, con le case abbarbicate sui fianchi della Valle quasi in equilibrio precario e di sicuro disordinato. Zona di frontiera con tanta confusione e animazione. Fine dell’atmosfera serena tibetana. L’albergo è presidiato dentro e fuori da militari. In camera guardiamo nell’armadio per vedere se ne è avanzato qualcuno pronto ad origliare. Qualcuno ha scattato delle foto ed intervengono prontamente a farle cancellare dalla scheda e meno male che non la sequestrano. C’è un po’ di caos e di tensione latente.

31 Maggio 2012 – Zhangmu-Kodari-Kathmandu

Contrattempi alla frontiera tibetano-cinese. Ci fanno mettere in fila alla mattina presto, ma poi aprono con un’ora di ritardo. Scortesi e scorbutici controllano ed aprono qualsiasi tipo di bagaglio frugando dappertutto. Trovano un giornale tibetano ad una ragazza tedesca e la perquisiscono svuotando tutto lo zaino per terra. La nostra guida tibetana, che cercava educatamente di snellire le procedure, viene cazziato con urlacci che ci fanno temere il peggio. Alla fine usciamo e affrontiamo un lungo tratto di strada a piedi per raggiungere le auto che ci porteranno alla frontiera nepalese, incontrando una moltitudine di persone che vanno avanti e indietro carichi come muli. Solo otto chilometri e nuovo controllo, abbastanza formale e veloce, a Kodari, città di confine nepalese, dove saliamo sul pulmino che ci porterà a Kathmandu. La strada è tortuosa, pericolosissima e il viaggio un’odissea. Proibito guardare gli abissi dai finestrini e i massi pendenti dagli strapiombi sopra la testa. Ogni volta che si incrocia un altro mezzo, sono dolori, anzi già al primo tete-a-tete strisciamo tutta la fiancata. Per strada qualche sosta con bei panorami, anche se la giornata è alquanto uggiosa. Terrazze coltivate, un ponte tibetano, anche un bel ristorante dove il pranzo, oramai alle tre del pomeriggio, era ottimo, ma la strada e il resto mi aveva fatto passare completamente l’appetito. Dopo l’ennesimo tornante incontriamo una folla di gente che scende lungo la ripida e lunga scarpata che porta all’impetuoso fiume sottostante: un autobus locale è finito in acqua, 7 morti e 10 dispersi. L’arrivo a Kathmandu è una liberazione.

1 Giugno 2012

Kathmandu-Delhi-Milano – Il rientro in aereo è stato senza problemi.



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